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    Predefinito 12 maggio (30 luglio) - S. Leopoldo Mandic, cappuccino

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Leopoldo Mandic, Cappuccino

    30 luglio (12 maggio)

    Castelnovo di Cattaro (Croazia), 12 maggio 1866 - Padova, 30 luglio 1942

    Nato il 12 maggio 1866 a Castelnuovo, nella Dalmazia meridionale, a sedici anni entra tra i Cappuccini di Venezia. Piccolo di statura, curvo e malfermo di salute, è uno dei santi più recenti della Chiesa cattolica. Entrato tra i Cappuccini, collabora alla riunificazione con la Chiesa ortodossa. Questo suo desiderio però non si realizza, perché nei monasteri dove viene assegnato gli vengono affidati altri incarichi. Si dedica soprattutto al ministero della Confessione e in particolare a confessare altri sacerdoti. Dal 1906 svolge questo compito a Padova. È apprezzato per la sua straordinaria mitezza. La sua salute man mano si deteriora, ma fino a quando gli è possibile non cessa di assolvere in nome di Dio e di indirizzare parole di incoraggiamento a quanti lo accostano. Muore il 30 luglio 1942. La sua tomba, aperta dopo ventiquattro anni, ne rivela il corpo completamente intatto. Paolo VI lo ha beatificato nel 1976. Giovanni Paolo II, infine, lo ha canonizzato nel 1983. (Avvenire)

    Etimologia: Leopoldo = che si distingue, dal tedesco

    Martirologio Romano: A Padova, san Leopoldo (Bogdano) da Castronuovo Mandic, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che arse di zelo per l’unità dei cristiani e dedicò tutta la vita al ministero della riconciliazione.

    Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire. Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, "assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti" a Padova. A più di 50 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano con la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine.
    E’ nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo. Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati. Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino cammina tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo. Vuole andare in Oriente, e per due volte crede di fare il primo passo, quando lo mandano a Zara e a Capodistria. Ma nella guerra del 1915-18, essendo croato (ossia “suddito nemico”), deve risiedere nel Meridione d’Italia. Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi. E la missione in Oriente sembra farsi realtà. Ma interviene il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e dice ai Cappuccini: "La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto". Insomma, i padovani non ci stanno. E riescono a recuperare il piccolo confessore, che passa giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza. E anche lui capisce: "Il mio Oriente è qui, è Padova".
    Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi brucia tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia. Lui però non è un tipo bonario per naturale tranquillità. Al contrario, è bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota san Gerolamo. E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: "Abbi pietà di me che sono dàlmata!".
    Sembra impossibile che resista, sempre più fragile, a questo genere di vita, inasprito da preghiere, penitenze, digiuni. Ed è anche vecchio: "Ma la verità non invecchia", usa ripetere; e quando nel 1942 lo portano in ospedale trova modo di confessare anche lì. Gli riscontrano però un tumore all’esofago. Torna allora in convento e muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa. E via via, come ha detto Paolo VI beatificandolo nel 1976, "la vox populi sulle sue virtù, invece che placarsi col passare del tempo, si è fatta più insistente, più documentata e più sicura". E Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i santi.
    Il Martirologio Romano mette la festa il 30 luglio. Normalmente il santo o il beato si ricorda nel giorno della morte a meno che per motivi liturgici o pastorali segnalati da chi ha la responsabilità e valutati dal Maestro delle Cerimonie liturgiche prima della beatificazione o canonizzazione non stabilisca diversamente. Nel caso di san Leopoldo è stato chiesto, dopo la canonizzazione, la festa nel giorno non della morte ma della nascita (12 maggio).

