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    Predefinito Ascensione del Signore al Cielo

    Dai Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni.
    In Io. 104,2; 105,1-3. PL 35, 1902-1903. 1904.


    Alzati gli occhi al cielo, Gesù disse: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te". Il Signore, unigenito e coeterno al Padre, nella condizione di servo che aveva assunta, avrebbe potuto, se necessario, pregare in silenzio, proprio perché era servo. Ma egli volle manifestarsi in atteggiamento di preghiera al Padre non dimenticando di essere nostro maestro. Ha voluto perciò farci conoscere l'orazione che per noi rivolse al Padre: i discepoli dovevano infatti trovare motivo di insegnamento non soltanto nel discorso che un tale maestro ad essi rivolgeva, ma anche nell'orazione per essi rivolta al Padre. È stato un insegnamento per quelli che erano là ad ascoltare e lo è per noi che leggiamo.

    Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo. Queste parole ci dimostrano che i tempi e i momenti di tutte le azioni che Gesù compiva o lasciava compiere erano disposti da lui che non è soggetto al tempo. È lui a disporre gli eventi futuri, che hanno appunto la loro causa efficiente nella sapienza di Dio che non conosce tempo.

    Il Padre ha glorificato il Figlio nella sua forma di servo, risuscitandolo da morte e collocandolo alla sua destra: è un fatto di cui nessun cristiano può dubitare. Ma Gesù non disse soltanto: Padre, glorifica il Figlio tuo, perché aggiunse: perché il Figlio glorifichi te. In che modo il Figlio ha glorificato il Padre? Infatti la gloria del Padre non si era abbassata fino ad assumere forma umana né poteva essere accresciuta nella sua perfezione divina.

    Se però la gloria del Padre non può diminuire né aumentare in se stessa, tuttavia agli occhi degli uomini era in qualche modo minore quando Dio era conosciuto soltanto in Giudea e non ancora dall'oriente all'occidente i suoi servi lodavano il nome del Signore. Ma quando con l'annuncio del vangelo di Cristo, il Padre fu fatto conoscere anche fra le nazioni per mezzo del Figlio, allora avvenne che anche il Figlio glorificò il Padre. Se il Figlio fosse morto e non fosse anche risorto, certamente non sarebbe stato glorificato dal Padre né a sua volta egli avrebbe glorificato il Padre. Adesso invece, glorificato dal Padre mediante la risurrezione, il Figlio glorifica il Padre attraverso l'annuncio della sua risurrezione.

    Glorifica il Figlio, perché il Figlio glorifichi te. Come a dire: Risuscitami, affinché per mio mezzo tu possa essere conosciuto in tutto il mondo.

    Subito dopo Gesù più chiaramente mostra in che modo il Figlio glorificherà il Padre: Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Il Padre ha dato a Cristo potere sopra ogni uomo in quanto uomo, poiché, in quanto Dio, tutto è stato fatto per mezzo di lui, e sempre per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili.

    Perciò come il Padre ha dato al Figlio potere su ogni essere umano, allo stesso modo il Figlio glorifica il Padre, cioè lo farà conoscere a ogni essere umano che gli ha dato. Il Padre gli ha donato questo potere perché egli dia la vita eterna a tutti quelli che a tutti coloro che36 gli sono stati dati.

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    Predefinito



    Dai Discorsi di sant'Agostino.
    Sermo Mai XCVIII, 1-2. PLS 2, 494-496.


    Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
    Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
    Cristo è ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare»(Mt 25, 35).
    Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l'amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).
    Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell'uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
    Così si esprime l'Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12). L'Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
    Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l'unità del corpo non sia separata dal capo.
    San Paolo scrive: È appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le promesse. Non dice la Scrittura: "E ai tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma "e alla tua discendenza", come a uno solo, cioè Cristo. Chiama Cristo discendenza di Abramo; e tuttavia lo stesso Apostolo disse: Siete discendenza di Abramo. Se dunque si parla non delle discendenze di Abramo come se si trattasse di molte, ma come di una sola; se questa discendenza di Abramo è Cristo; se anche noi siamo discendenza di Abramo: quando Cristo ascende in cielo, noi non veniamo separati da lui.
    Colui che è disceso dal cielo non ci rifiuta il cielo, ma in un certo qual senso grida: Siate mie membra se volete salire in cielo.
    Nel frattempo dunque rafforziamoci in questa fede, bramiamo questo con ogni desiderio. Pensiamo, ora qui in terra, che siamo già contati in cielo. Allora deporremo la carne mortale, ora deponiamo la vecchiezza del cuore. Facilmente il corpo sarà elevato nell'alto dei cieli se il peso dei peccati non opprime lo spirito.

