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  1. #1
    Fra Savonarola
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    Predefinito 11 maggio (3 maggio) - SS. Filippo e Giacomo Minore Apostoli

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Filippo Apostolo

    3 maggio - Festa

    Palestina, I secolo d.C.

    Filippo, nato a Betsaida, fu tra i primi ad essere chiamato da Gesù. Spesso confuso con il diacono Filippo, al di là delle notizie forniteci dal quarto Vangelo, la tradizione e su di lui non è sempre concorde. Sicuramente evangelizzò, sotto Domiziano, la Frigia, dove sembra sia morto crocifisso a testa in giù.

    Etimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco

    Emblema: Croce, Pani e pesci

    Martirologio Romano: Festa dei santi Filippo e Giacomo, Apostoli. Filippo, nato a Betsaida come Pietro e Andrea e divenuto discepolo di Giovanni Battista, fu chiamato dal Signore perché lo seguisse; Giacomo, figlio di Alfeo, detto il Giusto, ritenuto dai Latini fratello del Signore, resse per primo la Chiesa di Gerusalemme e, durante la controversia sulla circoncisione, aderì alla proposta di Pietro di non imporre quell’antico giogo ai discepoli convertiti dal paganesimo, coronando, infine, il suo apostolato con il martirio.

    Martirologio tradizionale (11 maggio): Il natale dei beati Filippo e Giacomo, Apostoli. Di essi Filippo, dopo aver convertito quasi tutta la Scizia alla fede di Cristo, da ultimo, presso Gerapoli, città dell'Asia, confitto in croce ed oppresso con sassi, si riposò con una fine gloriosa; Giacomo poi, il quale è detto anche fratello del Signore e primo Vescovo di Gerusalemme, precipitato dalla sommità del tempio, gli si ruppero le gambe, e percosso in testa con un palo da lavandaio, morì, e fu ivi sepolto, non lontano dal tempio.

    Due apostoli festeggiati insieme: Filippo e Giacomo. Due galilei che hanno trovato "colui del quale hanno scritto Mosè e i Profeti". E’ con queste parole che Filippo conduce a Gesù l’accigliato Natanaele (Bartolomeo) così diffidente verso quelli di Nazaret. Filippo è appena citato nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Giovanni lo presenta per la prima volta mentre fa il conto di quanto costerebbe sfamare la turba che è al seguito di Gesù (6,57). E, più tardi, quando accompagna da Gesù, dopo l’ingresso in Gerusalemme, alcuni “Greci” venuti per la Pasqua: quasi certamente “proseliti” dell’ebraismo, di origine pagana (12,21 ss.). Nell’ultima cena, Filippo è uno di quelli che rivolgono domande ansiose a Gesù. Gli dice: "Signore, mostraci il Padre e ci basta", attirandosi dapprima un rilievo malinconico: "Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai ancora conosciuto, Filippo?". E poi arriva, a lui e a tutti, il pieno chiarimento: "Chi ha visto me, ha visto il Padre".
    Dopo l’Ascensione di Gesù, troviamo Filippo con gli altri apostoli e i primi fedeli, allorché viene nominato Mattia al posto del traditore Giuda (Atti degli apostoli, cap. 1). Poi non si sa più nulla di lui.

    Autore: Domenico Agasso

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    Sempre dallo stesso SITO:

    San Giacomo il Minore, Apostolo

    3 maggio - Festa

    Palestina, I secolo d.C.

    Giacomo, detto il Minore per distinguerlo dal fratello Giovanni, divenne vescovo di Gerusalemme dopo la morte di Giacomo il Maggiore e la partenza di Pietro. Occupò una posizione di rilievo negli Atti degli Apostoli ed è autore di una lettera “ cattolica “ alle “ dodici tribù della diaspora “, che è come un’eco del “Discorso della montagna”. Il suo ascetismo gli conquistò la stima anche di ebrei ortodossi, molti dei quali si convertirono. Sembra sia stato lapidato nel 62 d.C..

    Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico

    Due apostoli festeggiati insieme: Filippo e Giacomo. Due galilei che hanno trovato "colui del quale hanno scritto Mosè e i Profeti". E’ con queste parole che Filippo conduce a Gesù l’accigliato Natanaele (Bartolomeo) così diffidente verso quelli di Nazaret.
    Giacomo figlio di Alfeo. E’ detto il Minore per distinguerlo da Giacomo figlio di Zebedeo (e fratello di Andrea) detto il Maggiore e da secoli venerato come Santiago a Compostela. Da Luca sappiamo che Gesù sceglie tra i suoi seguaci dodici uomini "ai quali diede il nome di apostoli" (6,14), e tra essi c’è appunto Giacomo di Alfeo, il Minore. Nella Prima lettera ai Corinzi, Paolo dice che Gesù, dopo la risurrezione "apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli".
    Lo chiamano “Giusto” per l’integrità severa della sua vita. Incontra Paolo, già duro persecutore dei cristiani e ora convertito: e lo accoglie con amicizia insieme a Pietro e Giovanni. Poi, al “concilio di Gerusalemme”, invita a "non importunare" i convertiti dal paganesimo con l’imposizione di tante regole tradizionali. Si mette, insomma, sulla linea di Paolo. Dopo il martirio di Giacomo il Maggiore nell’anno 42 e la partenza di Pietro, Giacomo diviene capo della comunità cristiana di Gerusalemme. Ed è l’autore della prima delle “lettere cattoliche” del Nuovo Testamento. In essa, si rivolge "alle dodici tribù disperse nel mondo", ossia ai cristiani di origine ebraica viventi fuori della Palestina. E’ come un primo esempio di enciclica: sulla preghiera, sulla speranza, sulla carità e inoltre (con espressioni molto energiche) sul dovere della giustizia. Secondo lo storico Eusebio di Cesarea, Giacomo viene ucciso nell’anno 63 durante una sollevazione popolare istigata dal sommo sacerdote Hanan, che per quel delitto sarà poi destituito.

    Autore: Domenico Agasso




  2. #2
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    Jusepe de Ribera, Martirio di S. Filippo, 1639, Museo del Prado, Madrid

    Filippino Lippi, S. Filippo doma il dragone del tempio di Ierapoli, 1487-1502, Cappella Strozzi, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

    Filippino Lippi, Crocifissione di S. Filippo, 1487-1502, Cappella Strozzi, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

    Duccio di Buoninsegna, SS. Filippo e Giacomo Maggiore, partic. della Maestà, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

    Duccio di Buoninsegna, SS. Giacomo Minore e Bartolomeo, partic. della Maestà, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

  3. #3
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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps Pascal, Paris-Poitiers, 1902, XIII ediz., t. II, p. 445-457

    LE 1er MAI.

