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  1. #1
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    Predefinito Colpa di Berlusconi? Magari fosse così semplice... Di M. Blondet

    Colpa di Berlusconi?
    Magari fosse così semplice.
    Buttiamolo giù e l’economia riparte: un sogno.
    Ma la recessione italiana è il risultato di vecchi vizi, vecchie inefficienze
    e parassitismi, che si scontrano con una dura realtà: la globalizzazione.

    Al fondo del problema c’è la nota realtà: la paga media cinese è di 80 euro al mese (anche meno), e quella occidentale da 10 a 20 volte di più.
    La speciale debolezza italiana consiste in questo: che l’Italia è “forte” in settori manifatturieri maturi, esposti alla competizione cinese.
    Le scarpe, i tessuti, gli abiti li stanno facendo anche i cinesi, con costi enormemente minori.
    L’Italia avrebbe dovuto per tempo passare ad attività a più alto contenuto tecnologico-culturale; ossia avrebbe dovuto darsi una cultura.
    Perché, ecco il dramma, l’operaio italiano non è migliore di quello cinese, costa solo 10-20 volte in più.
    Per guadagnarsi il suo salario maggiorato, avrebbe dovuto istruirsi, aggiornarsi continuamente.
    Non l’ha fatto.
    Nessuno l’ha avvertito che bisognava farlo.
    E questa tragedia non riguarda solo l’operaio.
    I figli dei padroncini del Nord-Est avrebbero dovuto essere mandati a studiare all’estero, nelle migliori università.
    I mezzi, i loro padri li avevano.
    Invece accade il contrario: proprio nel Nord Est ricco e laborioso l’abbandono scolastico è pari a quello del Meridione arretrato.
    Perché i figli dei padroncini non vogliono studiare, vogliono andare subito in fabbrica.
    Restano ignoranti: come i cinesi, ma con salari dieci-venti volte più alti.

    In Italia, i giovani si laureano meno che in tutti gli altri paesi.
    E in che cosa si laureano, se poi lo fanno?
    Diritto, Lettere.
    Anzi, ora va di moda laurearsi in “Scienze delle comunicazioni”, che è una materia non solo inesistente, ma priva di mercato.
    In Cina e in India, 3 milioni di giovani ogni anno si laureano in ingegneria e altre scienze “dure”.
    Per poi impiegarsi nelle imprese di hardware e software, nei servizi avanzati, nella finanza.
    Nessun primato, nessun benessere si costruisce sull’ignoranza, su una scuola di manica larga, su università scadenti come le nostre, affollate di baroni e dei loro portaborse e leccapiedi.
    Ora si grida: investire di più nella ricerca, subito.
    Ma anzitutto, bisogna capire che nessun “investimento in ricerca” darà risultati fra 15 giorni, che si tratta del più aleatorio degli investimenti, e di quello a più lungo termine.
    Anzitutto, ci vuole una diffusa curiosità, un diffuso interesse per la scienza: in Italia manca, il vero interesse nazionale è il calcio, e la cucina. Ci vuole un ambiente sociale che abbia rispetto per i ricercatori e gli scienziati: quelli veri, non le Levi Montalcini o i Veronesi, mercanti di se stessi e beneficiari di lobbies.
    E poi in “quale” ricerca investire?
    Come identificare i campi in cui abbiamo ancora qualche possibilità?
    Nell’elettronica non riusciremo più a recuperare terreno; in biotecnologia nemmeno. Il grido: “più fondi alla ricerca”, senza alcuna analisi e indagine dettagliata sui punti forti residuali che valga la pena di promuovere, in Italia, porta a un solo risultato già visto: che si daranno più soldi alla Fiat.
    La Fiat la cui vera salvezza, la sola e unica ormai, è l’immediata chiusura.
    Perché ad ottobre cominceranno ad arrivare sui mercati le auto Made in China: a parità di qualità e cilindrata, costeranno il 30% in meno.

