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    Predefinito IV Domenica dopo Pasqua

    Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo (Disc. 53, 1-2. 4; CCL 23, 214-216)

    La risurrezione di Cristo apre l'inferno. I neofiti della Chiesa rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L'inferno, ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce dei suoi risorti. Il cielo dischiuso accoglie quanti vi salgono.
    Anche il ladrone entra in paradiso, mentre i corpi dei santi fanno il loro ingresso nella santa città. I morti ritornano tra i vivi; tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si elevano a maggiore dignità.
    L'inferno restituisce al paradiso quanti teneva prigionieri. La terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell'unica ed identica passione del Signore l'anima risale dagli abissi, viene liberata dalla terra e collocata nei cieli.
    La risurrezione di Cristo infatti è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni creatura e rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando tutti a gioire grandemente nel giorno del Signore.
    La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto. Che poi questo giorno sai Cristo, lo dice l'Apostolo: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»; non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando Cristo ti illumina con la sua luce, devi allontanare da te le tenebre del diavolo, troncare l'oscura catena del peccato, dissipare con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli stimoli delittuosi.
    Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno senza principio, fa splendere il sole della sua divinità.
    Dirò anzi che egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito alla giustizia di Cristo. Il giorno del cielo infatti risplende in eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da caligine alcuna. Ben a ragione l'evangelista Giovanni dice: La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta (cfr. Gv 1, 5).
    Pertanto, fratelli, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei peccati che ancora gravano sulla sua coscienza. Nessuno sia trattenuto dal partecipare alle preghiere comuni a causa dei gravi peccati che ancora lo opprimono. Sebbene peccatore, in questo giorno nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe ottenere perdono il cristiano?

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    Predefinito Dai Discorsi teologici di san Gregorio Nazianzeno

    Oratio Theologica V (31), 26.28‑29. PG 36, 163.166.168.

    L'Antico Testamento annunziò in modo esplicito l'esistenza del Padre, mentre l'esistenza del Figlio fu annunziata in modo più oscuro. Il Nuovo Testamento manifestò l'esistenza del Figlio, mentre fece intravedere la natura divina dello Spirito. Oggi lo Spirito è presente in mezzo a noi e ci concede più distintamente la propria manifestazione.

    Sarebbe stato rischioso proclamare apertamente il Figlio quando la divinità del Padre non era stata ancora riconosciuta. Né c'era da aggiungere il peso della fede nello Spirito Santo ‑ se così ci si può esprimere - quando ancora non era ammessa la divinità del Figlio.

    Se si fosse presentata troppo tempestivamente la Trinità, i fedeli avrebbero potuto perdere anche ciò che già avevano acquisito, così come troppo cibo può appesantire uno stomaco delicato o il sole può accecare gli occhi malati. Perciò era meglio far avanzare i fedeli a poco a poco, farli cioè ascendere, come dice Davide (Cf Sal 83, 6), per un progressivo itinerario di gloria in gloria, affinché la luce della Trinità fosse contemplata dai loro sguardi sempre più luminosi.

    Anche agli apostoli lo Spirito fu comunicato progressivamente, secondo la loro capacità di riceverlo.

    Nei primi tempi dell'annunzio evangelico lo Spirito corrobora le loro forze, dopo la passione è alitato su di loro, e infine, dopo l'Ascensione, si posa su di essi sotto forma di lingue di fuoco.

    Gesù stesso rivela lo Spirito solo a poco a poco. Se siamo attenti al testo evangelico, vi leggiamo dapprima: Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di verità (Gv 14, 16-17). Il Signore si esprime così perché gli apostoli non lo pensino in qualche modo rivale del Padre o sotto l'influsso di una potenza estranea a Dio.

    Gesù poi dichiara: Il Consolatore che il Padre manderà nel mio nome (Gv 14, 26). Qui egli tralascia di dire io pregherò, per esprimere soltanto che sarà il Padre a mandare lo Spirito.

    Più oltre, per chiarire la propria autorità, Gesù dichiara: Ve lo manderò (Gv 16,7).

    E infine, per renderci nota la potenza dello Spirito, soggiunge: Quando sarà venuto lui, lo Spirito di verità (Gv 16,8).

    Con chiunque mi è amico, credo e mi auguro di credere sempre in Dio Padre, in Dio Figlio e in Dio Spirito Santo: tre Persone distinte in un solo Dio indiviso nella gloria, nell'onore, nella sostanza, nel regno, come sapientemente si è espresso uno di coloro che portano Dio dentro di sé (Probabile riferimento al trattato di Basilio su "Lo Spirito Santo").

    Chi pensa diversamente non può contemplare l'aurora della gloria celeste. Non si potrà dire di lui: Più del sole meridiano splenderà la tua vita, l'oscurità sarà l'aurora (Gb 11,17). Costui va dietro alle idee di moda e non può farsi un'idea giusta delle realtà essenziali.

    Se lo Spirito non merita la nostra adorazione, come può rendermi divino per mezzo del battesimo? Se, invece, la merita, come può non essere oggetto del nostro culto? In tal caso, come può non essere Dio? L'una cosa è collegata all'altra, come un'aurea catena di salvezza.

    Lo Spirito ci rigenera e la rigenerazione ci rende creature nuove e questo rinnovamento ci permette di contemplare la gloria di colui che ci ha ricreati. Lo si può affermare anche partendo dalla reticenza della Scrittura. Ma eccoti uno sciame di testimonianze che dimostreranno come la divinità dello Spirito sia ampiamente insegnata nei Libri sacri. Basta non essere troppo duri di mente o estranei allo Spirito.

    Fa' attenzione: quando Cristo nasce, lo Spirito lo precede. Quando Cristo è battezzato, lo Spirito gli rende testimonianza; lo spinge nel deserto perché sia tentato, e poi lo riconduce in Galilea. Quando Cristo opera prodigi, lo Spirito lo accompagna. Quando Cristo risorge, lo Spirito gli succede. Se lo Spirito non fosse stato Dio, come avrebbe potuto compiere ciò?

    Lo Spirito Santo opera una creazione nuova mediante la risurrezione del battesimo.

    Lo Spirito conosce ogni cosa, insegna, soffia dove vuole e come vuole.

    Lo Spirito guida, parla, manda, mette a parte gli apostoli; egli si adira ed è tentato dagli uomini.

    Lo Spirito rivela, illumina, dona la vita, perché è lui stesso la luce e la vita.

    Lo Spirito fa di noi i suoi templi, ci deifica, compie la nostra santificazione al punto che agisce prima del battesimo e dopo il battesimo viene in nostro aiuto: egli compie tutto quello che compie Dio.

    Lo Spirito si diffonde in lingue di fuoco, distribuisce i suoi doni, suscita apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori. Nel libro della Sapienza leggiamo: In essa c'è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero (Sap 7,22).

    Questo spirito è lo Spirito Santo, la stessa Sapienza. Lo Spirito manifesta la sua azione in mille forme,ci spiega e ci rivela ogni cosa con libertà somma. Eppure in tutto ciò rimane l'Immutabile.

  3. #3
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    Predefinito Omelia dai Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni.

    In Io., tr. XCVII, 1; XCVI, 4. PL 35, 1877-1878. 1875-1876.

    Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Non dobbiamo immaginare che il Signore in queste parole abbia voluto nascondere chissà quali arcani segreti, che il maestro può insegnare ma che non saranno mai alla portata del discepolo. Pensiamo invece alle verità religiose della dottrina cristiana che noi apprendiamo e insegniamo normalmente leggendo e scrivendo, ascoltando e parlando. Se Cristo volesse dircele nel medesimo modo con cui le dice agli angeli, direttamente lui, Verbo unigenito del Padre e coeterno al Padre, chi mai sarebbe in grado di accoglierle? Nessuno, fosse pure giunto a quel grado di spiritualità cui non erano ancora pervenuti gli apostoli, quando il Signore diceva loro queste cose, e a cui pervennero solo in seguito alla venuta dello Spirito Santo.

    Qualunque cosa si può conoscere in ordine alla creatura, è sempre nulla in confronto del Creatore, che è Dio sommo, vero e immutabile. Ma come si può non parlare di Dio? Chi è che non lo nomina, leggendo o discutendo, domandando o rispondendo, lodandolo ed esaltandolo, in qualsiasi modo se ne parli e perfino bestemmiandolo? E tuttavia, benché tutti parlino di Dio, chi lo comprende come deve essere compreso, anche se il suo nome è sempre sulla bocca di tutti e tutti ne sentono parlare? Chi può raggiungerlo con l'acume della sua mente? Chi avrebbe mai saputo che egli è Trinità, se egli stesso non ce lo avesse rivelato? E ora tutti parlano di questa Trinità; tuttavia quale uomo potrà pensare della Trinità come gli angeli?

    Continuamente si parla in pubblico in ordine all'eternità, alla verità e alla santità di Dio: alcuni intendono bene questi discorsi, altri male, o meglio alcuni li comprendono e altri no; poiché chi capisce male, non capisce. Ma tra quelli stessi che intendono bene, c'è chi riesce a penetrare i concetti con maggiore acutezza e profondità degli altri, anche se nessuno riesce a comprendere come gli angeli.

    Nell'anima, cioè nell'uomo interiore, si verifica una crescita che si compie, non soltanto con il passaggio dal latte al cibo solido ma anche per una assimilazione sempre maggiore del cibo solido. E questa crescita non consiste in uno sviluppo fisico, ma in una maggiore chiarezza interiore, poiché si ha per cibo la luce intelligibile.

    Se volete quindi conoscere in questo senso, e volete comprendere sempre meglio Dio, e se, quanto più crescete, tanto più volete comprenderlo, non dovete chiedere e attendere aiuto da un maestro, che parla alle vostre orecchie, cioè da uno che, operando all'esterno, pianta e innaffia, ma da colui che fa crescere.

    Non aspettatevi, carissimi, di ascoltare da noi quelle cose che allora il Signore non volle dire ai discepoli, perché non erano ancora in grado di sostenerle; ma cercate piuttosto di progredire nella carità, che viene riversata nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che vi è stato donato. In questo modo, fervorosi nello spirito e innamorati delle realtà spirituali, potrete conoscere, non mediante segni che si mostrino agli occhi del corpo, né mediante suoni che si facciano sentire agli orecchi del corpo, ma con lo sguardo e l'udito interiore, la luce spirituale e la voce spirituale che gli uomini carnali non sono in condizione di sostenere.

    Non si può infatti amare ciò che s'ignora del tutto. Ma quando si ama ciò che in qualche modo si conosce, in virtù di questo amore si riesce a conoscerlo meglio e più profondamente. Se dunque progredirete nella carità, che in voi riversa lo Spirito Santo, egli vi insegnerà tutta la verità, o come si trova in altri codici, egli vi guiderà alla verità tutta intera; infatti sta scritto in un salmo: Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini.

    E così non avrete bisogno di dottori esterni per apprendere quelle cose che allora il Signore non volle dire, ma basterà che vi lasciate tutti ammaestrare da Dio. Sarete così in grado di contemplare con la vostra anima le cose che avete appreso e creduto attraverso le letture e le spiegazioni ricevute da fuori circa la natura incorporea di Dio; essa non può essere circoscritta da alcun luogo né estesa come una massa enorme attraverso l'immensità dello spazio, ma è in ogni luogo tutta intera, perfetta e infinita, senza splendore di colori né configurazioni di linee, senza segni letterali e senza successione di sillabe.

    Ecco, forse vi ho detto qualcosa che viene di lassù, e tuttavia voi l'avete ricevuto, e non soltanto siete riusciti a sopportarlo, ma vedo che perfino l'avete ascoltato con piacere.

    Se però il Maestro interiore, che quando parlava ancora esteriormente ai discepoli, disse: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso, volesse dirci interiormente ciò che io vi ho esposto circa la natura incorporea di Dio, ma nel modo come lo dice agli angeli, che vedono sempre la faccia del Padre, ancora non saremmo capaci di accogliere la sua rivelazione. Tenendo conto di questo, non credo che l'annuncio: Vi insegnerà tutta la verità, oppure: vi guiderà alla verità tutta intera, possa realizzarsi pienamente per qualcuno, chiunque egli sia, in questa vita: chi infatti, vivendo in questo corpo che si corrompe e appesantisce l'anima, potrà conoscere tutta la verità, se l'Apostolo dice: La nostra conoscenza è imperfetta? Ma è lo Spirito Santo, di cui adesso abbiamo ricevuto il pegno, a garantire che noi perverremo a quella pienezza di cui il medesimo Apostolo parla: Allora vedremo a faccia a faccia, e aggiunge: Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
    Non è dunque in questa vita che sapremo tutto e che raggiungeremo quella perfetta conoscenza che il Signore promise nel futuro per mezzo della carità dello Spirito, dicendo: Egli vi insegnerà tutta la verità, oppure: egli vi guiderà alla verità tutta intera.

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    Augustinus

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, 167-175

    QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA *

    L'istituzione dei Sacramenti.


    Abbiamo veduto Gesù costituire la sua Chiesa, affidare nelle mani degli Apostoli il deposito delle verità che formeranno l'oggetto della nostra fede. Ma vi è un'altra opera, non meno importante per il mondo, alla quale egli dedicherà le sue cure durante quest'ultimo periodo di soggiorno sulla terra. È l'istituzione dei Sacramenti. Non è sufficiente il credere: bisogna anche che noi diveniamo giusti, ossia conformi alla santità di Dio: bisogna che la grazia, frutto della redenzione, discenda in noi, si incorpori a noi, onde, divenuti membra viventi del nostro divin Capo, possiamo anche essere coeredi del suo Regno. Ora, è per mezzo dei Sacramenti che Gesù deve operare in noi questa meraviglia della giustificazione, applicandoci i meriti della sua Incarnazione e del suo Sacrificio, mediante i mezzi decretati dalla sua potenza e dalla sua sapienza.

    Sorgenti e canali della grazia.

    Sovrano padrone della grazia, egli è libero di determinare le sorgenti dalle quali la farà discendere in noi; a noi spetta di conformarci alla sua volontà.

    Ognuno dei Sacramenti sarà, dunque, una legge della sua religione, di sorta che l'uomo non potrà pretendere gli effetti che il Sacramento stesso è destinato a produrre, se sdegna o trascura di compiere le condizioni secondo le quali esso opererà. Ammirabile economia che concilia, in un medesimo atto, l'umile sottomissione dell'uomo con la più prodiga larghezza della munificenza divina. Abbiamo dimostrato qualche giorno fa come la Chiesa, società spirituale, è nello stesso tempo una società visibile ed esteriore perché l'uomo, al quale era destinata, è composto di un corpo e di un'anima. Gesù, istituendo i Sacramenti, ha assegnato a ciascuno di essi un rito essenziale; e questo rito è esteriore e sensibile. Il Verbo, prendendo carne, ne ha fatto l'istrumento della nostra salvezza nella sua passione sulla croce: è per mezzo del sangue delle sue vene che egli ci ha riscattati; e, proseguendo nel suo piano divino, egli prende gli elementi della natura fisica come ausiliari, nell'opera della nostra giustificazione. Li eleva allo stato soprannaturale e ne fa, fino nel più profondo delle anime nostre, i conduttori fedeli e potentissimi della sua grazia. Così verrà applicato sino alle sue ultime conseguenze il mistero dell'incarnazione, che ha avuto per scopo di elevarci alla conoscenza e al possesso delle cose invisibili per mezzo di quelle visibili. Così pure si spezza l'orgoglio di Satana, che disprezzava la creatura umana, perché l'elemento materiale si unisce in essa alla dignità spirituale, e che rifiutò, per sua disgrazia eterna, di piegare il ginocchio davanti al Verbo fatto carne.

