User Tag List

Pagina 2 di 9 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 82
  1. #11
    Iscritto
    Data Registrazione
    27 Apr 2005
    Località
    COSENZA
    Messaggi
    128
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Il dramma della colonizzazione; memoria storica

    Il Sud prima dell'Unità aveva - tra le altre - fiorenti industrie siderurgiche e rifulgeva soprattutto nella cantieristica navale (celebri, per esempio, erano i cantieri di Castellammare; quelli che costruirono in tempi moderni - non tutti sanno - persino la "Vespucci", su preciso disegno delle corazzate della gloriosa Real Marina Borbonica). L'industria estrattiva, quella chimica e di trasformazione (ricordiamo le saline e gli zolfi, per eccellenza), la siderurgia di Pietrarsa, Mongiana e Ferdinandea, la can-tieristica, la metalmeccanica, supportavano degnamente le prevalenti attività marittime e marinare, con le con-nesse attività turistiche e degli scambi commerciali (industria del corallo, cartiere, tessile, vetrerie, alimentare,artigianato, agenzie turistiche ecc…) - non solo nell'area del Mediterraneo, ma fino alle Americhe - come si legge dall'attenta analisi dei nostri primati nazionali, europei e
    mondiali. L'intelligenza e la lungimiranza dei suoi governanti seppero sostenere, far evolvere e tesaurizzare le peculiarità specifiche della particolare geografia e condizioni climatiche di quel Regno che confinava con "l'Acqua Santa e L'Acqua del Mare" - come felicemente ebbe ad esprimersi Re Ferdinando II di Borbone, autore della più felice e concreta in assoluto Riforma Finanziaria delle Due Sicilie - e la ricchezza della Nazione poggiava prevalentemente sul binomio "Campania Felix" e "Mare Nostrum", dal quale scaturivano le diversificate attività conserviere, artigianali, manifatturiere e della industria pesante, in un regime di libera concorrenza persino con la "assolutista" Real Casa.
    Il fenomeno dell'emigrazione - di quei tempi - era inverso: dal Nord si scendeva in quel che è detta ora "Terronia" per trovare lavoro o per investire (specialmente - tra gli stranieri - numerosi erano gli inglesi ed i francesi) nell'imprenditoria; persino, nella Finanza (vedi, il banchiere Rothschild!). Addirittura, le prove di conio della moneta inglese erano costantemente sottoposte all'esame degli artigiani della nostra Zecca, considerati tra i più esperti maestri d'arte orafa e argentiera e…il pavimento del Banco di Napoli - riportano le cronache dell'epoca - crollò sotto il peso della riserva aurea nazionale stipatavi, tanto per citare un dettaglio… piuttosto che un altro…
    No, non è il prologo di una Fiaba; ciò che racconto è verità e non è neppure mitologia o epica, poiché è storia di neppure un secolo e mezzo fa, che ancora si respira, passeggiando per le strade di Napoli, laddove la sua gente - la cui più sana prerogativa è soprattutto quella di appellare le cose con il loro nome - si ostina a chiamare la "Via Roma" ancora "Via Toledo", la "piazza del Plebiscito" ancora "Largo di Palazzo", la "piazza Trieste e Trento" ancora "piazza San Ferdinando" e… "Via… dicendo"…
    Il "Risorgimento" (del solo Nord, purtroppo) tra i pochi fatti ed i troppi misfatti si macchiò della primaria colpa - ai danni del Sud - della "continentalizzazione selvaggia" delle Due Sicilie, negando - di lì in avanti e per sempre - ogni specificità, ogni possibilità di sviluppo, di sussistenza, di autonomia, addirittura di "economia" all'intero Mezzogiorno…quasi, a cagione di un sommovi mento tellurico, ne fosse stata radicalmente mutata la geografia!
    Neppure all'epoca dell'Impero Romano e del Vicereame Spagnolo il Sud fu così spietatamente invaso e colonizzato!… Mutata la geografia, mutò la geopolitica! I nostri numerosi e importanti porti, cantieri navali, bacini di carenaggio e scali merce e passeggeri, che erano stati fino allora il fulcro del Mediterra-neo furono retrocessi agli ultimi posti in classifica; molti, smantellati, tagliando così le vie della produzione interna e dell'esportazione.
    Tutto l' "interesse" (nel senso più volgare dell'accezione) si spostò sulle coste della Toscana, qualcosa nelle Marche e soprattutto nella piccolissima Liguria, per la resurrezione di Genova. I cantieri militari furono tutti impiantati nella minuscola e spopolata La Spezia, che vide - nel giro di pochi anni - triplicare i suoi residenti.
    E' motivo di amara riflessione anche il fatto che a tutt'oggi, in un'Italia che brulica sulle sue coste di Musei Navali, di primo, secondo e terz'ordine, ancora si nega alla gloriosa tradizione marittima e marinara napoletana (che era competitiva solo di quella Inglese, in tutta Europa) l'orgoglio di un legittimo trofeo alla memoria, stancamente annuendo, anche nei tempi odierni del Progetto Nausicaa dell'Ente Porto di Napoli, che se la marineria partenopea ci tenesse proprio tanto ad essere eternata in un suo pantheon, potrebbe accontentarsi al più di un paventato "Museo dell'Emigrante", magari intitolato "Partono 'e Bastimenti"…chissà?…
    Tanto, per sottolineare ancor più la nostra risorgimentista qualifica di Bifolchi, Briganti ed Emigranti, scientificamente definiti dal Lombroso (ch'era anch'egli un figlio della Diaspora poiché di origine ebrea, eternamente errante) dolicocefali e non dignitosamente brachicefali, come i nostri "Fratelli dell'Italia di su". E, tutto questo, in barba alla vera scienza medica che pure da noi sbocciò autorevolmente, con la Scuola Salernitana e con la Prima Cattedra di Fisiatria! Solo per dirne qualcun'altra a caso. Diventammo - e, lo siamo ancora - la più grossa fetta di mercato del Nord, consumando solo ed esclusivamente prodotti del Nord; quegli stessi che da noi abbondavano e che non ci fu più possibile produrre, perché anche le nostre strutture produttive furono traslocate al Nord, quando non serrate del tutto perché intrasportabili, creando ulteriore disoccupazione. Persino la carta per i ministeri, per i loro uffici decentrati del Sud, ci arrivava da Torino!…no, la carta igienica, per fortuna, di quei tempi non era stata ancora brevettata… anche perché non erano stati ancora costruiti, con la "Risanamento" (che pure fa rima con "Risorgimento") palazzi di "10 piani di morbidezza"… ma la carta-danaro, che sostituiva l'oro dei ducati sonanti e delle effettive riserve auree… quella, purtroppo, si iniziò a produrla ed a diffonderla a febbrile gittata continua, proprio da lì : dalle fonti d'origine del nostro italico ed insormontabile DEBITO PUBBLICO, che ancora lievita…lievita. Da allora!
    Lo sfascio del Sud continua nel presente; anche un cane randagio se ne accorgerebbe. Purtroppo, è la stessa classe dirigente del Sud che continua a ficcare la testa nella sabbia, come uno struzzo! Non ho descritto, in apertura, il Paese dei Campanelli né la Val di Cuccagna ma se - ormai è evidente - i trascorsi meridionali, al sole del presente, rifulgono ancora nostalgicamente sul palcoscenico dell'odierna amministrazione della cosa pubblica, è facile decifrare i segnali di un Sud che racconta di quanto "stava meglio" quando - come si ostinano a riferire i bugiardi - "stava peggio"!
    E' oltremodo inaccettabile, immorale (o, meglio, amorale) e - ci sembra - pure un tantinello anticostituzionale che al Parlamento Italiano siedano, invece, reazionari secessionisti di una regione italiana, con un "suo" parlamento di mantovana memoria, che non è mai esistita né geograficamente né storicamente : la Padania, di cui neppure i gloriosi "Serenissimi " ambiscono far parte… La Padania surreale che si è trasportata al Nord, con benedizione urbi et orbi, il Treno Pendolino Napoli/Milano che ora è Napoli/Gallarate; quasi che Gallarate, rispetto alla storica ed artistica Caserta (dove non è prevista fermata) abbia avuto l'imprimatur regale di capitale morale del Nord… La Padania, che si è costruita in fretta e furia (prima che scadessero le sovvenzioni) Malpensa…
    che si è presa di peso, come da un solaio polveroso, la Televisione di Stato, Rai 2!… Cosa aspettano i Romani di Rai uno ed i Padani di Rai due a sdoganarci la Rai tre a Mezzogiorno?
    Vogliamo dimenticare di quando il Garante per la Pubblicità certificò che la VERA MOZZARELLA DI BUFALA era di esclusiva marca VALLELATA della padano-alemanna GALBANI? … Ci offre da pensare il fatto che la PASTIERA NAPOLETANA, da qualche anno, non è più quella "evangelica" di SCATURCHIO ma quella industriale della BAULI di Verona?… Che i pomidoro e la pasta pare si producano solo in Emilia… che supermercati ed ipermercati vendano agrumi africani e spagnoli, disdegnando la nostra tipica produzione, esportata sino al secondo dopoguerra?… Che la succursale milanese della prestigiosa NOSTRA Scuola Militare della Nunziatella è ora Collegio Teuliè della II Scuola Militare dell'Esercito di Milano?…. che il Ponte sullo Stretto si farà con i soliti appalti ai "soliti noti" del Nord, lasciando volutamente in essere sul territorio meridiano le infrastrutture già obsolete, per emarginare ancor più le realtà locali del "sud del Sud" ed a discapito pure di quella minima economia che supporta quella miserella Fata Morgana, in casa sua, per mezzo delle piccole attività connesse all'indotto del traghettamento (com'è avvenuto di recente in Grecia, con la creazione di altra povertà immolata su di un altro ponte… olimpico)… I tempi malsani del "Lassammo sta', Tirammo a Campa'" ci si auspica finiscano al più presto! Uomini giusti al posto giusto, servitori della Patria che non si servano della Patria; questo, è quanto il Sud, NAPOLI, da sempre reclama.