    Autore: Domenico Agasso




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    Celletta confessionale

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    PAOLO VI

    OMELIA
    SOLENNE BEATIFICAZIONE DI PADRE LEOPOLDO DA CASTELNOVO


    Domenica, 2 maggio 1976

    Chi è, chi è Colui, che oggi qua ci raccoglie per celebrare nel suo nome beato una irradiazione del Vangelo di Cristo, un fenomeno inesprimibile, eppure chiaro ed evidente, quello d’una trasparenza incantevole, che ci lascia intravedere nel profilo d’un umile fraticello una figura esaltante e insieme quasi sconcertante: guarda, guarda, è San Francesco! lo vedi? guarda come è povero, guarda com’è semplice, guarda com’è umano! è proprio lui, San Francesco, così umile, così sereno, così assorto da apparire quasi estatico in una sua propria interiore visione dell’invisibile presenza di Dio, eppure a noi, per noi così presente, così accessibile, così disponibile, che pare quasi ci conosca, e ci aspetti, e sappia le nostre cose e possa leggere dentro di noi . . . Guarda bene: è un povero, piccolo Cappuccino, sembra sofferente e vacillante, ma così stranamente sicuro che ci si sente da lui attratti, incantati. Guarda bene, con la lente francescana. Lo vedi? Tu tremi? chi hai visto? Sì, diciamolo: è una debole, popolare, ma autentica immagine di Gesù; sì, di quel Gesù, che parla simultaneamente al Dio ineffabile, al Padre, Signore del cielo e della terra; e parla a noi minuscoli uditori, racchiusi nelle proporzioni della verità, cioè della nostra piccola e sofferente umanità . . . E che dice Gesù in questo suo oracolo poverello? Oh! grandi misteri, quelli dell’infinita trascendenza divina, che ci lascia incantati, e che subito assume un linguaggio commovente e trascinante: riecheggia il Vangelo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed Io vi ristorerò» (Matth. 11, 28).

    Ma dunque chi è? è Padre Leopoldo; sì, il servo di Dio Padre Leopoldo da Castelnovo, che prima di farsi frate si chiamava Adeodato Mandić, un Dalmata, come San Girolamo, che doveva avere certamente nel temperamento e nella memoria la dolcezza di quella incantevole terra adriatica, e nel cuore, e nella educazione domestica la bontà, onesta e pia, di quella forte popolazione veneto-illirica. Era nato il 12 maggio 1866, e morì a Padova, dove fattosi Cappuccino, visse la maggior parte della sua vita terrena, conclusa a 76 anni, il 30 luglio 1942, poco più di trent’anni fa. Qui, in questo caso, il Diritto Canonico si è fatto indulgente, derogando alla norma che differisce la discussione delle virtù d’un Servo di Dio a cinquant’anni dopo la sua morte; ma come rimandare questo atto processuale quando la vox populi in favore delle virtù di Padre Leopoldo, invece che placarsi al passare del tempo s’è fatta più insistente, più documentata e più sicura della propria testimonianza? Al coro spontaneo di quanti hanno conosciuto l’umile Cappuccino, o ne hanno sperimentato la taumaturgica intercessione, s’è dovuto arrendere il giudizio della Chiesa (Cfr. Codex Iuris Canonici, can. 2101), anticipando le sue favorevoli conclusioni, così che a proclamare l’eccezionale valore morale e spirituale di Padre Leopoldo non sono soltanto quelli che raccolgono la postuma eredità, ma ancora esistono non pochi che possono suffragare questa sua celebrazione dicendo: io l’ho conosciuto; sì, era un santo religioso, un uomo di Dio, uno di quegli uomini singolari, che effondono subito l’impressione della loro soprannaturale virtù. E subito nella memoria di chi conosce un po’ la storia della Famiglia religiosa dei Cappuccini si profilano le grandi figure di questi Frati, fedeli alla più rigorosa tradizione francescana, che ne hanno personificato la santità; e tra questi limitiamoci ad una tipica figura letteraria, a tutti ben nota, Fra’ Cristoforo del Manzoni. Ma no: Fra’ Leopoldo era più piccolo, di statura, di capacità naturali (non era nemmeno un predicatore, come non pochi valenti Cappuccini lo sono), non era neppure di forte salute fisica, era davvero un povero fraticello.