    Allo stesso tempo, essendo i Sacramenti segni sensibili, formeranno un nuovo vincolo nei membri della Chiesa, già uniti per la sottomissione a Pietro e ai pastori che egli manda, e per la professione della medesima fede. Lo spirito Santo ci dice nella sacra scrittura che "lo spago a tre fili non si strappa così presto" (Eccl 4,12). Ora, questo è ciò che ci lega nella gloriosa unità della Chiesa; Gerarchia, Dogma e Sacramenti, che contribuiscono a fare di noi un sol corpo. Dal settentrione al mezzogiorno, dall'oriente all'occidente, i Sacramenti proclamano la fraternità tra i cristiani; in qualunque luogo sono il loro segno di riconoscimento, e quello che li distingue agli occhi degli infedeli. È a questo scopo che i Sacramenti sono identici per tutte le razze dei battezzati, qualunque sia la varietà delle formule liturgiche che ne accompagnano l'amministrazione: ovunque, la base è la stessa, e la medesima grazia si produce mediante i medesimi segni essenziali.

    Il sacro settenario.

    Gesù risorto sceglie il settenario come numero dei suoi sacramenti. Sapienza eterna del Padre, egli ci rivela fin dall'Antico Testamento, che si costruirà una casa, che è la santa Chiesa, e aggiunge che la farà riposare su sette colonne (Prov 9,1; questa Chiesa la raffigura in anticipo nel tabernacolo di Mosè, e ordina che un candelabro a sette bracci, ornato di fiori e di frutti, illumini giorno e notte il santuario (Es 25,37). Quando, in un'estasi, egli trasporta in cielo il suo discepolo prediletto, è per mostrarsi circondato da sette candelieri e tenendo sette stelle nella mano (Ap 1,12.16). Quando si manifesta sotto le sembianze dell'agnello vittorioso, questo ha sette corna, simbolo della forza, e sette occhi che significano l'estensione infinita della sua scienza (ivi 5,6). Presso di lui vi è il libro che contiene i destini del genere umano, e questo libro è suggellato con sette sigilli che solo l'Agnello può togliere (ivi 5). Davanti al trono della Maestà divina, il discepolo scorge sette Spiriti beati che ardono come sette lampade (ivi 4,5), attenti ai minimi ordini di Dio, e pronti a portare la sua parola fino agli ultimi limiti della creazione.

    I sette peccati capitali.

    Se adesso volgiamo lo sguardo verso l'impero delle tenebre, vedremo lo spirito del male occupato a contraffare l'opera divina, usurpando il settenario, per lordarlo consacrandolo al male. Sette peccati capitali sono lo strumento della sua vittoria sull'uomo; e il Signore ci avverte che, quando nel suo furore, Satana si slancia su un'anima, prende con sé i sette spiriti più cattivi che ha nell'abisso. Noi sappiamo che Maddalena, fortunata peccatrice, non ricuperò la vita dell'anima che dopo che il Salvatore ebbe espulso da lei sette demoni. Questa provocazione dello spirito dell'orgoglio forzerà la collera divina, quando cadrà sul mondo del peccato, a imprimere il settenario fino nella sua giustizia. San Giovanni c'insegna che sette trombe, suonate da sette Angeli, annunceranno le successive convulsioni della razza umana, (ivi 7,2) e che sette altri Angeli verseranno, di volta in volta, sulla terra colpevole, sette coppe riempite dalla collera di Dio (ivi 15,1).

    Noi dunque che vogliamo essere salvati e gioire della grazia, in questo mondo, e del nostro Maestro risorto, nell'altro, accogliamo con rispetto e riconoscenza il Settenario misericordioso dei suoi Sacramenti.

    Sotto questo numero sacro egli ha saputo racchiudere tutte le forme della grazia. Sia che, nella sua bontà, voglia farci passare dalla morte alla vita, per mezzo del Battesimo e della Penitenza; sia che cerchi di sostenere in noi la vita soprannaturale, e di consolarci nelle nostre prove, per mezzo della Confermazione, dell'Eucaristia e dell'Estrema Unzione; sia infine che provveda al ministero della sua Chiesa e alla sua propagazione, per mezzo dell'Ordine e del Matrimonio: non sarebbe possibile di trovare un bisogno dell'anima, una necessità della società cristiana, senza che egli ne abbia provveduto per mezzo delle sette fonti di rigenerazione e di vita che ha aperto per noi, e che non cessa di far scendere sulle nostre anime.

    I sette Sacramenti sono sufficienti per tutto; uno solo di meno, e l'armonia sarebbe spezzata. Le Chiese dell'Oriente, separate dall'unità cattolica da tanti secoli, confessano con noi il settenario sacramentale; e il protestantesimo, portando, su tale numero, la sua mano profana, ha dimostrato, in questa come in tutte le sue altre pretese riforme, che il senso cristiano gli faceva difetto. Non ce ne meravigliamo; la teoria dei Sacramenti s'impone tutta intera alla fede; l'umile sottomissione dei fedeli deve accoglierla, prima di tutto, come venuta dal sommo Maestro: è quando si applica all'anima, che la sua magnificenza e la sua efficacia divina si rivelano; allora noi comprendiamo, perché abbiamo creduto. Credite et intelligetis.

    Il Battesimo.

    Oggi consacriamo la nostra ammirazione e la nostra riconoscenza al primo dei Sacramenti: al Battesimo. Il Tempo pasquale ce lo mostra in tutta la sua gloria. Noi l'abbiamo visto, il Sabato santo, compiere i voti dei fortunati catecumeni, e dare a popoli interi la vita della patria celeste. Ma questo mistero aveva avuto la sua preparazione. Nella festa dell'Epifania avevamo adorato l'Emmanuele, disceso nei flutti del Giordano, comunicare all'elemento dell'acqua, per mezzo del contatto della sua carne, la virtù di purificare tutte le macchia dell'anima. Lo Spirito Santo venne a posarsi sulla testa dell'Uomo-Dio, ed a fecondare, con il suo divino influsso, l'elemento rigeneratore, mentre la voce del Padre celeste risuonava nella nube annunciando l'adozione che, nel suo Figliolo Gesù, si sarebbe degnato di fare dei battezzati, oggetto della sua eterna compiacenza.

    Già durante la vita mortale, il Redentore spiegò, di fronte ad un dottore della legge, le sue misteriose intenzioni. Egli disse: "Nessuno, se non nasce per acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio" (Gv 3,5). Secondo la sua abitudine, quasi costante, egli annuncia ciò che dovrà fare un giorno, senza compierlo ancora; noi sappiamo solamente che, non essendo stati puri nella nostra prima nascita, ce ne prepara una seconda che sarà santa, e che l'acqua ne sarà lo strumento.

    Ma in questi giorni è venuto il momento per dichiarare la potenza che ha dato alle acque di produrre l'adozione progettata dal Padre. Indirizzandosi ai suoi Apostoli, dice loro, con la maestà di un re che promulga la legge fondamentale del suo impero: "Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Ecco il beneficio principale che annunzia al mondo: la salvezza per mezzo dell'acqua, con l'invocazione della Santissima Trinità, poiché, dice egli ancora: "Chi crede e sarà battezzato, sarà salvo" (Mc 16,16). Rivelazione piena di misericordia per il genere umano; inaugurazione dei sacramenti, per mezzo della dichiarazione del primo, di quello che, secondo il linguaggio dei Padri, è la porta di tutti gli altri! Noi che gli dobbiamo la vita delle anime nostre col suggello eterno e misterioso che ci fa membri di Gesù, salutiamo con amore questo augusto mistero. San Luigi, battezzato nell'umile fonte di Poissy, si compiaceva di firmarsi: "Louis de Poissy"; considerando il fonte battesimale come una madre che l'aveva dato alla vita celeste, dimenticava la sua origine regale per non ricordare che quella di figlio di Dio. I nostri sentimenti devono essere gli stessi del santo re.

    Ma ammiriamo la condiscendenza di Gesù risorto, quando istituì il più indispensabile dei suoi sacramenti. La materia che scelse era la più comune, la più facile ad incontrarsi. Il pane, il vino, l'olio d'ulivo, non stanno dappertutto sulla terra; l'acqua scorre in ogni luogo; la provvidenza di Dio l'ha moltiplicata sotto tutte le forme, affinché, nel giorno segnato, la fontana di rigenerazione fosse ovunque accessibile all'uomo peccatore. Il Salvatore ha affidato gli altri Sacramenti al sacerdozio che, solo, ha il potere di amministrarli; per il battesimo non sarà così. Qualunque fedele potrà esserne il ministro, senza distinzione di sesso, né di condizione. E vi è di più: qualunque uomo, anche se non è membro della Chiesa cristiana, potrà conferire al suo simile, per mezzo dell'acqua e dell'invocazione della santissima Trinità, la grazia battesimale che non è in lui, alla sola condizione di voler compiere seriamente, con questo atto, ciò che fa la Chiesa quando amministra il sacramento del Battesimo. E c'è ancora dell'altro: questo ministro del sacramento può mancare all'uomo che sta per morire; l'eternità si aprirà per lui senza che una mano altrui si alzi per versare sulla sua testa l'acqua purificatrice; il divin fondatore della rigenerazione delle anime, non l'abbandona in questo momento supremo. Che esso renda omaggio al santo Battesimo, che lo desideri con tutto l'ardore dell'anima sua, che abbia sentimenti di compunzione sincera e di vero amore; dopo questo, se egli muore, la porta del cielo sarà aperta a lui per mezzo del Battesimo di desiderio.

    Ma il bambino che non ha ancora l'uso di ragione, e che la morte falcerà tra qualche ora, sarà dunque stato dimenticato in questa munificenza generale? Gesù ha detto che colui che crederà e sarà battezzato sarà salvo: come dunque otterrà la salvezza, questo essere debole che si spegnerà con la macchia del peccato originale e che è incapace di avere la fede? Rassicuratevi. La potenza del Battesimo si estenderà fino a lui. La fede della Chiesa che lo vuole per figlio, gli sarà imputata; che si versi l'acqua sulla sua testa in nome delle tre divine Persone, ed ecco, egli sarà cristiano per sempre. Battezzato nella fede della Chiesa, questa fede è adesso in lui personalmente, insieme con la Speranza e con la Carità; l'acqua sacramentale ha prodotto questa meraviglia. Ora può spirare; il regno del cielo è suo.

    Tali sono, o Redentore, i prodigi che tu operi nel primo dei sacramenti, per effetto di quella tua volontà sincera della salvezza di tutti (1Tm 2,4); di maniera che coloro nei quali non si compie questa volontà, sfuggono alla grazia della rigenerazione soltanto in conseguenza del peccato commesso precedentemente, peccato che la tua eterna giustizia non sempre ti permette di prevenire in se stesso, o di riparare nelle sue conseguenze. Ma la tua misericordia è venuta in soccorso: ella ha teso le sue reti, ed innumerevoli eletti vi sono caduti. L'acqua santa è scesa fino sulla fronte del bambino che si spegneva tra le braccia di una madre pagana, e gli Angeli hanno aperto i loro ranghi per riceverlo. Alla vista di tante meraviglie, cosa ci resta da fare, se non esclamare con il Salmista: "Noi che possediamo la vita, benediciamo il Signore"?

    La quarta domenica dopo Pasqua, nella Chiesa greca, viene chiamata Domenica della Samaritana, perché vi si legge il brano del Vangelo in cui è riportata la conversione di questa donna.

    La Chiesa Romana oggi, nell'ufficio notturno, comincia la lettura delle Epistole dette Canoniche, lettura che essa continua fino alla festa della Pentecoste.

    MESSA

    EPISTOLA (Gc 1,16-21). - Carissimi: Ogni ottima cosa ricevuta, ogni dono perfetto viene dall'alto, e scende dal Padre dei lumi, nel quale non c'è variazione né ombra di mutamento. Egli ci ha di sua volontà generati con la parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, o fratelli miei dilettissimi: ogni uomo deve essere pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira, perché l'ira dell'uomo non fa adempiere la giustizia di Dio. Sbarazzandovi quindi di ogni immondezza e di ogni resto di malizia, abbracciate con mansuetudine la parola innestata in voi, la quale può salvare le anime vostre.

    Imitare il Padre.

    Le grazie elargite al popolo cristiano vengono dalla grande e serena bontà del Padre celeste, principio di tutto, nell'ordine della natura; e se, nell'ordine della grazia, noi siamo divenuti suoi figli, è perché lui stesso ci ha mandato il suo Verbo consustanziale, che è la Parola di verità, per mezzo della quale noi siamo diventati, nel Battesimo, figli di Dio. Ne segue che dobbiamo imitare, per quanto è possibile alla nostra debolezza, la calma del nostro Padre, che è nei cieli, e garantirci da quelle agitazioni passionali che sono il carattere di una vita esclusivamente terrestre, mentre, la nostra, deve svolgersi per il cielo dove Dio ci attira. Il santo Apostolo ci avverte di ricevere con dolcezza questa Parola, che ci fa ciò che noi siamo. Essa è, secondo la sua dottrina, un innesto di salvezza, trapiantato nelle anime nostre. Che esso possa svilupparvisi, che il suo buon esito non venga impedito da noi, e saremo salvi.

    VANGELO (Gv 16,6-14). - In quel tempo: disse Gesù ai suoi discepoli: Vo da colui che mi ha mandato: e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma io vi dico il vero: è meglio per voi che me ne vada; perché, se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; e se me ne vado, lo manderò a voi. E, venendo, egli convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia, ed al giudizio. Al peccato, per non aver creduto in me; alla giustizia, perché io vo al Padre e non mi vedrete più; al giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato. Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando invece sarà venuto quello Spirito di verità, egli vi ammaestrerà in tutte le verità, perché non vi parlerà da se stesso; ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà l'avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi.

    L'annuncio dello Spirito Santo.

    Quando Gesù disse agli Apostoli: "me ne vado", questi ne furono rattristati. Non lo siamo anche noi che, dalla sua nascita a Betlemme l'abbiamo costantemente seguito, grazie alla Liturgia che ci univa a lui ad ogni passo? Ancora qualche giorno, ed egli ascenderà al cielo, e l'anno perderà quell'incanto che gli veniva, di giorno in giorno, dalle sue azioni e dai suoi discorsi. Non vuole però che noi ci lasciamo andare ad una tristezza troppo grande. Ci annunzia che, in sua vece, il Consolatore, il Paraclito, scenderà sulla terra e resterà con noi, per illuminarci e fortificarci, sino alla fine dei secoli. Profittiamo delle ultime ore di Gesù: presto verrà l'ora di prepararci a ricevere l'ospite celeste, che dovrà venire a sostituirlo.

    Gesù, che pronunciava queste parole la vigilia della sua Passione, non si limita a mostrarci la venuta dello Spirito Santo, quale consolazione dei suoi fedeli; ma, nel medesimo tempo, ci fa vedere come sia temibile, per coloro che non avranno voluto riconoscere il Salvatore. Le parole di Gesù sono tanto misteriose quanto terribili; prendiamo la spiegazione che ce ne da sant'Agostino, il Dottore dei dottori. "Quando lo Spirito Santo sarà venuto, dice il Salvatore, convincerà il mondo di ciò che riguarda il peccato". Perché? "Perché gli uomini non hanno creduto in Gesù". Quanto grande sarà, effettivamente, la responsabilità di coloro che, essendo stati testimoni delle meraviglie operate dal Redentore, non si saranno piegati alla sua parola! Gerusalemme sentirà dire che lo Spirito è disceso sui discepoli di Gesù, e ne resterà così indifferente, quanto lo fu per i prodigi che le additavano il Messia.