    Risulta veramente impossibile prendere la temperatura basale al Mezzogiorno, costruire grafici di funzioni impazzite, diagnosticarne i mali e prescrivere a distanza, dai celebri nosocomi di Roma e Milano, farmaci e rimedi palliativi se le cartelle cliniche, l'anamnesi stessa, è andata smarrita, quindi ogni eventuale diagnosi è necessariamente affidata allo sciamano o curandero di turno, con un sempre più pittoresco rito woodoo, semplicemente perché i dati statistici dell'economia e finanza meridionali non riguardano mai in assoluto le tasche del solo meridione. Finiamola di nasconderci dietro un dito e se davvero c'è la volontà da parte degli Amministratori della "Res Publica" di risanare TUTTO il sistema nazionale - prima che noi ITALIA si finisca come l'Argentina - è d'obbligo tastare il polso ad ogni differente realtà locale ed evitare troppi decentramenti politici ed amministrativi. Occorre approfondire con competenza e professionalità i punti salienti del decadimento di una "civiltà" e se, spesso, durante l'analisi qualche dettaglio indica qualche punto di qualità in opere e provvedimenti del lontano passato, occorre avere l'umiltà di verificarli e di adeguarli al presente, lungi dagli americanismi bocconiani e dallo yuppismo manageriale dell'ultim'ora. Nel caso della Campania e di tutto il Mezzogiorno, spie indicative della cattiva gestione le ritroviamo nello sfascio del glorioso Banco di Napoli e nel fallimento totale della Cassa per il Mezzogiorno e dell'AgenSud. Vi sarebbe necessità al sud di una Banca Centrale "autoctona" perché, come va dicendo da anni l'illustre professore Nicola Zitara, "Il problema sociale e politico non è rappresentato tanto dal fatto che il risparmio meridionale è sempre finito a Milano, quanto che la banca, qui da noi, finanzia soltanto i consumi, mentre si guarda bene dal finanziare gli investimenti, evidentemente molto più rischiosi". La Banca, al Sud finanzia solo gli acquisti di merci che,stante il mercato, sono quasi sempre nordiste, accaparrandosi il risparmio della collettività meridionale, sacrificato a favore del consumismo e negato agli investimenti produttivi. Zitara ne conclude che "…infatti, una parte consistente (del risparmio), circa il 25%, parte dagli sportelli meridionali e fa un lungo viaggio per essere messo a disposizione degli sportelli centrosettentrio-nali ed è un'altra violenza che l'istituzione bancaria nazionale fa agli automatismi di mercato". Sulla cosiddetta Politica Agricola Comunitaria è illuminante la razionalità dell'economista agrario Roberto Fanfani (L'agricoltura in Italia/Il Mulino/1998) il quale ritiene che il sostegno effettivo dei prezzi e dei mercati ha privilegiato i prodotti tipici delle agricolture continentaliereali, seminativi, latte, carne bovina e suina… Le colture mediterranee, circa il 25% della produzione agricola della UE, beneficiano solo del 12%del totale della spesa per il sostegno dei prezzi. Il mercato agricolo comunitario è evidentemente falsificato dal fatto che l'UE, come tutti i paesi imperialisti - dall'Inghilterra di Gladstone all'America di Bush, come rileva ancora Zitara - "è liberista a casa degli altri e protezionista a casa propria". Il Sud, pur essendo dentro l'UE, fa parte degli "altri" e soggiace, invece che partecipare, al protezionismo comunitario e alle frontiere daziarie elevate a difesa dei settori che s'intende proteggere. L'impegno profuso dagli agricoltori meridionali tra il 1835 e il 1950 (cnfr.Zitara) non è ripetibile. Accadeva, allora, che la quota di surplus proveniente dall'esportazione olearia, ad esempio, venisse in parte reinvestita nelle piantagioni agrumicole e nell'orticoltura da esportazione ma al Sud, oggi, non esiste più un surplus agricolo ma esiste solo del risparmio da lavoro subalterno effettuato al Nord o per aziende del nord. Ogni collettività produttiva (un'azienda-nazione) se vuole continuare a produrre, deve risparmiare una parte del valore prodotto (surplus) e investirlo in macchine e impianti (capitale) ma accade - (Zitara) - che l'azienda-Sud (coloniale rispetto all'azienda-Italia e al sistema capitalistico europeo) sia invisibilmente depredata del suo risparmio per opera del corso nazionale della moneta e - già ora, e molto più in futuro - della moneta comunitaria. In breve? L'economia e lo sviluppo al Sud sono "il gatto che si morde la coda" : finirà col produrre solo un buco nel terreno! Allo stato dei fatti, ritengo, per noi che siamo la CULLA della CIVILTA' ovvero la Patria della DEMOCRAZIA e la CULLA del DIRITTO, che non vi fosse la necessità di rinunziare alla nostra CULTURA, sventatamente metabolizzando usi e costumi - persino la LINGUA! - tipicamente anglosassoni, snaturandoci e negando, quasi irridendole, le nostre prerogative. La nostra stessa IDENTITA'.
    Il problema degli eccessivi decentramenti, dei cento e cento costosissimi parlamentini regionali e provinciali (fotocopie mal riuscite del Parlamento), l'eccessiva privatizzazione, la cartolarizzazione selvaggia, la stessa Riforma della p.a. che ha sviluppato, esasperandolo, un malsano concetto di aziendalizzazione dello Stato, nel contesto europeo non può altro che renderci più deboli e meno credibili; in specie oggi, con l'ingresso dei Paesi dell'Est nuovi destinatari di quei fondi europei che da noi al Sud non arriveranno più. Che cosa dire poi di un federalismo che assegna il gettito dell'IVA alla regione che incassa e non a quella che la paga?…Che ripartisce le entrate fiscali in modo che le regioni ricche possono spendere di più senza aumentarsi le tasse?…Sia chiaro, signori federalisti e "devoluzionisti", esterofili yankees del "Welfare", dell' "I Dream", della Deregulation, di Microsoft, di Micky Mouse eccetera, che se il Sud non avrà più soldi da spendere; anche il Nord avrà ben poco da incassare e non saranno certo Sua Maestà Britannica o il presidente degli Stati Uniti a sostentare l'ITALIA UNA con le segmentazioni e le gallette di altri piani Roosvet o Marshall. Nonostante l'allure di facciata, siamo desolatamente consapevoli, oggi più che mai, che l'ostentato protagonismo ed efficientismo dell'Italia in Europa e presso gli U.S.A. è solo un'operazione d'Immagine; per quanto compete il Contenuto "Italia" il clima d'incertezza nazionale, accentuato dalla perniciosa litigiosità delle opposte forze politiche (attente solo nel gestire parrocchiette d'elettorato) è essenzialmente misero. Proprio di questi giorni, mentre va a definirsi la presente pubblicazione, ci arrivano segnali inquietanti che non è possibile ignorare e che sono relativi a tre importanti eventi nazionali. Cronologicamente: l'inaugurazione della Fiera del Levante, la Finanziaria di Siniscalco e la riunione caprese dei Giovani Imprenditori che, dopo le ultime insospettabili esternazioni sudiste dei già citati Tremonti e Fazio, hanno esageratamente rivendicato il SUD. E' meglio procedere con ordine e…con buonsenso.All'inaugurazione della Fiera del Levante le autorità locali e le maestranze si sono imprevedibilmente votate all'insubordinazione, ad esempio, uno per tutti: il Sindaco di Bari, il cui sanguigno intervento è parso ricalcare anzi omologare quelle giuste istanze meridionaliste fino ad IERI bollate come CRIMINALI RIVENDICAZIONI meglio rapportabili alla categoria dei reati contro lo Stato. "Finalmente!" ha sospirato più di qualcuno "Vuoi vedere che la Democrazia è arrivata anche qui da noi, via etere, sull'esempio concreto dei noiosi e volgari confronti yankee Kerry-Bush; i… "Bignamini" della Democrazia USA e Getta?"; altri meridionali hanno preso a fantasticare di poter ben presto ascoltare simili dichiarazioni d'Identità e di Orgoglio Meridionale dai loro sindaci ed amministratori e la molla sudista ha scatenato un entusiastico uragano di consensi ai nuovi "salvatori della Patria", depistando come volevasi l'attenzione dal passato recente che ha visto questi stessi politici di provincia (in carriera per Roma o Bruxelles) sempre molto disattenti alle problematiche delle loro realtà locali. Insubordinazione forse conseguente ai già nefasti effetti di rubinetti patri che non zampillano più allegramente miele e ambrosia alle amministrazioni del Sud? Altrimenti, non si spiegherebbe questo ritorno di fiamma patriottico/pre-unitario, perché di "ascari" meridionali (per il Sud, nemici peggiori dell'antico conquistatore a volto scoperto) dal 1860 ad oggi n'abbiamo avuto addirittura branchi, greggi, mandrie.
    Il buonsenso ci dice di essere cauti e che l'esperienza insegna. Il dettato evangelico c'esorta ad essere candidi come colombe ma attenti come serpenti e nello sfavillio del buonismo italiano non è sempre oro tutto quel che luce! In breve: i governi passano; lo sfascio resta. Al di là delle belle parole - quelle che volevamo sentire! - si nota sempre la desolata assenza di alternative, di proposte, di azione e se è vero che si riconosce l'Uomo dalle sue Azioni e non dal suo Pensiero, come Diogene il Mezzogiorno sta ancora cercando il suo Uomo.

