Quattro semplici criteri per dare forza e governo plurale al servizio pubblico
di Baffone e Tito Nunzio
Caro Romano Prodi,
innanzitutto ci scusiamo con Lei e con i lettori se firmiamo questa lettera con due pseudonimi ma capirà il motivo: siamo umili dipendenti della Rai a cui questa dirigenza aziendale ha vietato il diritto di esprimersi liberamente.(**) E le cose che Le diremo potranno non piacere a chi, in questo momento, controlla la nostra azienda e, speriamo ancora per poco, il nostro Paese.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha recentemente dichiarato che delle nomine Rai lui non se ne occuperà e ha delegato il sottosegretario Gianni Letta a parlarne con Lei. Che si provi ad esplorare un metodo bipartisan ci sembra più che legittimo: la questione Rai riguarda tutti i cittadini. Noi, che abbiamo pagato a caro prezzo l’occupazione del servizio pubblico da parte del governo di centro destra, ne siamo ben consapevoli. Le suggeriamo quattro semplici criteri da seguire nei prossimi giorni.
Ci sembra giusto proporre una gestione complessiva dell’azienda, credibile e solida. Non ci si può accontentare solo di un presidente di garanzia ma occorre anche un direttore generale condiviso. Del resto l’esperienza fatta del presidente di garanzia come Ella sa non è stata “indimenticabile”.
Ma come primo criterio noi Le suggeriamo uno semplice e chiaro: ripristinare la legalità. La pre-condizione di un eventuale dialogo è che tornino a lavorare giornalisti, autori, conduttori, professionisti che, per motivi esclusivamente politici, sono stati estromessi dalla televisione pubblica, cacciati in questi anni di regime mediatico. Non è cosa secondaria. E’ la difesa dell’articolo 21 della Costituzione italiana.
L’unico criterio per avere accesso alla televisione pubblica, a nostro modesto avviso, deve essere quello della professionalità e della qualità del prodotto. Noi che siamo stati e saremo sempre contro il pensiero unico siamo convinti che al servizio pubblico serva la pluralità di voci, non monologhi. Punti di vista diversi, competitivi.
Passata questa banale pre-condizione, ce ne sarebbe un’altra: nessuna nomina di esponenti politici, parlamentari, uomini di partito. La Commissione parlamentare di Vigilanza ha una funzione di nomine e di controllo, non deve e non può avere anche la gestione dell’azienda pubblica. E’ del tutto incomprensibile come questa banale avvertenza sia passata nel dimenticatoio recente anche sulla grande stampa nazionale.
Siano dunque professionisti della televisione e della cultura – terza condizione – i più meritevoli (comunque la pensino) e capaci di guidare quella che tutti continuano a definire “la più grande risorsa culturale del Paese”. Se è vero, la Rai merita il meglio.
Quarta e ultima condizione – siamo proprio uno strano Paese se tocca a noi ricordarlo – l’età. Forse attingere, come fanno ovunque nel mondo, ai trentenni può sembrare una scelta azzardata, ma ci saranno o no quarantenni e cinquantenni capaci di governare un’azienda come la Rai? Grazie per quello che potrà fare e in bocca ai lupi.
Fonte
** Vedi caso Giorgino, e rifletti.....