    La venuta dello Spirito Santo sarà come il preludio della rovina della città deicida. Gesù aggiunge che il Paraclito convincerà il mondo in quanto alla giustizia; perché, egli dice, "io vado al Padre, e voi non mi vedrete più". Gli Apostoli, e quelli che crederanno alla loro parola, saranno santi e giusti per mezzo della fede. Crederanno in colui che se n'è andato al Padre, in colui che i loro occhi non vedranno più in questo mondo. Gerusalemme, al contrario, non ne conserverà i ricordi che per bestemmiarlo; la giustizia, la santità, la fede di quelli che avranno creduto saranno la sua condanna, e lo Spirito Santo l'abbandonerà alla sua sorte. Gesù disse ancora: "Il Paraclito convincerà il mondo in quanto al giudizio". Perché? "Perché il principe di questo mondo è già giudicato". Quelli che non seguono Gesù Cristo, seguono, tuttavia, un altro padrone: questo padrone è Satana. Ora, il giudizio di Satana è già stato pronunciato. Lo Spirito Santo avverte dunque i discepoli del mondo che il loro principe è sprofondato per sempre nella reprobazione.

    Vi riflettano dunque, poiché, aggiunge sant'Agostino, "l'orgoglio dell'uomo avrebbe torto di contare sull'indulgenza; vale la pena per lui contemplare il supplizio al quale sono abbandonati gli angeli superbi" [1].

    PREGHIAMO

    O Dio, che unisci le anime dei fedeli in una sola volontà, da' ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e di desiderare ciò che prometti; affinché i nostri cuori, anche in mezzo alla vicende terrene, sian fissi ove sono le vere gioie.

    ----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    * A seguito della riforma liturgica, quella che è attualmente la V Domenica di Pasqua era la IV.

    [1] Tratt. XCV su san Giovanni.

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    SERMONE XXV. - PER LA DOMENICA IV. DOPO PASQUA

    Ubbidienza al confessore.


    Quo vadis? (Ioan. 13, 36).

    Per giungere al paradiso, bisogna camminare la via del paradiso. Molti cristiani di fede, ma non di costumi, vivono in peccato, tutti immersi ne' piaceri ed interessi del mondo. Se dimandate ad alcuno di loro: fratello, tu sei cristiano, credi già la vita eterna, e che vi è paradiso ed inferno eterno; dimmi, ti vuoi salvare? Ti dirò colle parole del vangelo corrente: Quo vadis? Dove vai a parare? Risponderà: non lo so, ma spero in Dio che mi salvi. Va bene che non lo sai, ma come speri in Dio che ti salvi, se tu vuoi vivere perduto? Come vuoi pretendere il paradiso, se cammini la via dell'inferno? È necessario dunque che muti strada, e perciò bisogna che ti metti in mano di un buon confessore, che ti guidi per la via del paradiso, e che tu all'incontro puntualmente l'ubbidisca. Disse Gesù Cristo: Oves meae vocem meam audiunt (Ioan. 10, 27). In questa terra non abbiamo Gesù Cristo che sensibilmente ci faccia udir la sua voce, ma in suo luogo egli ci ha lasciati i sacerdoti, e ci ha fatto sapere che chi essi ascolta, ascolta lui stesso, e chi li disprezza, lui stesso disprezza: Qui vos audit me audit, et qui vos spernit me spernit (Luc. 10, 16). Beati coloro dunque che sono ubbidienti ai loro padri spirituali; e poveri quelli che non gli ubbidiscono, perché dan segno di non essere pecorelle di Gesù Cristo. Voglio per tanto oggi dimostrarvi:

    Nel punto I. Quanto sta sicuro di salvarsi chi ubbidisce al confessore;

    Nel punto II. In quanto pericolo sta di dannarsi chi non ubbidisce al confessore.

    PUNTO I. Quanto sta sicuro di salvarsi chi ubbidisce al confessore.


    Gran beneficio di Dio è stato, l'averci lasciato Gesù Cristo i padri spirituali che ci guidino per la via della salute. Per salvarci dobbiamo seguire la divina volontà in tutto ciò che Iddio vuole da noi. Qual cosa, io domando, è necessaria per salvarsi e farsi santo? Alcuni stimano che il farsi santo consiste nel far molte penitenze; ma se uno stesse infermo, e volesse far tali mortificazioni che lo mettessero a prossimo pericolo di morte, costui si farebbe santo? No, anzi peccherebbe. Altri pensano che la perfezione consiste in far molta orazione; ma se un padre di famiglia abbandonasse l'educazione de' figli, e se ne andasse in un deserto a fare orazione, costui anche peccherebbe; perché quantunque sia buona l'orazione, nondimeno il padre è obbligato ad avere cura de' figli; tanto più che può ben adempire l'uno e l'altro senza andare al deserto. Altri pensano che la santità consiste nel frequentare la s. comunione; ma se una donna maritata volesse comunicarsi ogni mattina, e il marito giustamente glie lo proibisse, perché facendo ella così, ne viene danno alla famiglia; costei parimente farebbe male e avrebbe a darne conto a Dio. Dove dunque consiste il farsi santo? Consiste nel fare perfettamente la volontà di Dio. Tutti i peccati che portano tante anime all'inferno, da che nascono? Dalla propria volontà: dunque, dice s. Bernardo, cessiamo di far la volontà propria, seguiam la volontà di Dio, e per noi non ci sarà inferno: Cesset propria voluntas et infernus non erit (Serm. 3. de Resurr.).

    Ma dirà taluno, come mai conosceremo noi quello che Dio vuole da noi? Questo è un affare molto a noi dubbio ed oscuro, secondo parla Davide: A negotio perambulante in tenebris (Psal. 90, 6). Tanti in ciò s'ingannano, poiché la passione spesso fa supporre loro che facciano la volontà di Dio, ma in fatti fanno la volontà propria. Ma ringraziamo sempre la bontà di Gesù Cristo che ci ha insegnato il modo sicuro di accertare nelle opere nostre la sua divina volontà, lasciandoci detto che ubbidendo a' nostri confessori ubbidiamo a lui medesimo: Qui vos audit me audit. Scrive s. Teresa nel suo libro delle Fondazioni, cap. 10.: L'anima pigli il confessore con determinazione di più non pensare alla sua causa, ma di fidarsi delle parole del Signore: Qui vos audit me audit. E soggiunge che questa è la via certa di fare la volontà di Dio. Onde poi confessava la Santa che per questo mezzo, cioè per la voce del confessore era giunta a conoscere ed amare Dio. Quindi s. Francesco di Sales (Introd. ec. c. 4) parlando dell'ubbidienza al confessore, riferisce il detto del p.m. d'Avila: «Per quanto voi cerchiate, dice il divoto d'Avila, voi non troverete mai così sicuramente la volontà di Dio, quanto per il cammino di questa umile ubbidienza, tanto raccomandata e praticata da tutti gli antichi divoti».

    Chi opera secondo l'ubbidienza datagli dal confessore sempre dà gusto a Dio, quando fa l'orazione, le mortificazioni, le comunioni, e quando queste le lascia per ubbidienza; e così anche sempre merita, se si ricrea, se mangia o bee per ubbidire al confessore, perché sempre allora fa la volontà di Dio. E perciò dice la scrittura: Melior est obedientia, quam stultorum victimae (Eccl. 4, 17). Piace più a Dio l'ubbidienza, che tutti gli altri sacrificj di penitenze, di limosine e simili che possiamo offerirgli. Chi sacrifica a Dio le sue robe con far limosine, il suo onore con soffrire le ingiurie, il suo corpo mortificandolo con digiuni e penitenze, gli dona parte di sé e delle sue cose; ma chi gli sacrifica la sua volontà sottomettendola all'ubbidienza, gli dona tutto ciò che ha; ed allora può dire a Dio: Signore, avendovi data la mia volontà, non ho più che darvi.

    Sicché l'ubbidienza che si usa al confessore è la cosa più gradita che possiamo offerire a Dio, ed è la più sicura per accertare la divina volontà. Dice il b. Errico Susone che Iddio non cerca da noi conto delle cose fatte per ubbidienza. Ubbidite, scrisse l'apostolo, a' vostri padri spirituali, e non temete di tutto ciò che fate per ubbidienza; poiché essi, non voi, hanno da render conto a Dio di quanto voi fate: Obedite praepositis vestris, et subiacete eis; ipsi enim pervigilant, quasi rationem pro animabus vestris reddituri (Hebr. 13, 17). Ma si notino le parole che ivi sieguono: Ut cum gaudio hoc faciant, et non gementes. Ciò significa che bisogna ubbidire senza replica e senza angustiare il confessore e farlo gemere. Oh come gemono i confessori, quando i penitenti resistono ad ubbidire con certi pretesti o scuse, o lamenti ingiusti! Ubbidiamo dunque a' padri spirituali senza replicare, e poi stiamo sicuri di quanto facciamo. Dicea s. Filippo Neri: «Quelli che desiderano far profitto nella via di Dio, si sottomettano ad un confessore dotto, al quale ubbidiscano in luogo di Dio; chi fa così si assicura di non render conto a Dio delle azioni che fa». Onde se tu fai l'ubbidienza, e nel giorno del giudizio Gesù Cristo ti dimanderà: perché hai eletto quello stato? Perché ti sei comunicato così spesso? Perché hai lasciate quelle penitenze? Risponderai: Signore, così mi ha detto il confessore; e Gesù Cristo non potrà non approvarti tutto quello che hai fatto.

    Narra il p. Marchese (Diar. Domen.) che s. Domenico una volta avea qualche scrupolo in ubbidire al suo confessore, ma il Signore gli disse: Quid dubitas obedire tuo directori? Omnia quae dicit proderunt tibi. In conformità di ciò scrisse s. Bernardo che ciò che comanda l'uomo il quale sta in luogo di Dio, purché non sia certo peccato, dee in tutto accettarsi, come se Dio stesso lo comandasse: Quidquid vice Dei praecipit homo, quod non sit tamen certum displicere Deo, haud secus omnino accipiendum est, quam si Deus praecipiat (De praecept. et discipl. c. 11). E narra Gio. Gersone (Tract. de praep. ad miss.) che lo stesso s. Bernardo, essendovi un suo discepolo che avea scrupolo di dir Messa, il santo gli ordinò che in sua fede andasse a celebrare, quegli ubbidì, e restò guarito dagli scrupoli. Ma taluno dirà, soggiunge il Gersone: volesse Dio che avessi un s. Bernardo per mio direttore! Il mio confessore non è s. Bernardo. E risponde il medesimo Gersone: Quisquis ista dicis erras, non enim te commisisti in manibus hominis, quia litteratus est, sed quia tibi est praepositus; quamobrem obedias illi non ut homini, sed ut Deo. Non dici bene, risponde, poiché tu non ti sei posto in mano di quell'uomo, perché letterato, ma perché ti è stato dato da Dio per tua guida; onde devi ubbidirgli, non come uomo, ma come Dio.

    Vir obediens loquetur victoriam (Prov. 21, 28). Giustamente, scrive s. Gregorio, dice il Savio, che gli ubbidienti vincono tutte le tentazioni dell'inferno, perché siccome essi coll'ubbidienza soggettano agli uomini la loro volontà, così rendonsi superiori ai demonj, che caddero per la loro disubbidienza: Victores sunt, qui obediunt, quia dum voluntatem aliis subiiciunt, ipsis lapsis per inobedientiam angelis dominantur (In I Reg. c. 10). Inoltre dice Cassiano che chi mortifica la propria volontà, abbatte tutti i vizj; poiché tutti i vizj provengono dalla volontà propria: Mortificatione voluntatis marcescunt vitia universa. Inoltre chi ubbidisce al confessore supera tutti gl'inganni del demonio, il quale alle volte sotto pretesto di bene ci fa esporre alle occasioni pericolose, ci fa pigliare certe imprese che paiono sante, ma possono recarci gran danno. Per esempio, a certe persone che si son date alla divozione, il nemico ha fatte imprendere certe penitenze smoderate, per cui han perduta poi la sanità, e così han lasciata ogni cosa e son ritornate alla vita larga di prima. Questo avviene a chi opera di capo proprio; ma chi si regola secondo la guida del confessore, non ha paura d'incorrere in alcuno di questi inganni.

    Suole anche il demonio atterrire le anime scrupolose con un altro inganno, mettendo loro timore di peccare, se fanno quel che dice il confessore. In ciò bisogna anche stare attento a superare questi vani timori; dopo che il confessore ci ha consigliata qualche cosa, insegnano comunemente tutti i dottori e maestri di spirito che bisogna vincere lo scrupolo ed obbedire: Contra illos est agendum, scrisse il p. Natale Alessandro nella sua teologia, e adduce ivi l'autorità di s. Antonino, il quale con Gersone riprende lo scrupoloso che per vano timore non ubbidisce in superare gli scrupoli, così: Caveas ne dum quaeris securitatem, praecipites in foveam. Sta attento, dice, che per voler camminare con troppa sicurezza, non cadi nella fossa dell'inganno che ti trama il demonio, col non farti ubbidire al confessore. Perciò consigliano tutti i maestri di spirito, che si ubbidisca al confessore, sempreché la cosa non sia manifesto peccato. Così scrisse il b. Uberto domenicano: Nisi aperte sit malum quod praecipitur, accipiendum est, ac si a Deo praeciperetur (L. de Erud. Rel. c. 1). E il b. Dionisio Cartusiano scrisse: In dubiis instandum est praecepto praelati, quia etsi contra Deum sit, attamen propter obedientiae bonum non peccat subditus (In 2. dist. 39. qu. 3). Scrisse il Gersone a questo proposito (Tr. de consc. et scrup.) che altro è operare contro la coscienza formata per la deliberazione, altro è operare contro il timore di peccare in qualche cosa dubbia, e dice che questo timore dee discacciarsi ed ubbidirsi al confessore. Iste timor, quam fieri potest abiiciendus. In somma chi ubbidisce al confessore va sempre sicuro. Dicea s. Francesco di Sales, come si scrive nella sua vita: Non si è mai perduto un vero ubbidiente. E soggiungea che nella via di Dio dobbiamo contentarci di sapere dal padre spirituale che camminiamo bene senza cercarne la cognizione.

    PUNTO II. In quanto pericolo sta di dannarsi chi non ubbidisce al confessore.

    Disse Gesù Cristo che chi ode i sacerdoti ode lui stesso, e chi li disprezza lui stesso disprezza: Qui vos spernit me spernit (Luc. 10, 16). Lo stesso dichiarò Iddio al profeta Samuele il quale si lagnava di vedersi disprezzato dal popolo, dopo che Iddio gliene aveva commesso il governo, ma Dio gli disse: Non enim te abiecerunt, sed me, ne regnem super eos (1 Reg. 8, 7). Chi dunque disprezza l'ubbidienza del confessore, disprezza Dio che l'ha posto in luogo suo.

    Scrive s. Paolo: Obedite praepositis vestris et subiacete eis... ut cum gaudio hoc faciant et non gementes; hoc enim non expedit vobis (Hebr. 13, 17). Alcuni penitenti si mettono a contrastare col confessore per tirarlo al lor parere; e ciò fa gemere i poveri padri spirituali. Ma dice s. Paolo: Hoc non expedit vobis; perché quando il confessore vede che tu non sei ubbidiente a quel che ti dice, e che ha da stentare per farti camminare per la via diritta, lascierà di guidarti. Povera quella nave, quando il piloto lascia di governarla! Povero quell'infermo che è abbandonato dal medico! Quando l'infermo non vuole ubbidire, non vuol prendere i rimedj ordinati, vuol mangiare quel che gli piace, il medico che fa? L'abbandona e gli lascia fare ciò che vuole. Ma in tal caso che mai ne sarà della salute di questo infermo? Vae soli quia... non habet sublevantem se (Eccl. 4, 10). Guai a quel penitente che vuol guidarsi solo da sé! Egli non avrà chi l'illumini, chi lo corregga, e così andrà in precipizio.

