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  1. #11
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    " 01-07-2005
    Far rispettare la legge

    Lo sgombero giovedì dall’hotel Maoz Hayam di Gush Katif (striscia di Gaza) degli estremisti anti-ritiro che lo occupavano da alcune settimane, e che provocavano violenze verso soldati e palestinesi, attesta l’importanza che ha per Israele la difesa dello stato di diritto. Lo sottolineano fonti dell’ufficio del primo ministro israeliano Ariel Sharon.
    “La legge – affermano le fonti – deve essere fatta rispettare nella sua integrità, esattamente come il primo ministro aveva messo bene in chiaro. Chiunque infranga la legge deve risponderne davanti alla giustizia. Le forze di sicurezza hanno condotto lo sgombero in modo limpido e netto, e questo indica come saranno le cose anche in futuro: non vi saranno compromessi. Tolleranza zero verso gli attacchi alle fondamenta del diritto e della democrazia. Non c’entrano nulla i paragoni con i palestinesi. Il nostro unico test – concludono le fonti governative israeliane – è la salvaguardia di standard da paese democratico nel rispetto dello stato di diritto”.

    (Da: YnetNews, 30.06.05)
    "

    Molto bene!!!!

    Shalom

  2. #12
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    Il ritiro da Gaza non porterà alla guerra civile israeliana

    A pagina 2 del quotidiano IL FOGLIO del 02 luglio 2005, è stato pubblicato un interressante articolo di Emanuele Ottolenghi dal titolo

    «Perché chi tifa per una guerra civile in Israele sarà deluso»
    "
    Londra. Il piano di disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza comporterà inevitabilmente dei traumi: sia per i circa 9 mila coloni che dovranno lasciare le loro case l’esistenza di decenni in cui successivi governi di destra e sinistra li incoraggiavano restare, sia per il paese che starà a guardare, col fiato sospeso, nel timore che la violenza fratricida si aggiunga alla possibile violenza palestinese che accompagnerà il ritiro da metà agosto in poi. Per anni la comunità internazionale ha auspicato il disimpegno israeliano dai territori e il concomitante smantellamento degli insediamenti. Ora, di fronte a un primo parziale ritiro, le tensioni che lo accompagneranno mostreranno nei fatti quanto tutto ciò sarà difficile. Occorre tuttavia offrire il pieno sostegno al premier israeliano, Ariel Sharon. Non è possibile credere che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace e criticare il premier quando egli decide, dopo anni di tentennamenti, di imporre un’inversione a u” della politica israeliana sui settlements, ordinandone un primo parziale smantellamento. Ritirarsi significa evacuare, interrompere bruscamente l’esistenza di comunità che, al di là del giudizio politico che se ne fa, si trovano a Gaza da oltre trent’anni. Lo spettacolo non sarà grazioso, ma per chi crede che la pace passi per un ritiro israeliano da almeno parte dei territori – e questo include gli insediamenti – il disimpegno da Gaza, anche quando si attua trascinando forza civili inermi da case e asili, va sostenuto. Tali scene continueranno a esserci tra l’altro, proprio perché gli oppositori più determinati al ritiro sperano di suscitare emozioni forti, che mettano pressione sui leader. Hanno esaurito ogni arma politica. Ai settler rimane solamente quella mediatica per sperare di ostacolare il piano. L’opposizione al disimpegno è ben organizzata e molto motivata, anche perché il ritiro da Gaza, per loro, rappresenta un tradimento e un abbandono dell’ideologia della Grande Israele, un precedente che potrà in futuro essere applicato ad altre zone dei territori, in Cisgiordania, e una mossa azzardata che mette a rischio la sicurezza del paese senza alcuna tangibile contropartita. Chi spera di vedere un livello di violenza che rasenta la guerra civile però si sbaglia. Trauma sì, qualche tafferuglio pure, atti di disobbedienza civile con tutta probabilità (ce ne sono già stati), e forse qualche gesto drammatico e spettacolare, come avvenne nel 1982 durante l’evacuazione del Sinai, quando gli oppositori più irriducibili s’incatenarono alle case per fermare i bulldozer. Anche questa volta è probabile che si verifichino simili azioni. Occorre però notare che finora le forme d’ostruzionismo e di protesta, per quanto isteriche, sono limitate a pochi. La maggioranza dei coloni di Gaza ha accettato, seppur a malincuore, il verdetto del ritiro e sta negoziando col governo i termini pecuniari e operativi dell’evacuazione. In attesa del 15 agosto, la maggior parte dei coloni continua pacificamente la propria esistenza e ha condannato duramente le azioni violente di pochi facinorosi, inclusa la presa dell’albergo a Gush Khatif e il tentativo di linciaggio di un giovane palestinese di un villaggio vicino. L’esercito, intervenuto giovedì per evacuare a forza gli abusivi, ha ottenuto l’approvazione di tutte le forze politiche, compresi i gruppi che rappresentano i settler: pochi, a parte gli estremisti, sono disposti ad approvare il ricorso alla violenza e ancor meno intendono, viste le esperienze a volte tragiche e traumatiche che il paese ha vissuto in passato in simili circostanze, incitare alla rivolta contro una decisione politica che, per quanto controversa e carica di incertezze, è stata approvata a larga maggioranza in Parlamento e gode di un forte e robusto appoggio nei sondaggi d’opinione. L’opposizione dura e violenta è per ora marginale ed emarginata. Né è da prevedere che quando arriverà il momento di evacuare l’esercito troverà forte resistenza tra i diretti interessati. E’ vero invece che l’opposizione dei settler, per quanto ci sia stata e continui a essere espressa nei dibattiti pubblici e politici, ha seguito finora in maniera rigorosa i canali istituzionali: dimostrazioni e manifestazioni pacifiche, ricorse alla Corte suprema, petizioni sui giornali e azioni non-violente. I casi di gesti estremi e vandalici sono attribuibili a pochi estremisti fanatici e sono stati condannati anche da chi crede che il ritiro sia una tragedia. E comunque finora si sono limitati a danni alla proprietà. Bastano pochi estremisti per innescare una spirale di violenza al momento del ritiro e non è da escludere che un simile tentativo ci sarà. Ma la responsabilità mostrata dalla leadership dei settler e dalla destra moderata e l’accortezza dei mezzi utilizzati dall’esercito indicano che chi si aspetta uno spettacolo cruento, quest’estate, rimarrà deluso. Non sarà certo in Israele la guerricciola civile, che accompagnerà e seguirà il piano di ritiro da Gaza.
    "