    S. PHILIPPE ET S. JACQUES LE MINEUR, APÔTRES. *


    Deux des heureux témoins de la résurrection de notre bien-aimé Sauveur se présentent à nous aujourd'hui. Philippe et Jacques viennent nous attester que leur Maître est véritablement ressuscité d'entre les morts, qu'ils l'ont vu, qu'ils l'ont touché, qu'ils se sont entretenus avec lui durant ces quarante jours ; et afin que nous ne doutions pas de la sincérité de leur témoignage, ils tiennent en main les instruments du martyre qu'ils ont subi pour attester que Jésus, après avoir souffert la mort, est sorti vivant du tombeau. Philippe s'appuie sur la croix où il a été attaché comme son Maître ; Jacques nous montre la massue sous les coups de laquelle il expira.

    La prédication de Philippe s'exerça dans les deux Phrygies, et son martyre eut lieu à Hiérapolis. Il était dans les liens du mariage lorsqu'il fut appelé par le Christ, et nous apprenons des auteurs du second siècle qu'il avait eu trois filles qui s'élevèrent à une haute sainteté, et dont l'une jeta un grand éclat sur l'Eglise d'Ephèse à cette époque primitive.

    Plus connu que Philippe, Jacques a été appelé le Frère du Seigneur, parce qu'un lien étroit de parenté unissait sa mère à celle de Jésus; mais dans ces jours de la Pâque il se recommande d'une manière spéciale à notre admiration. Nous savons, par l'Apôtre saint Paul, que le Sauveur ressuscité daigna favoriser saint Jacques d'une apparition particulière. Une telle distinction répondait, sans aucun doute, à un dévouement particulier de ce disciple envers son Maître. Nous apprenons de saint Jérôme et de saint Epiphane que le Sauveur, en montant aux cieux, recommanda à Jacques l'Eglise de Jérusalem, et que ce fut pour répondre à la pensée du Maître que cet Apôtre fut établi premier Evêque de cette ville. Au IV° siècle, les chrétiens de Jérusalem conservaient encore avec respect la chaire sur laquelle Jacques siégeait, quand il présidait l'assemblée des fidèles. Nous savons également par saint Epiphane qu'il portait au front une lame d'or, symbole de sa dignité ; son vêtement était une tunique de lin.

    La renommée de sa vertu fut si grande que, dans Jérusalem, tout le monde l'appelait le Juste; et les Juifs assez aveugles pour ne pas comprendre que l'affreux désastre de leur ville était le châtiment du déicide, en cherchèrent la cause dans le meurtre de Jacques qui avait succombé sous leurs coups en priant pour eux. Nous sommes à même de pénétrer l'âme si sereine et si pure du saint Apôtre, en lisant l'admirable Epître où il nous parle encore. C'est là que, dans un langage tout céleste, il nous enseigne que les oeuvres doivent accompagner la foi, si nous voulons être justes de cette justice qui nous rendra semblables à notre Chef ressuscité.

    Le corps de saint Jacques et celui de saint Philippe reposent à Rome dans la Basilique appelée des Saints-Apôtres. Ils forment un des trésors les plus sacrés de la ville sainte, et l'on a lieu de croire que ce jour est l'anniversaire même de leur Translation. Sauf les fêtes de saint Jean l'Evangéliste et de saint André, frère de saint Pierre, l'Eglise de Rome fut longtemps sans célébrer les fêtes particulières des autres Apôtres ; elle les réunissait dans la solennité de saint Pierre et de saint Paul, et nous retrouverons encore un reste de cet antique usage dans l'Office du 29 juin. La réception des corps de saint Philippe et de saint Jacques, apportés d'Orient vers le VI° siècle, donna lieu à l'institution de la fête d'aujourd'hui en leur honneur ; et cette dérogation amena insensiblement sur le Cycle l'insertion des autres Apôtres et des Evangélistes.

    Voici maintenant le a consacre aujourd'hui à saint Philippe.

    Philippe, né à Bethsaïde, fut l'un des douze Apôtres qui furent appelés les premiers par le Christ notre Seigneur. Ce fut par lui que Nathanaël apprit que le Messie promis dans la Loi était venu, et qu'il fut présenté au Seigneur. La familiarité que le Christ eut avec lui parait en ce que plusieurs ils ayant désiré voir le Sauveur, vinrent s'adresser à Philippe, et que le Seigneur , voulant lui-même donner à manger dans le désert à une multitude de personnes, dit à cet Apôtre : « Où achèterons-nous des pains pour étonner à tout ce monde ? » Philippe, après avoir reçu le Saint-Esprit, se rendit dans la Scythie qui lui était échue en partage pour y prêcher l'Evangile, et il convertit cette nation presque tout entière à la foi chrétienne. Enfin, étant venu à Hiérapolis en Phrygie, il fut attaché à la croix pour le nom du Christ, et accablé à coups de pierre, le jour des calendes de mai. Les Chrétiens ensevelirent son corps dans le lieu même où il avait souffert; d'où il a été ensuite transporté à Rome, et déposé avec celui de l'Apôtre saint Jacques dans la basilique des Douze-Apôtres.

    La notice suivante est consacrée à saint Jacques.

    Jacques, frère du Seigneur, surnommé le Juste, s'abstint dès son jeune âge de vin et de tout ce qui peut enivrer, ne mangea point de chair, ne coupa jamais ses cheveux et n'usa ni de bains ni de parfums. Il avait seul la permission d'entrer dans le sanctuaire ; ses vêtements étaient de lin ; il était si assidu à la prière, que ses genoux s'étaient durcis comme la peau d'un chameau. Après l'Ascension du Christ, les Apôtres le créèrent évoque de Jérusalem ; et ce fut à lui que Pierre, délivré de prison par un Ange, en envoya porter la nouvelle. Une controverse s'étant élevée dans le Concile de Jérusalem, au sujet de la loi et de la Circoncision, Jacques suivit le sentiment de Pierre, et fit un discours aux Frères, dans lequel il prouva que les Gentils étaient aussi appelés, et dit qu'il fallait écrire aux Frères absents de ne pas leur imposer le joug de la loi mosaïque. C'est de lui aussi que parle l'Apôtre, lorsqu'il dit aux Galates: «Je ne vis aucun autre d'entre les Apôtres, sinon Jacques frère du Seigneur.»