  3. #3
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    Predefinito Dai Discorsi di Giovanni Taulero.

    3e sur l'Ascension. Sermons de Tauler, trad. Hugueny, Théry, Corin, "La vie spirituelle", Paris, 1927, t. I, 344-348.

    Allorché l'amabile Cristo ebbe mangiato sul Monte degli Ulivi coi suoi diletti discepoli e li ebbe rimproverati perché erano stati tanto a lungo con lui ed erano ancora così duri a credere, dinanzi al loro sguardo salì in cielo. Figli, immaginate con quale struggente pena lo seguissero quei cuori che lo amavano così straordinariamente, perché là dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

    Per quest'amabile Ascensione Gesù vuole tirarsi dietro cuore, sensi, facoltà interiori ed esteriori dei suoi amici, affinché non soggiorniamo, non abitiamo più con piacere e soddisfazione in questo tempo, ma tutta la nostra vita sia in cielo: amore, intenzioni, soddisfazione e consolazione.

    Come potrebbe essere diversamente? Le membra seguono il loro Capo che oggi è asceso e ci ha preceduto per preparare il posto a noi che lo seguiamo, in modo da poter dire con la sposa nel Libro dell'amore: Attirami dietro a te.

    Chi può impedirci di seguire incessantemente il nostro amabile capo? Non ha detto proprio lui: Salgo al Padre mio e Padre vostro? La sua origine, la sua mèta, la sua felicità e la nostra felicità sono proprio una sola felicità in lui. Noi siamo scaturiti dalla medesima origine e con tutto ciò che siamo abbiamo la medesima mèta e torniamo alla medesima origine.

    Cari figli, vediamo ora che Cristo ci ha preceduti nella felicità e se vogliamo seguirlo, dobbiamo pure osservare la strada che ci ha mostrato per trentatré anni nel disagio, nella povertà, in un'amarezza oltre ogni misura; e dobbiamo andare per la stessa via se vogliamo giungere con lui al di sopra di tutti i cieli.

    Se tutti i maestri fossero morti e tutti i libri bruciati, troveremmo sempre nella sua santa vita sufficiente insegnamento perché lui stesso è la via e nessun altro. Seguiamolo con tutte le nostre forze e arriveremo noi pure all'amabile mèta dove ci ha ora preceduti.

    Come la pietra calamitata attira il ferro, così l'amabile Cristo attira dietro a sé tutti i cuori che sono stati toccati da lui. Quando il ferro è toccato dalla forza della pietra calamitata, si solleva sopra la sua qualità naturale, e sale in alto dietro la pietra, benché non sia sua natura; non trova riposo in se stesso finché non sale al di sopra di sé.

    Figli, è proprio così: tutti i fondi, toccati dalla calamita che è Cristo, non possono più essere trattenuti da gioia o dolore che sia. Si innalzano sopra se stessi fino a lui. Dimenticano la propria natura e lo seguono. E lo seguono con tanta maggior purezza, verità e disponibilità, quanto più nobilmente sono stati toccati da lui.

    Esaminiamoci con cura per vedere se siamo stati toccati da Dio oppure no. Quelli che non lo sono stati, cominciano spesso in maniera molto bella, tanto che si presumono grandi cose; ma ancor prima che si pensi ciò, non ne viene fuori nulla, costoro vanno a fondo molto rapidamente e ripiombano nelle loro vecchie abitudini e nei piaceri naturali.

    Figli, se Dio non ci tocca, non diamo la colpa a lui, come spesso dice la gente: "Dio non mi ha toccato né mi spinge come altri". Dio tocca, spinge, avverte e desidera ugualmente tutti gli uomini e li vuole tutti allo stesso modo.