  2. #12
    Iscritto
    Data Registrazione
    27 Apr 2005
    Località
    COSENZA
    Messaggi
    128
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Per schiarirvi le idee: Le vergogne d'Italia,ovvero la storia nascosta

    .
    Conti alla mano, di un debito storico di oltre sette milioni di miliardi che il resto d'Italia (Roma e Milano principalmente) ha contratto con il Sud. A questo aggiungi, tra i tanti flussi di ricchezza dal Sud al Nord, alcuni visibili altri no: protezionismo agricolo ed industriale comunitario; scambio diseguale tra aree a diversa quota di capitale per addetto; uso del risparmio meridionale per finanziare gli sbocchi dell'industria padana sul mercato meridionale; esportazione di capitali (attraverso Banche, Poste, Cassa Depositi e Prestiti); concentramento al Nord del sistema assicurativo privato e a Roma di quello assicurativo e previdenziale pubblico. Puoi spiegare connessione e dinamica di questi aspetti?
    Ovviamente non esiste, né è mai esistita, ufficialmente una statistica dell'avere del Sud nei confronti del Nord. D'altra parte, se in Italia c'è una cosa che si vuol tenere nascosta è proprio questa. "Al villan non far sapere…". Tuttavia, se evidenziamo situazioni e fatti si possono avere delle stime attendibili.
    Prima, però, mostriamo qual è la chiusura di un secolare e disastroso bilancio. Confrontando il numero degli abitanti con il numero degli occupati, si ha che al Centronord questi sono circa il 40 per cento, mentre al Sud sono circa il 25 per cento. Il deficit occupazionale del Sud si avvicina alla cifra di tre milioni di non produttori.
    Gli occupati, invece, sono circa cinque milioni in bianco e forse 500 o 600 mila in nero. Ma cosa fanno i lavoratori in bianco? In larga parte sono occupati nel terziario, nell'artigianato delle riparazioni e nell'emarginata agricoltura. In sostanza, producono poco o niente. Anzi una percentuale significativa di loro - a partire dai grossi commercianti, per arrivare ai giornalieri che vanno la notte a scaricare le cassette di frutta trentina ai mercati generali - è legata allo smercio di prodotti settentrionali, i quali, dalle macchine al prezzemolo, hanno ormai fatto tabula rasa di ogni produzione meridionale.
    Si può complessivamente stimare che il Sud manchi di attività produttive vere e moderne per una cifra di 5 milioni di uomini e donne. Considerando che un posto di lavoro vero e moderno impegna una cifra media di un miliardo e mezzo, si arriva a definire in otto milioni di miliardi ciò che il Sud ha perduto a causa della colonizzazione italiana. La cifra definisce il costo complessivo di macchine, impianti, economie esterne necessari a ricostruire il Sud in termini capitalistici. Un esborso surreale per della gente invigliacchita dai facili profitti, come i capitalisti padani.
    Il conto, poco elegante, è tuttavia utile a mostrare le dimensioni del fenomeno improduttivo. Declinata, a partire dei primi anni settanta la domanda europea di lavoratori italiani (troppo caro impiegare manodopera comunitaria!), il Sud ha varcato il confine tra sovrappopolazione e disastro antropologico. Con la sua ingordigia (in ultima istanza, perdonabile), con la sua insipienza (non perdonabile), con le sue scomposte velleità, lo Stato italiano ha rovinato un paese di gente civile e laboriosa. Ormai siamo al punto che, se non ci fossero gli stipendi dei nullafacenti del terziario statale, degli incendiari regionali, nonché le pensioni degli ex nullafacenti statali, il commercio lecito e illecito, la vita al Sud sarebbe già a livello somalo. Cosa che, peraltro, rappresenta una ineluttabile prospettiva per le future generazioni, salvo che il regime d'occupazione non vada a gambe all'aria. Eppure il paese meridionale è entrato in Italia portando una dote di tutto rispetto. La stima - o meglio l'elenco - relativo conferma che il saccheggio tosco-padano e romano corrisponde, in termini di lucro cessante, a una cifra persino superiore a quella denunziata sotto la forma residuale di danno emergente.
    1) Nel 1860, l'agricoltura meridionale era in pieno sviluppo, anzi a stare a quel che ha scritto Rossi-Doria - uno che di economia agraria se ne intendeva - in una fase rivoluzionaria. Al momento dell'annunciato (ma falso) pareggio (di bilancio) tra entrate e uscite statali - intorno al 1874 - fu detto che "le esportazioni meridionali salvarono l'Italia". Sottinteso: dalla situazione di bancarotta che Cavour e compari avevano provocato saccheggiando lo Stato. Se si seguono le curve delle esportazioni italiane tra il 1861 e il 1914, si osserva che l'olio, il vino e gli agrumi, per decenni, inseguono da vicino quella di seta greggia, la classica esportazione delle regioni padane, che poi fu lentamente abbandonata quando il Nord poté industrializzarsi usando i dollari delle rimesse degli emigranti.
    Al confronto con l'Inghilterra, la Francia, la Germania e altri paesi dell'Europa continentale, l'Italia del 1860 è un paese povero che paga le sue importazioni con l'esportazione di prodotti agricoli. Anzi, fino agli anni cinquanta del secolo ventesimo, affievolitasi l'esportazione serica, sul proscenio degli scambi mondiali la sua forza economica viene essenzialmente dalle quattro produzioni elencate. Anche il surplus sociale - sia quello creato spontaneamente dai produttori sia quello coattivo realizzato con l'estorsione di famelici super-tributi - viene ottenuto in detti settori. Basta scorrere un sommario di statistiche storiche per sapere che le esportazioni meridionali pagarono (senza una vera contropartita) i 18 mila chilometri di ferrovie costruiti fino al 1920, più gli interessi per i debiti contratti all'estero, più gli intrallazzi dei mediatori padani, più gli smodati lucri che gli stessi fecero con i subappalti (neanche cento Michele Sindona sarebbero stati capaci di fare altrettanto!).
    La preminenza commerciale del Sud si prolungò oltre il secondo dopoguerra, senza contare che l'olio, il vino, i limoni, le arance, le essenze di bergamotto e di gelsomino furono il primo biglietto da visita delle esportazioni italiane in Europa e Oltreatlantico - molto più accattivanti di quanto oggi siano le scarpe e il formaggio parmigiano.
    2) Nel 1863, a due anni dall'unificazione sabauda, si ebbe l'Esposizione Internazionale di Parigi. In tale occasione, chi comandava in Italia dovette verificare l'arretratezza dell'industria nazionale. Fu chiesto, allora, al direttore del ministero dell'industria, il milanese ingegner Giuseppe Colombo, forse il tecnico più aggiornato del paese e futuro fondatore dell'Edison, quale fosse in Italia l'impianto meccanico capace di costruire e riparare vetture ferroviarie, macchine a vapore e rotaie. Con ponderazione e senza spirito campanilistico il funzionario indicò le cosiddette Officine di Pietrarsa, in realtà una vera fabbrica nel settore meccanico. Però a Pietrarsa fu preferita l'Ansaldo, proprietà di uno dei compari del defunto Cavour, la quale era nata con i soldi elargiti dal re sardo. Con i soldi dello Stato, a sua volta napoletano, era nata anche Pietrarsa, solo che Ferdinando II non la regalò ad alcuno. I Borboni "negatori di dio" - per loro sfortuna privata e pubblica - non erano liberali e neppure nelle grazie del club massonici londinesi, sale del mondo.
    Non sempre gli italiani amano ricordarlo, ma l'Italia è divenuta un paese dotato di un'industria capace di vendere all'estero solo a partire dalla Vespa e dalla Lambretta, cioè nel secondo dopoguerra. Nel 1860 non esisteva che una sola area industrializzata, quella intorno a Napoli, la megalopoli (già a quei tempi) diffusa tra Salerno e Caserta. Scrivono gli storici italiani (in verità mi pesa dare un titolo altrove rispettato a degli autentici ruffiani) che la politica liberista, voluta e imposta da Cavour alla nazione, mostrò quanto fosse fragile e poco competitiva l'industria napoletana. Sarà pure vero che non fosse forte, però l'Ansaldo continuò a ricevere, attraverso una banca creata ad hoc, poderose iniezioni di danaro pubblico anche dopo la morte di Cavour. Il tutto, prima e dopo, alla faccia del liberismo, il quale per i cosiddetti moderati italiani altro non era, in effetti, che l'argent des autres. Il liberismo del bluffatore e speculatore, divenuto per le mani degli storici imperiali l'assertore dell'unità e della patria libera, fu il coperchio sotto cui germogliò un sistema finanziario intrallazzistico, passato onorevolmente alla storia vera sotto l'efficace espressione di carnevale bancario. Il conclamato primato padano sta tutto in questo: nell'abilità a rubare, con i carabinieri impiegati come guardaspalla. Se l'Italia è stata ed è un paese politicamente cinico, non è tanto alla Curia che bisogna guardare, ma nei corridoi dei palazzi di Piazza Castello.
    Era salda, invece, l'industria napoletana e ben impiantata; ricca di mille attività. Negata dagli storici, la verità emerge attraverso i fatti e i manufatti. La testimonianza più eloquente la fornisce la vicenda dei cantieri navali di Castellammare di Stabia. Dopo la vergognosa sconfitta di Lissa, in gran parte dovuta all'inefficienza delle artiglierie piemontesi (chiaro presagio dei torinesi carriarmati Balilla con cui Mussolini voleva vincere la guerra), per ricostruire la flotta colata a picco, l'Italia non ebbe altro che gli antichi e gloriosi cantieri stabiesi, dove - a detta di un senatore USA - prestavano la loro opera le migliori maestranze navali del mondo. Qui, poco importa se progettata da un Benedetto Brin, l'Italia ricostruì la sua flotta. Le corazzate Lepanto, Duilio, Roma, Italia e altre di cui non so il nome, furono, nello scorcio di fine ottocento, le più ammirate al mondo. Mi è capitato persino di leggere che qualcuna di quelle navi - certamente ristrutturata - combatté la Seconda Guerra Mondiale. Ma quando si trattò di costruire dei cantieri militari moderni, il paterno Stato nazionale li volle a La Spezia, dove spese per trent'anni una fetta consistente di quel terzo del bilancio che era destinato alle forze armate, tanto che la cittadina, che nel 1861 aveva trentamila abitanti, al censimento del 1901 ne registrò più di centomila.