    La sainteté de Jacques était si grande et si reconnue, que beaucoup de personnes s'empressaient pour toucher le bord de son habit. Etant arrivé à l'âge de quatre-vingt-seize ans, ayant gouverné très saintement l’Eglise de Jérusalem durant trente années , comme il prêchait avec une constance merveilleuse que Jésus-Christ est le Fils de Dieu, il fut d'abord assailli de pierres, et ensuite mené à l'endroit le plus élevé du Temple, d'où on le précipita. Il gisait étendu par terre, les jambes brisées et demi-mort, et il levait les mains au ciel et priait Dieu pour le salut de ses bourreaux, disant : « Pardonnez-leur, Seigneur ; car ils ne savent ce qu'ils font. » Il faisait cette prière, lorsqu'un foulon lui déchargea sur la tête un coup de son pilon, dont le saint mourut, en la septième année de Néron. Il fut enseveli près du Temple, au lieu même où il était tombé. Il a écrit une lettre qui est une des sept Epîtres Catholiques.

    L'Eglise grecque célèbre les deux Apôtres à des jours différents, qui sont les anniversaires de leur martyre. Nous extrairons d'abord les strophes suivantes consacrées à la louange de saint Philippe.

    (DIE XIV NOVEMBRIS.)

    Réfléchissant les feux de celui qui est la grande lumière, tu as resplendi, ô Philippe, comme un astre de la plus grande beauté. Tu cherchais le Père des lumières dans son propre Fils, et tu l'y as rencontré. C'est en effet dans la lumière que l'on trouve la lumière, et le Fils est la forme de la substance du Père; il nous révèle que le Père est son archétype. Demande-lui, ô Apôtre, qu'ils soient sauvés, ceux qui ont été marqués de son sang divin.

    O prodige admirable l'Apôtre Philippe, envoyé de Dieu comme un agneau au milieu des loups, se promène sans crainte parmi ces animaux meurtriers; par la foi il en a fait des agneaux, il a transformé divinement le monde. O œuvre de la foi! ô puissance admirable!

    Toi qui seul es miséricordieux, laisse-toi fléchir par ses prières, et daigne sauver nos âmes.

    O prodige admirable ! l'Apôtre Philippe a paru dans le monde comme un puits d'eaux vives où l'on puise la sagesse ; de ce puits dérivaient les enseignements sacrés ; dans ses ruisseaux nous avons bu une eau miraculeuse. Ouvrier divin, que de merveilles tu as opérées ! Aussi vénérons-nous ta mémoire avec foi.

    Tu as abandonné tout ce qui est de la terre, afin de suivre le Christ; l'Esprit Saint t'a rempli de ses ins pirations, ô Philippe ! Il t'a envoyé vers les nations perdues, pour amener les hommes à la lumière de la connaissance divine. Le combat que tu désirais avec ardeur, tu l'as rencontré dans les supplices divers auxquels tu as été soumis, et tu as rendu ton âme à Dieu : demande-lui , ô bienheureux, qu'il daigne nous accorder sa grande miséricorde.

    Mettant en fuite les démons, apparaissant comme un astre aux veux de ceux qui étaient plonges élans les ténèbres, tu leur as montré le Soleil éblouissant qui est sorti de la Vierge, tu as renverse les temples des idoles, et rassemble les Eglises pour la gloire de notre Dieu; c'est pourquoi nous te vénérons, et célébrant avec transport ta divine mémoire, nous crions vers toi d'une voix unanime : Apôtre Philippe, prie le Christ Dieu de nous accorder la rémission de nos péchés, à nous qui célébrons avec ardeur ta sainte mémoire.

    Tu as paru aux hommes sur la terre comme une nuée spirituelle, contenant une pluie abondante destinée à arroser mystiquement les sillons de nos âmes. Ta parole a lait le tour du monde, et ta rosée est tombée sur lui comme un parfum qui l'embaume. Tu as souffle dans les cœurs des infidèles la divine senteur du Saint-Esprit, et tu as répandu en eux les trésors célestes. Apôtre Philippe, prie le Christ Dieu de nous accorder la rémission de nos péchés, à nous qui célébrons avec transport ta sainte mémoire.

    Cueillons maintenant dans les Ménées quelques traits à la louange de saint Jacques, dont la mémoire est demeurée si chère aux Orientaux.

    (DIE XXIII OCTOBRIS.)

    Venez honorer avec nous la mémoire du Frère du Seigneur, d'un homme saint et inspire de Dieu. Il porta avec ardeur le joug du Christ, il prêcha son Evangile, sa bonté: et son mystère ineffable lui fut confié. Dieu tout-puissant, à sa prière, faites-nous miséricorde.

    Le bruit de sa parole retentit jusqu'aux extrémités du monde : par la lumière qu'elle répandait, elle nous isposa à contempler la Vertu divine. Tu es notre pontife, ô Jacques ! intercède auprès de Jésus ami de l'homme, afin que nos âmes soient sauvées.

    Tu as relevé la dignité de ton sacerdoce par le sang de ton martyre, ô saint Apôtre ! Du haut du pinacle du temple, tu as prêché le Dieu Verbe créateur de toutes choses; précipite delà par les Juifs, tu as mérité d'entrer dans le palais des cieux: Jacques, frère du Seigneur, prie le Christ Dieu, afin que nos âmes soient sauvées.

    Votre Apôtre, Seigneur a eu la tête brisée par le bois : mais maintenant il est sur votre arbre de vie dans le paradis; affranchi du joug des choses terrestres, il goûte avec transport les joies éternelles; par ses prières, accordez votre paix aux églises.

    Dans ta sagesse, ô Jacques, tu nous enseignes que tout bienfait excellent et tout don parfait descendent du Père des lumières sur les mortels ; prie Dieu, ô Apôtre, en faveur de ceux qui te célèbrent dans leurs cantiques, afin qu’ils entrent en partage de ces célestes faveurs.