    Lo Spirito santo a chi viene in questo mondo dice: In medio laqueorum ingredieris (Eccl. 9, 20). Noi mortali in questa terra camminiamo in mezzo a mille lacci, quali sono le tentazioni del demonio, le male occasioni, i cattivi compagni, e più le passioni proprie che spesso c'ingannano; chi si salverà in mezzo a tanti pericoli? dice il Savio: Qui cavet laqueos securus est (Prov. 11, 15). Solamente si salverà chi eviterà questi lacci; e come li eviterà? Se tu avessi da passare di notte in un bosco pieno di precipizj, e non avessi una guida che ti facesse luce con una fiaccola e ti avvertisse a sfuggire i passi pericolosi, certamente saresti in gran pericolo di perdervi la vita. Tu vuoi guidarti col tuo proprio giudizio: Vide ergo, dice Dio, ne lumen quod in te est, tenebrae sint (Luc. 11, 35). Quella luce che tu credi di avere sarà la tua ruina; poiché ella ti porterà a precipitare in qualche fosso.

    Iddio vuole che nella via della salute tutti ci sottomettiamo alla guida de' nostri direttori: così han fatto i santi, anche i più scienziati; perché Dio vuole che nella via spirituale tutti ci umiliamo a sottoporci a un direttore che ci guidi. Scrive il Gersone che chi lascia la guida del direttore, e vuol vivere secondo il proprio parere, non ha bisogno di demonio che lo tenti, egli diviene demonio a se stesso: Qui, spreto duce, sibi dux esse vult, non indiget daemone tentante, quia factus est sibi ipsi daemon (Gers. cons. de lib. reg.). Ed allora Iddio vedendo ch'egli non vuole ubbidire al suo ministro, lo abbandona a seguitare i suoi capricci: Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum (Psal. 80, 13).

    Sta scritto nel libro de' Re: Quasi peccatum ariolandi est, repugnare; et quasi scelus idolatriae, nolle acquiescere (1 Reg. 15, 23). Dice poi s. Gregorio sul testo citato, che il peccato dell'idolatria consiste nel lasciare Dio e adorare l'idolo. Ciò fa il penitente, quando disubbidisce al confessore per fare la sua volontà, lascia di fare la volontà di Dio che gli ha parlato per mezzo del suo ministro, per adorare l'idolo della volontà propria e fare quel che gli piace. Perciò scrisse s. Giovanni della Croce (Tratt. delle Spine t. 3, coll. 4, § 2, n. 8): Il non appagarsi di ciò che dice il confessore è superbia e mancamento di fede; mentre par che non creda al vangelo, ove disse Gesù Cristo: Qui vos audit me audit.

    Se dunque vogliamo salvarci procuriamo di ubbidire esattamente a' nostri confessori; e perciò procuriamo di sceglierci un confessore stabile, senza andar vagabondando ora ad un confessore ora ad un altro; ed un sacerdote dotto, a cui giova fare a principio la confession generale, la quale secondo la sperienza è un gran mezzo per fare una vera mutazione di vita; e poi non lo lasciamo, giacché senza manifesta ragione non si dee mutare il confessore. Scrive s. Teresa di sé: «Ogni volta ch'io mi risolvea di lasciare il confessore, sentiva dentro di me una riprensione che mi struggea più di quella che il confessore mi facea».

    Fonte: S. Alfonso M. De' Liguori, Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno, Sermone sulla IV Domenica dopo Pasqua, Napoli, 1771, ora in OPERE ASCETICHE, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, a cura di Pier Giacinto Marietti, Vol. III, Torino, 1880, pp. 450-455

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    14 MAGGIO 2017: San Bonifacio, martire; quarta Domenica dopo Pasqua e quattordicesimo giorno di Maggio Mese Mariano…


    “QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA.”
    Guéranger, L'anno liturgico - Quarta Domenica dopo Pasqua
    http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-dom4.htm


    "San Bonifacio, martire, 14 maggio."
    Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico
    http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#SANTI2





    Santa Messa celebrata a Paese (TV) da Don Floriano Abrahamowicz oggi 14 maggio 2017, IV domenica dopo Pasqua :




    "4° dopo Pasqua (Santa Messa)"
    https://www.youtube.com/watch?v=zB6AyGSoqsY
    "4° dopo Pasqua (Omelia)"
    https://www.youtube.com/watch?v=mo3qBQKT1S0

    SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815
    http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php




    Quattordicesimo giorno di Maggio Mese Mariano…



    Maggio mese di Maria: 14° giorno - La bestemmia
    http://www.stellamatutina.eu/maggio-...ria-14-giorno/
    “Maggio mese di Maria: 14° giorno.

    LA BESTEMMIA
    «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). Quando l’anima della Madonna si è aperta, per un solo spiraglio, ci ha donato un inno di gloria e di amore, che rivela come Ella fosse piena di Dio e sua perfettissima «lode di gloria» (Ef 1,12). All’opposto sta un’altra anima: quella del bestemmiatore. Anche qui, la bestemmia viene dal di dentro, e rivela l’assenza di Dio nell’anima e l’oltraggio al dovere di coltivare la gloria di Dio.
    La bestemmia è un terribile peccato mortale, una gravissima ingiuria che si fa a Dio, alla Madonna, ai Santi, a ciò che è sacro. La bestemmia, insegna il Catechismo, «consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, …contro la Chiesa di Cristo, i Santi, le cose sacre» (n. 2148).
    San Girolamo arriva a dire che «ogni peccato è leggero se si paragona alla bestemmia».
    Certo che con la bestemmia ci si rivolta contro Dio, si dà scandalo, si provoca «l’ira di Dio» (Col 3,6) e la sciagura della perdita della grazia di Dio.
    San Pio da Pietrelcina definiva la bestemmia «la lingua del diavolo», e se ne affliggeva talmente all’udirla che così scriveva al suo Padre spirituale: «Quanto soffro, Padre, nel vedere che Gesù non viene curato dagli uomini, ma quel che è peggio anche insultato e, più di tutto, con quelle orrende bestemmie. Vorrei morire o almeno divenir sordo, anziché sentire tanti insulti che gli uomini fanno a Dio».
    Quale delirio mentale afferra gli uomini spingendoli a bestemmiare? La bestemmia è una empietà ispirata da satana ed è scostumatezza da dementi. Non si può spiegare altrimenti.
    Piuttosto il martirio.
    Quanti martiri hanno accettato il martirio cruento, piuttosto che bestemmiare? Quale gloria per la Fede cristiana!
    Quando san Policarpo, nobile vegliardo, vescovo di Smirne, venne portato al supplizio, sentì chiedersi dal proconsole romano: «Maledici il tuo Cristo e io ti lascerò libero».
    Prima di rispondere, san Policarpo alzò gli occhi al cielo, poi disse: «Sono ottant’anni che io servo il mio Signore Gesù Cristo, e in tutto questo tempo Egli non mi ha fatto che del bene; e ora lo dovrei bestemmiare? Egli è il mio Dio, il mio Salvatore, il mio sommo Benefattore… ».
    Affrontò la morte con intrepido coraggio. E fu morte splendida davanti a tutti.
    Quasi lo stesso capitò all’ardente vergine santa Apollonia. Le avevano già estratto violentemente i denti; poi volevano che pronunciasse empietà e bestemmie, altrimenti l’avrebbero gettata in un rogo già pronto. A queste condizioni, la Santa non attese neppure di essere gettata. Si divincolò e si gettò ella stessa spontaneamente nel fuoco!
    L’obbligo di correggere
    Sant’Agostino dice che «i bestemmiatori di Cristo regnante nei Cieli, non sono meno colpevoli di quelli che altra volta lo crocifissero sulla terra». Da ciò scaturisce l’obbligo di riprendere e correggere chiunque abbia questo maledetto vizio: «Noi dobbiamo sopportare con pazienza le ingiurie che ci si fanno; ma quando dinanzi a noi una bocca sacrilega vomita bestemmie contro Dio, lungi dall’essere pazienti, dobbiamo resistere all’empio, e condannare la bestemmia, senza nascondere la nostra indignazione».
    Anche a san Pio da Pietrelcina fu chiesto se bisognava riprendere chi bestemmiava, ed egli rispose: «È santissimo e giustissimo». Non bisogna dispensarsi da un dovere che deve stare a cuore a tutti, perché la bestemmia è un delitto anche sociale. «Per la bestemmia – scrive san Giovanni Crisostomo – vengono sulla terra carestie, terremoti, pestilenze e guerre». E Padre Pio ribadisce: «La bestemmia attira i castighi di Dio, le malattie, le disgrazie, le sventure»; «…ci toglie il pane»; «pulisce la cenere dal focolare…», «…fa perdere grazie importanti che stavano per arrivare». Per questo egli era esigente ed energico. I bestemmiatori li mandava via spesso senza assoluzione, investendoli a volte con espressioni terribili come queste: «La bestemmia è il diavolo sulla tua lingua»; «attiri l’inferno sulla tua anima».
    La bestemmia è un mistero di iniquità.
    «Bestemmieresti tua madre?»
    Un giorno san Massimiliano M. Kolbe, per una via di Roma, udì un uomo lanciare una terribile bestemmia contro la Madonna.
    San Massimiliano fremette dentro di sé, si avvicinò subito a quell’uomo, e gli disse con le lagrime agli occhi: «Perché bestemmi la Madonna?… Bestemmieresti tua madre?». A quelle lagrime e a quelle parole il bestemmiatore si ravvide, chiese scusa e promise di non farlo più. Se amiamo veramente la Madonna, come dobbiamo tenerci a farla rispettare! È nostra Madre! E quando non si può o non si riesce a ottenere la correzione del bestemmiatore, bisogna che almeno si faccia un po’ di riparazione per le bestemmie.
    Alessandro Manzoni racconta un piccolo episodio capitatogli a Milano. Una sera d’inverno, per le vie piene di neve, egli udì un’orribile bestemmia detta da uno spalatore. Sgomento e triste, il Manzoni volle entrare subito in una chiesa a riparare con la preghiera per quella bestemmia. E qui vide un’altra scena inaspettata e bellissima. Vicina al Tabernacolo, una bambina mandava baci a Gesù con la sua manina.
    Il Manzoni guardò con tenerezza, poi si nascose il volto fra le mani e pianse.
    A scuola da sant’Alfonso impariamo il dovere della riparazione, ricordando la sua visita a Gesù Eucaristico e alla Madonna, con quelle belle e significative parole: «Io saluto oggi il vostro amantissimo cuore… per compensarvi di tutte le ingiurie che avete ricevuto… ».
    Dai Santi impariamo a riparare subito ogni bestemmia che udiamo, almeno con qualche giaculatoria detta con amore.
    Alla Madonna, poi, chiediamo che riempia anche l’anima nostra della gloria di Dio.
    Fioretti
    *Recita con amore il Magnificat.
    *Offri la giornata per i bestemmiatori.
    *Ripara le bestemmie correggendo chi bestemmia o recitando molte giaculatorie.
    FONTE: Maggio mese di Maria, P. Stefano M. Manelli, © 2010 Casa Mariana Editrice, 2010.”





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    “14 maggio 2017: quarta domenica dopo Pasqua.”
    “14 maggio 2017: Commemorazione di San Bonifacio martire.

    Bonifacio di Tarso, santo, martire, le sue reliquie sono, insieme a quelle di S. Alessio, nell’urna marmorea posta sotto l’altare maggiore della chiesa dei Ss. Bonifacio ed Alessio all’Aventino. Il corpo è già indicato qui sepolto dall’Itinerario De Locis Sanctis Martyrum. Dopo il ritrovamento delle sue spoglie, queste, il Martedì delle Palme del 1217 furono deposte da Onorio III sotto l’altare maggiore della stessa chiesa. La testa di Bonifacio è venerata in una teca d’argento a forma di busto.
    M.R.: 14 maggio - A Tarso, nella Cilicia, il natale di san Bonifacio Martire, il quale, martirizzato sotto Diocleziano e Massimiano, e quindi trasportato a Roma, fu sepolto sulla via Latina.”

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    “Carlo Di Pietro - Sursum Corda
    Preghiera al Santo del giorno.
    In nómine Patris
    et Fílii
    et Spíritus Sancti.
    Amen.

    Eterno Padre, intendo onorare i santi Martiri Vittóre e Coróna, sotto l’imperatore Antonino. Vittóre dal Giudice Sebastiano fu tormentato con vari ed orrendi supplizi. Coróna poi, moglie di un soldato, avendo cominciato a chiamarlo pubblicamente beato per la costanza del martirio, vide due corone discese dal cielo, mandate l’una a Vittóre e l’altra a sè; e testificando ciò alla presenza di tutti, fu squartata fra due alberi, mentre Vittóre fu decapitato. Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi avete loro elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questi santi Martiri, ed a loro affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, i santi Martiri Vittóre e Coróna possano essere miei avvocati e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
    #sdgcdpr”

    https://www.sursumcorda.cloud/preghi...ina-caeli.html


    Ligue Saint Amédée
    http://www.SaintAmedee.ch
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    “Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].”
    “14 Mai : Saint Pacôme, Abbé (292-348).”
    "Quatrième Dimanche après Pâques.
    Sermon du Père Joseph-Marie Mercier pour le Quatrième Dimanche après Pâques (2016)
    http://prieure2bethleem.org/predica/2016_04_24_avril.mp3"





    Guéranger, L'anno liturgico - Quarta Domenica dopo Pasqua
    http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-dom4.htm
    “QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA.