    Una nota particolare non possiamo tuttavia trascurare; egli era oriundo della sponda levantina dell’Adriatico, di Castelnovo, alle bocche di Cattaro, nel territorio della Croazia - Montenegro – Erzegovina - Bosnia; e conservò sempre per la sua terra un amore fedele, anche se poi, vissuto a Padova, non fu meno affezionato alla nuova patria ospitale e soprattutto alla popolazione presso la quale esercitò il suo silenzioso e indefesso ministero. La figura perciò del Beato Leopoldo riassume in sé questa bivalenza etnica, quasi a fonderla in un emblema di amicizia e di fratellanza, che ogni suo devoto cultore dovrà fare propria. È questo particolare dato biografico del beato Leopoldo un primo compimento d’un pensiero, d’un proposito dominante della sua vita. Come tutti sappiamo, Padre Leopoldo fu «ecumenico» ante litteram, cioè sognò, presagì, promosse, pur senza operare, la ricomposizione nella perfetta unità della Chiesa, anche se essa è gelosamente rispettosa delle particolarità molteplici della sua composizione etnica; unità voluta dalle origini storiche e ancor più dalla sacra e misteriosa volontà di Cristo fondatore d’una Chiesa, tutta penetrata da essenziali esigenze del supremo voto di Gesù: ut unum sint, siano tutti uno quanti una medesima fede, un medesimo battesimo, un medesimo Signore congiungono in un solo Spirito, vincolo di pace (Cfr. Eph. 4, 3 ss.; Io. 17, 11-21). Oh! che il Beato Leopoldo sia profeta e intercessore di tanta grazia per la Chiesa di Dio!

    Ma la nota peculiare della eroicità e della virtù carismatica del Beato Leopoldo fu un’altra; chi non lo sa? fu il suo ministero nell’ascoltare le Confessioni. Il compianto Card. Larraona, allora Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, scrisse, nel Decreto del 1962 per la beatificazione di Padre Leopoldo: « il suo metodo di vita era questo: celebrato di buon mattino il sacrificio della Messa, egli sedeva nella celletta-confessionale, e lì restava tutto il giorno a disposizione dei penitenti. Tale tenore di vita egli conservò per circa quarant’anni, senza il minimo lamento . . .».

    Ed è questo, noi crediamo, il titolo primario che ha meritato a questo umile Cappuccino la beatificazione, che ora noi stiamo celebrando. Egli si è santificato principalmente nell’esercizio del sacramento della Penitenza. Fortunatamente già copiose e splendide testimonianze sono state scritte e divulgate su questo aspetto della santità del nuovo Beato. Noi non abbiamo che da ammirare e da ringraziare il Signore che offre oggi alla Chiesa una così singolare figura di ministro della grazia sacramentale della Penitenza; che richiama da un lato i Sacerdoti a ministero di così capitale importanza, di così attuale pedagogia, di così incomparabile spiritualità; e che ricorda ai Fedeli, fervorosi o tiepidi e indifferenti che siano, quale provvidenziale e ineffabile servizio sia ancor oggi, anzi oggi più che mai, per loro la Confessione individuale e auricolare, fonte di grazia e di pace, scuola di vita cristiana, conforto incomparabile nel pellegrinaggio terreno verso l’eterna felicità.

    Che il beato Leopoldo conforti le anime amorose di spirituale incremento all’assidua frequenza al confessionale, che certe correnti critiche, non certo ispirate da cristiana e matura sapienza, vorrebbero fosse relegata nelle forme superate della spiritualità viva, personale, evangelica. Che il nostro beato sappia chiamare a questo severo, sì, tribunale di penitenza, ma non meno amabile rifugio di conforto, di verità interiore, di risurrezione alla grazia e di allenamento alla terapia della autenticità cristiana, molte, molte anime intorpidite dalla fallace profanità del costume moderno, per fare loro sperimentare le segrete e rinascenti consolazioni del Vangelo, del colloquio col Padre, dell’incontro con Cristo, dell’ebbrezza dello Spirito Santo, e per ringiovanire in esse l’ansia del bene altrui, della giustizia e della dignità del costume.

    A voi, Fratelli Francescani dell’Ordine Cappuccino, grazie d’aver dato alla Chiesa e al mondo un «tipo» della vostra scuola austera, amichevole, pia d’un cristianesimo altrettanto fedele a se stesso, quanto idoneo a risollevare nel cuore del popolo la gioia della preghiera e della bontà.