    Ma la sua mozione, i suoi avvertimenti e i suoi doni sono ricevuti e accolti diversamente. Presso molti uomini, quando Dio viene con i suoi tocchi e i suoi doni, trova il posto occupato, trova altri ospiti e deve tornare indietro senza poter entrare. Noi amiamo e abbiamo di mira altro; perciò i suoi doni, che egli offre incessantemente a ogni uomo, devono restare fuori. Questa è la causa del nostro danno eterno e del nostro arresto; siamo noi tale causa e non Dio. Ci procuriamo e abbiamo tante vane occupazioni da non badare a noi stessi né a Dio, e ci arrechiamo un danno indescrivibile.

    Possiamo ovviare a questo soltanto con uno zelo pronto e coraggioso e una preghiera sincera, interiore e costante. Così, e non diversamente, otterremo di non restare indietro e ci sarà data ancora un'amabile fiducia nella sconfinata misericordia di Dio, in cui consiste tutto, e una fervente, fedele e immediata adesione a lui.

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    Predefinito Dalle Omelie di san Gregorio Magno

    Homilia XXIX, 1. 2-4 in Evang. PL 76, 1213-1216.

    I discepoli tardarono a credere nella risurrezione del Signore, e ciò va visto non come segno del loro vacillare ma come sostegno della fede a cui in futuro noi saremmo stati chiamati. A loro, ancora in preda ai dubbi, l'evento della risurrezione fu mostrato con molti argomenti. Ne leggiamo nelle testimonianze scritte, e non ci sentiamo forse confermati nella fede dai loro stessi dubbi? Mi dà minor aiuto Maria, giunta subito alla fede, di Tommaso che dubitò a lungo. Questi con la sua incertezza toccò le cicatrici delle ferite e allontanò dal nostro cuore la ferita dell'incredulità.

    A conferma della risurrezione del Signore va anche notato ciò che scrive Luca: Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme. E poco dopo: Fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. Notate le parole e il loro mistico significato: Mentre si trovava a tavola ... fu elevato in alto. Mangiò, salì, perché attraverso il prendere cibo risultasse evidente la realtà del suo corpo.

    Marco ricorda anche che il Signore, prima di salire al cielo, rimproverò i discepoli per la durezza del loro cuore e per l'incredulità. In tutto ciò, cosa occorre mettere in evidenza se non che il Signore rimproverò i discepoli nell'atto di congedarsi con la sua presenza fisica da loro, perché le parole da lui pronunciate nel lasciarli restassero più saldamente impresse nel loro cuore mentre le udivano? Ascoltiamo cosa dice come esortazione dopo il rimprovero per la durezza del loro cuore: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.

    Quando la Verità invia i discepoli a predicare, come interviene nel mondo se nn spargendo seme? Sono disseminati pochi granelli, perché nascano frutti di messi abbondanti dalla nostra fede. Non potrebbe nascere in tutto il mondo una messe così ricca di fedeli, se quei grani scelti dei predicatori non raggiungessero, attraverso la mano del Signore, il terreno delle anime.

    Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. Qualcuno forse dirà tra sé: Io ho già creduto e quindi avrò la salvezza. Costui dice bene se accompagna la fede con le opere, perché la fede autentica è quella che non contraddice con le opere le verità credute. Per questo Paolo scrive di alcuni falsi credenti: Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti. E Giovanni: Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo.

    A questo punto dobbiamo verificare l'autenticità della nostra fede con l'esame della nostra condotta, perché potremo dire di essere veri credenti se attuiamo con le opere le promesse fatte a parole. Nel giorno del battesimo ci siamo impegnati a rinunciare a tutte le opere e a tutte le pompe dell'Avversario antico. Ognuno di voi si esamini seriamente e se da dopo il battesimo compie ciò a cui si impegnò, si senta felice per la certezza di avere la vera fede.

    E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro alcun danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno.

    Forse, fratelli miei, dovete considerarvi senza fede perché non operate questi prodigi? Essi furono necessari ai primordi della Chiesa, perché la fede doveva essere alimentata dai miracoli per poter crescere. Anche noi, del resto, quando piantiamo alberi, dobbiamo annaffiarli finché non li vediamo ben solidi nel terreno, e appena hanno fissato le radici smettiamo di somministrare l'acqua. Per questo Paolo dice: Le lingue non sono un segno per i credenti ma per i non credenti.