    E piaccia o non piaccia, sul finir del secolo, fiorì intorno a Napoli, e non altrove, l'unica industria italiana degna, a quell'epoca, di camminare sicura nel mondo. Cirio era un piemontese intelligente e audace, che trovò conveniente napoletanizzarsi, e il Sud che intitola strade a massacratori come Bixio, Cialdini e Lamarmora, dovrebbe intestargli almeno quella strada che a Napoli chiamano familiarmente il Rettifilo e che ufficialmente porta il nome indegno di Umberto I - il fucilatore dei Fasci Siciliani e il bombardiere di Piazza del Duomo, una intestazione servile, e non solo per la nazione meridionale, ma anche per la nobiltà dell'intelligenza umana. Cirio aveva capito che la diffusione dell'olio e del vino meridionali, nei paesi che gli emigrati raggiungevano, poteva essere il punto di partenza per una produzione su scala industriale e per l'esportazione di quelle conserve che i napoletani si fabbricavano in famiglia. Tentò e gli riuscì. Non credete ai libri dei mercanti di sapere! L'industria italiana non è nata a Milano né a Torino, ma a Nocera Inferiore, a Pagani, a Scafati, a Sarno.
    Il primo altoforno nazionale nacque trasportando da Mongiana a Terni il vecchio e - secondo gli storici pagati dalle nostre università - inservibile altoforno borbonico.
    3) Prima dell'unificazione, il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più grande e popolato d'Italia. Era inevitabile che fosse più industrializzato del Piemonte e della Lombardia. Ma sorvolando sui dati relativi alle grosse fabbriche private presenti a Napoli e dintorni, specialmente nel campo meccanico, tessile e cartaio, nonché sul vasto e fiorente tessuto di industrie alimentari, seriche e altre minori, vorrei far notare che intorno al trasporto navale e all'esportazione dell'olio e del vino, esisteva a Napoli e in Sicilia una diffusa borghesia armatoriale e commerciale, con vasti contatti mediterranei e mondiali: migliaia gli armatori - fra cui qualcuno dovette esser ben grosso se le navi napoletane erano in Italia le uniche che raggiungevano l'America e l'Australia; parecchie decine di grandi esportatori d'olio e di vino, gente ricchissima che a Genova, Marsiglia, Trieste, Lisbona, Amsterdam, Londra, Stoccolma, New York non era necessario che fosse presentata attraverso la fratellanza massonica, come Cavour, ma si presentava con il suo nome e cognome, noto ai Rothschild, che peraltro avevano a Napoli una loro Casa, e a tutti i grandi banchieri dell'epoca e in tutte le grandi borse del mondo. E poi tutto il secondo livello di agenti, procuratori, procacciatori, mediatori, accaparratori. Attorno parecchie case d'assicurazione navale. E infine un vero esercito di lavoratori portuali, di scaricatori costieri, di trasportatori, di barcaioli, di sensali.
    Il governo borbonico dava un contributo a fondo perduto ai costruttori navali e un privilegio doganale alla bandiera. Non fece i porti, come avrebbe dovuto, solo per avarizia. Ma non li fece neppure l'Italia Una, che i soldi se li scialacquava e che fu di una prodigalità sperperona con Genova, La Spezia, Livorno e Ancona, per non parlare di quella mussoliniana per Trieste e Venezia. Quel mondo marinaro, molto più attivo e anche più ricco di tutti gli imprenditori toscani, lombardi e piemontesi messi assieme, doveva andare distrutto perché Genova risorgimentasse agli antichi splendori navali e bancari. Sarebbe facile affermare che Bombrini, con le sue emissioni di cartamoneta garantite solo dagli archibugi dei bersaglieri, Bastogi, con la quarantennale truffa della Società delle Ferrovie Meridionali, Balduino, con i suoi loschi traffici intorno al tabacco e allo zucchero, annichilirono il Sud. Ma metterei in trono dei pidocchi. No, questi ladri, mai finiti in galera, furono soltanto i legittimi e unici avi del salotto buono della borghesia padana. In effetti, il Sud fu distrutto dai debiti che il Piemonte aveva contratto e che l'Italia continuò a contrarre per le costruzioni ferroviarie e per l'armamento dell'esercito e della marina sabaude, cose sulle quali s'avventò come una piovra il circolo dei patrioti facitori d'Italia, in testa a tutti non solo il citato furfante Bombrini ma anche quel palamidone del barone Ricasoli.
    4) In detta fase non si ha quel che cantano gli storici prezzolati dalla massoneria, cioè uno scambio tra merci moderne del Nord e prodotti agricoli (scalcinati) del Sud (scalcinato), ma lo scambio tra valori reali e cartamonetata inconvertibile, cosa che nell'interscambio tra due formazioni sociali, ancora chiuse in sé stesse, è lo stesso che dire furto (quella stessa cosa che vediamo con i nostri occhi a proposito del dollaro inconvertibile). Forti di un forte capitale fatto di carta e spesso di biglietti dalla serie duplicata - in sostanza emessi con frode della stessa legge fraudolenta che avevano imposto con subdoli artifici, senza che fosse necessario, il corso forzoso dei biglietti di Bombrini - i padroni dalla Banca genovese di Sconto invasero il Sud oleario, in ciò protetti dai prefetti, dai questori, dai carabinieri e dagli onorevoli meridionali, e lo schiacciarono. Tra il 1885 e 1890, in soli cinque anni il commercio pugliese e quello calabrese dell'olio passarono in mano agli uomini e alle società di paglia che coprivano gli eredi Bombrini. Il Sud - padroni e operai - perse tutto il valore aggiunto realizzabile dopo la spremitura delle olive. Una cifra enorme per quel tempo, una parte consistente del reddito nazionale.
    5) Oggi osano scriverlo anche i giornalisti pagnottisti: il Sud del 1860 era la parte d'Italia più ricca di risparmio e possedeva il doppio di monete d'argento dell'Italia restante. Garibaldi e in appresso i luogotenenti sabaudi trovarono nella sede palermitana del Banco delle Due Sicilie 5 milioni di ducati, pari a 21 milioni di lire, e nella sede napoletana una ventina di milioni, pari a 85 milioni di lire oro. La Banca Nazionale Sarda, prima che il Piemonte assoggettasse l'Italia, non riusciva a metterne assieme sette o otto milioni di lire. A Napoli e a Palermo, il credito veniva esercitato da un sezione del Banco, detta Cassa di Sconto. Si trattava di un'istituzione antiquata e rivolta a favorire il grosso commercio e i maggiori capitalisti, ma nel Regno era molto apprezzata, in quanto il finanziamento dei grossi ricadeva a pioggia su chi stava più in basso, giù giù, fino agli ultimi. Infatti, i ducati prestati dallo Stato ai privati commercianti, venivano incorporati in una fede di credito, che girava come un vaglia in lungo e in largo per il Regno, e chi voleva incassarla non doveva fare altro che presentarla al Banco, che non poteva opporre altra eccezione che l'irregolarità delle girate. La facile trasferibilità delle fedi di credito consentiva anche la speculazione sulle merci e sullo stesso titolo, il cui corso in genere faceva aggio sulla moneta. Evidentemente l'economia napoletana, sufficientemente ricca di circolante, non avvertiva l'esigenza di introdurre la moneta fiduciaria. Inoltre il sistema veramente precorritore di un titolo di credito garantito dallo Stato, di facile circolazione e pagabile a vista - una specie di moderna carta di credito - non permetteva quelle truffe bancarie alla tosco-padana, che fecero ridere per vent'anni l'Europa. Anche nel campo del credito a rischiare era solo lo Stato, allorché scontava la cambiale di un uomo d'affari. Il cavalier Sacchi, inviato da Cavour a studiare il sistema creditizio e il sistema fiscale napoletano, e in appresso ministro delle finanze del governo d'occupazione, scrisse che entrambi erano il meglio che potesse immaginare. Sicuramente meglio di quelli piemontesi. E' possibile che il Cavaliere non avesse capito che il sistema inaugurato dal suo padrone non voleva essere efficiente e corretto, ma solo ladro.
    6) Sicuramente le banche d'emissione, inventando una moneta puramente fiduciaria, svolgevano una funzione positiva a favore del commercio e della produzione dove scarseggiava quella metallica. Ma, sia in Inghilterra sia in Francia, l'eventualità che diventassero una fonte di speculazioni e di frodi era impedita. A una banca d'emissione che non fosse una cosca di sfacciati rapinatori, l'Italia arrivò, però, con trentaquattro anni di ritardo, a causa del predominio tosco-piemontese nel governo. Si dice dei catanesi, i quali misero le porte di ferro alla loro cattedrale solo dopo che la sacra reliquia era stata rubata. Così fece lo Stato italiano con la moneta avente corso legale. Eppure, già nel 1861, della necessità di un comportamento corretto, civile e sinceramente nazionale, si parlò anche in Italia, dove non si ignorava né il sistema francese né quello inglese. Il boss Bombrini, però, accettò l'idea (solo l'idea, però) di avere qualche accolito napoletano, ma resistette fieramente alla eventualità di sottoporsi a un qualche controllo. Cosa doveva nascondere?
    Si tratta di tema cruciale nella ricerca delle cause vere del sottosviluppo meridionale. In effetti l'eupatride giocava con due mazzi di carte. Usava il mazzo della Banca Nazionale per raccogliere danaro da prestare allo Stato sabaudo, che non badava a spese, e con l'altro mazzo finanziava antiche e nuove industrie genovesi e torinesi. Ufficialmente, queste operazioni venivano effettuate dal Credito Mobiliare di Torino e Firenze, dal Banco di Sconto e Sete di Tirino, dalla Cassa Generale di Genova e dalla Cassa di Sconto di Torino, le quali erano a loro volta finanziate sottobanco dalla Nazionale.