    L'istituzione dei Sacramenti.
    Abbiamo veduto Gesù costituire la sua Chiesa, affidare nelle mani degli Apostoli il deposito delle verità che formeranno l'oggetto della nostra fede. Ma vi è un'altra opera, non meno importante per il mondo, alla quale egli dedicherà le sue cure durante quest'ultimo periodo di soggiorno sulla terra. È l'istituzione dei Sacramenti. Non è sufficiente il credere: bisogna anche che noi diveniamo giusti, ossia conformi alla santità di Dio: bisogna che la grazia, frutto della redenzione, discenda in noi, si incorpori a noi, onde, divenuti membra viventi del nostro divin Capo, possiamo anche essere coeredi del suo Regno. Ora, è per mezzo dei Sacramenti che Gesù deve operare in noi questa meraviglia della giustificazione, applicandoci i meriti della sua Incarnazione e del suo Sacrificio, mediante i mezzi decretati dalla sua potenza e dalla sua sapienza.
    Sorgenti e canali della grazia.
    Sovrano padrone della grazia, egli è libero di determinare le sorgenti dalle quali la farà discendere in noi; a noi spetta di conformarci alla sua volontà.
    Ognuno dei Sacramenti sarà, dunque, una legge della sua religione, di sorta che l'uomo non potrà pretendere gli effetti che il Sacramento stesso è destinato a produrre, se sdegna o trascura di compiere le condizioni secondo le quali esso opererà. Ammirabile economia che concilia, in un medesimo atto, l'umile sottomissione dell'uomo con la più prodiga larghezza della munificenza divina. Abbiamo dimostrato qualche giorno fa come la Chiesa, società spirituale, è nello stesso tempo una società visibile ed esteriore perché l'uomo, al quale era destinata, è composto di un corpo e di un'anima. Gesù, istituendo i Sacramenti, ha assegnato a ciascuno di essi un rito essenziale; e questo rito è esteriore e sensibile. Il Verbo, prendendo carne, ne ha fatto l'istrumento della nostra salvezza nella sua passione sulla croce: è per mezzo del sangue delle sue vene che egli ci ha riscattati; e, proseguendo nel suo piano divino, egli prende gli elementi della natura fisica come ausiliari, nell'opera della nostra giustificazione. Li eleva allo stato soprannaturale e ne fa, fino nel più profondo delle anime nostre, i conduttori fedeli e potentissimi della sua grazia. Così verrà applicato sino alle sue ultime conseguenze il mistero dell'incarnazione, che ha avuto per scopo di elevarci alla conoscenza e al possesso delle cose invisibili per mezzo di quelle visibili. Così pure si spezza l'orgoglio di Satana, che disprezzava la creatura umana, perché l'elemento materiale si unisce in essa alla dignità spirituale, e che rifiutò, per sua disgrazia eterna, di piegare il ginocchio davanti al Verbo fatto carne.
    Allo stesso tempo, essendo i Sacramenti segni sensibili, formeranno un nuovo vincolo nei membri della Chiesa, già uniti per la sottomissione a Pietro e ai pastori che egli manda, e per la professione della medesima fede. Lo spirito Santo ci dice nella sacra scrittura che "lo spago a tre fili non si strappa così presto" (Eccl 4,12). Ora, questo è ciò che ci lega nella gloriosa unità della Chiesa; Gerarchia, Dogma e Sacramenti, che contribuiscono a fare di noi un sol corpo. Dal settentrione al mezzogiorno, dall'oriente all'occidente, i Sacramenti proclamano la fraternità tra i cristiani; in qualunque luogo sono il loro segno di riconoscimento, e quello che li distingue agli occhi degli infedeli. È a questo scopo che i Sacramenti sono identici per tutte le razze dei battezzati, qualunque sia la varietà delle formule liturgiche che ne accompagnano l'amministrazione: ovunque, la base è la stessa, e la medesima grazia si produce mediante i medesimi segni essenziali.
    Il sacro settenario.
    Gesù risorto sceglie il settenario come numero dei suoi sacramenti. Sapienza eterna del Padre, egli ci rivela fin dall'Antico Testamento, che si costruirà una casa, che è la santa Chiesa, e aggiunge che la farà riposare su sette colonne (Prov 9,1; questa Chiesa la raffigura in anticipo nel tabernacolo di Mosè, e ordina che un candelabro a sette bracci, ornato di fiori e di frutti, illumini giorno e notte il santuario (Es 25,37). Quando, in un'estasi, egli trasporta in cielo il suo discepolo prediletto, è per mostrarsi circondato da sette candelieri e tenendo sette stelle nella mano (Ap 1,12.16). Quando si manifesta sotto le sembianze dell'agnello vittorioso, questo ha sette corna, simbolo della forza, e sette occhi che significano l'estensione infinita della sua scienza (ivi 5,6). Presso di lui vi è il libro che contiene i destini del genere umano, e questo libro è suggellato con sette sigilli che solo l'Agnello può togliere (ivi 5). Davanti al trono della Maestà divina, il discepolo scorge sette Spiriti beati che ardono come sette lampade (ivi 4,5), attenti ai minimi ordini di Dio, e pronti a portare la sua parola fino agli ultimi limiti della creazione.
    I sette peccati capitali.
    Se adesso volgiamo lo sguardo verso l'impero delle tenebre, vedremo lo spirito del male occupato a contraffare l'opera divina, usurpando il settenario, per lordarlo consacrandolo al male. Sette peccati capitali sono lo strumento della sua vittoria sull'uomo; e il Signore ci avverte che, quando nel suo furore, Satana si slancia su un'anima, prende con sé i sette spiriti più cattivi che ha nell'abisso. Noi sappiamo che Maddalena, fortunata peccatrice, non ricuperò la vita dell'anima che dopo che il Salvatore ebbe espulso da lei sette demoni. Questa provocazione dello spirito dell'orgoglio forzerà la collera divina, quando cadrà sul mondo del peccato, a imprimere il settenario fino nella sua giustizia. San Giovanni c'insegna che sette trombe, suonate da sette Angeli, annunceranno le successive convulsioni della razza umana, (ivi 7,2) e che sette altri Angeli verseranno, di volta in volta, sulla terra colpevole, sette coppe riempite dalla collera di Dio (ivi 15,1).
    Noi dunque che vogliamo essere salvati e gioire della grazia, in questo mondo, e del nostro Maestro risorto, nell'altro, accogliamo con rispetto e riconoscenza il Settenario misericordioso dei suoi Sacramenti.
    Sotto questo numero sacro egli ha saputo racchiudere tutte le forme della grazia. Sia che, nella sua bontà, voglia farci passare dalla morte alla vita, per mezzo del Battesimo e della Penitenza; sia che cerchi di sostenere in noi la vita soprannaturale, e di consolarci nelle nostre prove, per mezzo della Confermazione, dell'Eucaristia e dell'Estrema Unzione; sia infine che provveda al ministero della sua Chiesa e alla sua propagazione, per mezzo dell'Ordine e del Matrimonio: non sarebbe possibile di trovare un bisogno dell'anima, una necessità della società cristiana, senza che egli ne abbia provveduto per mezzo delle sette fonti di rigenerazione e di vita che ha aperto per noi, e che non cessa di far scendere sulle nostre anime.
    I sette Sacramenti sono sufficienti per tutto; uno solo di meno, e l'armonia sarebbe spezzata. Le Chiese dell'Oriente, separate dall'unità cattolica da tanti secoli, confessano con noi il settenario sacramentale; e il protestantesimo, portando, su tale numero, la sua mano profana, ha dimostrato, in questa come in tutte le sue altre pretese riforme, che il senso cristiano gli faceva difetto. Non ce ne meravigliamo; la teoria dei Sacramenti s'impone tutta intera alla fede; l'umile sottomissione dei fedeli deve accoglierla, prima di tutto, come venuta dal sommo Maestro: è quando si applica all'anima, che la sua magnificenza e la sua efficacia divina si rivelano; allora noi comprendiamo, perché abbiamo creduto. Credite et intelligetis.
    Il Battesimo.
    Oggi consacriamo la nostra ammirazione e la nostra riconoscenza al primo dei Sacramenti: al Battesimo. Il Tempo pasquale ce lo mostra in tutta la sua gloria. Noi l'abbiamo visto, il Sabato santo, compiere i voti dei fortunati catecumeni, e dare a popoli interi la vita della patria celeste. Ma questo mistero aveva avuto la sua preparazione. Nella festa dell'Epifania avevamo adorato l'Emmanuele, disceso nei flutti del Giordano, comunicare all'elemento dell'acqua, per mezzo del contatto della sua carne, la virtù di purificare tutte le macchia dell'anima. Lo Spirito Santo venne a posarsi sulla testa dell'Uomo-Dio, ed a fecondare, con il suo divino influsso, l'elemento rigeneratore, mentre la voce del Padre celeste risuonava nella nube annunciando l'adozione che, nel suo Figliolo Gesù, si sarebbe degnato di fare dei battezzati, oggetto della sua eterna compiacenza.
    Già durante la vita mortale, il Redentore spiegò, di fronte ad un dottore della legge, le sue misteriose intenzioni. Egli disse: "Nessuno, se non nasce per acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio" (Gv 3,5). Secondo la sua abitudine, quasi costante, egli annuncia ciò che dovrà fare un giorno, senza compierlo ancora; noi sappiamo solamente che, non essendo stati puri nella nostra prima nascita, ce ne prepara una seconda che sarà santa, e che l'acqua ne sarà lo strumento.
    Ma in questi giorni è venuto il momento per dichiarare la potenza che ha dato alle acque di produrre l'adozione progettata dal Padre. Indirizzandosi ai suoi Apostoli, dice loro, con la maestà di un re che promulga la legge fondamentale del suo impero: "Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Ecco il beneficio principale che annunzia al mondo: la salvezza per mezzo dell'acqua, con l'invocazione della Santissima Trinità, poiché, dice egli ancora: "Chi crede e sarà battezzato, sarà salvo" (Mc 16,16). Rivelazione piena di misericordia per il genere umano; inaugurazione dei sacramenti, per mezzo della dichiarazione del primo, di quello che, secondo il linguaggio dei Padri, è la porta di tutti gli altri! Noi che gli dobbiamo la vita delle anime nostre col suggello eterno e misterioso che ci fa membri di Gesù, salutiamo con amore questo augusto mistero. San Luigi, battezzato nell'umile fonte di Poissy, si compiaceva di firmarsi: "Louis de Poissy"; considerando il fonte battesimale come una madre che l'aveva dato alla vita celeste, dimenticava la sua origine regale per non ricordare che quella di figlio di Dio. I nostri sentimenti devono essere gli stessi del santo re.
    Ma ammiriamo la condiscendenza di Gesù risorto, quando istituì il più indispensabile dei suoi sacramenti. La materia che scelse era la più comune, la più facile ad incontrarsi. Il pane, il vino, l'olio d'ulivo, non stanno dappertutto sulla terra; l'acqua scorre in ogni luogo; la provvidenza di Dio l'ha moltiplicata sotto tutte le forme, affinché, nel giorno segnato, la fontana di rigenerazione fosse ovunque accessibile all'uomo peccatore. Il Salvatore ha affidato gli altri Sacramenti al sacerdozio che, solo, ha il potere di amministrarli; per il battesimo non sarà così. Qualunque fedele potrà esserne il ministro, senza distinzione di sesso, né di condizione. E vi è di più: qualunque uomo, anche se non è membro della Chiesa cristiana, potrà conferire al suo simile, per mezzo dell'acqua e dell'invocazione della santissima Trinità, la grazia battesimale che non è in lui, alla sola condizione di voler compiere seriamente, con questo atto, ciò che fa la Chiesa quando amministra il sacramento del Battesimo. E c'è ancora dell'altro: questo ministro del sacramento può mancare all'uomo che sta per morire; l'eternità si aprirà per lui senza che una mano altrui si alzi per versare sulla sua testa l'acqua purificatrice; il divin fondatore della rigenerazione delle anime, non l'abbandona in questo momento supremo. Che esso renda omaggio al santo Battesimo, che lo desideri con tutto l'ardore dell'anima sua, che abbia sentimenti di compunzione sincera e di vero amore; dopo questo, se egli muore, la porta del cielo sarà aperta a lui per mezzo del Battesimo di desiderio.
    Ma il bambino che non ha ancora l'uso di ragione, e che la morte falcerà tra qualche ora, sarà dunque stato dimenticato in questa munificenza generale? Gesù ha detto che colui che crederà e sarà battezzato sarà salvo: come dunque otterrà la salvezza, questo essere debole che si spegnerà con la macchia del peccato originale e che è incapace di avere la fede? Rassicuratevi. La potenza del Battesimo si estenderà fino a lui. La fede della Chiesa che lo vuole per figlio, gli sarà imputata; che si versi l'acqua sulla sua testa in nome delle tre divine Persone, ed ecco, egli sarà cristiano per sempre. Battezzato nella fede della Chiesa, questa fede è adesso in lui personalmente, insieme con la Speranza e con la Carità; l'acqua sacramentale ha prodotto questa meraviglia. Ora può spirare; il regno del cielo è suo.
    Tali sono, o Redentore, i prodigi che tu operi nel primo dei sacramenti, per effetto di quella tua volontà sincera della salvezza di tutti (1Tm 2,4); di maniera che coloro nei quali non si compie questa volontà, sfuggono alla grazia della rigenerazione soltanto in conseguenza del peccato commesso precedentemente, peccato che la tua eterna giustizia non sempre ti permette di prevenire in se stesso, o di riparare nelle sue conseguenze. Ma la tua misericordia è venuta in soccorso: ella ha teso le sue reti, ed innumerevoli eletti vi sono caduti. L'acqua santa è scesa fino sulla fronte del bambino che si spegneva tra le braccia di una madre pagana, e gli Angeli hanno aperto i loro ranghi per riceverlo. Alla vista di tante meraviglie, cosa ci resta da fare, se non esclamare con il Salmista: "Noi che possediamo la vita, benediciamo il Signore"?
    La quarta domenica dopo Pasqua, nella Chiesa greca, viene chiamata Domenica della Samaritana, perché vi si legge il brano del Vangelo in cui è riportata la conversione di questa donna.
    La Chiesa Romana oggi, nell'ufficio notturno, comincia la lettura delle Epistole dette Canoniche, lettura che essa continua fino alla festa della Pentecoste.
    MESSA
    EPISTOLA (Gc 1,16-21). - Carissimi: Ogni ottima cosa ricevuta, ogni dono perfetto viene dall'alto, e scende dal Padre dei lumi, nel quale non c'è variazione né ombra di mutamento. Egli ci ha di sua volontà generati con la parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, o fratelli miei dilettissimi: ogni uomo deve essere pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira, perché l'ira dell'uomo non fa adempiere la giustizia di Dio. Sbarazzandovi quindi di ogni immondezza e di ogni resto di malizia, abbracciate con mansuetudine la parola innestata in voi, la quale può salvare le anime vostre.
    Imitare il Padre.
    Le grazie elargite al popolo cristiano vengono dalla grande e serena bontà del Padre celeste, principio di tutto, nell'ordine della natura; e se, nell'ordine della grazia, noi siamo divenuti suoi figli, è perché lui stesso ci ha mandato il suo Verbo consustanziale, che è la Parola di verità, per mezzo della quale noi siamo diventati, nel Battesimo, figli di Dio. Ne segue che dobbiamo imitare, per quanto è possibile alla nostra debolezza, la calma del nostro Padre, che è nei cieli, e garantirci da quelle agitazioni passionali che sono il carattere di una vita esclusivamente terrestre, mentre, la nostra, deve svolgersi per il cielo dove Dio ci attira. Il santo Apostolo ci avverte di ricevere con dolcezza questa Parola, che ci fa ciò che noi siamo. Essa è, secondo la sua dottrina, un innesto di salvezza, trapiantato nelle anime nostre. Che esso possa svilupparvisi, che il suo buon esito non venga impedito da noi, e saremo salvi.
    VANGELO (Gv 16,6-14). - In quel tempo: disse Gesù ai suoi discepoli: Vo da colui che mi ha mandato: e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma io vi dico il vero: è meglio per voi che me ne vada; perché, se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; e se me ne vado, lo manderò a voi. E, venendo, egli convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia, ed al giudizio. Al peccato, per non aver creduto in me; alla giustizia, perché io vo al Padre e non mi vedrete più; al giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato. Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando invece sarà venuto quello Spirito di verità, egli vi ammaestrerà in tutte le verità, perché non vi parlerà da se stesso; ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà l'avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi.
    L'annuncio dello Spirito Santo.
    Quando Gesù disse agli Apostoli: "me ne vado", questi ne furono rattristati. Non lo siamo anche noi che, dalla sua nascita a Betlemme l'abbiamo costantemente seguito, grazie alla Liturgia che ci univa a lui ad ogni passo? Ancora qualche giorno, ed egli ascenderà al cielo, e l'anno perderà quell'incanto che gli veniva, di giorno in giorno, dalle sue azioni e dai suoi discorsi. Non vuole però che noi ci lasciamo andare ad una tristezza troppo grande. Ci annunzia che, in sua vece, il Consolatore, il Paraclito, scenderà sulla terra e resterà con noi, per illuminarci e fortificarci, sino alla fine dei secoli. Profittiamo delle ultime ore di Gesù: presto verrà l'ora di prepararci a ricevere l'ospite celeste, che dovrà venire a sostituirlo.
    Gesù, che pronunciava queste parole la vigilia della sua Passione, non si limita a mostrarci la venuta dello Spirito Santo, quale consolazione dei suoi fedeli; ma, nel medesimo tempo, ci fa vedere come sia temibile, per coloro che non avranno voluto riconoscere il Salvatore. Le parole di Gesù sono tanto misteriose quanto terribili; prendiamo la spiegazione che ce ne da sant'Agostino, il Dottore dei dottori. "Quando lo Spirito Santo sarà venuto, dice il Salvatore, convincerà il mondo di ciò che riguarda il peccato". Perché? "Perché gli uomini non hanno creduto in Gesù". Quanto grande sarà, effettivamente, la responsabilità di coloro che, essendo stati testimoni delle meraviglie operate dal Redentore, non si saranno piegati alla sua parola! Gerusalemme sentirà dire che lo Spirito è disceso sui discepoli di Gesù, e ne resterà così indifferente, quanto lo fu per i prodigi che le additavano il Messia.
    La venuta dello Spirito Santo sarà come il preludio della rovina della città deicida. Gesù aggiunge che il Paraclito convincerà il mondo in quanto alla giustizia; perché, egli dice, "io vado al Padre, e voi non mi vedrete più". Gli Apostoli, e quelli che crederanno alla loro parola, saranno santi e giusti per mezzo della fede. Crederanno in colui che se n'è andato al Padre, in colui che i loro occhi non vedranno più in questo mondo. Gerusalemme, al contrario, non ne conserverà i ricordi che per bestemmiarlo; la giustizia, la santità, la fede di quelli che avranno creduto saranno la sua condanna, e lo Spirito Santo l'abbandonerà alla sua sorte. Gesù disse ancora: "Il Paraclito convincerà il mondo in quanto al giudizio". Perché? "Perché il principe di questo mondo è già giudicato". Quelli che non seguono Gesù Cristo, seguono, tuttavia, un altro padrone: questo padrone è Satana. Ora, il giudizio di Satana è già stato pronunciato. Lo Spirito Santo avverte dunque i discepoli del mondo che il loro principe è sprofondato per sempre nella reprobazione.
    Vi riflettano dunque, poiché, aggiunge sant'Agostino, "l'orgoglio dell'uomo avrebbe torto di contare sull'indulgenza; vale la pena per lui contemplare il supplizio al quale sono abbandonati gli angeli superbi" [1].
    PREGHIAMO
    O Dio, che unisci le anime dei fedeli in una sola volontà, da' ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e di desiderare ciò che prometti; affinché i nostri cuori, anche in mezzo alla vicende terrene, sian fissi ove sono le vere gioie.