    Shalom

  3. #13
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    " 04-07-2005
    Prove generali di ritiro

    Da un editoriale di Yediot Aharonot

    Gli eventi degli ultimi giorni nella striscia di Gaza sembrano quasi una prova generale della problematica estate che si aspetta. Per il bene di tutti, i vari protagonisti della saga farebbero bene a trarre alcune lezioni da questi fatti, e in fretta.
    La buona notizia è che gli estremisti anti-ritiro che sono affluiti nella striscia di Gaza in cerca di guai, asserragliando alcune centinaia di giovani in un hotel abbandonato sul lungomare, alla fine sono stati sgomberati. Ancora più incoraggiante il fatto che lo sgombero si è svolto senza spargimenti di sangue.
    La notizia cattiva è che l’ordine di sgombero è stato dato con molto ritardo. Conseguentemente i fanatici che stavano convergendo nella striscia di Gaza si sono fatti l’idea che potessero sottrarre la scena sia al governo che ai suoi avversari rispettosi della legge. C’è da augurarsi che gli estremisti a disposizione la scorsa settimana nella striscia di Gaza valutino bene ciò che è stato loro appena dimostrato: che l’intero paese, compresi quelli come il Partito Nazionale Religioso che si pongono all’estrema destra dello schieramento politico, sono inequivocabilmente contrari ai loro scopi e ai loro metodi.
    La violenza che è scoppiata attorno al campo di Muwassi è stata una joint venture che ha visto il coinvolgimento non solo di estremisti ebrei, ma anche di un gran numero di estremisti lancia-pietre palestinesi. L’improvvisa comparsa di questi ultimi, riforniti di borse piene di sassi preparate in anticipo, ha dimostrato ancora una volta che Mahmoud Abbas (Abu Mazen), con la sua inazione, tollera in generale coloro che fomentano la violenza, e in particolare coloro che cercano di intralciare il ritiro israeliano. Abu Mazen deve capire che l’imminente sgombero dalla striscia di Gaza sarà considerato dal resto del mondo come un test non solo del primo ministro israeliano Ariel Sharon e dei suoi oppositori, ma anche della sua capacità di governare i palestinesi. Retorica a parte, Abu Mazen deve ancora decidersi ad affrontare le milizie private e i gruppi terroristici che, tutti insieme, rendono risibile la sua pretesa che l’Autorità Palestinese sarebbe abbastanza matura per condurre uno stato sovrano.
    Nel frattempo, l’iniziale ritardo nell’affrontare gli estremisti ebrei ha dato spazio alla battaglia con lanci di pietre tra questi e i palestinesi, conclusasi con il vergognoso tentativo di linciaggio di un adolescente palestinese, Hilal al-Majaida, nel campo di Muwassi. Fortunatamente il ragazzo è stato salvato dai soldati israeliani, e l ’aggressione contro di lui è stata condannata da tutta una schiera di autorità religiose ortodosse, dal rabbino capo di Haifa Shear-Yashuv Cohen al capo della Yeshivat Hakotel, Mordechai Elon. Sfortunatamente tutto ciò non può cancellare il fatto dell’aggressione, e l’abietta immoralità che ha fatto emergere. La prima vittima del barbarico atto è stata la causa stessa di chi si oppone al ritiro israeliano. I leader del movimento arancione devono capire che la loro forza sta nella moralità della loro lotta. Più lasceranno che la loro causa finisca nelle mani dei teppisti, più si alieneranno l’opinione pubblica israeliana in generale.
    […]

    (Da: Jerusalem Post, 3.07.05)
    "

    Nessuna tolleranza per gli estremisti della destra radicale israeliana. Assolutamente nessuna!

    Shalom

  4. #14
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    Predefinito Gli "Ebrei veri " contro gli Israeliani: la Destra eversiva che minaccia Sharon

