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    Talking Dibattito sul separatismo tra Zitara, Brunetti e il rettore Latorre; comuni. stampa

    Dibattito sul separatismo tra Zitara, Brunetti e il rettore Latorre
    Il risultato delle ultime elezioni regionali, perfettamente coerente con la volontà degli elettori, è ben lontano dal dare una risposta ai problemi del lavoro e dell’occupazione, che la gente avverte personalmente. L’associazione “Due Sicilie” di San Giovanni in Fiore ha voluto chiedere una risposta al pressante interrogativo. Non si è rivolta ai rappresentanti delle istituzioni politiche nazionali o locali, ma a tre studiosi della “questione meridionale”:
    Nicola Zitara, giornalista e autore di numerosi volumi, Mario Brunetti, ex parlamentare ed ex consigliere regionale della sinistra, attualmente Presidente del Centro Studi Mezzogiorno – Mediterraneo, Giovanni Latorre, Magnifico Rettore dell’università della Calabria.
    La domanda posta è: “Quale avvenire per la Calabria dopo 140 anni di emigrazione?”.
    Il dibattito è stato lungo, acceso, appassionato, sia fra i relatori sia dei relatori con il pubblico. Riassumiamo le posizioni dei tre oratori
    Giovanni Latorre ha sostenuto che la marginalità della Calabria e la situazione di sottosviluppo sono legati storicamente all’emarginazione geografica del Sud rispetto a “un continente dalla modernità” situato nell’Oceano Atlantico settentrionale, avente come confini le sponde occidentali dell’Europa e quelle orientali degli Stati Uniti.
    L’emarginazione geografica del Sud italiano ha portato con sé la permanenza fino ai tempi nostri di una condizione di basso tasso di civismo e il clientelismo, che sommandosi sviliscono la vita politica.
    La recente crescita dei paesi del Sud-est asiatico lascia immaginare dei forti scambi tra questa area del mondo e l’Europa. Le merci asiatiche in entrata e le merci europee in uscita, dovendo seguire la rotta: Oceano Indiano – Canale di Suez – Mediterraneo orientale, privilegerà i porti meridionali. Bisogna prepararsi all’evento riorganizzando i sevizi e normalizzando la vita politica.
    Mario Brunetti è partito dalla constatazione che la formulazione dello stato nazionale nel 1860/61 ha bloccato l’evoluzione sociale ed economica dell’area meridionale, innescando l’emigrazione transoceanica dei decenni precedenti alla Prima Guerra Mondiale.
    Caduto il fascismo e fondata la Repubblica, tranne i pochi anni della lotta per la terra, il sistema nazionale e la stessa sinistra non hanno saputo assumersi la rappresentazione degli interessi delle popolazioni meridionali né formulare un serio progetto per l’occupazione e lo sviluppo.
    Molte responsabilità in ordine alla caduta del welfare sono addebitabili ai governi di sinistra che hanno guidato l’ingresso dell’Italia nell’area dell’Euro.
    Per Brunetti, l’avvenire del Sud è collegato alle politiche mediterranee dell’ Unione europea, che dovrebbero superare con uno scatto di buona volontà l’attuale fase di stanca.
    Nicola Zitara ha stigmatizzato la secolare operazione di svalutazione e mortificazione dei meridionali. Ha ricordato a titolo d’esempio fatti e atti dei governi e dei poteri forti rivolti a sottrarre valore e identità al Sud. Non è una banalità, ha detto, che il Festival della canzone italiana si svolga a Sanremo, terra dei fiori ma non di musica, e non a Napoli, terra di musica a livello mondiale.
    Perché – ha proseguito- Firenze, Siena, Verona, Padova, Venezia, et cetera sono “città d’arte”, mentre non lo sono Napoli e specialmente Palermo? C’è - ed è evidente – un’esclusione capziosa che è frutto di ingordigia. Il Sud è stato ed è una grande nazione, più grande di molti stati europei per popolazione e per il livello dei suoi lavoratori e imprenditori; qualità riconosciute e apprezzate dovunque, fuorché l’Italia. La disoccupazione e il sottosviluppo non stanno nei precordi della società meridionale, nei cosiddetti “mani antichi”, ma nello stato cavourrista, che ha cambiato il pelo costituzionale e istituzionale, ma non il vizio toscopadano, rinascimentale e risorgimentale dell’usura e del saccheggio. Nelle società moderne ogni singolo Stato amministra spesa pubblica per una cifra intorno al 50 per cento del PIL.
    Perché il Sud dovrebbe continuare ad abdica a tale funzione? Per le piume dei bersaglieri? Per fare contenti gli inquilini dei palazzi romani? Quale titolo hanno i toscopadani per amministrare i nostri tributi?
    L’ingordigia toscopadana favorisce, o meglio aiuta e alimenta, l’espansione della mafia.
    La mafia è un tragico male per i meridionali e contemporaneamente una concreta entrata per la finanza toscopadana, la quale incassa dai traffici mafiosi non meno di 200 mila miliardi l’anno di vecchie lire. Una comodità per i poteri forti milanesi ed emiliani, che trovano al Sud un referente docile e partecipe. Il sistema toscopadano corrompe il Sud e mortifica i suoi gruppi politici dirigenti in una condizione di permanente degrado morale, favorendo lo spreco dei soldi pubblici e il clientelismo.
    Separarci dall’Italia è la strada lineare per uscire dalla situazione assurda e penosa in cui ci siamo intrappolati come nazione meridionale. L’uscita abbasserebbe incredibilmente il prezzo degli alimenti più importanti, come il grano, la carne, il latte, che l’Unione europea mantiene dieci volte più alti che sul libero mercato mondiale. Per un paese che progetta lo sviluppo indipendente, pagare meno il pane e la carne è decisivo. Come è decisivo fabbricarsi i beni di uso comune (per es. le sedie o i computer ) all’interno della nazione.
    Fatti del genere, se realizzati, portano alla piena occupazione, lo stesso che dire la fine dell’emigrazione.
    L’immoralità non è un fenomeno attinente alla filosofia, ma alla politica: è la forma che la politica nazionale assume per sgovernare il Sud. In pratica, è una simulazione della classe che governa l’Italia attraverso lo stato nazionale, la quale, ad uso e consumo della pubblica opinione, rovescia le proprie responsabilità, facendo, della vittima, il colpevole del malaffare.
    Giuseppe Gangemi