    [1] Tratt. XCV su san Giovanni.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 167-175.”





    Luca, Sursum Corda!
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

  10. #10
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    Lightbulb Re: IV Domenica dopo Pasqua

    29 APRILE 2018: SAN PIETRO DA VERONA, MARTIRE E PATRONO DELL'INQUISIZIONE ROMANA; QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA…


    «QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA.»
    Guéranger, L'anno liturgico - Quarta Domenica dopo Pasqua
    http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-dom4.htm

    «San Pietro, martire, 29 aprile.»
    Guéranger, L'anno liturgico - San Pietro, Martire
    http://www.unavoce-ve.it/pg-29apr.htm




    SANTA MESSA domenicale celebrata da Don Floriano Abrahamovicz alla "Domus Marcel Lefebvre" di Paese (TV) alle ore 10.30 stamattina 29 APRILE 2018, SAN PIETRO DA VERONA E QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA:


    «IV dom. dopo Pasqua
    https://www.youtube.com/watch?v=SCh1jzb3xQY
    IV domenica dopo Pasqua (Omelia)
    https://www.youtube.com/watch?v=GfdMPIrZB0w
    https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
    SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815
    http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
    »



    SANTE MESSE ed omelie domenicali dei Sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii - IMBC:


    Sante Messe - Sodalitium
    http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

    S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium
    http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

    https://oratoriosantambrogiomilano.wordpress.com/
    https://oratoriosantambrogiomilano.w...a-dopo-pasqua/
    “L’omelia tenuta da don Ugolino Giugni domenica 29 Aprile 2018 – IV Domenica dopo Pasqua – è disponibile per l’ascolto ->”
    https://oratoriosantambrogiomilano.f...egrazie_mi.jpg





    "Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara:
    https://www.youtube.com/channel/UCQZ...G-HXEQsb7zruAw
    https://www.youtube.com/user/sodalitium"

    http://www.sodalitium.biz/2604-madon...azioni-verrua/



    San Pietro Martire - Sodalitium
    http://www.sodalitium.biz/san-pietro-martire/
    «29 aprile, San Pietro Martire (Verona, 1205 circa – Seveso, 6 aprile 1252). Inquisitore dell’Ordine dei predicatori ucciso dagli eretici, patrono del seminario dell’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia.
    Preghiera a San Pietro da Verona del Card. Schuster, Arcivescovo di Milano (Indulgenza di 300 giorni).

    O Dio, che al Beato Sacerdote e Martire tuo Pietro concedesti la grazia di vergare col suo sangue quel Simbolo di Fede che, appreso diligentemente da fanciullo, divenuto poi predicatore del tuo Vangelo, imperterrito predicò ai popoli contro l’eretico errore, deh! per le sue preghiere concedi alla tua Chiesa di predicare fedelmente la tua Cattolica Fede e di confermarla con le opere. Per Cristo nostro Signore.»
    http://www.sodalitium.biz/wp-content...na-228x300.jpg








    29/04: IV dopo Pasqua con memoria di S. Pietro Martire, co-patrono di Verona « www.agerecontra.it
    http://www.agerecontra.it/2018/04/29...ono-di-verona/
    «29/04: IV dopo Pasqua con memoria di S. Pietro Martire, co-patrono di Verona.