    Bisogna aggiungere che dopo l'unificazione nazionale, anche il Banco di Napoli, quello di Sicilia e la Banca Toscana presero ad emettere biglietti secondo il rapporto di valore di tre unità fiduciarie, in circolazione, per una unità metallica di riserva; sistema già vigente per la Nazionale. Ma nel 1866, la Banca Nazionale ottenne dal governo di essere esonerata dall'obbligo di convertire i suoi biglietti in valuta metallica. Per le Banca toscana e i Banchi meridionali rimase in piedi l'obbligo di convertire a vista i propri biglietti, tanto in metallo, quanto in biglietti sfregiati della Nazionale. Attraverso tale doppio passo, la Nazionale riuscì a risucchiare ingenti quantità d'oro e d'argento circolanti al Sud e a ricostituire le sue riserve metalliche. Infatti, appena, per un qualsiasi versamento - per esempio l'acquisto di una cartella del debito pubblico - un biglietto i una fede di credito del Banco di Napoli e di Sicilia finiva nelle mani adunche della Nazionale, il direttore dell'agenzia spediva un suo impiegato allo sportello del Banco emittente per farsi dare dell'argento. Fu una vera spoliazione coperta dallo Stato. Tutto il risparmio meridionale, che ovviamente veniva effettuato in moneta, quello dei ricchi e quello dei poveri, fu drenato al Nord, dove veniva moltiplicato per cinque, dieci, venti volte, attraverso l'emissione di moneta cartacea; una cosa che il governo vietò si facesse al Sud.
    Siamo al carnevale bancario. Bombrini usava lo Stato e i privati, pur di portare avanti il progetto cavourrista. Lo scandalo portò a un'inchiesta parlamentare, che si concluse senza un'aperta condanna del malfattore, come è inveterato costume padano. Risultò tuttavia che il corso forzoso - cioè l'incorvetibilità della moneta bombriniana - era un'escogitazione interessata.
    Ma interessata a che? Non lo si disse, ma lo si capì. E siccome quelle carte si possono leggere anche oggi, lo si capisce ancora: a salvare le quattro banche d'affari sovvenzionate dalla Nazionale. In sostanza le industrie che stavano dietro, accollando il prezzo della loro esistenza parassitaria ai meridionali, gli unici che in quel passaggio della storia nazionale possedevano argento monetato.
    In buona sostanza un pateracchio di equità e autonomia, coperto dai patriottici governi unitari, che costò agli italiani, e specialmente ai risparmiatori meridionali, una cifra di centinaia e centinaia di milioni del tempo, forse di miliardi. Il corso forzoso salvò il capitalismo decotto che era stato portato in auge da Cavour e adesso stava sotto l'ombrello della Banca Nazionale e contemporaneamente decretò la fine del capitalismo meridionale, privato delle risorse che storicamente accumulate e gli servivano per lavorare.
    Nei quattordici anni carnescialeschi che trascorsero prima di arrivare all'emissione sotto il controllo dello Stato, Bombrini, ne fece più di Arsenio Lupin. Tanto per darne un'idea, dal 1859 al 1874 passò da meno di 20 milioni di carta fiduciaria a circa 2 miliardi. Tutti soldi incassati dall'illustre padre degli intrallazzi patri, più ovviamente gli interessi che pagavano i debitori. Più - e qui siamo al codice penale, un codice penale mai spolverato nei suoi confronti - la speculazione sul debito pubblico.
    7) In breve, questo signore, nonché i suoi compari liguri, toscani e piemontesi prestavano allo Stato italiano l'importo delle emissioni di buoni del tesoro, ottenendo, su cento lire, uno sconto che andava dalle venti alle trenta lire. Collocavano le cartelle facendoci qualche guadagno. Giacché il corso calava inesorabilmente, ricompravano - con carta emessa dallo loro banca - le cartelle a un prezzo che scese fino a 21 lire. Siccome non avevano messo fuori che carta stampata da loro stessi, potevano tranquillamente aspettare la scadenza del titolo e incassare le 100 lire promesse. Era solo carta, ma carta che per legge si gonfiava di vera capacità d'acquisto. Molto spesso si pigliavano anche la briga di viaggiare fino a Parigi, dove i biglietti della Nazionale non li volevano e la povera Italietta era costretta a pagare in oro le sue cartelle del debito pubblico, per lucrare - senza aver rischiato un centesimo - anche l'aggio dell'oro sulla loro lira.
    Un patriota, più patriota di questo esultante amico del Conte (dalle braghe onte) è difficile non dico trovare, ma solo immaginare. Peraltro il galantuomo non poteva mangiare da solo e, quindi, oltre a smazzettare danari fra i ministri, i deputati, i re, i principi e le principesse reali, doveva dar da vivere anche a gente con i genitali normali. Così gli illustri patrioti che gestivano le quattro banche di credito industriale già citate, nonché i grandi precursori dell'industria padana che incassavano danari meridionali. I trucchi e le ladronerie di questi signori, nel quadro dell'agire capitalistico, rappresentano la norma, e sono additati solo quando non vanno a buon fine. Celebre a tal riguardo la censura di Maffeo Pantaleoni al Credito Mobiliare e al boss Balduino. Ma, qui, la questione è un'altra e riguarda la presa per i fondelli dei meridionali, intrappolati in un meccanismo dialettico di calibro diabolico che li vuole responsabili di un disastro del quale non solo assolutamente colpevoli, né retrospettivamente (la famosa arretratezza storica e le colpe dei Borbone) né contemporaneamente né posteriormente.
    Per concludere, è falso che il capitalismo padano fosse industriale sin dalle origini. Con una parola asettica si potrebbe dire che era finanziario. Ma non sarebbe la verità. La verità è questa: il rapporto tra Nord e Sud, sin dal primo momento, dette luogo a un saccheggio, a un caso quasi incredibile di accumulazione selvaggia, di tipo coloniale, che si è protratto fino al 1970 e oltre. Il salotto buono del capitalismo italiano non è stato e non è altro che una manica di ladri, e non solo agli occhi di chi non è liberale, ma anche agli occhi di un qualunque animal-spiritista. E infatti la letteratura economica e politica francese dell'epoca, la più attenta alle cose italiane, convalida detto giudizio.
    8) Ora, c'è da chiedersi perché il Sud non partecipò al carnevale bancario, con la conseguenza che i capitalisti meridionali perirono tutti e di loro si è perduto perfino il ricordo.
    Certo non erano confinanti con la Francia e con quello che insegnava la corruzione lì imperversante sotto gli Orleans, sotto Napoleone Terzo e sotto la Seconda Repubblica: una grande lezione di immoralità, sulla prima parte della quale Marx ha lasciato un suo incisivo commento, e che Emile Zola ha rappresentato con grande efficacia. Bisogna aggiungere che Cavour e suoi compari Bombrini, Bastogi, Balduino avevano ai loro comandi i bersaglieri, le artiglierie di campagna e i carabinieri. Cosicché, convinti che solo loro avevano i coglioni adatti a fare buoni affari, non lasciarono spazio alcuno alle ladronerie di altri eventuali patrioti.
    9) Ci sono parecchi segni che la distruzione della borghesia attiva napoletana e siciliana fosse un consapevole progetto di Cavour e dei suo compari. Per esempio Cavour buttò nel caminetto del suo ufficio di presidente del consiglio i registri navali del Regno delle Due Sicilie. Ma tranne questo scatto, non si scoprì molto con la parola e gli scritti. Certo chi sa leggerne i discorsi, gli articoli e le lettere, vede dispiegarsi l'ingordigia della persona che era stata coccolata e ben istruita sul da farsi nei club liberal-imperialisti di Londra e di Parigi. Ma, appunto, è necessario collocarsi da un angolo visuale diverso da quello che di solito occupano i postumi compari. Un posto, per la verità, pieno di chiodi acuminati che ti torturano i piedi e ti lacerano il sedere. Peraltro, se qualcosa scrisse che potesse comprometterlo, sicuramente fu raschiata dagli storici ufficiali. Sono, però, rimasti i fatti, che quasi sempre sono più squillanti dell'Inno di Mameli.
    Certamente Cavour fu la testa più lucida e la guida più capace dell'azione politica che portò alla nascita dello Stato italiano e al trionfo della borghesia quale classe dirigente nazionale. Ora, nessuno dubita che anche al Sud ci fosse al tempo, e che ci sia tuttora, una borghesia. I dubbi vengono circa i coglioni di questi borghesi, sia i già adulti, sia quelli in crescenza. Un altro dato è pur esso certo. Questi evirati borghesi possono essere efficienti se lavorano per gli altri, mentre per sé stessi, vanno sempre in bianco.
    Quando, a metà del cosiddetto decennio di preparazione, Cavour si rese conto che avrebbe potuto contare su Napoleone III per scacciare l'Austria dal Lombardo-Veneto e che anche l'Inghilterra auspicava tale risultato, da abile giocatore puntò forte: cedette ai banchieri inglesi e francesi il diritto di costruire una rete ferroviaria che congiungesse la Svizzera, e in prospettiva anche l'Austria, con il porto di Genova e fece ogni tipo di debito a lunga scadenza (o comunque facilmente rinnovabile), pur d'apprestare armi e logistica per i contadini liguri e piemontesi che avrebbe schierato in combattimento. Solo degli storici poco seri riescono a non scrivere che almeno una parte dei debiti sperava di farli pagare ai lombardo-veneti, una volta liberati.
    Gli andò meglio di quanto sperasse, perché Toscana, Emilia, Romagna, Umbria e Marche gli caddero fra le braccia. Il peso fiscale che avrebbe dovuto scaricare sulla sola Lombardia (non avendo ottenuto il Veneto) poté ripartilo su una popolazione più vasta e non sprovvista di risparmi. Appena l'Austria, che teneva sotto il suo tallone l'intero sistema italiano, venne sconfitta dall'esercito francese sceso in Italia, le borghesie terriere di dette regioni si resero conto che al potere degli Asburgo, fortemente ammaccato, potevano sostituire un nuovo potere; nuovo non solo in senso geografico, ma anche in senso sociale: la loro stessa classe, guidata da Cavour.
    I fatti attestano che un identico sentimento e non minore ardimento percorreva la borghesia meridionale, particolarmente la siciliana, alla quale dava motivo di gran malumore la condizione di non parità con Napoli, appena dissimulata dai gesti retorici dei Borbone.