    E onore a voi, Figli della Croazia, del Montenegro, della Bosnia-Erzegovina e della Jugoslavia intera per aver generato al nostro tempo un esemplare così alto e così umano della vostra tradizione cattolica.

    E voi, Padovani, sappiate onorare vicino al vostro S. Antonio questo non dissimile fratello della genealogia francescana, e dell’uno e dell’altro sappiate trasfondere nelle nuove generazioni le virtù cristiane ed umane già così illustri nella vostra storia.

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    GIOVANNI PAOLO II

    OMELIA
    CANONIZZAZIONE DI PADRE LEOPOLDO DA CASTELNOVO


    Domenica, 16 ottobre 1983

    1. “Dio è amore . . . Noi abbiamo creduto all’amore” (1 Gv 4, 8.16).

    Venerabili miei fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio. Ecco, noi ci accostiamo oggi all’altare, per esprimere la nostra unità nel sacerdozio di Gesù Cristo. Ci accostiamo per confessare e proclamare, insieme con tutti i partecipanti all’Eucaristia, riuniti in Piazza San Pietro, quello che l’evangelista Giovanni ha scritto nella sua prima Lettera: “Dio è amore . . . In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi . . .” (Gv 4, 8. 10).

    Dio è amore, e l’amore è da Dio. Non dal mondo. E non dall’uomo. È da Dio stesso. Il mondo non può esistere senza quest’amore. L’uomo non può esistere senza di esso. L’uomo che è sempre più consapevole di ciò che lo minaccia da parte delle potenze di questo mondo, che egli stesso ha sprigionate, e da parte della civiltà, che egli stesso ha costruito, se questa civiltà non diventerà simultaneamente “la civiltà dell’amore”.

    Dio è amore. E l’amore è da Dio. Una profonda coscienza di questa verità ci ha indotti a incontrarci al Sinodo dei Vescovi intorno al tema: “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”. La riconciliazione e la penitenza sono il frutto di quest’amore che è da Dio. Mediante il tema del Sinodo tocchiamo le radici stesse dei problemi che si trovano nel cuore dell’uomo, e insieme dei problemi dai quali dipende la vita dell’intera famiglia umana.

    2. L’Amore, che è Dio, si è rivelato una volta per sempre: “. . . si è manifestato l’amore di Dio per noi . . . è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 9-10).

    Questa missione del Figlio sta alle basi della nostra riconciliazione con Dio. Il sacrificio di espiazione per i peccati diventa la sorgente della nuova alleanza, che è l’alleanza dell’amore e della verità. Questa è l’alleanza di Dio con l’uomo e la riconciliazione dell’uomo con Dio, che si realizza contemporaneamente nell’uomo come riconciliazione con i fratelli: “se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri . . . se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4, 11-12).

    Era necessario, venerabili e cari fratelli, questo Sinodo sul tema della riconciliazione e della penitenza per toccare le questioni più profonde nella missione della Chiesa verso l’uomo e verso il mondo dei nostri giorni. Bisognava preparare in un certo senso il terreno per questo Sinodo mediante il Giubileo straordinario dell’Anno della Redenzione, che celebriamo contemporaneamente a Roma e in tutta la Chiesa. Mediante questo il tema del Sinodo si è radicato in modo particolare in ciascuno di noi.

    Siamo qui come coloro che hanno riconosciuto e creduto all’amore, che Dio ha per noi (cf. 1 Gv 4, 16). Da tale fede nasce tutto ciò che desideriamo fare mediante i lavori del Sinodo per la riconciliazione e per la penitenza nella missione contemporanea della Chiesa. Lo facciamo, perché “abbiamo creduto all’amore”. Lo facciamo fissando gli occhi su Cristo, il Buon Pastore che conosce le sue pecore e offre la vita per le pecore (cf. Gv 10, 14-15).

    3. Oggi tutto questo trova un’espressione ancora più particolare mediante l’inscrizione nell’albo dei santi del beato Leopoldo Mandić. Infatti egli fu, nei suoi giorni, un servo eroico della riconciliazione e della penitenza.