    Era il 2012 quando, dopo 5 anni di instancabili e variegate battaglie, pressoché quotidiane, i cattolici tradizionalisti veronesi riuscirono a liberare la chiesa e casa natale del co-patrono dai luterani. La ricordiamo come una delle battaglie vinte dal Santo, per la costanza e dedizione nella Fede e nell’Azione di molti di noi. Da allora, la chiesa è rimasta chiusa finché è stata concessa ad una associazione di promozione turistica.
    SAN PIETRO MARTIRE, INQUISITORE UCCISO DAGLI ERETICI SEVESO 1252, MORTE DI UN INQUISITORE.
    (Articolo di Massimo Trifirò, da La Padania del 29 agosto 2004)
    La drammatica storia dell’agguato al frate domenicano veneto Pietro Rosini compiuto in Brianza da parte di alcuni eretici lombardi.
    1.IL DOMENICANO
    Pietro Rosini, il domenicano che in seguito sarà martirizzato e rapidamente elevato agli onori degli altari, venne al mondo a Verona in un giorno imprecisato del 1206.
    La sua famiglia, come altre di qualche influenza nei territori settentrionali della Penisola, apparteneva, seppur non ne mostrasse la sfacciata evidenza, alla setta dei catari, o manichei, specificatamente indicati col nome di Patarini, ovvero ad una delle forme ereticali cristiane maggiormente diffuse in quegli anni.
    Appare dunque paradossale, o forse determinato da una volontà superiore, che il successivo dipanarsi della sua esistenza si sia poi svolto all’insegna della più rigida ortodossia cattolica, e che addirittura Pietro ne sia poi divenuto un campione, uno strenuo difensore, qualcuno che pagò con la vita le sue ferme convinzioni religiose.
    Si narra comunque, a questo proposito, che il suo indirizzo di pensiero fosse già ben strutturato fin dalla più giovane età, al punto che una volta, e forse il ragazzo non aveva neppure sette anni, trovandosi a discutere con uno zio, lo contraddisse addirittura su un principio fondamentale della dottrina, a proposito dell’errore cataro sull’Entità reggitrice del Creato, che era unica e identificabile con Dio, e non dualistica come gli eretici professavano, divisa cioè tra il concetto di Bene e quello di Male, tra spirito e materia.
    La predisposizione allo studio che Pietro aveva dimostrato fin da piccolissimo, favorirono che il padre si convincesse ad assecondarla, inviando perciò il figlio all’Università di Bologna per completare la propria formazione culturale.
    Fu quella l’occasione per imprimere una svolta definitiva alla sua vita, nel momento in cui, in quella città degli studi sotto la protezione di papa Innocenzo III, il giovane studente ebbe modo di venire in contatto con l’ambiente infiammato dallo zelo di Maestro Reginaldo e dei suoi Frati Predicatori, e soprattutto di conoscere personalmente il fondatore stesso dell’Ordine Domenicano appena approvato dalla Santa Sede, ovvero proprio quel Domenico di Guzman che in quel tempo, nel 1221, era ospite del convento di San Nicolò, in vista della preparazione del secondo Capitolo Generale dei propri seguaci.
    I due, che il destino poi accomunò nella gloria della santità, dunque si incontrarono, e a quel punto il più anziano raccolse dal nuovo adepto l’ormai convintissimo desiderio di dedicare la propria esistenza agli stessi ideali, e alla medesima lotta, che animava lo spirito battagliero dell’Ordine.
    A nulla poi valsero i doverosi tentativi del castigliano Domenico di raffreddare prudentemente una vocazione che poteva anche rivelarsi acerba, tramite la puntuale descrizione fatta al veronese della rinunce, dei dolori, delle fatiche, che il ruolo di predicatore comportava. Pietro, sempre più affascinato da quella personalità dirompente, in ultimo rispose di esserne comunque consapevole e pronto ad affrontarli, e allora venne abbracciato, e definitivamente accolto.
    Il noviziato durò in seguito ben nove anni, e fu condotto in modo esemplare, e addirittura rigido, mostrando giorno per giorno, ora per ora, sotto la guida del priore Ventura, l’amore del nuovo converso per lo studio intenso e ininterrotto, e per la preghiera e la contemplazione, che ogni notte rubavano diverse ore al suo meritato riposo.
    Prima di avviarsi sulle strade del mondo, a Pietro Rosini fu quindi riservata la sorte di far tesoro degli estremi insegnamenti di Domenico di Guzman, e di essere testimone diretto della sua morte, quando, tornando da Venezia, al termine di una delle tante visite alle sessanta case della Confraternita sparse in otto province, il Fondatore cedette alla consunzione e alla malattia, spegnendosi poi nella stanzetta disadorna del discepolo Frate Moneta, non avendo mai voluto egli stesso, per umiltà, possedere una cella propria.
    Quando già era stato ordinato sacerdote, indossando il caratteristico saio bianco con il mantello nero, al nuovo religioso toccò poi di essere sottoposto ad una prova difficile, ad un’irridente sfida del Tentatore. Trovandosi a Como, e avendo avuto una concreta apparizione notturna delle sante martiri Agnese, Cecilia e Caterina d’Alessandria, così come gli era già capitato a Bologna durante il noviziato, Pietro venne infatti accusato da spiriti gretti di ricevere segretamente donne in convento, e spedito poi, per punizione e penitenza, nel lontano convento marchigiano di Jesi.
    Fu però là, dopo che il suo comportamento integerrimo aveva convinto i superiori a riesaminare il suo caso riconoscendone alla fine la completa innocenza, che nel 1229 lo raggiunse il decreto di piena reintegrazione nel ruolo di predicatore itinerante.
    Gregorio IX, il papa che era intanto succeduto ad Innocenzo, determinò perciò di inviarlo a Milano, città che allora rappresentava il cuore pulsante dell’eresia catara.
    Pietro vi giunse nel 1232, e si rese immediatamente conto di quale forza ed organizzazione possedessero i manichei, attestati specie all’interno delle potenti famiglie aristocratiche e grandi borghesi locali, come ad esempio quella dei Pacta da Giussano, che il sacerdote ritroverà poi sulla sua strada nel ruolo di attentatori alla propria vita. Non appariva perciò incomprensibile, dati tali radicamenti, che le stesse autorità municipali meneghine fossero, almeno tacitamente, favorevoli a che l’eresia continuasse ad allignare, e particolarmente perciò propensi a cercare di dissuadere ogni tentativo di restaurazione completa dell’ortodossia cattolica.
    Pietro, trovandosi di fronte una situazione tanto complicata ed ostile, non si perse però affatto d’animo. L’investitura diretta di San Domenico era la sua forza, e intendeva perciò metterla a frutto. Posto il proprio quartier generale nel convento di Sant’Eustorgio, il domenicano, come prima azione, fondò quindi un’associazione di militanti, una “schola”, ovvero una vera propria “militia Christi” antieretica, cui diede nome di “Società della Fede”.
    Non solo, perché il 17 settembre del 1233, ormai sicuro della consistenza di tali seguaci e della propria indomabile determinazione, riuscì ad imporre alla municipalità l’inserimento nello Statuto Comunale del decreto papale che intimava azioni concrete nei confronti di coloro che professavano apertamente dottrine non condivise.
    All’accettazione burocratica di questi principi di lotta senza alcun compromesso, seguirono poi i fatti concreti, e il conseguente parziale contenimento dello strapotere ereticale vigente, tanto che lo stesso Pontefice, in una missiva dell’11 dicembre di quel medesimo anno indirizzata all’Arcivescovo, doveva poi riconoscere e compiacersi dei risultati ottenuti dall’energico intervento di Pietro. Il quale peraltro, non ancora appagato, diede vita, sempre nel 132, ad un’ulteriore confraternita ispirata al culto mariano, in evidente contrapposizione alla concezione patarina che irrideva il dogma della verginità in “sede naturale” della madre di Cristo, e anzi sosteneva, con profondo pensiero e in tutta serietà, che caso mai la Madonna era stata “fecondata” dallo Spirito Santo attraverso un orecchio. Tale associazione, che era però di stampo dottrinale più che votata agli interventi concreti, si adoperò poi per un capillare impegno di predicazione e diffusione della corretta dottrina. In quest’ambito, è poi da ricordare l’episodio della “Vergine con le corna”, che comunque attesta l’avversione, del luogo e dell’epoca, all’opera di ripristino dell’ortodossia dei fedeli mariani.
    Si narra dunque che Pietro Rosini, mentre celebrava la Santa Messa in Sant’Eustorgio, si avvide che il demonio era penetrato in un’icona di Maria collocata sopra l’altare, e immediatamente quindi lo scacciò reggendo tra le dita un’Ostia consacrata.
    Leggenda? Può darsi. Ma è segno comunque preciso di una certa “diabolica” ostilità al culto della Vergine che persisteva tra gli uomini di carne ed ossa, al punto che poi Vincenzo Foppa si ritenne in dovere di immortalare quel clima, e l’episodio stesso, dipingendo nella Cappella Portinari proprio una Maria dotata di inquietanti appendici luciferine, che ancora oggi è possibile vedere.
    La travolgente volontà di ben operare di frà Pietro non si ridusse però soltanto al battagliero contenimento dei catari, ma ottenne invece importanti risultati rispetto addirittura alle conversioni sincere degli eretici.
    Ne è prova, ad esempio, la sostanziale scomparsa della comunità manichea di Concorezzo, dopo che il loro vescovo Desiderio, nel 1235, aveva rigettato il contenuto del “testo sacro” non ortodosso detto “La cena segreta”, e si era riavvicinato alle posizioni cattoliche.
    Oppure la ritrattazione dello studioso eretico Raniero Sacconi, il quale, dopo aver abiurato nel 145, si dedicò addirittura alla compilazione di una “Summa heresis”, compendio dottrinario cataro utilissimo alla confutazione da parte delle compagini che intendevano ostacolarne la diffusione.
    All’impegno di Pietro, valorizzato anche dalla nomina ad Inquisitore della Lombardia stabilita dal pontefice nel 1242, si associò poi quello dell’arcivescovo Leone da Perego, il quale infatti, stavolta unitamente ai governanti milanesi, si adoperò in maniera particolarmente efficace nella lotta anticatara.
    Come aveva preannunciato Domenico di Guzman, la vita del frate che diffondeva la Parola di Cristo doveva improntarsi ad una grande mobilità sul territorio, e alle conseguenti improbe fatiche, per allargare il raggio d’influenza dell’insegnamento quanto più capillarmente possibile. Durante il neppure mezzo secolo della propria esistenza terrena, Pietro Rosini mantenne perciò fede a tale disposizione, visitando e soggiornando in innumerevoli località del Nord. Riuscendo perfino a promuovere la fondazione di due conventi di monache, nel 1240 il domenicano raggiunse quindi Asti, nel cui monastero venne nominato Priore, e l’anno seguente la città di Piacenza, nella quale s’adoperò con energia per instradare i frati e i novizi nello studio puntuale e ininterrotto delle Sacre Scritture. Non mancò poi di garantire la propria presenza di ormai acclamato predicatore dall’oratoria travolgente sia a Roma, che nelle Marche, che un po’ dappertutto in Romagna, e specificatamente a Rimini, nel 1249.
    Assolutamente decisivo fu però il soggiorno a Firenze, cha data dal 1244. Nel capoluogo toscano avvenne infatti che i suoi infiammati sermoni, lanciati dal pulpito di Santa Maria Novella, entusiasmassero a tal punto i cittadini che l’autorità, opportunamente sollecitata dalla Società della Fede, si vide poi costretta ad allargare la piazza antistante, per permettere ad un numero maggiore di persone di assistervi agevolmente.
    Il supporto popolare ovviamente galvanizzò Rosini e il confratello fra’ Ruggero Calcagno, spingendoli quindi ad intensificare il già duro contrasto con gli eretici locali, in particolare con tali Baroni, imputati di concedere ospitalità ad importanti vescovi manichei.
    Né sortì in seguito addirittura un processo, una condanna, e la conseguente avversione alla stessa, fino alla sua revoca, da parte dei maggiorenti fiorentini avversari di Pietro e della sua Società, in specie il podestà Pace da Pesamigola.
    Rosini però a quel punto non si diede certamente per sconfitto, provvedendo infatti ad iscrivere pari pari i suoi maggiori contestatori nell’elenco degli eretici, e appellandosi poi direttamente al popolo che lo supportava, il quale ottenne allora il sequestro dei beni dei rei e la demolizione dalle fondamenta delle loro dimore. Il domenicano ancora una volta perciò aveva vinto, contribuendo al riaffermarsi del cattolicesimo anche in quelle contrade.
    Ma, a proposito di popolo, e delle molte “leggende nere” fiorite in varie epoche intorno alla reazione cattolica all’eresia, fatta salva la giusta deprecazione per le esagerazioni dell’Inquisizione giustamente condannate dalla Storia, vale la pena a questo punto chiarire quale fosse davvero l’atteggiamento della gente comune rispetto a tali iniziative, cedendo la parola all’autorità indiscussa di Vittorio Messori, il celeberrimo saggista cattolico.
    In una polemica con Jacques Le Goff a proposito proprio di Pietro da Verona, sul quale lo storico francese avanza critiche nel suo “La civiltà dell'Occidente medioevale”, Messori infatti afferma che “l’inquisizione nasce non contro il popolo”, ma caso mai per rispondere efficacemente ad una sua precisa richiesta di salute, dato che l’eretico era considerato dalla gente come colui che propagandava malattie (ideologiche) mortali e inquinava l’ambiente (spirituale). “Per l’uomo comune l’eretico è il Grande Inquinatore, è il nemico della salvezza dell’anima, è colui che attira la punizione sulla comunità”, conclude quindi lo scrittore.
    Da parte della società, derivava perciò da una tale posizione il diritto legittimo alla difesa anche con i mezzi più intransigenti, pure se purtroppo talvolta avveniva che qualche fanatico ne travalicasse volentieri i limiti umanamente consentiti.
    Una civiltà strutturata in un certo modo, secolarmente condiviso, si vedeva cioè costretta a preservare la propria stessa sopravvivenza e identità, e lo faceva quindi con piena consapevolezza.
    I turbamenti del cuore dell’Illuminismo, i cui influssi sono tuttora riscontrabili, erano infatti ancora di là da venire, e perciò appare evidente che nessuno osasse allora sostenere, come invece accade oggi rispetto ad una programmata invasione di un’altra civiltà che intende cancellare la nostra, che i diritti degli altri sono sempre volterianamente sacrosanti ed intoccabili. Anche se magari costoro esplicitamente si dichiarano nemici mortali, che approfittano proprio della nostra debolezza, della legislazione liberale che noi stessi abbiamo conquistato a prezzo del sangue, nonché di una malintesa solidarietà, per ripromettersi in futuro di negarceli tutti con la violenza, a vantaggio esclusivo delle proprie arcaiche tradizioni che in seguito ci verrebbero inevitabilmente imposte.
    Il 13 giugno 1251, sull’onda del successo fiorentino, il nuovo papa Innocenzo IV affidò a Pietro Rosini il compito di contrastare a Cremona l’influenza del vescovo cataro di Tolosa, Bernard Marty, che vi si era rifugiato per sfuggire all’invasione della sua terra da parte del cattolico re di Francia, dopo che, nel periodo di vacanza del pontificato, si erano verificati numerosi attacchi di eretici ai capisaldi papali, ivi compresi l’incendio della sede dell’Inquisizione e l’assassinio, il 28 maggio del 1242, di dieci suoi membri ad Avignone.
    Quindi, nel corso del medesimo anno 1251, gli pervenne la nomina a priore del convento di Como e ad Inquisitore pontificio, sia di quella stessa città che del territorio di Milano. Saranno le ultime cariche ricoperte da Pietro da Verona.
    La vita che il sacerdote conduceva, fin dall’insorgere della propria vocazione, era sempre stata improntata al rigore più estremo. L’uomo apparteneva cioè a quella sparuta schiera di coloro che, nell’Umanità di ogni tempo, pretendono ogni volta da sé molto di più di ciò che chiedono al prossimo. Salvo che per quello previsto dal rito quotidiano della Messa, Pietro si asteneva infatti dal vino, e si limitava ad alimentarsi una sola volta al giorno, inghiottendo in fretta un piatto di verdure appena condite. Durante la giornata, come si è visto, si dedicava ad un’attività incessante, ma anche nelle ore notturne, non ancora pago, molto spesso il frate si levava dal suo giaciglio e, fino all’alba, si concentrava nella preghiera e nello studio. La predicazione, così come era avvenuto a Firenze, produceva poi in ogni luogo una reazione popolare entusiastica.
    Il suo avvento era sempre annunciato da un passa parola eccitato, e la figura del severo domenicano era poi accolta all’arrivo da canti, suoni di trombe e tamburi, e grida di giubilo. Non era poi infrequente che, proprio come accadeva al Maestro, frà Pietro si trovasse talvolta costretto ad avvicinarsi al palco dei suoi sermoni addirittura in lettiga, perché i fedeli, anche in modo talvolta pericoloso, lo stringevano sempre da presso, lo volevano toccare, e spesso giungevano perfino quasi a denudarlo completamente per accaparrarsi un lembo dell’abito monacale da conservare come reliquia.
    Queste manifestazioni di riconosciuta santità già in vita, corrisposero poi ad eventi effettivamente miracolosi, che dopo la sua scomparsa furono quindi puntualmente valutati e inscritti agli atti del processo canonico.
    Si constatarono infatti diversi casi di guarigioni altrimenti inspiegabili, la moltiplicazione improvvisa dell’olio del parroco di Cesena, e il perdurare assolutamente incomprensibile della limitata scorta di carne salata della quale si nutriva la squadra di operai addetti alla costruzione di un convento domenicano.
    Tra i tanti prodigi, le cronache riportano poi quello, non eclatante ma certamente efficace perché venne operato in pubblico, della scommessa fatta da Pietro con un manicheo sulla piazza di Sant’Eustorgio a Milano. Il cosiddetto “miracolo della nuvola”, che possiede tra l’altro un suo intrinseco valore poetico, si verificò nel momento in cui i due stavano disputando sotto il tormento di un sole a picco che li faceva quasi smaniare. Alla sprezzante sfida dell’eretico, che invitava l’avversario a chiedere al proprio Dio di inviare nel cielo completamente sgombro una nube che li riparasse, Pietro rispose accettando la provocazione, a patto però che il cataro, se l’evento si fosse davvero verificato, s’impegnasse ad abiurare seduta stante. La nuvola a quel punto spuntò rapidamente dall’orizzonte, e si collocò proprio allo zenith del piazzale affollato, non spostandosi poi di lì fino al termine dello scontro dottrinale.
    Un’altra volta, nel medesimo luogo, capitò poi a Pietro di incontrare ancora un manicheo, il quale, per porre in cattiva luce l’inquisitore e “dimostrare” che si trattava soltanto di un abile mistificatore, si finse infermo, chiedendo però a Rosini di guarirlo da ciò di cui non soffriva affatto. Cosa che naturalmente il frate s’impegnò puntualmente a fare, dopo che però aveva fatti miracolosamente invadere l’uomo da autentici e atroci dolori, e non prima d’aver raccolto il pentimento e l’abiura del mentitore, che a quel punto s’era affrettato a riconoscere la propria truffa e tutti quanti gli errori della sua vita precedente.
    Oltre che di quello del prodigio, nell’ultima parte della propria esistenza, l’inquisitore fu anche gratificato del dono divino della profezia. (...)
    A metà del XIII secolo, la relativa indipendenza dei Comuni rispetto alle grandi aggregazioni di potere, l’Impero e il Papato, era già avviata al tramonto. Si andava perciò imponendo, sotto tali influssi, una maggiore rigidità dottrinale, la cui funzione, pur se non imposta artificiosamente, era quella di compattare la coscienza popolare in un unico e solido alveo, prescindendo dalla “tolleranza” verso gli eretici fino allora vigente in ambito municipale, nel quale ciò che davvero contava era soltanto l’ideologia della merce e del guadagno, da chiunque fosse poi sostenuta.
    In Lombardia, nella zona nella quale si verificheranno i successivi sanguinosi avvenimenti, dominavano molte potenti famiglie di fede catara, gelose sia dei loro possedimenti che della possibile, e temuta, interferenza degli inquisitori nella loro “autonomia”, ovvero nei loro affari.
    Tra essi, spiccavano certamente le dinastie dei Pacta, originari di Giussano, e dei Confalonieri, di Agliate. Entrambe infatti ebbero poi, con il consenso ed il sostegno dell’intera Pataria milanese, un ruolo decisivo nei fatti che portarono a morte l’inquisitore domenicano Pietro Rosini da Verona, all’età di soli quarantasei anni.
    La dinamica di ciò che effettivamente avvenne è poi ben descritta negli atti del processo ai colpevoli, il quale, alla presenza dei frati Rainerio da Piacenza e Daniele dell’Ordine dei Predicatori, si tenne a Milano il 2 settembre del 1252.
    Era dunque accaduto che fra’ Pietro, in Como, aveva intimato ad un eretico contumace di presentarsi entro due settimane al Tribunale dell’Inquisizione di Milano per essere giudicato. Il termine sarebbe scaduto proprio il giorno seguente, e quindi il domenicano, dopo aver enunciato quelle profezie di morte di cui si è già detto, si era perciò messo in cammino dalla località lariana in direzione della grande città. Portava con sé il confratello Domenico, in un lungo viaggio a piedi per il quale sarebbe occorsa almeno un’intera giornata. Per compiere il proprio dovere, o per andare incontro ad un destino che era comunque stato già decretato, Rosini non aveva inoltre badato affatto alla febbre quartana che in quel momento lo stava divorando. Preannunciando per l’ennesima volta la propria dipartita dal mondo, aveva infatti dichiarato che comunque presto avrebbe riposato tranquillo nella basilica di San Simpliciano, che in seguito si rivelerà appunto il luogo della sua prima sepoltura.
    Era un sabato, e, con i due viaggiatori, si era aggregata un’altra coppia di frati, che era però previsto li dovessero abbandonare poco prima di arrivare a Milano, prendendo la via di un convento di Meda, alle porte della città. A quel tempo, in quella parte alta della Lombardia, i lunghi tratti tra gli scarsi luoghi abitati erano luoghi pressoché deserti, scarsamente vigilati, e coperti da boschi fitti, all’ombra dei quali era possibile, quasi impunemente, compiere ed occultare qualsiasi crimine. In più, non va dimenticato che l’inquisitore era un nemico in terra ostile, popolata di manichei, e che si muoveva a piedi e senza la scorta adatta a potere respingere un attacco.
    Intanto, appunto questi irriducibili avversari stavano per definire gli ultimi ritocchi della loro nefasta impresa. Manfredo, della famiglia dei da Giussano si era infatti trovato, nella sua cittadina, con Stefano Confalonieri, e insieme, già ben determinati a sopprimere Pietro, si erano confidati, in Milano, con tale Guidotto da Sacchella, anch’egli appartenente alla Pataria. La combriccola si era successivamente recata da tale Giacomo della Glusa, il quale, nell’economia del complotto, doveva essere colui che sosteneva la parte del tesoriere. Era stato dunque richiesto denaro per pagare i sicari, e, il giorno dopo, i congiurati l’avevano puntualmente ottenuto, in un borsa sigillata, consegnata ad un certo Facio da Giussano, che conteneva una forte somma in lire di terzoli in denari grossi, corrispondente più o meno a tre decine di imperiali d’argento, simbolicamente appunto i trenta denari di Giuda Iscariota.
    A quel punto c’era però da determinare l’identità degli esecutori materiali. Sui loro precisi nominativi, le carte stesse del processo e le memorie del tempo per la verità divergono un po’, anche se tutte le testimonianze restringono poi il campo ad un ristretto numero di possibili protagonisti. Tra i potenziali assassini, probabilmente già conosciuti sulla piazza milanese per la loro sicura professionalità di criminali incalliti, si trovava certamente Albertino Porro, detto pomposamente il Magnifico. Un altro attore della vicenda era poi suo fratello Pietro, soprannominato l’Uccellatore, il quale, secondo le contrastanti versioni, o avrebbe agito direttamente, o sarebbe intervenuto in un secondo momento, semplicemente nella veste di colui che, a misfatto compiuto, si recava tranquillamente dai potenti per battere cassa. Il terzo uomo, citato più volte negli incartamenti, era invece un tale Carino da Balsamo, che, per complicare ulteriormente il quadro, o era una persona effettivamente esistente, di cui però in seguito non si troverà traccia in alcun documento anagrafico, oppure corrispondeva semplicemente al soprannome di Pietro Porro, o, per altre ipotesi meno attendibili, dello stesso “magnifico” Albertino.
    In ogni modo, allertati, ricompensati, determinati, costoro, la mattina del 6 aprile 1252, si avviarono da Milano alla volta del bosco di Barlassina, e in specie della brughiera di Farga, nel territorio allora silvestre di Seveso, poco fuori dal capoluogo. E giunti là, si posero poi pazientemente in agguato, avendo la certezza, per precedenti spiate di certi catari lariani, o per il controllo diretto dello stesso Carino indirizzato da Manfredo da Giussano e da Stefano Confalonieri che si erano precedentemente portati sul lago per verificare con i loro occhi la situazione, che Pietro Rosini si era già mosso da Como, e doveva quindi necessariamente transitare per quegli specifici luoghi desertici.
    E così infatti puntualmente avvenne. L’attesa era stata lunga e noiosa, il mezzogiorno di una giornata primaverile aveva fatto sudare i sicari sotto le cotte di maglia di ferro, ma il frate, anzi due, erano ormai alle viste, e stavano procedendo sereni incontro alla loro sorte di animali sacrificali, mentre cantavano la Sequenza “victimae paschali laudes”, ed erano quindi già pronti ad essere offerti in olocausto per la sopravvivenza dell’eresia manichea, e dei consistenti interessi che vi ruotavano attorno.
    Carino da Balsamo, chiunque si celasse sotto questo nome, a quel punto scattò. Venne all’improvviso allo scoperto, uscendo di gran carriera dal fitto del bosco, e afferrò poi violentemente l’inquisitore per un braccio, trascinandolo quindi di forza di nuovo all’ombra dei rami. Là poi, con fredda determinazione, gli calò sulle spalle e sul cranio due terribili fendenti di falcastro, una sorta di coltellaccio diritto, a lama larga e punta quadrata. In quel momento Albertino, che in verità non si stava poi dimostrando tanto magnifico, fu però colto dal panico, e cominciò a fuggire urlando verso Meda, attirando su di sé l’attenzione dei contadini del circondario. Carino comunque non era certo individuo da lasciare a mezzo un lavoro per il quale era stato lautamente ricompensato. Scrollò infatti le spalle alla vista dell’altro complice che si era allontanato e, con rinnovata foga, si gettò poi anche su frà Domenico, l’accompagnatore di Pietro, abbandonando per il momento l’inquisitore ad agonizzare in mezzo alla vegetazione. Il destino di morte del povero fraticello fu poi dilazionato di poco.
    L’accorrere dei campagnoli, attirati dalle urla di Albertino, per il momento lo salvarono, mettendo in fuga il sicario, anche se, per le ferite riportate, la vittima rese egualmente l’anima a Dio cinque giorni dopo l’agguato. In breve gli assassini, ormai circondati da quegli imprevisti soccorritori, vennero comunque catturati ed incatenati, mentre si approntava un carro coperto di fiori per trasportare in città le spoglie di Pietro, deceduto dopo una breve ma straziante agonia. Le stesse, con grande onore tributato da tutta la popolazione milanese, vennero in seguito deposte nella chiesa di San Simpliciano, come Rosini aveva previsto in vita, intanto che in città si andava scatenando una violenza reazione contro il podestà Pietro Avogadro, accusato di complicità con i malfattori, e successivamente salvato a stento dall’arcivescovo Leone da Perego. Il corpo del martire venne quindi seppellito a Sant’Eustorgio, la stessa sede del suo ufficio da inquisitore nel capoluogo, in un’arca in seguito scolpita, nel 1399, da Balduccio da Pisa, nel bel mezzo della rinascimentale cappella Portinari.
    Il diretto assassino del frate, presumibilmente aiutato dalle potenti famiglie mandanti, riuscì poi a fuggire dalla prigione, ma il suo destino non doveva però più rivelarsi negli anni a venire ancora quello di sicario a contratto. Raggiunta fortunosamente la città di Forlì, l’uomo infatti chiese, ed ottenne, di essere ammesso come fratello laico in un convento di domenicani, per scontare per il resto della propria esistenza il peccato commesso con una severa penitenza. Come si è già ricordato, cinque mesi dopo, per gli altri complici, si tenne il processo, il quale comminò le condanne proprio in quel Sant’Eustorgio che era diventata l’estrema dimora della vittima.
    Pietro Rosini da Verona, inquisitore e martire, venne poi elevato agli onori degli altari nel marzo del 1253, a neppure un anno dalla sua morte, a seguito delle istanze che Leone da Perego, numerosi aristocratici milanesi, e centinaia di fratelli domenicani, recarono a Sua Santità Innocenzo IV. Del nuovo eletto, testimoniò poi anche Caterina da Siena nei suoi celebri “Dialoghi”: “egli odiò l’eresia tanto da esser pronto a lasciarvi la vita. E mentre visse, sua cura continua fu quella di pregare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e propagandando la fede senza alcun timore”.
    2. IL SANGUE
    La testa gli ronzava, e già avvertiva che la fiammella della vita stava rapidamente spegnendosi all’interno del suo corpo magrissimo, scavato e prosciugato da quasi mezzo secolo di penitenze, e dalle pene di un lavoro sempre compiuto senza risparmiarsi un solo momento.
    “In manus Tuas, Domine”.
    Il delinquente aveva colpito dietro il collo, sull’arco della sua schiena curva. Poi, incerto che quella ferita potesse rivelarsi davvero mortale, si era accanito brutalmente contro la testa, sferrando un colpo duro, spietato, che certamente tra poco si sarebbe rivelato decisivo. Pietro, trascinato quasi di peso dal sentiero fin al riparo dei tronchi e della ramaglia vicina, aveva avuto modo di fissarlo per un momento in volto. Si trattava certamente di un assassino, ma, forse non casualmente, il male non aveva impresso nei suoi lineamenti i segni distintivi di un impossibile ravvedimento. Il frate domenicano, come aveva più volte profetizzato nei mesi e perfino nei giorni precedenti, si rendeva ben conto che stava per scoccare la sua ultima ora terrena. Non ebbe però neppure il tempo di provare paura. Era pronto. Era rassegnato. Si sentiva sufficientemente forte per affrontare il gran passo, per quanto possa mai esserlo, nonostante vi sia preparato, qualsiasi essere vivente che cessi di respirare, di godere della luce, di amare e di pensare, nella prospettiva imminente di venir scagliato nel buio.
    Avrebbe pregato per chi lo stava uccidendo, decise mentre l’altro lo gettava a terra di schianto.
    Finché fosse stato in vita, avrebbe implorato la benevolenza di Dio su di lui. Ma poi, anche dopo il trapasso, in quel Paradiso nel quale aveva sempre fermamente creduto, si sarebbe adoperato perché l’Altissimo gli toccasse il cuore, avviandolo ad un felice destino di pentimento, di penitenza, di conversione.
    “In manus Tuas, Domine”.
    Sanguinava. Il liquido caldo, grumoso, e d1intollerabile sentore acre, gli stava scivolando lentamente giù dal cranio squarciato, imbrattandogli le orecchie, il collo, e impregnando via via il terreno grasso del sottobosco proprio davanti ai suoi occhi, in quella posizione accasciata dalla quale ormai non riusciva più a risollevarsi. Il cervello, la lucidità di pensiero, stavano intanto evaporando, lasciandogli intatta soltanto la residua energia per recitare mentalmente le estreme preghiere, la formulazione dell'atto di dolore per un'esistenza comunque ben spesa, e l’invocazione di perdono alla quale in quel momento teneva più di ogni altra cosa.
    “Fra’ Domenico, povero innocente”.
    Del criminale da cui era stato assalito, aveva saggiato la forza, la volontà indomabile di distruzione. Poi, avvertendo lo strazio della carne e dell1osso che si lacerava, che si frantumava sotto la mannaia, aveva colto il lampo sulla superficie della lama prima che calasse, un sottile fiotto di luce che era riuscito a penetrare tra la vegetazione fino ad illuminare per un istante lo strumento di morte. Quindi, era caduto all1improvviso il silenzio, e l1agitarsi, il sudore, le bestemmie, il respiro mozzo del sicario, erano cessati, perché probabilmente, mentre da qualche parte si udivano altre urla che il morente non riusciva a decifrare, il bandito si era allontanato per gettarsi contro il povero confratello che aveva avuto la sfortuna di accompagnarlo nel suo viaggio da Como.
    Pietro da Verona, stringendo i denti per non perdere ancora coscienza, si concentrò e pregò quindi anche per lui, affidando l’anima di quella seconda, o forse terza, vittima alla clemenza dell1Onnipotente. Quindi, liberando a stento il braccio, che era rimasto imprigionato sotto il corpo caduto, lo allungò, dopo aver intinto il dito nella minuscola pozza di sangue, verso una pietra piatta, infossata nel terreno, e che a malapena spuntava tra le erbe, nel manto di aghi di pino, e in mezzo a qualche fiore stento che si piegava per bere i riflessi della luce lontana.
    “Credo in unum Deum”.
    Aveva tracciato la pur breve scritta con crudele sforzo, passando più volte il dito insanguinato sulle lettere stente, contorte, dal segno impreciso, a causa della sofferenza che ormai gli aveva invaso tutte le membra, e per la confusione nella quale stava inabissandosi il suo indomito spirito. L’aveva vergata in modo approssimativo, ma, come ultimo atto della propria esistenza votata proprio a quel santo principio, era riuscito comunque a farlo, e ne era felice.
    Credo
    Credo che l’Uomo sia un essere fragile, nonostante tutta la sua arroganza, la prepotenza, la sicurezza tronfia dei principi sbagliati ai quali si arrende, il delitto cui si vota con troppa facilità.
    Credo
    Credo che dunque abbia bisogno di Dio, di una bussola certa durante la sua perigliosa navigazione attraverso i marosi del suo vivere breve, denso di dolori e di insoddisfazioni, di delusioni, di terrori e incertezze, di sfinitezze, di crimini e tradimenti, e di sangue fatto versare inutilmente.
    Credo
    E credo che compito di questo povero essere a due gambe che solca sfinito la crosta terrestre sia quello di difenderlo, questo Dio che lo difende. Sottraendolo agli attacchi della falsa dottrina. Combattendo chi lo vuole cancellare dal mondo. Orgogliosamente lottando perché altre fedi fallaci, altre civiltà ostili alla Sua parola, la tentazione di accontentarsi delle lusinghe del mondo, la debolezza di volerLo svendere per convenienza o viltà, non prevalgano, svuotando di senso il nostro essere vivi, temporaneamente esistenti, ma perennemente agognanti ad un altrove diverso, pieno, completo, di eterna mitezza e felicità.
    Pietro Rosini ansimò. Era ormai la fine, se lo sentiva. Non udiva più un suono, non avvertiva più alcun movimento intorno a sé. Stava dando l1addio al mondo in una quiete infinita.
    Con un ulteriore moto di volontà, quasi una sorta di estremo strappo muscolare, allora formulò l1ultima preghiera della sua breve vita.
    “In manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum”.
    Giacché lui era soltanto un niente che stava tornando al Padre, e che aveva bisogno di soccorso nel viaggio. Era un grumo di carne che era apparso fuggevolmente nel fluire della Storia, un essere forse da poco, ma che era almeno riuscito, per quel che poteva nella sua debolezza, a prendere le parti delle credenze sincere della propria gente, e a porsi, per quanto indegnamente, a fianco di Dio.
    Pregò dunque, Pietro. E, subito dopo, la sua anima stanca si trovò immersa in un1oscurità impenetrabile e terrorizzante, al cui limite già s1intravedeva però un vivido, insostenibile, lampo di luce.»