    Frère de Jésus-Christ selon la chair, tu as trouvé grâce auprès de lui, ô Apôtre ! Tu as communiqué à tous les grâces de la lumière et de la connaissance divine, et tu as extirpé jusqu'à la racine l'erreur de l’idolâtrie, ô Jacques ! C'est pour cela que les princes des ténèbres et du mensonge te font injustement périr, au moment où tu prêches la divinité du Sauveur.

    Le Fils unique du Père, Dieu et Verbe, qui dans ces derniers temps a daigne vivre au milieu de nous, t'a désigné, ô Jacques, pour le premier pasteur de Jérusalem, pour le dispensateur fidèle des mystères spirituels; c'est pourquoi nous te vénérons tous, ô Apôtre!

    Le chœur des Apôtres t'a élu pour être, comme Pontife, le premier serviteur du Christ dans la sainte Sion. parce que étant, ô Jacques, son frère selon la chair, tu avais suivi ses pas sur la terre comme un voyageur fidèle.

    Tout resplendissant de l'éclat des feux du divin Esprit, o Jacques, Frère de Dieu, tu as paru comme le zélateur de la divine bonté; c'est pourquoi, comme autrefois Aaron, tu as reçu du Seigneur, qui par sa miséricorde t'avait admis parmi ses frères les Apôtres, une robe plus sacrée que celle du sacerdoce de la loi ; supplie-le de sauver nos âmes, o glorieux Apôtre.

    Saints Apôtres, vous avez vu notre divin Ressuscite dans toute sa gloire ; il vous a dit au soir de la Pâque : « La paix soit avec vous ! » et durant ces quarante jours il vous a apparu, afin de vous rendre certains de sa résurrection. Votre joie fut grande de revoir ce Maître chéri qui avait daigné vous choisir pour ses confidents les plus intimes, et votre amour pour lui devint plus ardent que jamais. Nous nous adressons à vous comme aux initiateurs des fidèles au divin mystère de la Pâque ; vous êtes aussi nos intercesseurs spéciaux en ce saint temps. Faites-nous connaître et aimer Jésus ressuscité. Dilatez nos cœurs dans l'allégresse pascale, et ne permettez pas que nous perdions jamais la vie que nous avons recouvrée avec Jésus.

    Votre dévouement pour lui, ô Philippe, se montra dès les premiers jours de votre vocation. A peine aviez-vous connu ce divin Messie, que vous couriez tout aussitôt l'annoncer à Nathanaël votre ami. Jésus vous laissait approcher de sa personne avec une douce familiarité. Au moment d’opérer le grand miracle de la multiplication des pains, c'est à vous qu'il s'adressait, et qu'il disait avec une adorable bonté : « Où achèterons-nous des pains pour nourrir tout ce monde ? » Peu de jours avant la Passion de votre Maître, des hommes de la gentilité ayant désiré voir de leurs veux ce grand prophète dont on racontait tant de merveilles, ce fut à vous qu'ils s'adressèrent pour les conduire vers lui. Avec quelle ardeur, à la dernière Cène, vous demandiez à Jésus qu'il vous fît connaître le Père céleste ! Votre âme aspirait à la lumière divine; et quand les feux de l'Esprit-Saint retirent embrasée, rien ne fut au-dessus de votre courage. Pour récompense de vos labeurs, Jésus vous fit partager les honneurs de sa croix. Demandez, ô saint Apôtre, que nous imitions voire recherche empressée auprès de notre commun Maître, et que sa croix nous soit douce quand il lui plaît de la partager avec nous.

    Et vous qui êtes appelé Frère du Seigneur, vous dont le noble visage retraçait ses traits, Pasteur de l'Eglise de Jérusalem, nous honorons aussi votre amour pour le divin Rédempteur. Si vous avez faibli un moment avec les autres, au moment de la Passion, votre repentir l'attira près de vous : après Pierre, vous fûtes le premier des Apôtres auquel il daigna se manifester en particulier. Recevez aujourd'hui nos félicitations, ô Jacques, pour cette faveur si digne d'envie, et en retour faites-nous goûter combien le Seigneur ressuscité est doux. Votre cœur, ô saint Apôtre, n'aspira plus qu'à montrer à Jésus la reconnaissance tient il était rempli ; et le dernier témoignage que vous rendîtes à sa divinité dans la cité infidèle, lorsque les Juifs vous eurent élevé sur le sommet du temple, vous ouvrit par le martyre la voie qui devait vous réunir à lui pour toujours. Obtenez, généreux Apôtre, que nous le confessions aussi avec la fermeté qui convient à ses disciples ; que nous n'hésitions jamais lorsqu'il s'agit de proclamer ses droits sur toute créature.

    Nous vous réunissons dans une prière commune, ô saints Apôtres, et nous vous demandons d'avoir pitié des Eglises de l'Orient que vous avez évangélisées. Priez pour Jérusalem que profanent le schisme et l'hérésie, que l'infidèle retient encore sous son joug. Obtenez que nos yeux la voient bientôt purifiée et affranchie, que ses Lieux saints cessent d'être souillés chaque jour par le sacrilège. Suscitez chez les chrétiens de l'Asie-Mineure le désir de rentrer dans l'unité du bercail que gouverne le souverain Pasteur. Enfin, ô saints Apôtres, priez pour Rome, votre seconde patrie. C'est dans son sein que vous attendez la résurrection glorieuse ; pour prix de la religieuse hospitalité qu'elle vous donne depuis tant de siècles, couvrez-la de votre protection, et ne permettez pas que la cité de Pierre, votre auguste Chef, voie plus longtemps dans ses murs l'abaissement de la Chaire apostolique.

    --------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    * Prima della riforma liturgica e delle modifiche operate sotto il pontificato di Pio XII, che portò la festa all'11 maggio, i SS. Apostoli Filippo e Giacomo minore erano festeggiati il 1° maggio.

  5. #5
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    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE


    Piazza San Pietro

    Mercoledì, 6 settembre 2006

    Filippo

    Cari fratelli e sorelle,

    proseguendo nel tratteggiare le fisionomie dei vari Apostoli, come facciamo da alcune settimane, incontriamo oggi Filippo. Nelle liste dei Dodici, egli è sempre collocato al quinto posto (così in Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14; At 1,13), quindi sostanzialmente tra i primi. Benché Filippo fosse di origine ebraica, il suo nome è greco, come quello di Andrea, e questo è un piccolo segno di apertura culturale da non sottovalutare. Le notizie che abbiamo di lui ci vengono fornite dal Vangelo di Giovanni. Egli proveniva dallo stesso luogo d’origine di Pietro e di Andrea, cioè Betsaida (cfr Gv 1,44), una cittadina appartenente alla tetrarchìa di uno dei figli di Erode il Grande, anch’egli chiamato Filippo (cfr Lc 3,1).

