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  1. #1
    LiberaMente
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    Thumbs down Sentite sentite il signor Muoni sulla Nuova di oggi

    In sa Nuova (Nazi) de oe

    Il rischio delle posizioni nazionalitarie cancellino la questione della cittadinanza e del potere
    SE L’ETHOS OSCURA IL DEMOS
    L’indistinto della nazione cancella le differenze di classe
    Di leandro Muoni

    A “pompiare sos sinnos”, osservare i segni. Così era solito raccomandare Michelangelo Pira, ai suoi bei giorni. Pur non condividendo di solito il tipo di analisi che il grande antropologo scomparso ricavava poi dall'enunciazione di un simile principio, dobbiamo riconoscere che "osservare i segni" rimane uno dei precetti di più alto valore universale formulati da parte di un esponente dell'intellettualità sarda del nostro tempo. E —vorremmo anche aggiungere — da parte di una personalità sarda di levatura nazionale, per quanto l'espressione della sua idea fosse affidata, nella
    fattispecie, a una veste linguistica dialettale. Come a dimostrare che non esiste necessariamente un'incompatibilità connaturata tra dialetto e macro-nazione, quando la stoffa c'è.
    Lo spunto per ripensare alla massima di Michelangelo Pira ci deriva dalla notizia poco simpatica del recente clamoroso declassamento subito dalla lingua italiana in sede comunitaria europea, con l'esclusione del nostro idioma da quelli ufficiali in cui vengono tradotte le conferenze Stampa dei commissari dell’Unione Allora proviamo ad avvicinarci alla questione, e a conservare i segni che trapelano da una simile circostanza, gli elementi-spia che possono rintracciarsi attraverso l'indagine attenta e disinteressata.
    Scartiamo innanzitutto la tesi polemica, abbastanza semplicistica e scontata, che riconduce l'incidente a motivazioni attinenti agli schieramenti politici, nel senso delle responsabilità dirette del governo di un certo colore piuttosto che di un altro.
    Un governo Prodi o un governo Berlusconi qui davvero pari sono, anche se talune dichiarazioni minimizzanti e riduttive del premier, che sembrerebbero avallare un fatto compiuto, risultano davvero incomprensibili e inaccettabili.
    Le cause reali dell'evento stanno più a monte. E sono state bene individuate, all'indomani dell'allarmata denuncia del presidente della Crusca Francesco Sabatini, da acuti osservatori come Ernesto Galli Della Loggia sul "Corriere della Sera". L'illustre opinionista ha chiamato in causa non solo il deplorevole stato degli istituti italiani di cultura all'estero e la lenta agonia della "Dante Alighieri", la quale ormai sopravvive a se stessa, ma anche la scarsa cura e la cattiva conoscenza della lingua italiana in patria, senza contare un sensibile calo di prestigio della nostra arte e cultura nel mondo.
    Non da oggi, per quanto ci riguarda, ci sforziamo di denunciare il clima strisciante, sottilmente antiitaliano, che va diffondendosi acriticamente in Sardegna nel comune sentire culturale. E non parliamo qui tanto delle situazioni macroscopiche imputabili a un rozzo nazionalitarismo a
    sfondo etnico, quanto di un'insidia più subdola, che proviene in apparente buona fede da quello che oseremmo chiamare il localismo travestito da cosmopolitismo. Insomma, qualcosa che fa tendenza, che fa molto chic.
    Oggi, nel campo delle arti, del costume e della cultura più in genere, si tende a indugiare dentro il compiacimento identitario, ma a correggere poi abilmente con una cera retorica dell'apertura a trecentosessanta gradi.
    Si oscilla così tra il localismo narcisista e l'internazioalismo apolide, si resta a metà del guado tra il locale e globale, senza la mediazione di una grande cultura nazionale che costituisca la camera di compensazione, il necessario raccordo storico, la cerniera democratica. Stiamo parlando evidentemente di quella grande cultura nazionale che potrebbe, ad esempio, essere volta a volta l'inglese, la francese, la spagnola, tedesca; e - perché no? - l'italiana.
    Eppure l'anello più debole, che oggi vediamo spezzato e declassato, è non a caso l'anello italiano al cui interno, e non da oggi, è nota la scollatura del vincolo culturale nazionale, che genera poi l'infausto pendolo tra particolarismo e cosmopolitismo. Un pendolo smascherato e analizzato a
    suo tempo da fini intelligenze: quali Croce, Gentile, Salvemini, Gramsci, Gobetti, Prezzolini. Ma oggi, di intelligenze così forse si è perso lo stampo.
    Oggi, anzi, sarebbe impensabile una rilettura critica del nostro cronico difetto di vita e cultura nazionale, in questo anomalo Paese dove peraltro allignano fior di intellettuali che rispondono al nome di Umberto Eco o Roberto Calasse. Eppure costoro non penserebbero mai ad un libro sul genere di quello scritto dal più illustre filosofo spagnolo, e maggiore allievo di Ortega y Gasset, Julian Marias: “Ser Espanol”. Chi scriverebbe oggi in Italia un opera intitolata “Essere italiani”? Oggi invece da noi il localismo "localeggia" a tutto spiano, magari mentre con l'altra mano "delocalizza" a tutto andare, e si fa bello con le penne del pavone di un cosmopolitismo a oltranza. I risultati poi si vedono: sono la decadenza o il declino della lingua e cultura italiana, quella lingua e
    cultura nazionale che poi dovrebbero costituire il mastice democratico, il tessuto connettivo tra il locale e il globale.