    Secondo le organizzazioni più radicali della destra eversiva di Isralele, bisogna fare una profonda distinzione fra gli ebrei veri quelli che non hanno perduto il senso delle radici bibliche, e gli israeliani, definiti "goym (ossia gentili, cioè non ebrei) che si esprimono in ebraico", che sono colpevoli di essere essenzialmente di cultura occidentale, laica, e religiosamente nulla, tiepida o definita ....eretica.
    Recentemente la rivista ultrasionista e ultraortodossa Shaà Tovà ba-Hadashot ha messo addirittura in dubbio l'ebraicità del premier Sharon, adducendo che se la madre Vera Sheinerman appariva un'ebrea assimilata di origini russe, la nonna materna sarebbe stata una russa non ebrea. Siccoma l'ebraicità per tutti i rabbini ortodossi, si trasmette in linea matrilineare, secondo questa versione (probabilmente infondata) Sharon non avrebbe titolo per definirsi propriamente un ebreo. L'estrema destra ha infatti rappresentato Sharon, sui muri di Gerusalemme sovrapponendo la sua immagine a quella di Giuseppe Stalin in divisa!
    Per l'estrema destra di Israele Sharon è ormai considerato un dittatore che, come e forse più di Rabin ai suoi tempi, sta mettendo in pericolo la vita degli ebrei e conducendo una guerra insensata contro il sogno della "grande Israele biblica", cedendo la terra conquistata e "promessa" al nemico e smantellando le colonie dalla striscia di Gaza.
    Nella migliore delle ipotesi, la destra radicale israeliana sostiene che ormai Sharon sarebbe un guerriero invecchiato che non sa più distinguere il nemico dall'amico e deve essere allontanato, in un modo o nell'altro, dal potere.
    Del resto la battaglia culturale dell'ultradestra ebraica in Israele è volta contro la laicità dello Stato fondato dai sionisti storici, e le ali più radicali giungono a sognare la restaurazione del Tempio e della monarchia Davidica.
    Da parte sua Sharon ha denunciato con molta forza questo estremismo insensato e ha indicato all'opinione pubblica israeliana i gravi rischi esistenti che questi irresponsabili, se non frenati in qualche modo, trascinino infine Israele in una guerra civile.
    Del resto alcuni esponenti della "destra radicale" ebraica fanno politica di penetrazione nelle "istituzioni nemiche" degli "israeliani", e taluni come Mordechai Karpel (autore di un testo ideologico zelota dal titolo Manhigut Emunit, cioè "la Leadership dei Fedeli") sono riusciti addirittura a fare "entrismo" nel LIKUD e a farsi eleggere nel comitato centrale (composto da 3000 membri).
    Uno dei teorici dell'estremismo nazional-religioso, il rabbino Yossef Dayan, ha di recente dichiarato che " ebraismo e democrazia occidentale sono incompatibili ", mettendosi sulla linea che fu del rabbino Meir Kahane, già fondatore del movimento della destra eversiva KACH (a cui apparteneva il terrorista ebreo autore della strage di palestinesi alla tomba dei patriarchi di Hebron), fuori legge dal 1994.
    Ma anche intellettuali "laici", come il professor Hillel Weiss, dell'Università di Gerusalemme, si fanno promotori del passaggio "dalla repubblica alla monarchia democratica" su basi sostanzialmente etnico-religiose e teocratiche. Secondo il professor Weiss " la sovranità non discende dal popolo ma dal Signore ". Soprattutto sono il sistema educativo e il sistema giudiziario che andrebbero, ad avviso del professore estremista, ebraicizzati...eliminando ogni contagio con le concezioni occidentali e laiche.
    Fortunatamente la forza numerica e attrattiva di queste fazioni estremiste di destra e ultraortodosse è ancora molto limitata, ma come dice lo stesso Sharon, non va troppo sottovalutata. Il sogno della rifondazione del Tempio e della sostituzione del governo repubblicano con un Re Davidico (e delle istituzioni democratiche con un Sinedrio) appare allucinante alla grande maggioranza degli ebrei d'Israele, persino a quelli che nella destra del LIKUD si oppongono alla strategia di Sharon verso Gaza e Cisgiordania, ma proprio questa contesa potrebbe favorirne l'emersione e lo sviluppo, soprattutto fra i coloni di Gaza e Cisgiordania meno propensi ad accettare il trasferimento entro Israele.
    La possibile saldatura tattica fra la destra più spinta del Likud (più laica e istituzionale e legata alla tradizione del sionismo revisionista), di quella religiosa tradizionale (che insieme hanno un peso non trascurabile) con questa destra radicale zelota ......è un pericolo per la società israeliana. La convergenza tattica fra questi ultimi estremisti ebrei e l'estremismo palestinese più radicale potrà portare seri danni a qualsiasi tentativo di ripresa effettiva del processo di pace.
    Anche in Israele come in ogni parte del mondo, l'estrema destra - con i suoi deliri - costituisce un'autentica disgrazia, non meno dell'estrema sinistra.

    Shalom

  5. #15
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    " Lotta di potere nella striscia di Gaza