    Ministro, e quasi dittatore, del Regno sabaudo, Cavour era un conservatore moderno e si conquistò un grande prestigio perché, meglio di chiunque, fece capire alla borghesia redditiera delle varie regioni che doveva rapidamente tramutarsi in borghesia moderna, se voleva ottenere il governo dello Stato e se voleva disporre di una forza capace di tenere a freno quelle rivendicazioni popolari, che pochi anni prima, nel 1848, avevano mostrato la loro virulenza. La sua lungimiranza, che si espresse in tante vicende, rifulse allorché, a regno già praticamente fondato, non si rimangiò le aperture fatte agli esponenti filosabaudi delle altre regioni.
    Si può obiettare che, a Italia fatta, non promosse una costituente nazionale, che creò un esercito falsamente italiano, che conservò l'amministrazione piemontese. L'interregionalità si ridusse al solo parlamento, anzi essenzialmente alla camera dei deputati e solo in qualche modo al senato. Lo assolve, però, il fatto che il governo piemontese era già strutturato, mentre un governo nazionale sarebbe stato una vera incognita, per giunta in un momento in cui le potenze europee, la Francia essenzialmente, che pure della causa italiana era stata la fautrice pagante, non avevano pienamente assimilato l'idea che l'Italia non era più un'espressione geografica.
    C'è però una domanda. L'apertura mostrata verso i lombardi, i toscani, gli emiliani perché non si ripeté con gli uomini del Sud? Perché, morto lui, Cavour, il suo primo successore poté essere un toscano, e poco dopo un emiliano, mentre un meridionale arriverà alla presidenza del consiglio dei ministri solo dopo trent'anni di fraternità nazionale?
    La risposta è ancora nei fatti. La Toscana, l'Umbria, l'Emilia, la Lombardia, la Liguria, il Veneto, la Romagna, le Marche - realtà di splendori rinascimentali non interamente archiviati - avevano, esse, elaborato la cultura e il sistema sociale cittadino, signorile, urbano, alla fine del percorso borghese, che il Piemonte aveva lentamente interiorizzato e adesso sventolava, mentre al Sud il sistema sociale e la cultura sociale erano significativamente ben diversi: nazionali, regi, ancora cripto-feudali nonostante l'evoluzione mercantile delle campagne, e mercantilisti. L'illuminismo napoletano, che aveva pervaso prima il governo borbonico e poi quello degli occupanti francesi, era sì moderno, ma nel senso amministrativo, e quindi propugnatore di una rivoluzione che calasse dalle brache del sovrano. Il Napoletano era moderno, ma di una sua modernità nazionale, dove nazionale significa dinastico e borbonico.
    Trent'anni fa, Antonio Carlo ed Edmondo Capecelatro, sulla scia delle precedenti ricerche di Domenico Demarco, scrivendo contro il concetto di questione meridionale, posero il tema della diversa linea di sviluppo adottata dai Borbone: uno sviluppo guidato dall'alto, come quello giapponese, che andò a scontrarsi con l'animalità predatoria dell'invasore cavourrista. Il Regno si era strutturato in modo organico nel corso dei lunghi secoli in cui Napoli e la Sicilia avevano fatto da retroterra alle città rinascimentali, rifornendole di grano, d'olio, di materie prime e di semilavorati, nonché pagando ai loro usurai intessi sugli interessi di inestinguibili debiti francesi e spagnoli.
    Il regno aveva raggiunto un'autonomia economica di tipo autarchico, colbertista, con proiezioni mercantili lontane, essenzialmente Marsiglia e Trieste, ma anche Londra, Amsterdam e Boston, quindi un'economia del tutto diversa da quella tosco-padana, il cui costante punto di riferimento era la quieta Lione. In un mondo ancora largamente agricolo, Napoli contava sull'olio padronale, come surplus da utilizzare per gli scambi internazionali, mentre la Padania assegnava l'identica funzione alla seta contadino-artigianale. Al Sud un'eventuale avanzata voleva dire vino e frutta, nelle terre padane grano, carne e latte. E intorno a tali diversità si era andata sviluppando una manifattura di servizio e specialmente un terziario di servizio coerenti con i rapporti sociali vigenti. In sostanzialmente alquanto diversi fra loro.
    Quando Cavour ebbe in mano anche il Sud - in pratica tutta la penisola, meno il Veneto e il Lazio - e i sudditi sabaudi passarono da cinque milioni a più di venti milioni, fu costretto a cambiare il suo gioco, che da consociativo divenne accentratore. Il Regno d'Italia, così miracolosamente fondato e divenuto una potenza europea in fieri, non doveva sfaldarsi per amor di democrazia e di eguaglianza. Perché ciò non avvenisse, il nuovo venuto, il paese meridionale tanto diverso e infestato di mazziniani, doveva essere solo apparentemente sé stesso, cioè libero. Nella pratica, invece, bisognava che fosse omologato d'imperio al Piemonte, visto che non era possibile che lo facesse da sé, come le regioni del Centro. Forse Cavour non poteva non sbagliare, ma a partire dalla sua manomissione, per il Sud, ebbe inizio il disastro, che con il trascorre dei decenni divenne epocale.
    Fra le conseguenze della mala unità, il meridionalismo di fine ottocento giustamente puntò il dito sul passaggio, intorno al 1887, dal liberismo di marca inglese, che aveva aiutato la crescita delle produzioni meridionali, al protezionismo di marca tedesca, che ne annientò lo slancio. Un attenta analisi delle situazioni mi induce a credere che una grande responsabilità circa il crollo dell'imprenditoria sudica l'ebbe la rete ferroviaria padanista. Infatti, precedentemente il commercio napoletano d'esportazione si era svolto via mare, animando una quindicina di porti, tra siciliani, calabresi, campani, pugliesi e abruzzesi. Persino approdi che mancavano d'un pontile riuscivano a imbarcare e a sbarcare, ogni anno, merci per decine e centinaia di migliaia di tonnellate, creando - come ho detto sopra - intorno ai grossi mercanti regnicoli e stranieri una fitta rete di armatori, minori mercanti, operatori vari, nonché quelle percentuali elevate di addetti al settore secondario registrate nei primi censimenti italiani e che tanto sorprendono il professor Galasso (piemontese di Napoli).
    La rete ferroviaria ebbe come esito quello di abolire le strade marittime e le attività connesse, nonché quella fetta di mondo meridionale che vi operava dentro; centinaia di migliaia di persone. Anche questo l'ho già annotato: la facilità con cui i mercanti genovesi e limitrofi potevano attingere al credito bancario, fece il resto.
    Ma c'è ancora un'altra questione che mette a nudo l'animalità e la rozzezza governativa. La rivolta contadina detta del brigantaggio poneva con perentorietà il problema dell'assetto fondiario. Nell'antico sistema meridionale la tipologia dei contratti agrari accoglieva forme diminuite di proprietà, di cui beneficiavano i contadini, in particolare l'uso del demanio feudale a favore delle piccole colture annuali dei contadini, nonché per il pascolo e il legnatico. Tra gli enti ecclesiastici - conventi, abbazie, vescovati, parrocchie - e i coltivatori più poveri si praticavano alcuni negozi direi di soccorso, che, sintetizzando, prevedevano la cessione temporanea o permanente dell'uso del campo, in cambio di un canone o interesse ad aeternum, la decima, una rata annuale in natura o danaro, il più delle volte non consolidabile. La soluzione moderna data al problema nel corso dell'occupazione francese del napoletano (1806-1814) era stata quella di escludere i contadini da tali antiche consuetudini e di trasformare il feudo in piena proprietà. Quanto ai beni della chiesa, qualcosa era stata venduta già al tempo del primo Ferdinado (la famosa Cassa Sacra in Calabria), il rimanente si prometteva di alienarlo. Ma, in effetti, tanto i Napoleonidi occupanti quanto i Borbone restaurati non avevano fatto alcunché, sebbene gli uni e gli altri avessero fatto rutilanti promesse a favore dei contadini. In effetti i Borbone avevano deciso di far dormire il problema e lasciare che la situazione si decantasse da sé: i medi proprietari avrebbero fatto fruttare la terra, qualunque fosse il titolo del possesso; a loro volte i latifondisti avrebbero venduto fette di terra, man mano che il bisogno di danaro li avesse spinti.
