ROBERTO BRUSADELLI
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«Uomo bianco, avrò il tuo scalpo»: e stavolta i pellerossa non c’entrano. C’entra invece una forma di razzismo al contrario, capace di scegliere nei tempi giusti i propri obiettivi: se c’è oggi un bersaglio privilegiato, infatti, questo è appunto la razza bianca, quindi l’Occidente, perverso luogo di corruzione e violenza. La novità arriva dalla Norvegia: un’associazione che lotta contro il razzismo, la Antirasistisk Senter, ha sporto denuncia contro l’autore di un libro distribuito clandestinamente a Oslo che descrive l’uomo bianco come «un’emanazione del diavolo».
«Le affermazioni contenute in questo libro - spiega il presidente dell’associazione, Nadeem Butt - sono del tutto prive di senso e in una società in cui si cerca di vivere in armonia è importante agire contro tali manifestazioni». È la prima volta che l’associazione lancia una battaglia contro l'espressione di un razzismo nei confronti dei norvegesi di stirpe. La polizia deve ora verificare se il libro, intitolato “Il figlio di Satana”, infrange le disposizioni della legge antirazzismo.
Scritto in urdu (lingua simile all’hindi parlata in Pakistan e India) da un autore sconosciuto, “Il figlio di Satana” definisce l’uomo bianco una «barbarie» e un «serpente velenoso» e lo accusa di aver generato «una spirale diabolica nel mondo per tormentare la gente». Secondo Butt, il testo non farebbe riferimento al terrorismo, ma si conclude con un appello alla sorte dei bianchi «sporchi e senza scrupoli», meritevoli di ricevere una punizione che la futura generazione non dimenticherà».
Quando si leggono frasi del genere si è sempre portati a minimizzare: in fondo - è la tesi ricorrente - si tratta di frange marginali, di ideologi esaltati, di teorie strampalate. Può essere vero: come è senz’altro vero che in questi casi bisogna muoversi con i piedi di piombo, per non trasformare un manipolo di squinternati in martiri della libertà. Ma quando si arriva a certi livelli. a scrivere e diffondere un libro di questo tipo, è meglio sbagliare per eccesso: la questione non è quella di colpire la libertà di espressione del pensiero e il diritto a una stampa e a un’editoria libere. Tra l’altro, il volume in questione è comunque una pubblicazione anonima.
Se in un libro si fa apologia di terrorismo - perché è di questo che si tratta - si deve partire dal presupposto che simili minacce possano realizzarsi: e agire di conseguenza, sul lato della prevenzione. Oltre un certo livello, l’inazione nei confronti di determinate idee, propagandate in modo capillare, rischia di trasformarsi in oggettiva complicità.


[Data pubblicazione: 21/04/2005]