    Il Quarto Vangelo racconta che, dopo essere stato chiamato da Gesù, Filippo incontra Natanaele e gli dice: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Gv 1,45). Alla risposta piuttosto scettica di Natanaele (“Da Nazaret può forse venire qualcosa di buono?”), Filippo non si arrende e controbatte con decisione: “Vieni e vedi!” (Gv 1,46). In questa risposta, asciutta ma chiara, Filippo manifesta le caratteristiche del vero testimone: non si accontenta di proporre l’annuncio, come una teoria, ma interpella direttamente l’interlocutore suggerendogli di fare lui stesso un’esperienza personale di quanto annunciato. I medesimi due verbi sono usati da Gesù stesso quando due discepoli di Giovanni Battista lo avvicinano per chiedergli dove abita. Gesù rispose: “Venite e vedrete” (cfr Gv 1,38-39).

    Possiamo pensare che Filippo si rivolga pure a noi con quei due verbi che suppongono un personale coinvolgimento. Anche a noi dice quanto disse a Natanaele: “Vieni e vedi”. L’Apostolo ci impegna a conoscere Gesù da vicino. In effetti, l’amicizia, il vero conoscere l’altro, ha bisogno della vicinanza, anzi in parte vive di essa. Del resto, non bisogna dimenticare che, secondo quanto scrive Marco, Gesù scelse i Dodici con lo scopo primario che “stessero con lui” (Mc 3,14), cioè condividessero la sua vita e imparassero direttamente da lui non solo lo stile del suo comportamento, ma soprattutto chi davvero Lui fosse. Solo così infatti, partecipando alla sua vita, essi potevano conoscerlo e poi annunciarlo. Più tardi, nella Lettera di Paolo agli Efesini, si leggerà che l’importante è “imparare il Cristo” (4,20), quindi non solo e non tanto ascoltare i suoi insegnamenti, le sue parole, quanto ancor più conoscere Lui in persona, cioè la sua umanità e divinità, il suo mistero, la sua bellezza. Egli infatti non è solo un Maestro, ma un Amico, anzi un Fratello. Come potremmo conoscerlo a fondo restando lontani? L’intimità, la familiarità, la consuetudine ci fanno scoprire la vera identità di Gesù Cristo. Ecco: è proprio questo che ci ricorda l’apostolo Filippo. E così ci invita a “venire”, a “vedere”, cioè ad entrare in un contatto di ascolto, di risposta e di comunione di vita con Gesù giorno per giorno.

    Egli, poi, in occasione della moltiplicazione dei pani, ricevette da Gesù una precisa richiesta, alquanto sorprendente: dove, cioè, fosse possibile comprare il pane per sfamare tutta la gente che lo seguiva (cfr Gv 6,5). Allora Filippo rispose con molto realismo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno di loro possa riceverne anche solo un pezzo” (Gv 6,7). Si vedono qui la concretezza e il realismo dell’Apostolo, che sa giudicare gli effettivi risvolti di una situazione. Come poi siano andate le cose, lo sappiamo. Sappiamo che Gesù prese i pani e, dopo aver pregato, li distribuì. Così si realizzò la moltiplicazione dei pani. Ma è interessante che Gesù si sia rivolto proprio a Filippo per avere una prima indicazione su come risolvere il problema: segno evidente che egli faceva parte del gruppo ristretto che lo circondava. In un altro momento, molto importante per la storia futura, prima della Passione, alcuni Greci che si trovavano a Gerusalemme per la Pasqua “si avvicinarono a Filippo ... e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù” (Gv 12,20-22). Ancora una volta, abbiamo l’indizio di un suo particolare prestigio all’interno del collegio apostolico. Soprattutto, in questo caso, egli fa da intermediario tra la richiesta di alcuni Greci – probabilmente parlava il greco e potè prestarsi come interprete – e Gesù; anche se egli si unisce ad Andrea, l’altro Apostolo con un nome greco, è comunque a lui che quegli estranei si rivolgono. Questo ci insegna ad essere anche noi sempre pronti, sia ad accogliere domande e invocazioni da qualunque parte giungano, sia a orientarle verso il Signore, l'unico che le può soddisfare in pienezza. E’ importante, infatti, sapere che non siamo noi i destinatari ultimi delle preghiere di chi ci avvicina, ma è il Signore: a lui dobbiamo indirizzare chiunque si trovi nella necessità. Ecco: ciascuno di noi dev'essere una strada aperta verso di lui!

    C'è poi un'altra occasione tutta particolare, in cui entra in scena Filippo. Durante l’Ultima Cena, avendo Gesù affermato che conoscere Lui significava anche conoscere il Padre (cfr Gv 14,7), Filippo quasi ingenuamente gli chiese: “Signore, mostraci il Padre, e ci basta» (Gv 14,8). Gesù gli rispose con un tono di benevolo rimprovero: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e ancora non mi conosci? Colui che vede me, vede il Padre! Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? ... Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,9-11). Queste parole sono tra le più alte del Vangelo di Giovanni. Esse contengono una rivelazione vera e propria. Al termine del Prologo del suo Vangelo, Giovanni afferma: “Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). Ebbene, quella dichiarazione, che è dell’evangelista, è ripresa e confermata da Gesù stesso. Ma con una nuova sfumatura. Infatti, mentre il Prologo giovanneo parla di un intervento esplicativo di Gesù mediante le parole del suo insegnamento, nella risposta a Filippo Gesù fa riferimento alla propria persona come tale, lasciando intendere che è possibile comprenderlo non solo mediante ciò che dice, ma ancora di più mediante ciò che egli semplicemente è. Per esprimerci secondo il paradosso dell’Incarnazione, possiamo ben dire che Dio si è dato un volto umano, quello di Gesù, e per conseguenza d’ora in poi, se davvero vogliamo conoscere il volto di Dio, non abbiamo che da contemplare il volto di Gesù! Nel suo volto vediamo realmente chi è Dio e come è Dio!