    Le suggestioni legate a una insidia di questo tipo abbiamo cercato di additarle a più riprese nelle nostre incursioni letterarie sulla società sarda, introducendo una formula che però non ha avuto fortuna. La riproponiamo comunque, sperando di riuscire questa volta più convincenti. E' una formula che ribattezza la celebre e ormai invecchiata antinomia di Antonio Pigliaru, del "regionalismo chiuso e del cosmopolitismo di maniera", ribaltandola e aggiornandola nel "cosmopolitismo chiuso (ovvero di facciata) e nel regionalismo di maniera (cioè incline alla retorica)". E questa volta i due estremi non si escludono ma anzi si toccano, si affiancano, si integrano e si completano a vicenda.
    Anche questa, a ben vedere, è una forma di provincialismo, un provincialismo alla rovescia, ancorché sofisticato e seducente, assai diverso da quel tipo di provincialismo che irritava tanto il povero e generoso Pigliaru, che si prefìggeva appunto di "sprovincializzare la provincia".
    Sul piano antropologico-culturale, relativo qui a una vera e propria "evitazione" dell'italiano, non parliamo poi del sintomatico atteggiamento dei cultori e custodi della lingua sarda, dei "sardofonisti" irriducibili (rubo amichevolmente la colorita espressione al pedagogista Tonino Mameli).
    Si pensi che non di rado essi arrivano al paradosso di preferire a certe parole che suonerebbero come inaccettabili forestierismi - peggio! - come italianismi in limba; a preferire loro - dicevamo - vocaboli assolutamente desueti ed obsoleti che, oltretutto, non sono altro che nudi e crudi ispanismi. E ciò sia detto senza alcuna difesa o panegirico del nazionalismo culturale italiano.
    Ma che farci. La Sardegna è talvolta uno strano paese, dalle curiose e incoercibili convinzioni collettive. Un paese dove magari si arriva al punto di appellarsi, a grande richiesta generale, alla tutela di in marchio Unesco a garanzia niente meno che dello status quo e dell'immobilismo,
    ritendendo che la cosa renda pure economicamente.
    Un altro esempio di intemperanza o insofferenza anti-italiana — questa volta sotto le specie della conflittualità antistatale — si verifica anche, con tutti i risvolti negativi sul piano di un'improbabile
    "ecologia della cultura", all’interno del lessico politico stesso. Un facile e malinteso spirito di rivalsa, da neofiti del federalismo in salsa italica, ha secondato peraltro una simile deriva lessicale.
    Per restringerci al caso sardo, sì assiste così alla messinscena di un copione anticolonialistico d'altri tempi, dove si cita a sproposito l'autoderminazione dei popoli, dove si esalta l'autarchia identitaria. E il cronico vittimismo, il complesso neocolonialistico del politicamente corretto, la cosiddetta "cultura del piagnisteo" (l'espressione è desunta da Robert Hughes) sembrano ormai suggerire le parole d'ordine di una nuova frontiera regional-nazional-popolare. i1 coro sempre più esteso dei
    propugnatori della riforma e della "riscrittura" dello statuto autonomistico.
    Ben altrimenti indirizzate dovrebbero essere — almeno così sommessamente riteniamo le riforme culturali che occorrerebbe intraprendere oggi nell'isola. Giacché il problema non è la storica oppure sintomatica carenza dello stato autonomistico, ma l'incapacità permanente di produrre
    autentiche forme di autonomia, in un quadro di competitività internazionale.
    Insomma, ci piacerebbe vedere, almeno a sinistra, dato che a destra finora sono state soltanto incoraggiate anzi favoreggiate clamorosamente tutte le derive localistiche e particolaristiche, a dispetto delle dichiarazioni di fede in un superiore "interesse nazionale"; ci piacerebbe vedere, almeno a sinistra — dicevamo - una cultura politica più attenta e sensibile ai valori interregionali e sopraregionali, i fondamenti di una grande patria culturale, vera e concreta intermediaria tra il piccolo villaggio e il vasto mondo.
    Magari, per imprimere un nuovo orientamento alla mentalità e al comune sentire, che indirizzi una buona volta l'asse della nostra storia recente e meno recente, la quale — nonostante gli avvertimenti lanciati da pochi lucidi testimoni critici del costume nazionale quali Antonio Gambino, Giulio Bollati, Walter Barberis — continua imperterrita a inventare e installare l'ethnos a tutto svantaggio del demos.
    --------------------------------
    Questo “signore” inizia veramente (non è la prima volta) a rompere i … Ma che cazzo vuole da noi sardi, adesso siamo anche colpevoli perché la lingua italiana viene esclusa in sede europea. Un discorso davvero farneticante ( e dice di non voler scadere nel nazionalismo italiano!!).
    Questo scrive per un giornale sardo (sardo si fa per dire, tra Nuova e Unione siamo messi male) ed inizia ad insultare chi non ragiona in un certo modo, “proitalia”; ma chi cazzo sei??????
    Invece di ringraziare i sardi che lottano per la loro autodeterminazione in maniera seria, coerente e pacifica, sputa veleno e offese “la Sardegna è uno strano paese”… una passata di Paesi Baschi avresti voluto, Stronzo!!!!
    Non ha capito che l’aria è cambiata, ce lo siamo levato dai coglioni questo senso di inferiorità ( e gli altri sardi ci arriveranno bene o male) dunque non attacca più caro Muoni, rassegnati e vai a fare le tue elucubrazioni sul “popolo d’Italia”… A DOMO TUA!!!
    Scusate lo sfogo, generalmente sono pacifico, ma questo è troppo…
    Ithokor
    Su Templare

