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Immigrati, 5 per cento della popolazione - Caritas: 'Ora leggi più coraggiose'

di Chiara Righetti

ROMA - Quasi tre milioni alla fine del 2004, con un’incidenza sul totale della popolazione ormai vicina al 5 per cento della media europea (anche se ancora lontana dal 9 per cento di Austria e Germania). E’ l’ultimo dato sugli immigrati in Italia frutto delle anticipazioni del Dossier Immigrazione 2005 di Caritas Italiana, Caritas Roma e Fondazione Migrantes.
Pittau (Caritas): “Serve una politica che guardi al futuro”
“Quest’anno – spiega Franco Pittau, responsabile del Dossier – abbiamo privilegiato un approccio storico, perché la storia quando è basata sui dati statistici consente un approccio oggettivo, scevro da posizioni pregiudiziali. E la storia dell’immigrazione in Italia ci mostra una crescita prima timida, poi sempre più impetuosa fino ad essere quasi travolgente negli ultimi anni: basti pensare che dal 2000 al 2004 la presenza immigrata in Italia è raddoppiata”. Una presenza che - sottolinea Pittau – se prima era marginale, nel tempo è divenuta sempre più rilevante e che perciò richiede con forza una normativa più organica, una politica che guardi coraggiosamente al futuro, perché non si può più restare "a metà del guado".

L’Italia, un tempo Paese di emigrazione – si legge nell’anticipazione del Dossier – con circa 28 milioni di espatri a partire dall'unità d'Italia, è passata ad assistere “con indifferenza e curiosità" ai primi flussi, negli anni '70 e '80, per attraversare poi il "periodo dell'emergenza (negli anni ‘80-‘90) e arrivare a quello che il dossier definisce “il periodo dell'organicità limitata e contrastata”, dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini. Gli stranieri in Italia erano 140 mila nel 1970, oltre un milione nel 1997, quasi tre milioni nel 2005: in 35 anni, la loro presenza è aumentata di 30 volte.

Anche senza i flussi, il numero aumenta di 100mila persone ogni anno
Oltre al numero – 2 milioni 730mila a fine 2004, di cui 1 milioni 289 mila europei, 647mila africani, 472mila dall'Asia, 314mila dall'America, 7mila dall'Oceania o apolidi - aumenta anche il ritmo di crescita degli immigrati (130mila nuovi arrivi in un anno, di cui 88mila per ricongiungimenti familiari). Al punto che oggi – spiega il curatore del Dossier – anche se per assurdo il governo smettesse di autorizzare ingressi per lavoro attraverso il meccanismo delle quote – la presenza di stranieri sarebbe destinata comunque ad aumentare di oltre 100mila unità all’anno. Grazie appunto ai ricongiungimenti familiari e ai nuovi nati: ormai ogni anno nascono in Italia da genitori stranieri circa 40mila bambini.

Una risorsa fondamentale: è immigrato l’8 per cento dei lavoratori
E altri fattori, aggiunge Pittau, dimostrano che abbiamo ormai a che fare con un fenomeno strutturale: la diffusione su tutto il territorio (60% al nord, 30% al centro, 10% al sud), non solo nelle città ma anche nei piccoli comuni; la “normalizzazione” demografica, con una netta prevalenza di coniugati; il numero di minori (uno su cinque). Infine la tendenza alla stabilità di residenza: il 60 per cento degli immigrati vive in Italia da più di 5 anni e sono ormai 320mila quelli che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Senza dimenticare, precisa Pittau, la crescente domanda da parte del mercato del lavoro dove ormai l'incidenza dei lavoratori immigrati è vicina all’8% dei lavoratori.

Tutto questo però, lamenta la Caritas, in un quadro legislativo ancora "incompiuto e nebuloso". Perché l’approccio politico e socio-culturale come sempre è in ritardo rispetto alla storia, perciò si è rimasti a lungo ancorati a un approccio di emergenza. “Nel 1998 – osserva Pittau – si è tentato per la prima volta di “gestire” il fenomeno, anziché limitarsi ad arginarlo, con una legge – la Turco- Napolitano – che aveva i primi spunti spunti di un approccio sistematico. Legge in parte ridimensionata dalla Bossi-Fini, che però è stata a sua volta ridimensionata dalla Corte”.

“Servono nuove leggi ma anche l’impegno per snellire la burocrazia”
Le priorità, quindi, sono ben note: una nuova legge sulla cittadinanza, perché la nostra, ribadisce il rappresentante della Caritas, è arcaica e inservibile; e voto degli immigrati alle amministrative. Ma anche uno sforzo nello snellire le pratiche burocratiche, per garantire una reale parità di diritti. Non si tratta “solo” di bandire definitivamente razzismo e xenofobia. Ma di finanziare le attività necessarie per realizzare appieno l’integrazione (casa, scuola, credito, rimesse, associazionismo, servizio civile), e di adottare meccanismi flessibili di collocamento, come è stato – nei suoi limiti – l’esperimento della sponsorizzazione.

Anche per garantire – chiarisce Pittau una cosa fondamentale di cui poco si parla: cioè che siano “ben impiegati” gli immigrati che già sono qui, senza sacche di disoccupazione, sfruttamento, mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro. Andare avanti quindi, uscire dal guado, magari prendendo slancio da Libro verde che ha gettato sul tavolo il problema anche a livello europeo. Magari per scoprire “il bello”: cioè che in un paese a pieno rischio recessione economica l’immigrazione non è necessariamente un’ulteriore piaga ma può essere una forza e una soluzione.
(09 maggio 2005 - ore 14.21)


E' questa la crescita a cui ambiscono gli italiani e che promette anche la destra di governo? Una crescita che riguarda solo stranieri?