LETTERA. LA CRISI E IL BIS
DI CARMELO BRIGUGLIO capo della segreteria politica di AN

Redimere l’errante Berlusconi dall’errore del berlusconismo

Caro direttore, mentre ha inizio il Conclave che dovrà scegliere il successore di Karol Wojtyla alla guida della Chiesa, nel teatrino della Roma politica - come il presidente del Consiglio ama chiamarlo - va in scena la crisi del governo Berlusconi.
Allo stesso premier, al quale non fa difetto la grandeur, non sarà dispiaciuto che un evento storico e universale di questa portata faccia da sfondo al dibattito sul superamento della crisi politica e della crisi di quello che è stato definito il berlusconismo.
Una crisi strisciante che ha determinato come effetto visibile la recente sconfitta elettorale, la più grave che il centrodestra abbia subito dalla sua nascita. Più grave persino di quella provocata dalle elezioni politiche del 1996 che portarono il centrosinistra al governo e Romano Prodi a palazzo Chigi

Perché allora l'ideologia berlusconiana, ancora giovane, faceva da stella polare alla carovana del centrodestra che, guidata dal Cavaliere, si avventurava nella traversata nel deserto di una lunga opposizione politica, al termine della quale avrebbe riassaporato il ritorno al governo del paese.
Ora segni evidenti sembrano annunciarne la fine. Intendiamoci, la fine del berlusconismo non è la fine politica di Silvio Berlusconi: Giuliano Ferrara, nell'ansia di giubilarlo come statista, ha ridotto i tempi di consegna del Cavaliere agli annali della Repubblica.
Invece è probabile che, di qui a poco, l'uomo dimostri di non avere esaurito tutto il potenziale di inventiva che ne ha fatto una personalità irripetibile della politica italiana. Ma bisogna prendere atto che è venuta meno l'adesione di massa al berluscomismo come fenomeno politico ed estetico il quale ha caratterizzato più di ogni altro l'Italia per oltre un decennio.

Molto più - ecco una miopia storica della quale da destra a sinistra dovremo fare ammenda - della presenza di un grande Papa come Giovanni Paolo II dalla cui opera il mondo politico italiano e lo stesso carattere nazionale non hanno saputo farsi contaminare. Il berlusconismo è stato il tentativo di trasferire integralmente alla politica le regole del marketing commerciale: una visione ideologica che ha fatto crescere negli italiani, o in molti di essi, la sensazione di essere considerati più consumatori da conquistare con campagne pubblicitarie, che cittadini con i quali dialogare nei luoghi dove il consenso tradizionalmente si aggrega e si condensa.

E' stato l'illusione di potersi rivolgere direttamente ai singoli e di saltare la mediazione di quei mondi vitali che da sempre distinguono la democrazia politica ed economica in Italia: parti sociali, sindacati, ordini, associazioni, categorie, gruppi organizzati; e persino quella dei partiti politici le cui dinamiche non ha mancato di marchiare come rituale vecchio e professionistico.
Ne è rimasta ideologicamente influenzata l'azione del governo il quale ha avuto difficoltà a interloquire con quasi tutti i soggetti collettivi, finendo per scontentare ambedue gli schieramenti che fisiologicamente animano il conflitto o soltanto la dialettica sociale: datori di lavoro e lavoratori, magistrati e avvocati, professionisti e statali, tanto per fare qualche esempio recente. Quando si dice che al governo Berlusconi è mancata la capacità di comunicare, molti si sorprendono, perché il pensiero corre alle note doti e possibilità del premier in questo campo.

Ma si dice qualcosa di vero. Non nel senso che è mancata la messaggeria mediatica che è stata sovrabbondante e in alcuni casi eccessiva.
E' stata invece insufficiente e talvolta inesistente la comunicazione vis a vis quella faticosa del rapporto quotidiano con i corpi intermedi, i quali a chi detiene il potere, accanto e forse più del soddisfacimento dei propri interessi, chiedono il riconoscimento periodico del proprio ruolo mediante la partecipazione al gioco della trattativa e della mediazione.

Un sistema troppo in fretta sostituito con la politica dell'annuncio, la quale enfatizzando l'efficacia dei benefici a venire, riduce o annulla la percezione degli effetti positivi se chi ne fruisce registra uno scarto anche minimo rispetto alla promessa; ma, quel che è peggio, rende protagonista solo una parte, il governo, e taglia fuori dalla partecipazione al risultato chi ha titolo e spesso - questo è il paradosso - chi ha la volontà di dare il proprio apporto, di essere sulla scena, per costruire insieme il risultato.

Questo spiega, almeno in parte, perché riforme importanti realizzate dal centrodestra non hanno ottenuto il consenso della gente: non sono state quasi mai cogestite e quindi le rappresentanze che avrebbero avuto interesse a raccontarle ai destinatari le hanno sottaciute, sminuite o apertamente contestate.
Bypassare o sottovalutare questi processi essenziali delle relazioni industriali e politiche, ritenere di poterli rimpiazzare con i Porta a porta o i «Sei per tre», è stata una grave semplificazione dell'ideologia berlusconiana che da destra abbiamo tentato di correggere e riequilibrare.
Ci siamo riusciti poche volte. La nostra scommessa è quella di un governo nuovo che ridia alla Casa delle Libertà la speranza di salvare il suo progetto e di redimere l'errante Berlusconi dall'errore del berlusconismo.

fonte: il Riformista del 19-04-2005