    Quando Garibaldi invase il Sud, per acquistarsi la simpatia popolare, proclamò a destra e a manca immediate distribuzioni di terra, per poi fare tutto il contrario (strage di Bronte). I sopraggiunti piemontesi forse pensavano di fare come i Borbone, ma la questione dell'assetto fondiario era ormai aperta. Ciò che i loro leccapiedi meridionali chiamarono brigantaggio (eterna memoria a Giuseppe Pica, firmatario dello stato d'assedio che portò al massacro intere popolazioni) altro non era che la questione fondiaria rimescolata con il lealismo contadino verso una dinastia che non simpatizzava con i liberali, eversori dei feudi e degli antichi diritti dei contadini. A questo punto, i cavorristi potevano fare alternativamente due cose, entrambe positive: o dare le terre degli antichi demani e della manomorta ai contadini, o alimentare la spinta verso la proprietà capitalistica, che era già in accelerazione nel settore olivicolo, viticolo e agrumario. Invece che fecero d'incredibilmente moderno e avveniristico, di veramente liberale? Siccome avevano bisogno di soldi (il liberalismo, nelle loro mani, fu veramente l'argent des autres) vendettero le terre della manomorta ecclesiastica e dei demani comunali a chi poteva comprarle, e spedirono l'argento ricavato a Bombrini (il quale l'intascò e mise in circolazione cartamoneta inconvertibile). Quelle terre che non riuscirono a tramutare in moneta sonante, le lasciarono ai liberali ultimamente battezzati, e come tali messi al comando dei comuni sudichi.
    Se ricordo queste cose, non lo faccio solo per risentimento. Il risarcimento è invece un'esigenza politica. La quale mi porta ad aggiungere che lo Stato italiano ebbe parecchie occasioni per riparare. Gli emigrati mandarono persino soldi a sufficienza perché lo si potesse fare, però gli eupatridi li ritennero cosa nostra. Il Sud era ed è rimasto, nel sistema
    italiano, un prolungamento demografico, ferroviario, stradale, aeroportuale del paese padano.
    C'è abbastanza in quanto elencato per pretendere un risarcimento dei danni, cosa di cui prima o poi si occuperà una qualche corte di giustizia e comunque, politicamente, l'azione popolare.
    Di risarcimento per il capitale sottratto e di pagamento degli interessi maturati, si dovrà necessariamente parlare. Intanto mettiamo in scena l'affare delle rimesse in valuta. La trama è facile da raccontare. Difficile è invece offrire un conto consuntivo. Secondo la logica già vista (al villan non far sapere…) che presiede ai riti della storiografia patria, le fonti fanno scarsa luce. I movimenti connessi a (anzi permessi da) questa fondamentale voce dell'economia italiana sono celati da dense cortine fumogene. Tutto è serrato negli archivi del ministero delle tesoro, le cui porte, ovviamente, non si schiudono a chi non è sufficientemente cialtrone.
    Le rimesse degli emigranti sono tuttora una costante dei reddito nazionale. Avendo l'accumulazione capitalistica impoverito l'intero paese, le emigrazioni presero a salire a partire dal 1880, dando vita, come contropartita, a un consistentissimo flusso di dollari e di pesete argentine (un tempo parecchio titolate). Le rimesse USA non si sono mai esaurite. A partire dagli anni trenta, a queste si sono aggiunte quelle provenienti dall'Australia e del Canada, e a partire dal dopoguerra quelle che vengono dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Francia e dall'Inghilterra.
    Né potrebbe essere altrimenti. Gli italiani residenti all'estero oggi sono 28 milioni, cioè la metà degli italiani residenti in patria; i figli di oriundi dispersi nel vasto mondo si dice siano 60 milioni. Ma forse sono molti di più. Ancora oggi, al Sud ci sono centinaia di migliaia di famiglie che vivono con le rimesse dei congiunti emigrati o con pensioni straniere.
    La prima ondata migratoria non fu tutta di meridionali, ma a partire dal 1887 e fino al 1914, principalmente di meridionali. Povera gente, figli di puttana, che, buttati via come stracci in quell'olocausto della dignità dell'uomo e dei suoi affetti, restringevano il pane quotidiano per mandare qualche soldo a casa. E a casa, i soldi arrivavano regolarmente. Però sotto forma di lire, in quanto il tesoro nazionale o si teneva d'imperio la valuta estera e spediva alle famiglie la meno preziosa moneta con l'effigie di Umberto I, l'Imbecille Massacratore, oppure incassava valuta pregiata in cambio delle lire (pezzi di carta) vendute all'estero.
    Il valore internazionale di una moneta dipende dalla facilità con cui lo Stato che la emette può spendere valuta estera. Mi spiego. La ricchezza internazionale dell'Italia, anche oggi, viene valutata dalla quantità di dollari che può spendere. Se non avesse dollari da spendere, sarebbe giudicata povera. Invece, può spenderne molti, ed è giudicata ricca e civile.
    Ora, l'Italia del 1880 era appena in condizione di far debiti ad alti tassi d'interesse; non di più. Svoltato il secolo, nei primi anni del 1900 si trovò a poter pagare con dollari e pesete. Di conseguenza cominciò ad esser giudicata, se non proprio ricca, almeno benestante. Siccome, a livello internazionale, un biglietto di banca è solo una cambiale emessa da un dato Stato , la cambiale-lira prese a circolare benaccetta, in quanto sottoscritta da un paese solvibile.
    Il miracolo compiuto dalle rimesse portò i creditori (delle aziende italiane che importavano merci dall'estero) a tal punto di fiducia che preferivano avere in mano lire, per venderle a chi voleva spedirle in Italia, anziché oro. La domanda di lire nelle borse estere elevata e per avere lire da inviare in Italia si era disposti a pagare più (in termini di prezzo dell'oro) di quanto il tesoro Italiano avrebbe versato a chi le presentasse per il cambio (a quel tempo i saldi del dare/avere internazionale venivano pagati in oro sonante). Nel linguaggio degli addetti ai lavori, si usa l'espressione: la lira feceva aggio sull'oro.
    L'Italia esportava carne umana altamente produttiva, schiavi disposti a spaccarsi la schiena, e cedendo uomini, cristiani, la Padania si arricchiva.
    Quanto incassò l'Italia? Nel 1925, fatto un rapido calcolo, si disse che nei decenni precedenti aveva incassato 25 milioni. Vero? Non Vero? La cifra potrebbe persino essere esatta, ma il deprezzamento secolare della lira può farci sbagliare il giudizio. A quel tempo, un viaggio da Napoli a New York costava tra le 100 e le 150 lire (meno di quanto costa oggi un gettone telefonico) e un chilo di pane la metà circa di mezza lira. Per avere un idea effettiva circa quell'importo, è giusto aver presente, più che il rapporto fra la lira di oggi e quella di allora, il tenore di vita a quel tempo. Può venire in aiuto un esempio. Nella famiglia di un operaio (diciamo) ENEL meridionale, che alla fine del mese incassa 2,2 milioni, questi soldi debbono bastare a una famiglia di quattro persone. Dividendo, siamo sicuramente sotto la soglia statistica della povertà. Probabilmente ci saranno in famiglia difficoltà notevoli, ma essa non cadrà nel sottoconsumo. A casa non manca il latte, qualche formaggio, un bicchiere di birra, il televisore, la macchina, almeno un pacchetto di sigarette al giorno, ecc. Nel 1890, un addetto al gazometro di Catanzaro riceveva un salario che non gli permetteva di comprare un mezzo toscano al giorno. Negli stessi decenni, un possidente che acquistasse un toscano al giorno, era considerato uno sciupone. Anche nelle famiglie benestanti, la pasta si mangiava poco, la carne solo la domenica e persino del pane si faceva un consumo parsimonioso.
    Ora a leggere i bilanci consuntivi dello Stato degli anni novanta dell'ottocento, che indicavano anche la voce rimesse degli emigrati, si prova commozione e rabbia. I morti di fame di abbandonati paesi del Sud, i figli di patria puttana, i terroni, malvisti e maltrattati, regalano all'Italia un surplus altamente strategico. Mi piace fare un raffronto tra quanto l'Italia incassava vendendo all'estero prodotti semilavorati, essenzialmente seta greggia, con quanto incassava attraverso le rimesse in sonante valuta estera, senza per giunta spendere una sola lira.