    L’evangelista non ci dice se Filippo capì pienamente la frase di Gesù. Certo è che egli dedicò interamente a lui la propria vita. Secondo alcuni racconti posteriori (Atti di Filippo e altri), il nostro Apostolo avrebbe evangelizzato prima la Grecia e poi la Frigia e là avrebbe affrontato la morte, a Gerapoli, con un supplizio variamente descritto come crocifissione o lapidazione. Vogliamo concludere la nostra riflessione richiamando lo scopo cui deve tendere la nostra vita: incontrare Gesù come lo incontrò Filippo, cercando di vedere in lui Dio stesso, il Padre celeste. Se questo impegno mancasse, verremmo rimandati sempre solo a noi come in uno specchio, e saremmo sempre più soli! Filippo invece ci insegna a lasciarci conquistare da Gesù, a stare con lui, e a invitare anche altri a condividere questa indispensabile compagnia. E vedendo, trovando Dio, trovare la vera vita.

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    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE


    Piazza San Pietro

    Mercoledì, 28 giugno 2006

    Giacomo, il Minore

    Cari fratelli e sorelle,

    accanto alla figura di Giacomo “il Maggiore”, figlio di Zebedeo, del quale abbiamo parlato mercoledì scorso, nei Vangeli compare un altro Giacomo, che viene detto “il Minore”. Anch’egli fa parte delle liste dei dodici Apostoli scelti personalmente da Gesù, e viene sempre specificato come “figlio di Alfeo” (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 5; At 1,13). E’ stato spesso identificato con un altro Giacomo, detto “il Piccolo” (cfr Mc 15,40), figlio di una Maria (cfr ibid.) che potrebbe essere la “Maria di Cleofa” presente, secondo il Quarto Vangelo, ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cfr Gv 19,25). Anche lui era originario di Nazaret e probabile parente di Gesù (cfr Mt 13,55; Mc 6,3), del quale alla maniera semitica viene detto “fratello” (cfr Mc 6,3; Gal 1,19). Di quest'ultimo Giacomo, il libro degli Atti sottolinea il ruolo preminente svolto nella Chiesa di Gerusalemme. Nel Concilio apostolico là celebrato dopo la morte di Giacomo il Maggiore, affermò insieme con gli altri che i pagani potevano essere accolti nella Chiesa senza doversi prima sottoporre alla circoncisione (cfr At 15,13). San Paolo, che gli attribuisce una specifica apparizione del Risorto (cfr 1 Cor 15,7), nell’occasione della sua andata a Gerusalemme lo nomina addirittura prima di Cefa-Pietro, qualificandolo “colonna” di quella Chiesa al pari di lui (cfr Gal 2,9). In seguito, i giudeo-cristiani lo considerarono loro principale punto di riferimento. A lui viene pure attribuita la Lettera che porta il nome di Giacomo ed è compresa nel canone neotestamentario. Egli non vi si presenta come “fratello del Signore”, ma come “servo di Dio e del Signore Gesù Cristo” (Gc 1,1).

    Tra gli studiosi si dibatte la questione dell’identificazione di questi due personaggi dallo stesso nome, Giacomo figlio di Alfeo e Giacomo “fratello del Signore”. Le tradizioni evangeliche non ci hanno conservato alcun racconto né sull’uno né sull’altro in riferimento al periodo della vita terrena di Gesù. Gli Atti degli Apostoli, invece, ci mostrano che un “Giacomo” ha svolto un ruolo molto importante, come abbiamo già accennato, dopo la risurrezione di Gesù, all’interno della Chiesa primitiva (cfr At 12,17; 15,13-21; 21,18). L’atto più rilevante da lui compiuto fu l’intervento nella questione del difficile rapporto tra i cristiani di origine ebraica e quelli di origine pagana: in esso egli contribuì insieme a Pietro a superare, o meglio, a integrare l'originaria dimensione giudaica del cristianesimo con l'esigenza di non imporre ai pagani convertiti l’obbligo di sottostare a tutte le norme della legge di Mosè. Il libro degli Atti ci ha conservato la soluzione di compromesso, proposta proprio da Giacomo e accettata da tutti gli Apostoli presenti, secondo cui ai pagani che avessero creduto in Gesù Cristo si doveva soltanto chiedere di astenersi dall’usanza idolatrica di mangiare la carne degli animali offerti in sacrificio agli dèi, e dall’“impudicizia”, termine che probabilmente alludeva alle unioni matrimoniali non consentite. In pratica, si trattava di aderire solo a poche proibizioni, ritenute piuttosto importanti, della legislazione mosaica.

    In questo modo, si ottennero due risultati significativi e complementari, entrambi validi tuttora: da una parte, si riconobbe il rapporto inscindibile che collega il cristianesimo alla religione ebraica come a sua matrice perennemente viva e valida; dall’altra, si concesse ai cristiani di origine pagana di conservare la propria identità sociologica, che essi avrebbero perduto se fossero stati costretti a osservare i cosiddetti “precetti cerimoniali” mosaici: questi ormai non dovevano più considerarsi obbliganti per i pagani convertiti. In sostanza, si dava inizio a una prassi di reciproca stima e rispetto, che, nonostante incresciose incomprensioni posteriori, mirava per natura sua a salvaguardare quanto era caratteristico di ciascuna delle due parti.

    La più antica informazione sulla morte di questo Giacomo ci è offerta dallo storico ebreo Flavio Giuseppe. Nelle sue Antichità Giudaiche (20,201s), redatte a Roma verso la fine del I° secolo, egli ci racconta che la fine di Giacomo fu decisa con iniziativa illegittima dal Sommo Sacerdote Anano, figlio dell’Annas attestato nei Vangeli, il quale approfittò dell'intervallo tra la deposizione di un Procuratore romano (Festo) e l'arrivo del successore (Albino) per decretare la sua lapidazione nell’anno 62.

    Al nome di questo Giacomo, oltre all’apocrifo Protovangelo di Giacomo, che esalta la santità e la verginità di Maria Madre di Gesù, è particolarmente legata la Lettera che reca il suo nome. Nel canone del Nuovo Testamento essa occupa il primo posto tra le cosiddette ‘Lettere cattoliche’, destinate cioè non a una sola Chiesa particolare – come Roma, Efeso, ecc. -, ma a molte Chiese. Si tratta di uno scritto assai importante, che insiste molto sulla necessità di non ridurre la propria fede a una pura dichiarazione verbale o astratta, ma di esprimerla concretamente in opere di bene. Tra l'altro, egli ci invita alla costanza nelle prove gioiosamente accettate e alla preghiera fiduciosa per ottenere da Dio il dono della sapienza, grazie alla quale giungiamo a comprendere che i veri valori della vita non stanno nelle ricchezze transitorie, ma piuttosto nel saper condividere le proprie sostanze con i poveri e i bisognosi (cfr Gc 1,27).

