da A. Dughin, "Cavalieri Templari del Proletariato", Mosca 1998
traduzione italiana di Martino Conserva
1. La definizione rinviata
Il termine "nazional-bolscevismo" può indicare cose molto diverse fra loro. E' emerso pressoché simultaneamente in Russia e in Germania a significare l'intuizione, da parte di alcuni teorici politici, del carattere nazionale della Rivoluzione bolscevica del 1917, celato dalla fraseologia del marxismo internazionalista ortodosso. Nel contesto russo, "nazional-bolscevichi" fu la denominazione abituale di quei comunisti orientati alla conservazione dello Stato e - coscientemente o meno - continuatori della linea geopolitica della missione storica Grande-Russa. Ma nazional-bolscevichi russi si ritrovarono sia fra i Bianchi (Ustrjalov, smeno-vekhovtsij, Eurasisti di sinistra) sia fra i Rossi (Lenin, Stalin, Radek, Lezhnev, ecc.). (1) In Germania il fenomeno analogo si associò alle forme di nazionalismo di estrema sinistra degli anni '20 e '30, nelle quali aveva luogo una combinazione fra idee socialiste non ortodosse, idea nazionale e attitudine positiva nei confronti della Russia Sovietica. Fra i nazional-bolscevichi tedeschi, il più coerente e radicale fu senz'altro Ernst Niekisch; a questo movimento possono inoltre essere ricondotti alcuni rivoluzionari-conservatori come Ernst Juenger, Ernst von Salomon, August Winnig, Karl Petel, Harro Schulzen-Beysen, Hans Zehrer, i comunisti Laufenberg e Wolffheim, e persino alcuni esponenti dell'estrema ala sinistra del Nazional-socialismo, come Strasser e, per un certo periodo, Joseph Goebbels.