    Da un articolo di Danny Rubinstein


    Il fatto che la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese consideri la decisione israeliana di ritirarsi come un segno di vittoria dell’intifada è noto da tempo. [“Chi dice che i nostri missili danneggiano gli interessi dei palestinesi?”, si è chiesto lunedì il leader di Hamas Mahmoud Zahar, in occasione dell’incontro con l’inviato egiziano Mustafa Buhairi. E ha continuato: “La storia dimostra che i missili fanno gli interessi dei palestinesi. Sono i missili che hanno obbligato Israele a ritirarsi dalla striscia di Gaza e sono loro che in futuro porranno fine all’occupazione. La lotta armata, non il negoziato, ha portato al ritiro da Gaza”.] Difficile contestare questo fatto. Anni di processo di pace e di negoziati tra palestinesi e governi israeliani, compresi governi a guida Likud, non avevano portato al ritiro dal Gaza. L’idea del ritiro è nata nella testa del primo ministro israeliano Ariel Sharon solo dopo gli attentati suicidi, i missili Qassam e i tiri di mortaio.
    Quand’anche questi attacchi non siano stati la ragione per cui Sharon se n’è venuto fuori con l’idea del disimpegno, i palestinesi sono certamente convinti che le cose stiano proprio così, e questo non fa che rafforzare la loro convinzione che l’unico modo per trattare con Israele sia con gli attentati terroristici e la violenza. Convinzione che ora diventa totale certezza se Israele si ritira unilateralmente sotto il fuoco palestinese. Chi si prende tutto il merito per la “grande vittoria” del ritiro israeliano da Gaza, e non del tutto ingiustificatamente, sono i membri di Hamas che hanno guidato la campagna di attentati terroristici contro Israele.
    Il ritiro trasferirà nelle mani dei palestinesi ampie porzioni di terra in una striscia di Gaza sovrappopolata, dove ogni metro quadrato è prezioso. Cosa accadrà di questo ingente patrimonio? Chi lo riceverà e chi deciderà cosa farne? Hamas vuole partecipare alla spartizione del bottino: “Abbiamo sparso la nostra parte di sangue – dicono i suoi portavoce – Ora vogliamo prendere parte alle decisioni”.
    Fino a poco tempo fa i capi di Hamas non erano preoccupati a questo riguardo. Avevano un accordo con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), raggiunto all’inizio dell’anno al Cairo, che prevedeva due punti principali: Hamas avrebbe rispettato un periodo di “calma” (o “hudna”) e l’Autorità Palestinese avrebbe indetto elezioni per il parlamento palestinese. In base ai risultati di quelle elezioni, che dovevano tenersi il 17 luglio, sarebbe stato possibile stabilire un criterio per soppesare il potere politico nella società palestinese e, secondo quello stesso criterio, formare un governo, distribuire posti e, fra l’altro, decidere come spartirsi il patrimonio abbandonato dagli israeliani. In altre parole, quali istituzioni e stabilimenti sarebbero state costruiti su di esso e a vantaggio di chi: i fedeli di Fatah, i seguaci di Hamas o altri.
    Hamas ritiene d’aver rispettato l’accordo. Dal loro punto di vista, è Abu Mazen che l’ha violato. Fatah e la sua dirigenza, infatti, hanno deciso di rinviare le elezioni senza fissare una nuova data. Ciò significa che il governo palestinese, al momento del ritiro israeliano, resta quello che è oggi e coloro che sono attualmente al potere nell’Autorità Palestinese – generalmente considerati corrotti dall’opinione pubblica palestinese – faranno quello che vorranno del patrimonio lasciato dagli israeliani: non divideranno con Hamas i frutti della “vittoria” per la quale gli adepti di Hamas hanno versato il loro sangue.
    Hamas non ha nessuna intenzione di accettare questo stato di cose. Per un breve momento è sembrato che si potesse raggiungere un ulteriore compromesso. I capi avevano suggerito di non lasciare nelle mani del regime palestinese la gestione del ritiro israeliano, cioè del patrimonio abbandonato, ponendola invece sotto la responsabilità di una commissione congiunta Hamas-Autorità Palestinese. Ma Abu Mazen e i suoi hanno respinto questa soluzione. “Sarebbe come creare un governo parallelo al governo palestinese”, hanno detto.
    Questo è lo sfondo su cui sono esplose le recenti violenze a Gaza. Questa è una delle ragioni per il rilancio degli attacchi. Al momento non sembra che via sia una soluzione in vista, e la conclusione è che i membri di Hamas, frustrati e arrabbiati, continueranno e forse intensificheranno gli attacchi terroristici contro obiettivi israeliani. Se tutti i frutti della “vittoria” a Gaza devono cadere nella mani di leader corrotti, Hamas è anche disposta a rendere il ritiro israeliano così difficile da farlo saltare del tutto.

    (Da: Ha’aretz, 18.07.05)
    " [/i]


    A parte il semplicismo e la miopia politica delle ragioni della strategia di Sharon (che comunque sono così avvertite da una parte notevole degli israeliani e dai terroristi palestinesi e loro supporter mondiali) l'articolo è per il resto interessante e centrato.

    Shalom

  6. #16
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    Purtroppo la situazione mediorientale non lascia molto spazio a dubbi sulla bontà della politica di Sharon, il quale, sono certo, non opererebbe mai contro il suo popolo.
    E' un fatto però che ritirarsi da territori che sembravano acquisiti è pericolo, sopratutto quando di terra già se ne ha poca. E' sintomatico come Israele, anzichè considerare preda bellica il Sinai e il Golam abbia infine restituito questi territori, nonostanto fosse stato attaccato.
    Il fatto è che Israele deve rendersi conto, quotidianamente, di vivere immerso in un mare arabo, e con un occidente diviso sul sostegno da dargli.
    Quando le armi saranno fuorilegge, solo i fuorilegge avranno le armi

  7. #17
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    da www.shalom.it


    " La dura scelta di Sharon

    Pubblicato Venerdì, 22 luglio 2005 @ 14:29:48 CEST


    di Fiamma Nirenstein

    Il primo ministro israeliano alle prese con le proteste contro lo sgombero degli insediamenti di Gaza

    Quando il 15 di agosto, il giorno dello sgombero di 8000 persone dalla striscia di Gaza e di poche centinaia da Ganim e Kadim dalla Samaria, il mondo avrà tutti gli occhi puntati su Israele e sui Palestinesi per i grandi significati internazionali che l’evento riveste, Israele, tuttavia, sarà tutto solo di fronte allo strappo, nel bene e nel male, che si produrrà e già si sta producendo nella sua storia, nella sua società, nella sua stessa anima.