    Così la lettera di san Giacomo ci mostra un cristianesimo molto concreto e pratico. La fede deve realizzarsi nella vita, soprattutto nell’amore del prossimo e particolarmente nell’impegno per i poveri. E’ su questo sfondo che dev’essere letta anche la frase famosa: “Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26). A volte questa dichiarazione di Giacomo è stata contrapposta alle affermazioni di Paolo, secondo cui noi veniamo resi giusti da Dio non in virtù delle nostre opere, ma grazie alla nostra fede (cfr Gal 2,16; Rm 3,28). Tuttavia, le due frasi, apparentemente contraddittorie con le loro prospettive diverse, in realtà, se bene interpretate, si completano. San Paolo si oppone all’orgoglio dell’uomo che pensa di non aver bisogno dell’amore di Dio che ci previene, si oppone all’orgoglio dell’autogiustificazione senza la grazia semplicemente donata e non meritata. San Giacomo parla invece delle opere come frutto normale della fede: “L’albero buono produce frutti buoni”, dice il Signore (Mt 7,17). E san Giacomo lo ripete e lo dice a noi.

    Da ultimo, la lettera di Giacomo ci esorta ad abbandonarci alle mani di Dio in tutto ciò che facciamo, pronunciando sempre le parole: “Se il Signore vorrà” (Gc 4,15). Così egli ci insegna a non presumere di pianificare la nostra vita in maniera autonoma e interessata, ma a fare spazio all’imperscrutabile volontà di Dio, che conosce il vero bene per noi. In questo modo san Giacomo resta un sempre attuale maestro di vita per ciascuno di noi.

  7. #7
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    Philippe De Champaigne, S. Filippo apostolo, 1649 circa, Musée du Louvre, Parigi

    Giuseppe Mazzuoli, S. Filippo, 1703-12, Basilica di S. Giovanni in Laterano, Roma

    Albrecht Dürer, L'Apostolo Filippo, 1516, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Pieter Paul Rubens, S. Filippo, 1611, Museo del Prado, Madrid

    El Greco, S. Filippo, 1610-14, Museo de El Greco, Toledo

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    Predefinito Dal Trattato «Sulla prescrizione degli eretici» di Tertulliano, sacerdote

    (Cap. 20, 1-9; 21, 3; 22, 8-10; CCL 1, 201-204)

    Cristo Gesù, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del Padre, che cosa l'uomo dovesse fare. Questa rivelazione la fece apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, fra i quali scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale.
    Perciò, escluso uno di loro, sul punto di ritornare al Padre, dopo la risurrezione, ordinò agli altri Undici di andare e di ammaestrare le nazioni, battezzandole nel Padre e Figlio e Spirito Santo.
    Gli apostoli, il cui nome significa «mandati» sorteggiarono come dodicesimo del loro gruppo Mattia al posto di Giuda e ciò in ossequio all'autorità profetica del salmo di Davide. Avendo ricevuto, secondo la promessa, lo Spirito Santo che doveva renderli capaci di fare i miracoli e di predicare, testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in Giudea e poi in tutto il mondo istituendo ovunque chiese particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e annunziarono la medesima fede.
    Così fondarono chiese in ogni città. Da queste ricevettero la linfa della fede e i segni della dottrina tutte le altre chiese e tutte le altre popolazioni che tendono a divenire chiese. Tutte queste chiese venivano considerate apostoliche come figlie delle chiese degli apostoli.
    E' necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono una. La comunione di pace, la fraternità che le caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione e il medesimo sacro legame.
    Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere.
    Un giorno il Signore aveva detto apertamente: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso»; aveva tuttavia soggiunto: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16, 12-13). Dimostrò con questo che essi non ignoravano nulla. Essi avevano la promessa di ricevere «tutta la verità» per mezzo dello Spirito di verità. La promessa fu mantenuta come provano gli Atti degli Apostoli quando narrano la discesa dello Spirito Santo.

  9. #9
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    Predefinito Dalle "Omelie sui Vangeli" di San Gregorio Magno, papa

    Lib. 2, 36. 11-13, in PL 76, 1272-1274

    Vi vorrei esortare a lasciar tutto, ma non oso. Se dunque non potete lasciare tutte le cose del mondo, usate le cose di questo mondo in modo da non essere trattenuti nel mondo; in modo da possedere le cose terrene, non da esserne posseduti; in modo che quello che possedete rimanga sotto il dominio del vostro spirito e non diventi esso stesso schiavo delle sue cose, e non si faccia avvincere dall'amore delle realtà terrestri. Dunque i beni temporali siano in nostro uso, i beni eterni siano nel nostro desiderio; i beni temporali servano per il viaggio, quelli eterni siano bramati per il giorno dell'arrivo. Tutto quello che si fa in questo mondo sia considerato come marginale. Gli occhi dello spirito siano rivolti in avanti, mentre fissano con tutto interesse le cose che raggiungeremo. Siano estirpati fin dalle radici i vizi, non solo dalle nostre azioni, ma anche dai pensieri del cuore. Non ci trattengano dalla cena del Signore né i piaceri della carne, né le brame della cupidigia, né la fiamma dell'ambizione. Le stesse cose oneste che trattiamo nel mondo, tocchiamole appena, quasi di sfuggita, perché le cose terrene che ci attirano servano al nostro corpo in modo da non ostacolare assolutamente il cuore. Non osiamo perciò, fratelli, dirvi di lasciare tutto; tuttavia, se volete, anche ritenendole tutte, le lascerete se tratterete le cose temporali in modo da tendere con tutta l'anima alle eterne. Usa infatti del mondo, ma è come se non ne usasse, colui che indirizza al servizio della sua vita anche le cose necessarie e tuttavia non permette che esse dominino il suo spirito, in modo che siano sottomesse al suo servizio e mai infrangano l'ardore dell'anima rivolta al cielo. Tutti coloro che si comportano così, hanno a disposizione ogni cosa terrena non per la cupidigia, ma per l'uso. Non vi sia niente dunque che alteri il desiderio del vostro spirito, nessun diletto di nessuna cosa vi tenga avvinti a questo mondo.
    Se si ama il bene, la mente trovi gioia nei beni più alti, quelli celesti. Se si teme il male, si abbiano davanti allo spirito i mali eterni, perché mentre il cuore vede che là si trova ciò che più si deve amare e più si deve temere, non si attacchi assolutamente a quanto si trova di qui. Per far questo abbiamo come nostro aiuto il mediatore di Dio e degli uomini, per mezzo del quale otterremo prontamente ogni cosa, se ardiamo di vero amore per lui, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito Dal trattato "Sull'unità della Chiesa cattolica" di san Cipriano di Cartagine.

