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...sono stato comunista in gioventù dalla metà degli anni ’70 ai primissimi ‘80, anche ricoprendo nel Pci piccoli ruoli dirigenti (segretario di sezione e consigliere comunale). Poi ho avuto modo di riflettere meglio e di ritrarmene, ma nel 1996 volli raccontare in un lungo dattiloscritto la storia di questa mia conversione/maturazione. Ne ripropongo pari pari il capitolo sulla Resistenza, che cade a fagiolo nelle polemiche di questi giorni.
Sono considerazione scontate per chi comunista non è mai stato, ma forse utili per comprendere i percorsi mentali di tale ideologia, almeno nella fattispecie italiana.
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LA RESISTENZA
Il mito della Resistenza è stato un ottimo anestetico alla disfatta del 1945. Alla lunga, ma probabilmente da subito, anche ceti moderati, non di sinistra, afascisti e simili, si sono accomodati alla pur fastidiosa retorica antifascista poichè grazie ad essa potevasi compiere un miracolo italiano: sentirsi tuttosommato dalla parte dei vincitori anzichè degli sconfitti. Costruzione psicologica ardita ma efficace.
Adolescenti ci ficcammo a testa bassa nella politica, senza in realtà sapere cose essenziali. Cosa sapevamo della guerra, del fascismo, degli anni del consenso, degli anni '10 e '20? Niente.
Ricordo le mostre antifasciste, i "controcorsi" a scuola, la relativa pubblicistica: pareva che la storia contemporanea cominciasse cogli scioperi del Marzo '43, quella famosa fotografia di operai in primo piano con le braccia conserte e sguardo risoluto e fiero. Ma nel '43 la guerra era già persa: ci sarebbero stati quei moti, pur con la stessa fame, ma con una prospettiva di vittoria? Qualcuno di loro mica non sarà stato in piazza anche nel Giugno del '40, ad osannare l'immancabile vittoria?
Grande magia dei mass media: anch’io per molti anni della mia giovinezza (ma ero già consigliere comunale) non realizzai affatto l'esito concreto della guerra e stavo senz'altro nella vaga convinzione che con la Resistenza l'Italia fosse un paese vincitore, non tanto perchè si fosse "riguadagnata il biglietto di ritorno all'ultimo momento", come disse Churchill, ma semplicemente perchè avrebbe dato un contributo importante alla sconfitta del nazi-fascismo.
Siccome gli italiani hanno vinto il fascismo (un fatto tutto interno) eccoti che avrebbero vinto la guerra. Ma il sillogismo è falsato dalla dimenticanza fatale che senza la sconfitta dell'Italia, mai e poi mai gli antifascisti avrebbero prevalso sui fascisti.
Corollario indispensabile di questo ragionare e sentire distorto fu, precisamente, la falsa idea che la seconda guerra mondiale fosse stata una lotta titanica pro o contro il nazi-fascismo, una questione ideologica, e non la lotta tra nazioni e popoli, come sempre, per l'egemonia e la ricchezza che ne consegue.
Dunque per molti anni della mia militanza politica neanche mi sfiorò il sospetto che di fronte alla storia l’Italia (oltre a Germania e Giappone) avesse perso punto e basta.
Me ne accorsi per conto mio due volte, la prima ai tempi dei viaggi in Inter-Rail (anni settanta), la seconda volta in Grecia, anni '80: parlando con altri giovani di vari paesi europei scoprivo che nessuno sapeva cosa fosse la Resistenza. Conoscevano la parola partigiano, di cui confusamente sapevano di gesta compiute in vari paesi, forse anche nel nostro, però rimaneva netto e naturale il fatto che l'Italia fosse un paese sconfitto.
Io con l'enfasi del vincitore parlavo della bestia sconfitta, ma sentivo che non mi capivano e che attraevo sguardi interrogativi e diagonali. Ero ovviamente io quello che non aveva capito bene.
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So bene che la Resistenza, oltre alle retoriche e soprattutto alle strumentalizzazioni politiche da parte del Pci, fu anche cosa seria e nobilissima. Ma per carità, essa non fu determinante in niente se non per mendicare un po' d'attenzione per il dopoguerra, sia a livello internazionale sia ai tavoli e sedie cigolose delle singole parrocchie e piazze di paese; essa, ai tedeschi e ai repubblichini, gli avrebbe fatto un baffo se non ci fossero stati ben altri avversari. Solo oltre i trent'anni capii che la Resistenza è come mio figlio quella volta che sotto la neve riuscii a metter le catene alle ruote, lui mi ronzava intorno eccitato, quasi d'intralcio, e disse alla fine compiaciuto: "Siamo stati bravi, eh, papà?"
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Anche se non determinante, la Resistenza fu senz'altro necessaria per molte persone che sentirono il bisogno fortissimo di testimoniare il loro tempo, le loro singole sensibilità, e qui sta la grandezza di quella parte di Resistenza che è grande e tale rimane. E necessaria per singole comunità e città minacciate nei loro beni essenziali. E produsse quindi anche gesta militari che nel contingente di quel singolo momento in quel singolo luogo, misero in difficoltà reparti nazi-fascisti.
Però non può venir meno la coscienza che il quadro generale geopolitico del mondo nel 1943-45 era per sua natura, cioè inevitabilmente, già orientato inequivocamente alla vittoria degli alleati. Né può dimenticarsi, sopratutto, che la particolare situazione dopo l'8 Settembre portava l'Italia per forza in una situazione fratricida, unico paese al mondo ad avere alleati e nemici (e soprattutto prigionieri) in entrambi i campi. La Resistenza fu reazione alla reazione inferocita dei tedeschi contro la scelta scellerata dell'Italia (di Badoglio) di abbandonare la Germania ormai sconfitta e di accodarsi agli alleati sicuri vincitori.
Senza tale tradimento opportunista, furbesco e tipicamente italiano, non ci sarebbe stata né ferocia tedesca né Resistenza. Forse avrebbe potuto esserci una occupazione tedesca a fini strategici e militari, ma senza astio, senza rabbia e ferocia.
La famigerata Repubblica Sociale, dunque, sorse per opporsi alla vergogna di così sfacciato tradimento e con occhio obiettivo bisogna convenire che non era possibile che almeno una parte di italiani non sentisse tale onore/disonore. E anch'essa non sarebbe esistita se non fosse intervenuto quel meschino tradimento.
La Resistenza vale come fatto morale, etico e anche un pò civile, ma militarmente fu irrilevante e talora irritante e politicamente fu ed è un pozzo avvelenato di equivoci e pretese.
Non si può indulgere minimamente alla lettura che vuole il male contrapposto al bene, i repubblichini aguzzini e i partigiani eroi.
Se ne incaricò il caso, mettendomi un giorno sotto il naso un volumetto con le lettere dei condannati a morte della repubblica sociale. Sgranai gli occhi, mi pareva un errore di stampa; sapevo a memoria delle lettere dei condannati a morte della resistenza ma non pensavo che esistesse la stessa cosa nell'altro campo: stesse parole, stessa età (anche meno di vent'anni !), stessa parola in articulo mortis: Viva l'Italia!!
Qui si spiega, cari ex compagni, come è possibile che io resti oggi insensibile a quegli argomenti forti che forgiarono la nostra cultura e le nostre scelte d'un tempo, il film '900, i restrellamenti dei tedeschi, l'eroismo di chi morì partigiano... Quando si comprende il quadro storico generale, si può tifare legittimamente per questo o per quello, ma non si può negare che ognuno avesse le sue buone ragioni. Così si esce finalmente dal manicheismo e si torna utilmente a parlare...
Luigi Fressoia
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