IZZO E DINTORNI

Le bestie di Circe e gli anni `70

I fascisti divennero lupi, e uccisero la nostra giovinezza. Ovvero, la fine della purezza naïf in cui avevamo vissuto fino ad allora e la scoperta che i ricchi sono contro i poveri
Dagli spazi siderali dei rotocalchi ci arrivavano le notizie della vita folle della Roma ricca e ben vestita. Con la casa a Fregene e al Circeo e la vita lontana, per noi irraggiungibile, che si faceva là. Cronaca rosa del tempo proveniente da un altro mondo. E ora quel mondo diceva che quelli odiavano noi poveri cristi e ci uccidevano.

Mi ero dimenticata chi aveva ucciso l'innocenza dei miei anni Settanta. Ora è tornato il ricordo portato dal sorriso ghignante di Izzo. Il sorriso da padrone del mondo. Da gestore del male e del bene. La giacca scura, la camicia con il colletto spalancato, senza cravatta sotto il sorriso. Quelle foto in bianco e nero di allora si sovrappongono alle foto a colori di ora che mostrano un uomo dall'aspetto innocuo, grassoccio. Il riflusso riporta a galla il sorriso di Izzo e tutti i misteri inchiodati in quella bocca ironica. Padrona della situazione. Izzo meno bello di Ghira e di Guido ma per me anche il più inquietante dei tre. Torna dalle profondità sedimentate mai acquietate degli anni Settanta. Torna la faccia strafottente dei Settanta e si mischia al nevischio sulla faccia buona sfoderata nel duemila. Torna come una scossa che scende negli strati, scordati a forza, del tessuto sociale. Torna nella mia famiglia. Il fatto più lacerante capitato nel tessuto della mia famiglia. Torna chi ha ucciso i miei anni Settanta. L'avevo quasi scordato che siamo parenti acquisiti di Maria Rosaria Lopez. Parenti alla lontana sì, ma abbastanza vicini da cimentarci a tombola a Natale. Le emozioni della tombola a Natale. I miei zii della Garbatella che erano pazzi e facevano morire dal ridere.

Abbastanza vicini da vedere la zia che abita al piano sopra il mio, sulla prima pagina del Messaggero il giorno del funerale.

Si era un mucchio quando ci vedevamo e c'era anche la sorella di Maria Rosaria: Giulia bella, bel modo di fare, baschetto verde smeraldo come gli occhi, cappello di lana e sciarpa combinati. Era la moglie del fratello della zia che abitava alla Garbatella. Complicato, però era così: eravamo famiglie allargate perché eravamo tanti. Non come ora che a Natale siamo quattro.

Giulia mi attirava perché aveva classe, la vedevo così diversa dalla mia famiglia. Eravamo un grande gruppo composito. C'eravamo noi del Quadraro e mia zia del piano di sopra, lei e mia madre appartenevano già ad un mondo in via d'estinzione. Erano differenti dagli zii della Garbatella. Non solo per l'atteggiamento mentale, la differenza era persino fisica. Loro erano belli, alti, magri e meravigliosamente coatti. Mia zia addirittura si truccava! Faceva la parrucchiera in casa, fabbricava le parrucche coi capelli veri, tutto il giorno «a cecasse l'occhi», come diceva. Negli anni Settanta la parrucca era di gran moda. Quando mia mamma era incinta di mio fratello e non si poteva fare la tinta ed era penosa con tutti i capelli bianchi, mia zia le regalò una parrucca. Per me la cosa più bella del mondo era aprire l'armadio e mettermi la parrucca. Ma mamma chissà perché non voleva e mi strillava.

Le gite a Pasquetta

Per noi i colori e le stranezze degli anni Settanta sono stati spezzati col Circeo. E' morta la parte infantile e poi è iniziata la parte politica.