    Liber de unitate Ecclesliae, 5‑6.12.23‑24, in PL 4, 501‑504.508‑09.517‑18.

    Una sola è la Chiesa, anche se si estende numerosa per ogni dove con rigogliosa fecondità, come una sola è la luce anche se i raggi dei sole sono molti; come uno solo è il tronco che affonda le sue profonde radici, anche se i rami dell'albero sono molti.

    Una sola resta la sorgente, anche se moltissimi sono i ruscelli che da lei scorrono; anche se la sua ricchezza sembra sgorgare in notevole quantità e moltiplicarsi, l'unità però si conserva grazie all'origine.

    Prova a togliere un raggio del sole dal suo corpo luminoso: l'unità della luce non tollera divisione. Strappa un ramo da un albero: il ramo spezzato non potrà germogliare. Interrompi un ruscello dalla sorgente: il ruscello inaridisce.

    Allo stesso modo anche la Chiesa, illuminata dalla luce del Signore, diffonde per tutto il mondo I suoi raggi. Tuttavia quella luce, che si diffonde in ogni luogo, resta una sola e l'unità del corpo non può essere divisa.

    La Chiesa estende i suoi rami per tutta la terra con esuberante fecondità ed espande su vaste regioni i ruscelli che scorrono ricchi di acqua. Uno solo però è il principio, una sola la sorgente e una sola la madre feconda e ricca di figli; nasciamo dal suo grembo, ci nutriamo del suo latte, siamo animati dal suo spirito.

    Non si può corrompere la Sposa di Cristo: essa rimane intatta e pura. Conosce una sola casa e custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo. Essa ci custodisce per Dio e destina al Regno i figli che ha generato.

    Chi si allontana dalla Chiesa, commette adulterio e si priva delle promesse fatte alla Chiesa. Costui non giungerà mai alle ricompense di Cristo: diventa un forestiero, un profano, un nemico.

    Non può avere Dio come padre, chi non ha la Chiesa come madre. Se si fosse potuto salvare chi si trovava fuori dell'arca di Noè, anche chi si trova fuori della Chiesa si salverebbe. Il Signore ammonisce: Chi non é con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde (Mt 12, 30).

    Chi rompe la pace e la concordia di Cristo agisce contro Cristo. Chi raduna altrove e non nella Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo. Dice il Signore: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30).

    E in un altro passo è scritto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: E i tre sono uno (1 Gv 5,7).

    L'unità della Chiesa trae origine dalla stabilità divina e rimane unita per i sacramenti celesti. Chi potrà pensare che l'unità ecclesiale si possa rompere e venir meno a causa delle divergenze di coloro che non hanno idee ortodosse? Chi non possiede quest'unità non possiede la legge di Dio, la fede nel Padre e nel Figlio, si separa dalla vita e dalla salvezza.

    Il Signore, quando raccomandò ai suoi discepoli l'unione e la pace, disse: In verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa. il Padre mio che e nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome. io sono in mezzo a loro (Mt 18,19‑20).

    Il Signore volle dunque rivelare che sarà concesso moltissimo non tanto al gran numero di quelli che pregano, ma alla loro unanimità.

    Cristo mette al primo posto l'unanimità, giacché dice: Se due di voi si accorderanno (Mt 18,19‑20). Premette la concordia che deriva dalla pace, consegnandoci dei punti fermi di fede, perché andassimo d'accordo tra di noi.

    Ma come può andare d'accordo con un altro chi non lo è con tutto il corpo della Chiesa e con tutti i fratelli? Come possono unirsi nel nome di Cristo due o tre che si sono separati da Cristo e dal suo vangelo? Non è la Chiesa che li ha rigettati, ma sono loro ad essersi separati da lei. Hanno cosi fatto nascere eresie e scismi, perché costituendosi in conventicole appartate, hanno abbandonato il principio e l'origine della verità.Quando il Signore dice:

    Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18, 19‑20), egli parla della sua Chiesa a coloro che vi appartengono. Se essi saranno concordi e pregheranno in comunione, seguendo I suoi comandi e il suo insegnamento, anche se fossero riuniti solo in due o tre, potranno ottenere dalla maestà di Dio ciò che chiedono.

    Vi è un solo Dio, un solo Cristo e una sola Chiesa, una sola fede e un solo popolo. E la coesione nella concordia fa di questo popolo un corpo fortemente compatto. Non si può dividere l'unità. E' come per il corpo che non si può scompaginare, senza romperne l'unità o farlo a pezzi, lacerando o strappandone le membra. Tutto quello che si allontana dalla sorgente della propria vita non potrà esistere per conto suo né respirare, perché perde la sostanza vitale. Lo Spirito Santo ci ammonisce con queste parole:

    C'è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?Preserva la lingua dal male,le labbra da parole bugiarde (Sal 33, 13‑15). Sta' lontano dal male e fa' il bene (Sal 33, 13‑15), cerca la pace e perseguila.Il figlio della pace deve cercarla e seguirla. Chi conosce e ama la carità che unisce, deve trattenere la lingua dal male della divisione.

    Il Signore, ormai prossimo alla sua passione, aggiunse questo al suoi divini precetti: Vi lascio la pace vi do la mia pace (Gv 14, 27-29).

    Questa è l'eredità che Cristo ci ha lasciato e in essa sono racchiusi tutti i doni e le ricompense che ci promise.
    Se siamo eredi di Cristo, rimaniamo nella pace di Cristo. Se siamo figli di Dio, dobbiamo essere persone che costruiscono la pace, dato che sta scritto: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). I figli di Dio devono quindi essere artefici di pace, miti di cuore, semplici nelle parole, concordi nell'amore, uniti fedelmente mediante il vincolo della concordia.

 

 
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