    www.eleaml.org

  2. #2
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    Predefinito L'eroe d'Italia Gabriele D'ANNUNZIO

    Nato a Pescara nel 1863, compose il suo primo libro di versi "Primo Vere" a soli 16 anni.

    Non finì gli studi e si dedicò al giornalismo ed alla composizione di opere di varia natura e valore.

    Fu uno degli interpreti più abili delle correnti di pensiero e delle mode letterarie europee, tra le quali l'esasperato sensualismo, l'estetismo raffinato e paganeggiante ("Il Piacere", 1889), la tendenza ad ignorare la realtà sociale a favore di un mondo spirituale elevato ed esclusivo.

    Riuscì quindi a proporsi con successo sia nel mondo letterario che in quello mondano, mettendo in atto quell'estetismo (non privo di scandali e polemiche) che il Decadentismo europeo aveva da poco concepito.

    Terminata la I Guerra Mondiale (durante la quale aveva preso parte ad imprese eclatanti quali la beffa di Buccari ed il volo su Vienna), il suo gusto per i grandi gesti lo portò ad occupare Fiume insieme con un gruppo di volontari.

    La sua attività politica, quella mondana (tra cui spicca la relazione con Eleonora Duse), come quella letteraria, fecero di D'Annunzio una sorta di "maestro di costume", un atteggiamento che avrebbe spinto molti a confondere l'eroismo con la violenza e la prevaricazione.

    Morì nel 1938 nella sua villa di Gardone Riviera, sul lago di Garda.

    Note biografiche a cura di Maria Agostinelli.


  3. #3
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    La beffa di Buccari
    (10-11 febbraio 1918)
    L'azione svoltasi nella notte sull'11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici "tra le imprese più audaci" del conflitto con una "influenza morale incalcolabile", anche se purtroppo "sterile di risultati materiali". Al comando di Costanzo Ciano, all'azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D'Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.

    L'audacia dell'impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l'attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda.

    Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.

    Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all'intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.

    L'impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D'Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell'azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia".

    DA QUI



  4. #4
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    [B]Non c’è economia moderna senza uno stato indipendente. Meglio degli altri lo sanno gli americani che dal momento in cui si sono liberati del Re d’Inghilterra hanno preso a bruciare le tappe per arrivare a essere la più prospera nazione del mondo.

    Non c’è economia nazionale se non presieduta e governata dall’ente stato. Lo sanno bene gli europei che, per non farsi sfruttare ulteriormente dall’incontrollata emissione di dollari inconvertibili, hanno fondato un loro stato, e per prima cosa nominato un governo della moneta del loro stato.
    Basta. Siamo un grande popolo. Siamo stati alle origini della civiltà occidentale in tutti i campi. L’umiliazione di essere cornuti e mazziati come Pulcinella deve finire.
    Per noi. Per i nostri figli e nipoti. Per i nostri padri e avi.
    Si fotta lo stato italiano, e con esso la classe degli ascari che il governo nordista foraggia per usarci come iloti della patria milanese.

 

 

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