  3. #13
    Iscritto
    Data Registrazione
    27 Apr 2005
    Località
    COSENZA
    Messaggi
    128
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Pericolo mine vaganti!

    Gli stronzi e buffoni della cosiddetta Lega Nord vanno assoldando gente bisognosa del Sud italiano in vista delle elezioni.

    Cercano uomini di paglia meridionali per fottere voti a favore del Nord

    Chi vuole vendere il proprio culo, lo faccia pure. Sono affari suoi. Nessuno glielo può impedire.

    Tuttavia deve essere chiaro a chiunque che la via per la emancipazione del Sud dal sottosviluppo e per la liberazione dalla dominazione toscopadana passa necessariamente attraverso la creazione di uno Stato indipendente e sovrano del paese meridionale.


    Potrà non piacere, ma non c’è una strada diversa.

  4. #14
    Iscritto
    Data Registrazione
    27 Apr 2005
    Località
    COSENZA
    Messaggi
    128
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Garantismo o no

    Nei paesi occidentali, il principio a cui si ispira il diritto penale è che la responsabilità è sempre personale, cioè del singolo. Di conseguenza l'incriminazione (da parte dello Stato) e il processo si svolgono "contro" un individuo. Ma detto principio si smarrisce nella norma che punisce l'associazione mafiosa (art. 416 bis del Codice Penale italiano). Punendo l'associato, la norma dichiara rea l'associazione e ne persegue i componenti.
    Ovviamente lo Stato ha il potere di vietare le associazioni che perseguano fini non desiderati, come il delinquere oppure la rinascita del partito fascista o anche la secessione nazionale: quel che a noi importa capire è che in tali fattispecie il Codice Penale e i tribunali sono una forma d'intervento minore rispetto all'intervento militare. Minori, ma non necessariamente più civile.
    Nel dopoguerra, lo Stato nazionale si comportò come uno Stato in armi nell'opera di annientamento del separatismo siciliano.
    La Repubblica comunista di Caulonia fu debellata facendo avanzare qualche carro armato sulla strada nazionale che porta al paese. Negli anni immediatamente successivi il ministro degli Interni Scelba rintuzzò con un vero e proprio esercito, eufemisticamente chiamato polizia, gli operai e i contadini che insidiavano il padronato. Certo ci furono anche i connessi processi penali, ma in tutti i casi dedotti a esempio lo Stato vinse fuori delle aule di giustizia. Il livello della minaccia non conteneva una semplice violazione dell'ordnine statuale, ma prefigurava una rivoluzione. E in questo caso le regole che lo Stato
    impone a se stesso (le garanzie) saltano. Non è scritto da nessuna parte, ma è così.
    Toreneremo a parlare di mafia in modo più diffuso. Lo impone un'esigenza di chiarezza e verità, oggi assolutamente mancanti.
    Per adesso ribadiamo ciò che è un concetto comune: le responsabilità dello Stato italiano in relazione alla crescita della delinquenza sociale organizzata sono enormi. La mafia e la 'ndragheta, da fenomeno campagnolo che erano nel 1946, si sono diffuse fino a coinvolgere milioni di persone, perché in regioni in cui la politica si configura solo come voto e preferenza elettorale, i capibastone sono gli artefici effettivi del successo. Più chiaramente, regioni meridionali, le cui le popolazioni, che dovrebbero essere, come altrove, i soggetti delle scelte politiche e del fare storia, sono invece lettaralmente escluse dalla vita nazionale, perché il nuovo corso, inaugurato con la Ricostruzione e con il Miracolo economico, vi si è esteso sotto la forma della corruzione. Lo stessa forte avanzata dello Stato sociale in tali regioni nelle si è voluto politicamente mediarlo attraverso il clientelismo sociale.
    Si deve aggiungere che la legge Rognoni - Latorre (quella che permette ai prefetti l'espropriazione ai danni delle persone supposte mafiose), ha consigliato ai mafiosi di non investire in case e in terreni ma di tenere liquidi i loro capitali, per due decenni ha portato danaro alle banche milanesi e in borsa, ma anche impedito quella mobilità delle persone dalla malavita alla borghesia benestante, che storicamente segue l'arricchimento delittuoso, a cominciare dai pirati ragusei e dai baronetti della grande Elisabetta (in Italia potrebbero essere citati ad esempio i banchieri di Cavour, Bastogi, Bombrini e Balduino, o in
    aprresso Breda, tutti passati dalle tangenti al titolo nobiliare).
    Con suo gran compiacimento, l' "azienda Italia" ha goduto dei servizi mafiosi in narcodollari, come aveva goduto tra il 1880 e il 1970 delle rimesse degli emigranti, che alle regioni di testa non costavano niente.
    Oggi, la mafia rende anormale la vita sociale in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Il garantismo è un costo troppo alto per queste regioni e persino per l'azienda-nazione. Inoltre gonfia in modo morboso il ruolo dei procuratori della Repubblica nella società civile, determinando un disagio sociale non minore di quello che viene dai mafiosi.
    La mafia non è più un arretrato fenomeno del mondo contadino, e neppure la componente più ardita della massa rurale che penetra in città deprivate di industrie; la camorra non è più il bassofondo umano di una metropoli che esce dalle fogne, come nei romanzi di Francesco Mastriani, ma un grande e grave disordine sociale.
    A questo punto i pentiti, i delatori prezzolati, olte a essere un rimedio peggiore del male, servono a poco. E' necessario passare a forme belliche di contrasto. E se chi gestisce lo Stato pesa il ricordo di come furono combatttuti il Brigantaggio politico, i Fasci Siciliani, la lotta per le terre, e altri fenomeni ancora, crei pure i tribunali speciali, come sta facendo la comunità occidentale per i responsabili delle pulizie etniche nell'ex Jugolaslavia.
    Il discorso vale anche per l'infima plebe di Napoli e per la camorra.

  5. #15
    email non funzionante
    Data Registrazione
    19 May 2013
    Messaggi
    10,888
     Likes dati
    0
     Like avuti
    3
    Mentioned
    4 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Questi discorsi nord e sud hanno veramente rotto le palle.


    "Va avanti il rpogetto "separatista"... della mia uallera... ... solo lombardia e veneto sono andate al centrodestra... innaznitutto... poi bisogna dire che non c'è stata una vittoria schiacciante dell'una sull'altra...

    Ancora una volta cazzatette territoriali della mia minchietta se ne vanno tutte egregiamente a fare in....

    A proposito... rispondo all' "avvocato"... il Sud non sa neanche cosa sia IL FEDERALISMO FISCALE... e questo vale per molti cittadini del Nord... in secondo luogo SPERIAMO non passi.

  6. #16
    Iscritto
    Data Registrazione
    27 Apr 2005
    Località
    COSENZA
    Messaggi
    128
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Stronzobossismo e federalismo di salvataggio

    Il federalismo è un' idea di Bossi. Sembra concepita da Moliere nelle more tra la composizione dell'Avaro e quella del Tartufo, e alla Padania serve per non fare il soldato. Come idea liberatrice dei pesi che il Nord sostiene a favore del Sud, è un idea cretina.
    Il sistema è già strutturato in modo che il Nord abbia dal Sud quel che il Sud è capace di dare, e dà patriotticamente. Non l'opposto. Certamente il tribalismo federale non cambierà i rapporti Sud/Nord, i quali sono già iscritti nei meccanismi di mercato, nelle merci che tolgono lavoro, nella gestione nordista del credito. La cosa nuova dopo cinquant'anni è che il Sud non avrà più soldi da spendere. Ma anche il Nord avrà poco da spendere.

  7. #17
    Simply...cat!
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Brescia,Lombardia,Padania
    Messaggi
    17,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Ormai il Nord non può + foraggiare nessuno perchè i soldi stanno finendo,col risultato che il Sud dovrà chiedere i soldi alla Germania.
    Celi vedete i terrons che chiedono i soldi ai crukki?
    Quanti calci in culo che gli danno alla prima rubata!

  8. #18
    Registered User
    Data Registrazione
    29 Jun 2004
    Messaggi
    3,189
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    In Origine Postato da avv.deldiavolo
    Purtroppo finora i meridionali (in genere eh, mica tutti....) hanno dimostrato di non avere un minimo di dignità: chiedere l'elemosina per quarant'anni e accusare di egoismo chi si è rotto dell'andazzo per costringerlo a continuare a pagare non mi sembra un granchè come prova d'orgoglio......
    Hai ragione, basta chiedere l'elemosina, vai un pò a lavorare che è ora.!!!

  9. #19
    Registered User
    Data Registrazione
    29 Jun 2004
    Messaggi
    3,189
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    In Origine Postato da Dragonball
    Ormai il Nord non può + foraggiare nessuno perchè i soldi stanno finendo,col risultato che il Sud dovrà chiedere i soldi alla Germania.
    Celi vedete i terrons che chiedono i soldi ai crukki?
    Quanti calci in culo che gli danno alla prima rubata!
    Bravo, lo sappiamo che parli per esperienza: ti fa ancora male il culo, vero ??

  10. #20
    Registered User
    Data Registrazione
    29 Jun 2004
    Messaggi
    3,189
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Re: Pericolo mine vaganti!

    Condivido appieno con quanto tu vuoi affermare. Ora abbiamo tutti capito che :

    Stronzo e buffone sei tu e i tuoi parenti.

    Modera il linguaggio e pensa per le tue mafie.

    Non si disunusce quello che E'

    noi e voi siamo come il polo nord e il polo sud, si attraggono

    Lascia perdere la Lega, occupati della sua di storia, ceh ti metterai a ridere.

 

 
Pagina 2 di 9 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Bossi lo stratega nordista
    Di Enghivuc nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 02-06-11, 14:35
  2. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 05-10-05, 12:38
  3. Passi avanti per Umberto Bossi
    Di Der Wehrwolf nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 09-04-04, 16:14
  4. Forza Bossi, avanti con il Secessionismo.
    Di Dario nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 7
    Ultimo Messaggio: 17-09-03, 18:52
  5. Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 07-03-03, 15:29

Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito