L'ambasciatore Usa ha contrastato l'intelligence italiana
Calipari, John Negroponte sapeva (e ha agito)


Gigi Malabarba*

Il generale Mario Marioli, numero due del Multinational Corps Iraq,
nella sua testimonianza di fronte ai magistrati sostiene che il 4
marzo non ha informato la catena di comando americana dell'azione in
corso per la liberazione di Giuliana Sgrena: è la verità, ma solo una
parte della verità.
Tengo a precisare, dato l'incarico parlamentare che ricopro, in
particolare nei confronti della Procura della Repubblica di Roma, che
sulla vicenda che ha portato all'uccisione dell'agente del Sismi,
Nicola Calipari, al ferimento di un altro agente dei servizi e della
giornalista del manifesto, non dispongo di "prove". Le mie sono
semplici deduzioni politiche, di cui in questo senso mi assumo le
responsabilità.

Personalmente sono allergico alle dietrologie, ai luoghi comuni e
alle teorie del complotto che appassionano taluni, impedendo spesso
di cogliere le dinamiche reali dei fatti. Quando si parla poi di
Stati Uniti, di guerra e di servizi segreti è opportuno abbandonare
il ricorso a banali stereotipi, che delineano a priori la figura "del
cattivo". E' per questo che per mesi ho evitato di mettere in fila
due o tre ragionamenti un po' troppo scontati, soprattutto in
relazione ai primi rapimenti di cittadini italiani in Iraq.

Tuttavia devo constatare con stupore quanto sia stata
superficialmente considerata dagli analisti e commentatori politici
la nomina di John Dimitri Negroponte a capo della più grande
ambasciata americana del mondo un anno fa, dopo quarant'anni di
carriera nei punti nevralgici della difesa degli interessi Usa.
Negroponte è non solo il teorico della "guerra sporca" contro il
comunismo dai tempi del conflitto in Vietnam e poi in Centroamerica,
ma è -come si dice in gergo- "l'operativo" per eccellenza in questo
campo. La definizione di Opzione Salvador per l'avvio di una
struttura di intelligence militare o, meglio, politico-militare, con
una catena di comando parallela a quella ufficiale dell'esercito e
della Cia, è talmente plateale nel presentare di fatto ufficialmente
gli squadroni della morte come modalità funzionale nella lotta contro
il terrorismo, da apparire paradossale.

Come dimostrato da decenni di inchieste, e persino da conclusioni
giudiziarie negli stessi Stati Uniti, l'organizzazione di sequestri,
torture, uccisioni e attentati fuori da ogni norma di diritto
nazionale e internazionale è avvenuta in vari paesi, giustificata -
così come lo è stata esplicitamente l'Opzione Salvador da parte di
Negroponte - con il carattere non convenzionale del terrorismo: la
stessa che sta alla base di Guantanamo.

Negli ambienti dei servizi e per ammissione esplicita da parte
americana, la collaborazione tra Italia e Stati Uniti in campo di
intelligence militare è più organica persino di quella tra Washington
e Londra, che pure in Iraq e non solo conducono insieme guerre da
lunga data.

E' noto, però, come forti contraddizioni siano esplose nella
cosiddetta Coalizione dei volenterosi, in particolare in occasione
dei sequestri. Gli interessi italiani, compresi, ovviamente, quelli
del governo Berlusconi, che hanno spinto per ottenere con ogni mezzo
la liberazione degli ostaggi, si sono scontrati frontalmente con
quelli degli americani, sostenitori della linea della "fermezza"
contro ogni logica trattativistica.

Fino a un certo punto è stato possibile contenere il contrasto,
permettendo agli alleati di sfruttare persino i rapporti tradizionali
della nostra intelligence con i regimi arabi, i loro servizi e le
formazioni armate mediorientali nell'interesse della Coalizione, così
come era stato in Iraq prima della guerra e durante la fase di
occupazione militare anglo-americana del paese. L'ultima possibilità
di conciliare le diverse esigenze si è verificata con l'invenzione -
per la verità un po' goffa - del blitz americano per la liberazione
di Agliana, Cupertino e Stefio al fine di mascherare le trattative
che tutti sapevano essersi realizzate.

Ma il Comitato sequestri istituito dalla Coalizione a Bagdad, sotto
diretto controllo dell'ambasciata degli Stati Uniti, non ha più
tollerato le modalità attuate dalla diplomazia italiana e dal Sismi
in occasione dei sequestri successivi di Enzo Baldoni, Simona Pari,
Simona Torretta e Giuliana Sgrena. Se è risaputo, infatti, che per
ben quattro volte le trattative tra il governo francese e i rapitori
dei due giornalisti sono state fatte saltare per gli interventi
ostativi americani, meno è stato rivelato rispetto alle interferenze
messe in atto da parte americana nei confronti dei tentavi di
liberazione degli ostaggi italiani.

Giustamente, l'unica strada attuabile per liberare gli ostaggi da
parte delle autorità italiane e del Sismi, certamente irta di
insidie, non poteva che essere quella di operare appunto sulla base
di mezze verità e di mezzi silenzi nei confronti delle autorità
americane.