    Ci sono altre ulteriori considerazioni in ordine a questi segni e prodigi. La santa Chiesa compie ogni giorno in forma spirituale ciò che faceva allora concretamente mediante gli apostoli. Quando infatti i suoi sacerdoti con la grazia dell'esorcismo impongono le mani ai fedeli e impediscono agli spiriti maligni di prendere dimora nelle loro anime, cosa fanno se non scacciare i demoni? E i cristiani che abbandonano le dottrine mondane della vita di un tempo, che celebrano i santi misteri e annunciano con tutte le forze le lodi e la potenza del Creatore, che altro fanno se non esprimersi in lingue nuove? Quando poi con buone esortazioni spengono la malizia nel cuore degli altri, eliminano i serpenti. Quando sentono parole malvagie e suadenti senza farsi trascinare al male, prendono, sì, bevande mortifere, ma non ne subiscono danno.

    Quando i credenti si accorgono che il prossimo vacilla nel compiere il bene, quando lo soccorrono con tutte le forze e l'esempio del proprio comportamento, sostengono la condotta di chi è incerto nelle scelte da compiere, altro non fanno se non imporre le mani sui malati perché ritrovino la salute. Questi prodigi sono ancora più grandi perché di ordine spirituale, e perché attraverso di essi vengono ricondotti alla vita non i corpi ma le anime.

    Fratelli carissimi, voi pure potete compiere questi segni - se lo volete - con l'intervento di Dio. Si tratta di segni esterni e da essi non possono ottenere vita quelli che li compiono perché sono prodigi di natura corporea che mostrano talora la santità senza però esserne causa; invece questi prodigi spirituali compiuti nelle anime producono la realtà della vita, e non è loro compito semplicemente il mostrarla. Di essi possono fruire solo i giusti, mentre ai primi possono accedere anche i malvagi. Per questo la Verità dice di qualcuno: Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.

    Non vogliate perciò, fratelli, fare oggetto del vostro amore quei segni che potrebbero essere attribuiti anche ai reprobi, ma amate i prodigi della carità e del fervore, di cui ora abbiamo parlato, che sono veramente sicuri perché occulti; per essi è stabilita presso il Signore una ricompensa tanto più grande quanto minore è la loro gloria presso gli uomini.

  5. #5
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    Predefinito Dai Discorsi di san Massimo di Torino

    Sermo 47. PL 57, 627‑630.

    Oggi l'inferno e il suo capo gemono di essere spogliati, mentre tutte le schiere angeliche si allietano per aver ritrovato colui che avevano perduto.

    Oggi Cristo si siede alla destra del Padre, rivestito della carne che ha assunto dalla Vergine Madre per l'operazione dello Spirito Santo, mentre tutti gli spiriti beati si inchinano ad osannarlo.

    Oggi noi possiamo entrare nel santuario del cielo grazie al sangue di Gesù, come attesta la Scrittura. Infatti si è aperta per noi una via nuova che Cristo, uomo‑Dio, ha inaugurato e che finora era preclusa a ogni essere umano.

    Oggi l'Agnello apre il libro sigillato, perché la morte di Gesù ha rivelato i misteri di quel libro. Ciò che era scritto di lui nella legge e nei profeti trova ormai compimento, perché oggi si è adempiuto in pienezza il disegno salvifico dell'onnipotenza divina (Cf Eb 9, 12).

    Cristo scese sulla terra per condividere la nostra natura; oggi egli sale al cielo per renderci partecipi della sua gloria. Durante il tempo meraviglioso in cui visse quaggiù, con la concretezza dei miracoli egli rallegrò noi che eravamo come bambini. Oggi, salendo al cielo, ci fa crescere nella fede con i suoi doni e ci impartisce un'educazione virile: non dovremo più bramare di contemplarlo quaggiù,ma impegnarci con tutte le forze a seguirlo dove ci ha preceduti. Ormai siamo orfani della presenza terrena di Cristo: raccogliamo perciò tutte le energie per tendere verso la visione beata e diciamo con il salmista: Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto"; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto (Sal 26,8‑9).