    Lo si giudichi come si vuole, l’evento contiene una quantità di significati simbolici e pratici, una tale quantità di sfaccettature che è difficile vederle tutte insieme. Israele, oltre a interrogarsi sulla sua capacità di mantenersi unito di fronte a un’oggettiva spaccatura ideologica e anche di fronte al dolore di tanta gente, ha un problema fondamentale, quello delle conseguenze strategiche dello sgombero. Riusciranno i palestinesi a vivere e a gestire l’avvenimento come un segnale di autentica pace, di cessione senza condizioni di una sovranità territoriale che dovrebbe indurre in chi la riceve gestione e democratizzazione, che dovrebbe portare a un inedito senso della responsabilità verso la propria gente i gruppi dirigenti palestinesi e quindi al disarmo dei terroristi, oppure, come sembra segnalare Hamas che purtroppo è maggioritario a Gaza, l’abbandono dei coloni delle loro case sarà vissuto come una vittoria del terrorismo e quindi un incitamento a seguitare a praticarlo? E’ stato quindi giusto o sbagliato per Israele imboccare la strada di una strategia di sgombero unilaterale, senza contraccambio prestabilito, con la speranza che la storia imbocchi, illuministicamente, una strada progressiva? E’ un crinale rischioso e in parte spaventevole, specie dopo che i leader di Hamas di nuovo hanno avvertito che adesso sarà più facile investire Israele con una pioggia di missili Kassam sulle città israeliane. In generale, lo sgombero discute il senso dei gesti unilaterali di buona volontà dell’Occidente intero, e quindi a questo si dovrebbe guardare con maggiore attenzione. Israele, però resterà solo a scrutare il cielo.
    Perché questo aspetto, così fondamentale filosoficamente, dal momento che vi si potrà leggere tanti indizi sul futuro del mondo, e non solo del conflitto israelo-palestinese, sembra dimenticato sulle prime pagine dei giornali, che invece affrontano con avidità il tema dell’estremismo dei coloni e della spaccatura nella società israeliana. Possiamo prevedere che per il consesso internazionale ciò che farà scena, ciò che sarà più importante sarà verificare alcuni stereotipi che accompagnano l’immagine di Israele nell’informazione, e che già da ora impazzano sulle prime pagine e alla tv. Questo farà distogliere lo sguardo dalla verità problematica dello sgombero, che si compendia in una frase: ha senso cedere territorio per acquistare pace, o questo può solo allargare lo spazio di manovra di un nemico che da parte sua invece non vuole o non può cedere niente, e che resta aggrappato a un ceppo ideologico, quello islamista, di rifiuto e aggressività? che non ha mai smesso (non solo Hamas ma anche le Brigate di al Aqsa) di praticare il terrore mentre il gruppo dirigente, guidato da Abu Mazen, che pure sembra volere la pace, si rifiuta di disarmare le fazioni aggressive?

    Lo stereotipo che spinge a occuparsi soprattutto dell’estremismo antisgombero, concettualmente, riguarda soprattutto il sospetto che Israele in realtà abbia un suo fanatico attaccamento per la terra, una sua messianica attitudine a divorarne dei pezzi senza nessun interesse per la popolazione palestinese. E’ uno stereotipo che è andato deluso più volte, e a questo l’opinione pubblica antisraeliana non si piega.

    E’ un sospetto di indifferenza e crudeltà che è stato sperimentato ampiamente sulla figura di Ariel Sharon: quanta fatica, anche solo a ascoltarne le parole, ha fatto la stampa internazionale, la tv, quando Sharon il bulldozer, lo Sharon quasi psicoticamente devoto alla conquista e all’occupazione, lo Sharon criminalmente “responsabile” di Sabra e Chatila, il durissimo protettore dei settler già parlava, e da quanto tempo, a chiare lettere di “penose concessioni”, di determinazione a “non dominare un altro popolo”.

    E oggi quanto sarcastico sospetto e quanta insistente demonizzazione anche quando il meccanismo essendosi incagliato nella prospettiva dello smantellamento degli insediamenti di Gaza, proprio non funziona più. E allora, poiché è impossibile rinunciare all’idea di un Israele smargiasso, conquistatore e anche tendenzialmente criminale, ecco che si insiste a leggerlo tale nel comportamento dei settler in rivolta contro lo sgombero, e che semplicemente si sposta la lente di in gradimento sulla supposta crudeltà israeliana da Sharon ai terribili coloni. Nonostante l’evidenza del fatto che i gruppi di estremisti siano una minoranza disprezzata dai coloni stessi, quelli che tirano i sassi ai palestinesi o che aggrediscono i soldati o che si rifiutano di eseguire gli ordini riconfortano il preconcetto antisraeliano, danno grande soddisfazione al lettore europeo classico che ancora si stropiccia gli occhi all’idea che l’odiato Sharon possa essere proprio lui quello che ordina con determinazione lo sgombero; che gli israeliani combattano gli attentati terroristi per strada, che pure ammontano ogni giorno a svariate decine; che i soldati salvino un ragazzo palestinese dalle mani di un gruppetto di Kahanisti e ricostruiscano con le mani una casa dei Muassi distrutta dai facinorosi, che il tribunale condanni al massimo della pena l’obiettore che si rifiuta di distruggere una casa abbandonata dai settler a Gaza, le notizie della violenza sovrastano quella della condanna della maggioranza dei leader dei settler contro gli estremisti.

    E’ duro abbandonare l’idea che i pacifisti quelli veri che fanno le cose piuttosto che scendere in corteo possano anche non appartenere alla sinistra, e, punto secondo, che Israele voglia di fatto sgomberare. Che strano che la maggioranza dell’opinione pubblica pensi che questo sia qualcosa su cui sbarrare gli occhi, benché tutta la storia di Israele, dal ‘48 all’altro ieri quando Barak sedeva con Arafat a Camp David, non ha fatto altro che cercare di cedere territori, ma è stata sempre aggredita dal terrorismo e dalla guerra, e non ha potuto farlo.

    Adesso, con lo sgombero che certo porterà dolori e scontri ma alla fine avverrà, Israele si troverà di nuovo sola ad affrontare il problema di come sanare le ferite della gente che viveva nelle case del Gush Kativ o di Kadim da tre generazioni e che ha lasciato là le insalate, che ha insegnato alla sabbia a produrre e talora la tomba di un figlio ucciso nella sempiterna guerra che accompagna Israele.

    Si troverà sola a decidere cosa fare quando gli attentati saranno di nuovo là a testimoniare quanto sia difficile fare la pace, anche quando si è pronti a “dolorose concessioni”.

    L’opinione pubblica internazionale seguiterà invece a misurare i successi della pace sulla grandezza del terreno che Israele è disposta a cedere. E sul buon umore con cui lo fa.

    "


    Shalom

  8. #18
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    Shalom
    Quando le armi saranno fuorilegge, solo i fuorilegge avranno le armi

  9. #19
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    A pagina 78 del settimanale L'Espresso del 03 agosto 2005, è pubblica un'intervista di Riva al ministro della Difesa di Israele Shaul Mofaz dal titolo


    " «Via da Gaza verso la pace»




    Shaul Mofaz ha un’idea molto precisa di quale sia il suo ruolo in questa caldissima estate mediorientale: deve far rispettare la data prevista per il ritiro da Gaza che, comunque, non avverrà in nessun caso sotto il fuoco”.
    Apprezza gli sforzi che l’autorità palestinese ha compiuto contro le organizzazioni terroristiche e sis aspetta che vengano estesi. Ma manda, in questa intervista a “L’espresso”, un segnale chiaro ad Abu Mazen: “qualunque cosa non farete voi in questo senso, la faremo noi2. Perché la priorità nella sua agenda riguarda la “sicurezza dei cittadini”. Sa benissimo, il ministro della Difesa israeliano, di essere nel mezzo di una doppia sfida: una contro i nemici storici (Hamas, Jihad, Brigate Al Aqsa) e l’altra contro la guerra interna, estremista, contraria all’uscita dalla Striscia e che sta mobilitando migliaia e migliaia di coloni. Ricorda che chiunque ha diritto di protestare “in una nazione democratica quale siamo, ma senza infrangere la legge”. Per cui incidenti come quelli successi, in futuro “non saranno tollerati”. Forse non si immaginava, il generale Shaul Mofaz, 57 anni, nato in Iran ed emigrato con la famiglia in Israele nel 1957, che un giorno avrebbe dovuto schierare i suoi soldati contro la sua stessa gente. Mofaz è un uomo decisivo per la strategia politica e militare di Israele. Ha fama di duro. Ma dimostra, anche in questa occasione di saper interpretare le stagioni. Questo è il tempo delle dolorose concessioni, in virtù di quel bene superiore che si chiama “pace”.

    Ministro Mofaz, a che punto sono i preparativi per il ritiro unilaterale da Gaza?
    Israele sta facendo tutto il possibile per completare la preparazione del piano. Il governo si è impegnato a rispettare le scadenze che si è dato e così sarà.

    Teme che nell’esercito ci possano essere molti obiettori che rifiuteranno die seguire gli ordini?
    No, non credo che ci saranno molti soldati che si rifiuteranno di fare il loro dovere. Finora abbiamo avuto solo alcuni casi isolati. La stragrande maggioranza dei soldati e delle forze di polizia eseguiranno i compiti loro assegnati con moralità e lealtà.

    Tuttavia l’ala più intransigente dei coloni invita a disobbedire e ha già promosso scontri e cortei di protesta Si aspetta qualche altra iniziativa clamoroso da qui la 17 agosto?
    Essendo Israele una nazione democratica i suoi cittadini hanno il legittimo diritto di protestare, fino al punto che lo vorranno, senza però infrangere la legge. Ogni tentativo degli estremisti di procurare danno ai soldati della Idf (forze di difesa d’Israele), alla polizia o a chiunque altro agisce per conto del governo sarà punito secondo quanto previsto dalla legge, senza alcun compromesso. Non tollereremo incidenti, come quelli successi di recente e provocati da persone che si sono messe fuori dalla legge. Non c’è spazio per un tale comportamento nella società israeliana e lo contrasteremo con tutta la forza di cui disponiamo.

    Sul versante “esterno”, avete potuto apprezzare una collaborazione nei preparativi del ritiro da parte dell’Autorità palestinese?
    Il coordinamento è nell’interesse delle parti, ma non è una condizione per procedere col piano. Noi speriamo che tutto avvenga in collaborazione piena coi palestinesi affinché sia la premessa per un futuro migliore per entrambi. Siamo in costante contatto a tre livelli: ministeriale (ho tenuto rapporti con Muhammad Dahlan, ministro per la Sicurezza e Nasser Yusef, ministro dell’Interno), a livello di generali e anche sul terreno.

    Il che non esclude, soprattutto nella fase più delicata, una recrudescenza degli attacchi delle organizzazioni fondamentaliste. Hamas continua lanciare razzi kassam sulle colonie e anche sul territorio israeliano. La Jihad islamica ha firmato l’attacco kamikaze a Netanya.
    Negli scorsi mesi le nostre forze di sicurezza hanno sventato molti attentati. Sfortunatamente quello di Naetanya non siamo stati in grado di prevenirlo. Fa parte di una strategia volta far deragliare il piano di disimpegno. Voglio sottolineare che, in nessun caso, Israele procederà al ritiro sotto il fuoco Se le organizzazioni terroristiche proveranno a ostacolare il processo, la Idf saprà come agire e contrastare. Solo dopo che avremo risolto le questioni il disimpegno potrà cominciare.