Non è possibile avere dubbi che John Negroponte abbia messo in opera
un progetto di contrasto dell'attività diplomatica e di intelligence
italiana, pianificando alcuni contesti nei quali intervenire
direttamente: durante i contatti con i rapitori di Giuliana Sgrena e
i loro intermediari e rispetto al luogo di detenzione, nonché nella
fase di liberazione. Questo lo sappiamo, negarlo oggi sarebbe
irresponsabile. Obiettivo di Negroponte: semplicemente ricondurre
ogni vicenda relativa agli ostaggi alle direttive Usa. Le
circospezioni con cui Calipari si stava muovendo anche nel giorno
della liberazione della giornalista del manifesto hanno a che vedere
esplicitamente con questo, o no?

Nessun ostacolo, peraltro, è venuto da parte americana nella
concessione dei badge e nel facilitare l'operatività del Sismi il 4
marzo. Il capitano Green non sapeva nulla: può essere. Vorrei
ricordare però come sia abbastanza noto che il controllo dei
cellulari e dei satellitari consente agli americani di seguire
spostamenti e conversazioni: anche questo ha indotto Calipari a
chiudere ogni contatto telefonico fino alla liberazione di Giuliana
Sgrena. Dal momento delle prime chiamate dei due agenti del Sismi a
bordo dell'auto diretta verso l'aeroporto, ossia poco dopo le 20,
tutti i movimenti di Calipari erano nelle disponibilità americane,
ancora prima della comunicazione ufficiale al capitano Green avvenuta
alle 20.30 circa.


La sparatoria al check-point volante, istituito proprio per una
visita non prevista di Negroponte all'aeroporto Bagdad avvenuta nelle
ore precedenti
, è uno dei possibili contesti in cui chi non si
è "coordinato" con il comando Usa può incidentalmente incappare.

Questo incidente è stato lucidamente deciso a tavolino e non
necessariamente per bloccare "le rivelazioni" che l'ostaggio avrebbe
potuto fare, come taluno ha sostenuto.

Qualche settimana fa è stato celebrato il venticinquesimo
anniversario dell'assassinio sull'altare di mons. Oscar Arnulfo
Romero, arcivescovo di San Salvador, ad opera di un agente al
servizio del maggiore Roberto D'Aubuisson, fondatore del movimento
politico-militare Orden, ben conosciuto e coordinato con
l'ambasciatore Negroponte. Se non avessi seguito da allora le vicende
centroamericane e non avessi passato un anno in Salvador nel pieno
delle operazioni di "controinsorgenza", forse non mi sarebbero
saltate all'occhio le modalità con cui i check-point diventano la
tomba di persone scomode, in Centroamerica ieri come in Iraq oggi: i
fatti si svolgono con una ripetitività talmente impressionante da
farmi pensare che almeno la fantasia non è appannaggio di questi
signori.


Ma è soprattutto la modalità di costruzione della rete politico-
militare a cavallo tra l'esercito e l'intelligence, parallela alle
strutture ufficiali, che corrisponde straordinariamente negli aspetti
operativi a quanto realizzato dallo stesso Negroponte in Iraq per sua
stessa ammissione.


Il Tribunale di Bruxelles per i crimini di guerra in Iraq, già
Tribunale Russel, ha reso nota recentemente l'esistenza di un "gruppo
27" dei marines, autore di alcuni sgozzamenti di contadini con
incendio dei palmeti del villaggio di Tarmiya, a sessanta chilometri
da Bagdad
. Esistono testimonianze attendibili, riscontrabili peraltro
in preoccupati articoli del New York Times.

Il trattamento è differenziato nei confronti dei nemici, nemici
potenziali o alleati. Il manuale di istruzioni che definisce tutte le
casistiche purtroppo esiste ed è stato applicato su larga scala e
perfezionato negli anni con i villaggi strategici nel Sud-Est
asiatico come con le aldeas modelos in Guatemala e oggi in Iraq, e il
suo autore è lo stesso che oggi è diventato il coordinatore dei 15
servizi di sicurezza degli Stati Uniti e ogni mattina alle otto
conferisce con il presidente Bush.

La mia convinzione sulle responsabilità di Negroponte non è di oggi.
Ho voluto evitare queste considerazioni durante il sequestro di
Giuliana Sgrena e anche nella fase di avvio di questa farsesca
Commissione d'inchiesta mista, utile solo a tentare di trovare una
versione dei fatti concordata tra i due paesi, cosa peraltro non
facile visto il comportamento arrogantemente autoassolutorio degli
americani. Quando ci sono persone che rischiano la loro vita, bisogna
essere cauti e - come ho già detto in aula al Senato commemorando
Calipari, che avevo avuto modo di conoscere proprio in occasione di
una visita alla sede centrale della Cia - ci sono anche persone che
non potranno avere neppure come lui gli onori del ricordo del loro
sacrificio. Ma a questo punto rischia di essere vero il contrario
anche da questo punto di vista: o si prende atto che questa è la
legge imposta dagli Stati Uniti anche ai loro alleati (che si sono
subito allineati alla linea della fermezza meno di un'ora dopo
l'uccisione di Calipari, come ognuno ricorderà) o le persone che
rischiano, italiane o irachene che siano, saranno molte di più.

Gigi Malabarba
Senatore Prc, membro del Comitato parlamentare di controllo sui
servizi segreti

http://www.liberazione.it/giornale/050422/archdef.asp