Prima del sorriso di Izzo c'erano le gite a Pasquetta, noi arrivavamo con la nostra assurda Opel color aragosta carichi di melanzane alla parmigiana, carciofi alla giudia, ecc. Con nostalgia rivedo le orribili scampagnate sui prati, che pioveva sempre, perché se no non è Pasquetta, e noi bimbi ci inzaccheravamo e perciò prendevamo un sacco di botte. Ma eravamo tutti così puri, così anni Settanta. Era l'età dell'innocenza. Quella dei colori, l'arancione, il verde chiaro, la zampa d'elefante, le magliettine risicate, i tacconi altissimi con il doppio fondo. I miei zii della Garbatella, romani de core, lei coi capelli rossi accesi, le camicie con le ali.

A me e mia cugina i vestiti ce li faceva zia, le maglie invece mamma, io adoravo i miei pantaloni a zampa d'elefante grigi, fatti da zia, col gilè uguale. Sulla stoffa c'erano disegnate cose pazzesche come quelle che ci sono sui cartelli alle elementari per imparare l'alfabeto, ricordo benissimo una pipa con la scritta pappapperoppappappà. Ci andavo matta ma niente in confronto alla sciccheria del momento, che si indossava ai matrimoni, alle feste, alle comunioni: i pantaloni palazzo, che sotto erano talmente larghi che, quando stavi in piedi ferma, sembrava fossero una gonna.

Li avevo indosso alla comunione del cuginetto della Garbatella alla chiesa di Santa Calla. Ma sparivano in confronto al look di zia della Garbatella. Gonna di tessuto trasparente tutta colorata a fiori, lunga fino ai piedi e con una balza, sottoveste agganciabile in vita. Entravo con lei. Nella navata si sente un sibilo. Era la sottogonna che si sfilava.

Mi disse - «Fai finta di niente».

Lei da gran signora continuò a camminare, quando la sottoveste arrivò alle caviglie la scavalcò senza fare una piega. Certo poi s'è sbranata la madre che non le aveva fissato a dovere la sottoveste.

Era l'età del gioco. A Natale tutti gli anni si rideva per le stesse scene immutabili che non sarebbe stato Natale senza. La tombola con i numeri commentati uno per uno. Soprattutto il 19. L'ubriacone. Se c'era il rischio che qualcuno facesse tombola prima dell'estrazione si faceva uscire per forza, pur di chiamarlo, ma col nome che sapevamo essere per noi l'equivalente del 19.

E poi il sottocinque, il sette e mezzo, la sorechetta. E la zia della Garbatella che distribuiva ceffoni equanimemente ai cuginetti quando facevano casino.

Poi arrivò anche Maria Rosaria ma fu solo per sei mesi. Poi è successo quello che è successo. Era finita un'epoca, anche se me lo ero dimenticato. E ora torna.

Tutto torna. Incubo nero dei Settanta. Io ero una bambina. Capivo che qualcosa capitava, qualcosa di grosso. Le voci si abbassarono tutte di volume. Le telefonate afone. I discorsi a mezza bocca che ascoltavo facendo finta di non ascoltare.

- Hai visto che gli hanno fatto?

- Era bellissima.

- Era bravissima.

- Così sfortunata. Era appena arrivata qua...

- Non si sa com'è che è andata che l'hanno invitate alla festa del Circeo

L'ha riconosciuta lo zio. L'ha vista per caso sul giornale. Morta. C'era scritto «Sapete chi è questa ragazza?». Poi ha chiamato la sorella di Maria per sapere se era tornata casa perché non ci poteva giurare che era lei. E' andato lui a fare il riconoscimento. Era irriconoscibile ma era lei.

Si era composto un mondo enorme appena fuori della nostra normalità. Dal nostro salotto così così al Quadraro. All'inizio io non seppi direttamente del massacro. Lo ricostruii a brani, ad intuizioni. Si formò l'enormità del fatto, pezzo dopo pezzo.

E ora dalla nostra televisione era sparito il telegiornale. La tele non era mai sintonizzata sull'informazione.

Tutto torna. Le riviste come Gente con le foto del massacro. Le strisce nere applicate sulle tette, sul basso ventre e sugli occhi. Riviste che giravano di nascosto, sottobanco come giornalini porno. Lette di nascosto anche da me. Me le fecero vedere i miei cuginetti. Erano occultate sotto il letto. Come un tesoro le ho guardate, mica ero tanto sicura che era Maria. Sul giornale! Sul tavolo di marmo. Mi ballavano in testa le strisce nere, il corpo bianco e nero, il bianco del marmo. Diceva papà parlando delle foto:

- Nessuno ha avuto rispetto da viva, figuriamoci da morta.