    Secondo la vostra valutazione il presidente palestinese Abu Mazen sta facendo tutto il possibile per fermare gli estremisti del suo campo?
    Penso che Abu Mazen abbia delle intenzioni oneste. Nelle ultime settimane l’Autorità palestinese ha fatto vedere i primi segni di azioni concrete contro le organizzazioni terroristiche. Israele si aspetta che si espanda la portata di queste azioni e si prendano decisioni aggressive contro il terrorismo. E’ un interesse comune. La leadership palestinese è sotto esame e ha questa opportunità per dimostrare non solo a Israele , ma al mondo intero, che ha le giuste intenzioni e vuole imboccare la strada del dialogo e della coesistenza con lo stato di Israele. Mandiamo un chiaro messaggio all’Autorità palestinese: “Qualunque cosa non farete voi, la faremo noi”. Faremo tutto ciò che è necessario per difenderci, per impedire che i nostri cittadini siano sotto attacco.

    Che cosa si aspetta dalle elezioni palestinesi previste per luglio e slittate a novembre? Teme un successo di Hamas?
    Stiamo facendo il possibile per aiutare la leadership palestinese a prendere le iniziative necessarie contro il terrorismo, in modo da poter continuare il dialogo e la collaborazione. Abbiamo anche preso una serie di iniziative per costruire la fiducia e portare beneficio al popolo palestinese . Il miglioramento delle condizioni socio-economiche all’interno dell’autorità palestinese ridurrà l’appoggio alla violenza e al terrorismo e favorirà la democratizzazione dell’Autorità palestinese. Al summit di Sharm el Sheik ci siamo impegnati in una serie di azioni volte a rafforzare e stabilizzare i palestinesi: abbiamo rilasciato 900 prigionieri , trasferito al responsabilità della sicurezza di Tulkarem e Gerico, nel corso delle prossime settimane faremo altrettanto con Kalkilya e Betlemme. In più abbiamo adottato molte misure che possono rappresentare un sollievo umanitario, come fornire permessi ai lavoratori e ai commercianti, migliorare l’accesso movimento di civili, turisti e commercianti, rimuovere check point. Abbiamo aperto 34 punti di passaggio lungo al barriera di difesa per la popolazione palestinese e naturalmente faremo tutto il possibile per frenare le reazioni israeliane in modo da non esacerbare la situazione.

    C’è Gaza e c’è un dopo Gaza. Sono da sempre tre i punti su cui naufragano tutte le iniziative di pace: confini, ritorno dei profughi, status di Gerusalemme. Dopo il ritiro, sarà possibile rimettere in carreggiata la Road Map?
    “Noi intendiamo muoverci nel rispetto della Road Map, l’ho detto spesso e lo ribadisco. Dopo il disimpegno possiamo cominciare con lo “Stage A” che prevede lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche e un seria guerra contro le organizzazioni terroristiche. Senza questo essenziale passo sarà molto difficile far progredire il processo politico. Consideriamo Hamas, senza ombra di dubbio, un’organizzazione terroristica e così sarà finché non cambierà completamente strada e la finirà di incoraggiare gli assassinii e vorrà aprire un onesto e reale dialogo. Anche recentemente, abbiamo accettato un “periodo di calma”, Hamas continua a fare incetta di armi e può riprendere a sferrare attacchi terroristici non appena consideri di non avere interesse a protrarre la “calma”. Lo voglio sottolineare ancora: Lo Stato di Israele stende le sue braccia in pace. Il popolo di Israele cerca e prega per la pace ed ha già dato prova di essere pronto a un doloroso compromesso per raggiungere questo fine. Ma in ogni caso non faremo nessun compromesso che pregiudichi la sicurezza dei nostri cittadini.

    Quale influenza avrà sulla regione la vittoria alle presidenziali in Iran del candidato conservatore Ahmadinejad?
    Le lezioni iraniane sono un problema interno iraniano sul quale Israele non ha preso posizione né intende interferire. Comunque Israele si aspetta che l’Iran, sotto questa nuova leadership, non sostenga il terrorismo globale e non prenda parte al conflitto israelo-palestinese. Speriamo che l’Iran la smetta di sostenere, assistere e finanziare le organizzazioni terroristiche, specialmente Hezbollah e Hamas. L’ho già detto da diverso tempo: il problema nucleare deve essere affrontato da Europa e Stati uniti con pressioni economiche e diplomatiche adeguate.

    Dopo il ritiro dal Libano, che ruolo si aspetti che giochi ora la Siria?
    La Siria, nonostante abbia ritirato le sue truppe dal Libano, mantiene una forte influenza in quel Paese. Spero che il governo libanese sia indipendente, forte e pragmatico. Un governo che si assuma il carico di combattere il terrorismo e rivolga le sue attenzioni alla ricerca della pace. Israele non ha problemi col popolo libanese e speriamo che il governo libanese segua l’esempio di Egitto e Giordania e voglia arrivare a un accordo di pace.

    Ha citato l’Egitto, paese strategico scosso da forti tendenze fondamentaliste. Teme la destabilizzazione di un vicino così importante?
    La pace con l’Egitto è di strategico interesse per entrambi, e tutto deve essere fatto per mantenerla e accrescerla. Tuttavia non ci sono dubbi che oggi il terrorismo globale colpisce dappertutto (come abbiamo visto a Londra) e tutte le nazioni del mondo devono contribuire a un’inflessibile guerra contro il terrorismo. Da quando ha firmato il trattato di pace, l’Egitto ha rispettato tutti i suoi impegni ed è un alleato importante per Israele. Il processo che abbiamo intrapreso (e il ruolo che l’Egitto gioca all’interno di esso) è un incoraggiante segnale per la relazione tra i due paesi basata sulla fiducia.