    Nato a Castelnovo alle Bocche di Cattaro, a 16 anni lasciò la famiglia e la sua terra per entrare nel seminario dei Cappuccini di Udine. La sua fu una vita senza grandi avvenimenti: qualche trasferimento da un convento all’altro, come è consuetudine dei Cappuccini; ma niente di più. Poi l’assegnazione al Convento di Padova, ove rimase fino alla morte.

    Ebbene, proprio in questa povertà di una vita esteriormente irrilevante, venne lo Spirito ed accese una nuova grandezza: quella di un’eroica fedeltà a Cristo, all’ideale francescano, al servizio sacerdotale verso i fratelli.

    San Leopoldo non ha lasciato opere teologiche o letterarie, non ha affascinato con la sua cultura, non ha fondato opere sociali. Per tutti quelli che lo conobbero, egli altro non fu che un povero frate: piccolo, malaticcio. La sua grandezza è altrove: nell’immolarsi, nel donarsi, giorno dopo giorno, per tutto il tempo della sua vita sacerdotale, cioè per 52 anni, nel silenzio, nella riservatezza, nell’umiltà di una celletta-confessionale: “il buon pastore offre la vita per le pecore”. Fra Leopoldo era sempre lì, pronto e sorridente, prudente e modesto, confidente discreto e padre fedele delle anime, maestro rispettoso e consigliere spirituale comprensivo e paziente.

    Se si volesse definirlo con una parola sola, come durante la sua vita facevano i suoi penitenti e confratelli, allora egli è “il confessore”; egli sapeva solo “confessare”. Eppure proprio in questo sta la sua grandezza. In questo suo scomparire per far posto al vero Pastore delle anime. Egli manifestava così il suo impegno: “Nascondiamo tutto, anche quello che può avere apparenza di dono di Dio, affinché non se ne faccia mercato. A Dio solo l’onore e la gloria! Se fosse possibile, noi dovremmo passare sulla terra come un’ombra che non lascia traccia di sé”. E a chi gli chiedeva come facesse a vivere così, egli rispondeva: “È la mia vita!”.

    4. “Il buon pastore offre la vita per le sue pecore”. Ad occhio umano la vita del nostro Santo sembra un albero, a cui una mano invisibile e crudele abbia tagliato, uno dopo l’altro, tutti i rami. Padre Leopoldo fu un sacerdote a cui era impossibile predicare per difetto di pronuncia. Fu un sacerdote che desiderò ardentemente di dedicarsi alle missioni e fino alla fine attese il giorno della partenza, ma che non partì mai perché la sua salute era fragilissima. Fu un sacerdote che aveva uno spirito ecumenico così grande ad offrirsi vittima al Signore, con donazione quotidiana, perché si ricostituisse la piena unità fra la Chiesa Latina e quelle Orientali ancora separate, e si rifacesse “un solo gregge sotto un solo pastore” (cf. Gv 10, 16); ma che visse la sua vocazione ecumenica in un modo del tutto nascosto. Piangendo confidava: “Sarò missionario qui, nell’ubbidienza e nell’esercizio del mio ministero”. E ancora: “Ogni anima che chiede il mio ministero sarà frattanto il mio Oriente”.

    A San Leopoldo che cosa restò? A chi e a che cosa servì la sua vita? Gli restarono i fratelli e le sorelle che avevano perduto Dio, l’amore, la speranza. Poveri esseri umani che avevano bisogno di Dio lo invocavano implorando il suo perdono, la sua consolazione, la sua pace, la sua serenità. A questi “poveri” san Leopoldo donò la vita, per loro offrì i suoi dolori e la sua preghiera; ma soprattutto con loro celebrò il sacramento della Riconciliazione. Qui egli visse il suo carisma. Qui si espressero in grado eroico le sue virtù. Egli celebrò il sacramento della Riconciliazione, svolgendo il suo ministero come all’ombra di Cristo crocifisso. Il suo sguardo era fisso al Crocifisso, che pendeva sull’inginocchiatoio del penitente. Il Crocifisso era sempre il protagonista. “È lui che perdona, è lui che assolve!”. Lui, il Pastore del gregge . . .