Torna la voce di mia cugina, maggiore di me, che mi prendeva e mi diceva, seria e strana come mai era stata:

- Non andare con i fascisti che ti ammazzano! Hai capito, i fascisti ti stuprano, ti mangiano le guance e ti strappano i seni. Ti ammazzano e ti stuprano, capito? Te la ricordi Maria Rosaria che ci abbiamo giocato insieme? L'hanno uccisa i fascisti.

La paura che fa la voce grossa

Lei era sempre stata quella mi raccontava tutte le cose della vita e ora mi spiegava le cose della morte e mi spiegava l'odio. Me lo diceva da sotto il suo trucco intorno agli occhi. Mi guardavo le scarpe e facevo segno di sì. Avevo capito.

C'era la paura. Nuova e ancestrale che faceva la voce grossa. Ora era vicina. Tremavo ogni volta che vedevo qualcuno vestito da Pariolino, perché era un fascista e poteva uccidermi perché gli andava.

Era tutto così surreale che ce lo portammo a Bobbio Pellice, un piccolo paesino, duemila anime scarse sulle Alpi di Torino, dove andavamo in vacanza l'estate, ospiti di mia nonna. La prima volta che ci venne mia cugina, che mi portava sempre dietro anche se ero piccola, conosciamo due ragazzi.

Ci usciamo uno, due giorni. Li vediamo solitamente in piazzetta assieme a tutto il resto del paese. Un pomeriggio ci portano in macchina e a un certo punto si fermano a Subiasco, frazione dei dintorni. Uno va semplicemente al bar, l'altro esce e si appoggia al cofano della macchina guardando il paesaggio dal muricciolo di pietre. Ed ecco, sale la paura alla gola. Mia cugina mi fa:

- Non dire una parola, di' che stai male e devi tornare a casa che questi sono due fascisti ci ammazzano, ci ammazzano sicuro, facci portare subito a casa!

Li vedo tuttora quei due ragazzi, colpevoli di averci portato in macchina.

Prima dell'odio per i pariolini le cose della Roma bene erano rutilanti, chi non li invidiava? Dagli spazi siderali dei rotocalchi ci arrivavano le notizie della vita folle della Roma ricca e ben vestita. Con la casa a Fregene e al Circeo e la vita lontana, per noi irraggiungibile, che si faceva là. Arrivavano le notizie e i pettegolezzi delle feste, delle case, delle macchine, le conoscenze. Tutto lontano, cronaca rosa del tempo proveniente da un altro mondo. Un mondo che «che vuoi farci, sono così i ricchi». Troppo lontani dai miei jeans Jesus a zampa d'elefante.

E ora quel mondo voleva dire che quelli odiavano noi poveri cristi e ci uccidevano. Per me da allora i fascisti sono i lupi, le bestie feroci. Tuttora quando conosco qualcuno e capisco che è un fascista sento dentro di me un muro, una chiusura, un'intolleranza profonda su cui non posso passare sopra. Nel 1975 i ricchi erano contro i poveri. L'immaginario popolare era stato sconvolto, s'erano formate delle fratture irreparabili nella società, da una parte i pariolini che dicevano che queste, e sottintendevano «puttanelle», volevano fare la scalata sociale e stavolta gli era andata male. Dall'altra noi, comunisti e femministe. Per me Izzo era diventato la strage di Milano e quella di Bologna...

I fascisti, ricchi e pariolini, credono che possono fare tutto quello che vogliono ai poveri, tanto sono poveri.

Poco dopo Maria veniva ucciso anche Pasolini. Era morta definitivamente la purezza naïf degli anni Settanta.

(Questa storia è nata dal racconto degli anni Settanta vissuti da mia sorella Susanna Marenco)

ADRIANO MARENCO


Fonte: www.ilmanifesto.it