  2. #2
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    le solite cagallonadas della N(azi) Sardegna...

  3. #3
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    Comunque, leggendo attentamente, ci si rende conto che siamo davanti ad un gruppo di "intellettuali" italiani evidentemente spaventati, le cose cambiano, e non lo fanno nel verso che vorrebbero loro. Così tentano l'arrampicata sugli specchi... Neanche a dirlo, tutta questa gente trova asilo in questo giornale, la Nuova Sardegna, lo stesso che mesi fa si rese responsabile di una ridicola ed infantile polemica contro la Lingua Sarda. Chissà come sarà contento "Liutzos"...




  4. #4
    LiberaMente
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    Cri, non è solo un problema di Nuova-Nazi, ma di "stampa sarda" in toto, per il resto sono d'accordo con te!
    Questi gettano merda a kili e impunemente, con una puzza sotto il naso che la senti fin lassu.
    Fortunatamente i loro articoli li leggono in pochi...
    Su Templare

  5. #5
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    Già lo credo, dopo quattro righe di callonadas mi stavo già addormentando.
    Sono arrivato fino in fondo solo per puro spirito agonistico... hai presente le gare di resistenza?!

  6. #6
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    il ministro dell'economia italiana vuole vendere le spiagge.....indovinate quali? e poi chi sara' l'aquirente che tra un po' sara' un ex presidente del consiglio? finalmente anche milano avrà il mare! Occhio pero'......siamo un popolo pacifico con il ramo d'ulivo in mano ma s'arresoja in bucciaca

  7. #7
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    çau Asbestos, benibenniu!

  8. #8
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    Originally posted by asbestos
    il ministro dell'economia italiana vuole vendere le spiagge.....indovinate quali? e poi chi sara' l'aquirente che tra un po' sara' un ex presidente del consiglio? finalmente anche milano avrà il mare! Occhio pero'......siamo un popolo pacifico con il ramo d'ulivo in mano ma s'arresoja in bucciaca

 

 

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