    San Leopoldo immergeva il suo ministero nella preghiera e nella contemplazione. Fu un confessore dalla continua preghiera, un confessore che viveva abitualmente assorto in Dio, in un’atmosfera soprannaturale.

    5. La prima lettura dell’odierna Liturgia ci ricorda la preghiera di intercessione di Mosè nel corso del combattimento, che Israele condusse contro Amalek. Quando le mani di Mosè erano alzate, la bilancia della vittoria pendeva dalla parte del suo popolo, quando le mani cadevano per la fatica, prevaleva Amalek.

    La Chiesa, mettendo oggi dinanzi a noi la figura del suo umile servo san Leopoldo, che fu una guida per tante anime, vuole anche additare queste mani che si alzano verso l’alto nel corso delle diverse lotte dell’uomo e del Popolo di Dio. Esse si alzano nella preghiera. E si alzano nell’atto dell’assoluzione dei peccati, che raggiunge sempre quell’Amore che è Dio: quell’amore che una volta per sempre si è rivelato a noi nel Cristo crocifisso e risorto. “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20).

    Che cosa ci dicono, cari fratelli, queste mani di Mosè alzate nella preghiera? Che cosa ci dicono le mani di san Leopoldo, umile servo del confessionale? Esse ci dicono che la Chiesa non si può stancare mai nel dare testimonianza a Dio che è amore! Essa non si può mai scoraggiare e stancare per le contrarietà, dal momento che il culmine di questa testimonianza si alza irremovibilmente, nella Croce di Gesù Cristo, sopra l’intera storia dell’uomo e del mondo. Pure sopra la nostra difficile epoca in cui l’uomo sembra essere minacciato non soltanto dall’autodistruzione e dalla morte nucleare, ma anche dalla morte spirituale. Infatti come deve vivere lo spirito dell’uomo se “non crede all’amore” (cf. 1 Gv 4, 16)? Come si può sviluppare nel mondo l’opera della molteplice riconciliazione se - oltre la giustizia e il dialogo - non si sprigiona quella forza massima che è l’amore sociale? E l’amore, è da Dio!

    6. Venerati e amati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, miei fratelli e sorelle nella grazia della chiamata alla fede mediante il Battesimo, voi tutti che partecipate all’odierna Eucaristia!

    Ringrazio il cardinale Decano del Sacro Collegio e il Rappresentante del Sinodo dei Vescovi per le parole che hanno indirizzato a me all’inizio di questa Celebrazione. Nel giorno in cui ricorre il quinto anniversario della mia chiamata a svolgere il servizio di Pietro in Roma, nell’anno in cui si compiono 25 anni dalla mia consacrazione episcopale, mi è particolarmente cara e preziosa questa vostra comune preghiera; questa comune Eucaristia.

    Infatti tutti noi - e il Vescovo di Roma in particolare - dobbiamo perseverare con le mani alzate verso Dio nonostante tutta la nostra umana debolezza e indegnità. Non possiamo stancarci e scoraggiarci.

    Tra le esperienze del nostro tempo, tra le minacce che incombono sulla grande famiglia umana, tra le lotte dei popoli e delle Nazioni, tra le sofferenze di tanti cuori e di tante coscienze umane, non possiamo mancare di dare la testimonianza: “Dio è amore . . . l’amore è da Dio . . . noi abbiamo creduto all’amore”. Amen.

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    Foto di padre Leopoldo del 1890, in occasione dell'ordinazione sacerdotale

    Padre Leopoldo in una foto del 1917

    Padre Leopoldo in una foto del 1923

    Padova. La celletta-confessionale di padre Leopoldo

    Lourdes, luglio 1934. Padre Leopoldo fotografato con sacerdoti e pellegrini

    Padova. Padre Leopoldo in una foto del 1940

    Padre Leopoldo in una foto del 1939

    Padova. Padre Leopoldo pochi giorni prima della morte

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    Padova. La salma di padre Leopoldo e l'ultimo addio dei suoi confratelli e dei suoi devoti

    Padova. I funerali di padre Leopoldo



    Padova. Chiesa dei cappuccini. Mons. Pretto celebra la santa Messa in ricordo del 1° anniversario della morte di padre Leopoldo

 

 

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