    Tutto il piano salvifico di Dio, manifestato nell'incarnazione di Cristo, è animato da un unico scopo, è diretto da una sola esigenza: guidarci verso le realtà del cielo, perché al termine del pellegrinaggio mortale giungiamo alla chiara visione del Signore e possiamo saziarci della gloria eterna del suo volto. Lo attesta l'Apostolo, dicendo: Lo vedremo così come egli è (1 Gv 3,2), e a lui così fa eco il salmista: Al risveglio mi sazierò della tua presenza (Sal 16,15).

    Godremo allora per l'eternità di quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, perché queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor 2,9).

    Davide ebbe la vaga intuizione di questi beni mirabili quando esclamò: Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra (Sal 72,25). Il salmista parla in modo allusivo, perché non era in grado né di esprimere a parole né di comprendere per concetti la sublimità della gloria celeste.

    Non ci resta dunque che avere fame e aver sete dei beni promessi, giacché Cristo, il nostro sommo sacerdote, ci ha preceduti oggi nel Santo dei santi, ove siede alla destra del Padre. Egli ha confermato con il suo esempio di uomo-Dio questa speranza che alimenta la nostra fede: possa un giorno l'umile gregge al completo raggiungere il suo Pastore.

    Il Signore promise agli apostoli che i suoi avrebbero potuto seguirlo in cielo. Egli disse infatti: Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi (Lc 17.37).

    Quando questi rapaci sentono l'odore della preda di là dal mare, ne rincorrono velocissimi la scia, per saziare la loro fame. Questo simbolo ferino rappresenta coloro che desiderano venire sciolti dal corpo per essere con Cristo, e nella voracità di quegli uccelli va colta la brama delle anime sante. Per mezzo della fede esse avvertono che il loro capo è ormai stabilito nella quiete perfetta, fuori dalle bufere del mondo. Sulle ali di una dolcissima speranza esse vogliono spiccare il volo fino alla presenza del Creatore e saziarsi a contemplarne il volto.

    Noi crediamo che Cristo regna alla destra del Padre e non cessiamo di tendere verso di lui sulle ali gemelle della fede e della carità. Per regnare con lui nella vita che non ha fine, purifichiamoci da ogni vizio: otterremo allora di essere per sempre la dimora di Dio.

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    Predefinito Dai Discorsi di san Gregorio Palamas

    Homilia 21. PG 151, 275‑278.

    Oggi celebriamo in Cristo il passaggio della nostra natura umana, non dal fondo del sepolcro alla superficie della terra, ma dalla terra al sommo cielo, al trono celeste di colui che domina sull'universo.

    Oggi infatti il Signore non sta più in mezzo ai suoi discepoli come aveva fatto dopo la risurrezione,ma si allontana e scompare ai loro occhi elevandosi in cielo.La sua ascensione lo fa entrare nel vero santuario dove siede alla destra del Padre, sopra di ogni principato e potenza, più in alto di ogni gloria e di ogni nome che si possa conoscere o nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro.

    Numerose risurrezioni avevano preceduto quella del Signore; così pure numerose furono le ascese al cielo che prefigurarono la sua. Leggiamo infatti che uno spirito rapì Geremia e che l’angelo del Signore afferrò Abacuc. Più spettacoloso è il racconto sul profeta Elia, che fu assunto in cielo sopra un carro di fuoco. Costoro tuttavia non oltrepassarono le zone attigue alla terra, e le loro ascensioni furono piuttosto trasferimenti verso luoghi superiori ma sempre vicini al globo terrestre.

    Tutti gli uomini che nei tempi prima di Cristo furono richiamati in vita, ritornarono poi alla terra quando morirono. Al contrario, Cristo risorto non è più vinto dalla morte. Egli sale al cielo da dove regna su tutte le creature che gli sono soggette, dando così testimonianza del potere della sua divinità. Questa realtà fu adombrata nel famoso monte di Dio, annunciato da Isaia (Cf Is 2,2): il tempio del Signore rappresentava il corpo di Cristo che domina su tutte le alture spirituali.

    Non un angelo né un uomo il Signore mandò per salvarci; ma, pur restando il Dio immutabile, venne egli stesso, assumendo una carne simile alla nostra. Quando discese, non si spostò altrove, ma accondiscese a mettersi al nostro livello.