    Oggi 29 Aprile, San Pietro Martire da Verona « www.agerecontra.it

    http://www.agerecontra.it/wp-content...ETRO-DI-VR.jpg





    “Matteo Castagna
    https://www.facebook.com/matteo.castagna.9461
    A quasi sei anni dalla liberazione della chiesa e casa natale dai luterani, eredi spirituali dei catari che lo trucidarono. Dopo 5 anni di lotta durissima, fu una delle storiche battaglie vinte dai cattolici tradizionalisti veronesi. Oggi, la chiesa è quasi sempre chiusa, tranne quando vine usata da un'associazione di promozione turistica della città di Verona.”

    “Christus Rex - Traditio
    https://www.facebook.com/Traditio.Verona.it/

    DOMENICA 29 APRILE, I CATTOLICI TRADIZIONALISTI DI VERONA SANTIFICHERANNO LA IV DOMENICA DOPO PASQUA CON MEMORIA DI SAN PIETRO MARTIRE CO-PATRONO DI VERONA E SUCCESSIVAMENTE SARANNO A MILANO.”
    “Oggi giornata intensa, di preghiera e atti di pietà per i nostri defunti: 1) Santificazione della Festa e ricordo di S. Pietro Martire, copatrono di Verona.
    2) Partecipazione alla commemorazione (a Milano ore 18.00 e a Verona alle 19.30 in Via Ramelli) di tre camerati uccisi dall'odio comunista: Ramelli, Borsani e Pedenovi. 3) S. Messa tradizionale "non una cum" ore 18.00 a Rovereto.”






    www.sursumcorda.cloud
    https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf

    «Carlo Di Pietro - Sursum Corda
    Preghiera al Santo del giorno.
    In nómine Patris
    et Fílii
    et Spíritus Sancti.
    Amen.

    Eterno Padre, intendo onorare san Pietro Martire, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima, per i meriti di questo Santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, san Pietro Martire possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.»

    «Carlo Di Pietro - Sursum Corda
    Numero 110 di SVRSVM CORDA® del 29 aprile 2018. Saranno pubblicati i seguenti contenuti:

    - Comunicato numero 110. La strage degli Innocenti;
    - La dimora in Egitto;
    - Alfie Evans. Assassinato il 28 aprile 2018;
    - Preghiera a San Paolo della Croce, Confessore;
    - Gli anatemi del Concilio di Calcedonia, numero 1;
    - Brevi cenni sull’Astrologia (parte 2);
    - Preghiera a San Fedele da Sigmaringa, Martire;
    - Vita e detti dei Padri del deserto: Padre Giovanni Nano (parte 4);
    - Oremus: Mostra agli erranti la luce della Tua verità;
    - Dizionario di teologia dommatica. La Penitenza;
    - Invocazione alla Madre del Buon Consiglio;
    Già leggibili sul sito:
    - Teologia Politica 99. Resistenza passiva, attiva e rivolta politica;
    - Racconti miracolosi n° 58. Il miracolo di San Francesco da Paola nella fornace ardente.
    www.sursumcorda.cloud»
    https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net...ce&oe=5B53CD34






    “Julia Dileta Amaral d'Amore Charles e Alfie, due bambini cattolici nell'Inghilterra anglicana. Solo coincidenza?”

    “Disse ancora il Padre Giovanni Nano: «Chi è più forte del leone? Eppure, spinto dal ventre cade in trappola e tutta la sua forza viene umiliata»”

    “Preghiera di San Pio X per i Sacerdoti”
    https://www.sursumcorda.cloud/preghi...sacerdoti.html


    «Benedite o Signore, nella Vostra misericordia i miei parenti e benefattori, gli amici e nemici, quelli che pregano per me, che si raccomandano o desiderano d’essere raccomandati alle mie orazioni. Soccorrete i poveri, i carcerati, gli afflitti, gl’infermi, gli agonizzanti. Richiamate gli eretici, illuminate gl’infedeli, convertite i peccatori. Abbiate ancora pietà delle anime dei defunti che gemono lontano da Voi, nel fuoco del Purgatorio. Ponete fine alle loro pene, e anticipate loro il riposo eterno, specialmente... insomma per tutti i miei parenti defunti e per quelli per cui sono obbligata/o a pregare o per dovere di giustizia, o per titolo di carità. Così sia.»
    https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net...d5&oe=5B66C4DF









    https://www.SaintAmedee.ch
    https://www.SaintAmedee.ch
    https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf

    «Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
    “Quatrième Dimanche après Pâques.”
    https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net...cb&oe=5B56C1ED





    “Sermon du Père Joseph-Marie Mercier pour le Quatrième Dimanche après Pâques : sur l'Unité.
    http://prieure2bethleem.org/predica/2017_05_14.mp3”
    https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net...b8&oe=5B53B99E





    29 Avril : Saint Pierre Martyr (?1252) :: Ligue Saint Amédée
    “29 Avril : Saint Pierre Martyr (†1252).”
    http://liguesaintamedee.ch/applicati...ro_martire.JPG






    https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
    «Avant d'appartenir à leur famille, les enfants appartiennent à Dieu : l'âme de Alfie Evans, qui avait reçu le Baptême, a rejoint son Créateur et Rédempteur. Les Hérode de l'Etat-roi ont encore une fois perdu, parce que leur chef est l'éternel vaincu.
    De la page de l'abbé Ugo Carandino.»
    «Verrua Savoia, 28/4/2018 : profession perpétuelle de sœur Gemma e vestition de sœur Maddalena Maria. Sur la photo : les sœurs de l'Institut Mater Boni Consilii, accompagnées par l'évêque, les abbés et les séminaristes. Deo gratias.»
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    Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale
    http://www.radiospada.org
    Edizioni Radio Spada - Home
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    “29 APRILE 2018: QUARTA DOMENICA DOPO PASQUA.”
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    “29 APRILE 2018: SAN PIETRO DA VERONA, MARTIRE E PATRONO DELL'INQUISIZIONE ROMANA.”





    https://www.radiospada.org/2017/04/s...ore-e-martire/
    https://i1.wp.com/www.radiospada.org...tire.png?ssl=1





    “[VITA EST MILITIA] Matilde di Canossa, viceregina d’Italia
    https://www.radiospada.org/2018/04/v...egina-ditalia/
    Nota di Radio Spada; continua oggi, quarta domenica dopo Pasqua e festa di San Pietro da Verona, questa rubrica radiospadista che durerà sino al compimento dell’Ottava di Pentecoste, dedicata all’esercizio del cattolicesimo ilitare e ai grandi condottieri cattolici.”
    https://i0.wp.com/www.radiospada.org...pg?w=800&ssl=1





    “Il 29 aprile 1670 Papa Clemente X Altieri viene esaltato al Sommo Pontificato.”





    «[ALFIE] In Paradisum deducant te angeli
    https://www.radiospada.org/2018/04/a...ant-te-angeli/
    »
    https://i1.wp.com/www.radiospada.org...pg?w=856&ssl=1








    http://www.unavoce-ve.it/pg-29apr.htm

    http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-dom4.htm






    Luca, SAN PIETRO DA VERONA, PREGA PER NOI!!!
    Sursum Corda!
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

 

 
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