    Dopo Londra e vista la vostra esperienza, ha qualche suggerimento da dare all’Occidente su come affrontare il terrorismo?
    Non credo ci sia bisogno di dare consigli agli italiani. Sfortunatamente il terrorismo è diventato una questione internazionale. Colpisce dappertutto (Londra, Turchia, Madrid, Egitto) e non c’è paese che può dirsi immune. Quindi tutti i paesi devono combattere insieme una seria battaglia. Israele fa parte della coalizione contro il terrorismo.

    Oggi, nove mesi dopo la morte di Arafat, lei è più o meno ottimista circa le prospettive di pace?
    Nonostante tutti problemi che abbiamo analizzato, io spero realmente che la direzione intrapresa dalla nuova leadership palestinese differisca da quella di Arafat, che ha condotto il suo popolo in una tragica situazione e ha prodotto spargimento di sangue nell’intera regione. Abbiamo colto segnali per i quali si può facilmente affermare che il popolo palestinese è stanco della violenza e del terrore e vuole una leadership che prenda un’altra strada. Sono certamente ottimista e credo che il passo coraggioso fatto dal governo israeliano porterà un futuro più luminoso nell’intera regione.
    "


    Shalom

  10. #20
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    da www.ansa.it

    " MO: ESTREMISTA ISRAELIANO SPARA NEL BUS E UCCIDE 4 PASSEGGERI ARABI

    TEL AVIV - La polizia israeliana ha decretato stasera lo stato di massima allerta in Galilea in seguito a un attentato terroristico compiuto da un estremista ebreo, un militare di leva, in un autobus di linea all'interno della citta' araba di Shefaram.

    In un commento a caldo il ministro israeliano per la sicurezza interna Gideon Ezra ha definito l' uccisione di quattro passeggeri arabi di un autobus a Shefaram da parte di un estremista ebreo in uniforme ''un atto di terrorismo a tutti gli effetti''.

    Il militare - Eden Zuberi, 19 anni - ha aperto il fuoco all' improvviso contro il conducente dell'autobus n.165, partito poco prima da Haifa, e lo ha ucciso a sangue freddo. Ha proseguito a sparare, uccidendo anche due donne e una quarta persona ferendo una decina di passeggeri.

    Per circa due ore l'autobus e' stato circondato da una folla in tumulto. Quando la polizia e' riuscita a disperderla, ha constatato che anche l'assalitore era rimasto ucciso, probabilmente sopraffatto e linciato dai passeggeri.

    ''Sono venuto a uccidere arabi, voglio impedire il ritiro da Gaza'' ha annunciato il soldato prima di aprire il fuoco sui passeggeri inorriditi, secondo quanto ha appreso il sindaco di Shefaram, Rossan Yassin.

    Il grave attentato e' giunto mentre gran parte della polizia israeliana era schierata nel Neghev per confrontare migliaia di coloni che anche oggi cercano di forzare i cordoni di sicurezza per irrompere nella striscia di Gaza. La Galilea, di conseguenza, era rimasta relativamente sguarnita.

    Non appena appreso dell'attentato il capo della polizia Moshe Karadi ha ordinato che unita' di elite fossero inviate al piu' presto, con elicotteri, verso Shefaram, dove domani si svolgeranno i funerali delle vittime. Anche le forze armate israeliane sono state poste in stato di allerta in Galilea nel timore di estese manifestazioni di protesta della popolazione araba.

    Nel timore di disordini misure particolari di sicurezza sono state predisposte per domani anche a Gerusalemme, in particolar modo nella zona della Spianata delle Moschee.

    Dure accuse al governo israeliano sono state lanciate da alcuni dirigenti politici arabi. ''Il governo e' solito sobillare contro la popolazione araba... questo e' il risultato'', ha esclamato il leader del partito comunista Mohammed Barake, che e' originario di Shefaram. Analoghe accuse sono state lanciate da altri esponenti politici arabi alla Knesset secondo cui e' giunto il momento di usare ''il pugno di ferro'' contro la destra eversiva israeliana. Un dirigente del movimento dei coloni, Benzi Lieberman, ha subito condannato l'attentato, affermando che ''si e' trattato di un gesto di follia''.

    UN EMULO DI GOLDSTEIN - Di Zuberi si e' appreso che viveva nella citta' di Rishon le-Zion, alla periferia di Tel Aviv. In passato e' stato notato nella colonia ebraica di Tapuach (Cisgiordania), nota roccaforte della destra eversiva israeliana: ma a quanto pare non ci ha mai vissuto.

    La televisione commerciale ha riferito che il nome di Zuberi figurava nelle liste degli zeloti estremisti simpatizzanti del gruppo Kach redatte dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano. Il giovane, secondo la emittente, si era messo in luce alcune settimane fa quando aveva disertato per non dover prendere parte attiva al ritiro da Gaza. Da allora aveva fatto perdere le proprie tracce.

    Il suo gesto, secondo alcuni analisti, ricorda l'attentato compiuto 11 anni fa a Hebron (Cisgiordania) da un altro militante del Kach, Baruch Goldstein, che uccise una trentina di palestinesi nella Tomba dei Patriarchi prima di restare ucciso a sua volta. Secondo le prime informazioni, Zuberi non aveva complici.

    Estremisti come lui sono non pochi, avvertono i servizi di sicurezza israeliani. Quando agiscono da soli, e' quasi impossibile impedire attentati del genere. Oggi alcuni parlamentari di sinistra hanno chiesto che contro costoro vengano spiccati arresti amministrativi.
    "


    Shalom

 

 
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