    Così pure, quando è asceso al cielo, non si è trasferito dall'umanità alla divinità, ma ha posto sul trono divino la natura umana che aveva assunta. Bisognava infatti che la nostra natura fosse presentata a Dio in Cristo, primogenito dai morti, secondo l'usanza di offrire il primo nato di ogni specie.

    Noi non celebriamo le risurrezioni e le ascensioni che precedettero quella del Signore, perché non le abbiamo condivise. Quelle prefigurazioni hanno l'unico scopo di farci credere nella risurrezione e nell'ascensione di Cristo: solo queste ci interessano, dato che vi possiamo prendere parte. In Cristo che risuscita e sale al cielo, è la natura umana a risorgere e ad ascendere, anzi è ogni essere che creda e manifesti la propria fede con le opere.

    Nella sua natura divina il Signore non era né creato né soggetto al divenire. Per noi egli visse un'esistenza umana allo scopo di additarci la via della vera vita; per noi soffrì nella carne per guarirci dalle nostre passioni e fu condotto a morte per i nostri peccati; per noi è risorto e salito al cielo in modo da prepararci una risurrezione e un'ascensione per l'eternità.

    Tutti coloro che sono gli eredi di Cristo cercano di imitare quella che fu la sua vita terrena. Questa imitazione ha inizio nel santo battesimo, che rappresenta per noi il sepolcro e la risurrezione di Cristo. Dobbiamo poi proseguire uniformando la nostra vita al vangelo, finché approderemo alla vittoria, frutto della lotta spirituale sulle passioni; allora ci sarà la pienezza della gioia eterna, al di là di ogni dolore e di ogni morte. Ce lo conferma l'Apostolo con queste parole: Se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete (Rm 8,13). Quelli che vogliono vivere secondo Cristo devono quindi prefiggersi come riferimento costante della propria esistenza la vita terrena del Salvatore. Moriranno anch'essi come è morto Cristo nella carne, ma come lui risorgeranno con un corpo glorioso e incorruttibile, quando sarà giunto il momento. E poi saranno elevati in cielo, secondo quanto ci insegna ancora san Paolo: Saremo rapiti tra le nubi, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore (1 Ts 4,17).

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    Predefinito Dai Trattati di sant'Agostino sulla prima lettera di Giovanni

    In Epist. Io ad Parthos, I, 1.3; IV,2‑3. PL 35, 1978‑1980.2005‑2006.

    Cristo è il Verbo, la Parola di vita, e la vita si è fatta visibile (Gv 1,2). Ma come si è fatta visibile? Essa era fin dall'inizio, ma non si era manifestata agli uomini; s’era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ed ecco che, secondo la Scrittura,

    L'uomo mangiò il pane degli angeli (Sal 77,25) sicché la vita stessa si è manifestata nella carne. Per guarire il cuore dell'uomo, la vita ha reso palese per gli occhi ciò che solo il cuore poteva vedere.

    Infatti solo con il cuore si vede il Verbo, mentre la carne si offre agli occhi del corpo. Noi potevamo vedere la carne, ma non il Verbo: ce ne mancavano i mezzi. Allora il Verbo si fece carne visibile perché fosse sanato il nostro occhio interiore, e fossimo in grado di fissare il Verbo. Gli apostoli contemplarono il Signore in carne e ossa, dalla sua bocca ne raccolsero le parole e ce le hanno trasmesse.

    Perciò anche noi abbiamo sentito, ma non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro e udirono? L'apostolo Giovanni è molto esplicito al riguardo: Noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi (1 Gv 1,3). Essi videro, noi no, eppure ci troviamo uniti. La ragione è questa: abbiamo la stessa fede.

    Noi crediamo in Gesù che non abbiamo visto, perché lo hanno annunciato coloro che l'hanno contemplato, toccato con le loro mani, ascoltato nella parola uscita dalla sua bocca.

    Per comunicare a tutti gli uomini questa verità, essi furono inviati da lui, perché non osarono muoversi di propria iniziativa. E dove furono mandati? Avete ascoltato dal vangelo: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Quindi i discepoli furono inviati ovunque, con la testimonianza di prodigi e segni miracolosi, perché si credesse che riferivano ciò che essi stessi avevano visto. E noi crediamo in colui che non abbiamo visto, e ne aspettiamo il ritorno.

    Chiunque lo aspetta con fede, sarà pieno di gioia quando tornerà; ma quelli che sono senza fede, resteranno pieni di vergogna, quando ritornerà colui che ora non vogliono vedere.

    Rimaniamo fedeli alla parola del Signore, per non arrossire confusi quando ritornerà. Gesù stesso dice nel vangelo a proposito di coloro che credono: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli (Gv 8,31). Poi, come per specificare la ricompensa da sperare, egli soggiunge:

    Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,32). Attualmente la nostra salvezza è oggetto di speranza, perché ancora non si è realizzata; ancora non possediamo ciò che è stato promesso e tuttavia speriamo che si compirà.

    Colui che ha fatto questa promessa è fedele: egli non ti inganna: tocca a te non mancargli di fiducia, ma attendere la realizzazione delle sue promesse. La verità non conosce inganno.

    Non essere tu il bugiardo, parlando in un modo e agendo in un altro. Conserva la fede e il Signore manterrà la sua promessa. Se perdi la fede, sarai tu a defraudarti, e non chi si è impegnato nella promessa.

    Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia e nato da lui (1 Gv 2,29). La giustizia umana deriva dalla fede, non ha ancora raggiunto la perfezione. La giustizia perfetta si trova solo negli angeli, e anche in loro a stento, se li paragoniamo con Dio.

    Ma se esiste una giustizia relativamente perfetta nelle creature, questa si trova negli angeli santi, giusti, buoni; essi non hanno deviato in nessuna colpa, non sono caduti in atti di superbia, ma sono rimasti fedeli a contemplare il Verbo di Dio, nulla avendo di più dolce se non la visione di colui che li ha creati. In questi angeli c'è la perfetta giustizia, mentre in noi essa è solo in germe, perché la nostra giustizia proviene dalla fede e cresce nello Spirito.

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    Predefinito Dalle «Omelie sul Cantico dei cantici» di san Gregorio di Nissa, vescovo

    Om. 15; PG 44, 1115-1118

    Se davvero l'amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei cantici: «Una sola è la mia colomba, la mia perfetta. L'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice» (Ct 6,9).
    Tutto ciò lo mostra più chiaramente il Signore nel vangelo.
    Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un'unica vocazione, animati da una medesima speranza.
    Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del vangelo: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me è io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).
    Il vincolo di questa unità è un'autentica gloria. Nessuno infatti può negare che lo Spirito Santo sia chiamato «gloria». Dice infatti il Signore: «La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro» (Gv 17, 22). Egli possedette tale gloria sempre ancora prima che esistesse questo mondo. Nel tempo poi la ricevette quando assunse la natura umana. Da quando questa natura fu glorificata dallo Spirito Santo, tutto ciò che si connette con questa gloria, diviene partecipazione dello Spirito Santo.
    Per questo dice: «La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola: io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità» (Gv 20, 22-23). Perciò colui che dalla fanciullezza è, cresciuto raggiungendo la piena maturità del Cristo, viene a trovarsi in quello stato tutto speciale, che solo l'intelligenza, illuminata dalla fede, può percepire. Allora diviene capace della gloria dello Spirito Santo attraverso una vita lontana dai vizi e improntata alla santità. Costui dunque è quella perfetta colomba, alla quale guarda lo Sposo, quando dice: «Una sola la mia colomba, la mia perfetta».


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    Luca Della Robbia, Ascensione di Cristo, 1446, Duomo, Firenze

    Tintoretto, Ascensione di Cristo, 1578-81, Scuola di San Rocco, Venezia

    Antonio Lanchares, Ascensione di Cristo, 1609, Museo del Prado, Madrid

    Jan van der Straet, Ascensione di Cristo, XVI sec., Colegio Corpus Christi, Valencia

    Luis Tristán, Ascensione di Cristo, XVI sec., Parroquia de San Benito Abad, Yepes, Toledo

    Luis Tristán, Ascensione di Cristo, XVI sec.

  10. #10
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