    La dura verità da dire agli italiani è: se volete restare competitivi, dovete accettare la riduzione di salari e stipendi a livelli cinesi, perché non siete affatto più bravi, più istruiti, più sgobboni dei cinesi.
    Ma naturalmente non si può.
    Perché il costo della vita non è quello cinese, e se in Cina con 80 euro al mese si campa, in Italia con 800 si muore.
    Bisognerebbe che i prezzi calassero almeno quanto i salari, se possibile di più. Credete che accadrà?
    Chiunque abbia il potere di “imporre il prezzo”, dal ristoratore al barista, i prezzi li aumenta.
    Ecco perché la vita nella globalizzazione, se si è occidentali, è triste.
    E lo sarà per i prossimi vent’anni, fino a quando i salari cinesi non saliranno tanto da incontrare i nostri, calanti.
    Non è solo l’Italia, sia chiaro.
    L’economia italiana si degrada più rapidamente delle altre in Europa – 0,5 per cento in meno di prodotto interno lordo ogni quadrimestre – ma non è la sola.
    Anche l’Olanda è entrata in recessione, meno 0,1 per cento.
    Anche il Portogallo.
    La Germania cresce dell’1% (magrissimo) perché, nonostante tutto, esporta robustamente, la sua struttura industriale è più solida.
    I giornali servili vi raccontano che in Inghilterra l’economia va bene.
    Ma è un trucco: le statistiche sono state ritoccate a fingere un rialzo economico per far rieleggere Tony Blair, il fiduciario delle grandi lobbies neocon-israeliane.
    Ora che Blair è stato rieletto, cominciano a dire la verità: l’economia inglese “rallenta”.
    Calano le vendite al dettaglio.
    Cala la produzione industriale.
    Calano perfino i prezzi delle case.
    La Banca Centrale dovrà tagliare i tassi d’interesse per “stimolare l’economia” (1):
    Ma va bene, benissimo, l’economia Usa – vi dicono i servi della nota lobby.
    Va bene perché la sua forza lavoro è “flessibile” e i costi sociali sono bassi.
    Mentre in Europa crescono i disoccupati, in Usa, solo ad aprile, sono stati creati 256 mila posti di lavoro in più.
    Analizziamo questi miracolosi posti di lavoro americani.
    La metà dei “nuovi posti di lavoro” è stata creata nel “settore alberghiero e d’accoglienza” (camerieri di bar e ristoranti: 58 mila), nel “commercio al dettaglio e all’ingrosso” (commessi di negozi e supermercati: 30 mila), nella “sanità e assistenza sociale” (badanti e infermiere: 18 mila), in “servizi amministrativi e di supporto” (impiegati a tempo determinato: 12 mila).
    Insomma, i posti di lavoro crescono solo nei “servizi non vendibili”: lavori di servizio, da domestiche.
    E’ una crescita da economia del terzo mondo (2).
    Insomma, nemmeno l’economia Usa crea più lavori ad alta tecnologia e nei settori competitivi e d’alto valore aggiunto.
    E il bello è che i “nuovi lavori” (domestici) non vanno a cittadini americani; ma, nel 60% dei casi, ad immigrati.
    La stessa cosa avviene in Italia: cresce la domanda di badanti, infermiere, donne delle pulizie, raccoglitori di fragole e pomodori, benzinai.
    Sono lavori persino ben pagati.
    Ma i nostri giovani italiani si aspettano dalla vita molto di meglio, benchè non abbiano studiato abbastanza da meritarselo.
    E quei lavori li schifano.
    I lavori, perciò, vanno ad ucraine (spesso laureate), filippine, cingalesi.
    Questi lavori sono “esborsi netti”, che dissanguano l’economia italiana: i guadagni dei filippini e delle badanti ucraine fuggono in Ucraina e nelle Filippine, non restano in Italia.
    Esportazione legittima di capitali.

    L’America non sarebbe in recessione?
    Guardate meglio.
    I salari americani sono calati in termini reali ai livelli di 13 anni fa: si stanno avvicinando competitivamente a quelli cinesi, molto prima dei nostri europei.
    La General Motors e la Ford sono considerati giganti morti (come la Fiat), le loro obbligazioni hanno il rango di “spazzatura”, come i titoli argentini.
    La grande compagnia aerea United Airlines ha dichiarato fallimento sugli obblighi previdenziali contratti verso i suoi dipendenti: non pagherà 6,6 miliardi di dollari in pensioni.
    I pensionati della United avranno la pensione – se l’avranno, solo in piccola parte – dal fondo statale che interviene in questi casi, il Pension Benefit Guaranty.
    La Delta Airlines, che deve ai suoi dipendenti 3,15 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, sta anch’essa per dichiarare bancarotta.
    Questa sarebbe un’economia trionfante e competitiva: una catena di bancarotte.

    E sì che gli Usa, al contrario dell’Europa che si tiene l’euro forte con stupidità senza pari, hanno svalutato il dollaro (più “competitività”), e il mondo intero sta prestando agli americani i soldi per i loro smodati consumi.
    L’economia mondiale si regge, in bilico, sui consumi americani: basta che loro mangino meno, e finiamo tutti in recessione.
    Magari la Banca Centrale americana taglierà i tassi d’interesse per far costare meno il denaro e “stimolare” l’economia e i consumi.
    Ciò indurrà i consumatori Usa a consumare ancora un po’ di più.
    Ma a beneficiarne sarà, alla lunga, non l’America, ma la Cina, ossia il grande produttore mondiale.
    Ogni “stimolo” americano cessa di avvantaggiare l’America, e di andare a vantaggio di altri.
    Ma vale anche per noi italiani, insaziabili consumatori di telefonini, tv a schermo piatto, dvd…tutte cose che non produciamo in casa, ma compriamo dall’estero, dall’Asia.
    Ciò significa: più li compriamo, più diventiamo poveri come paese…e più le fabbriche dell’Asia riducono i loro costi per unità di prodotto e accrescono la loro quota di mercato.

    L’Italia va peggio.
    Dove sta la differenza con Germania, Francia e Usa, che vanno solo male?
    Facile indovinarlo: nell’inefficienza pubblica.
    I loro sistemi pubblici sono di aiuto alla produzione e all’impresa; da noi sono di ostacolo, un elemento di costo aggiuntivo.
    Da noi si paga di più l’elettricità, il telefono, internet; ogni attività richiede fatiche burocratiche enormi; la magistratura non funziona, e non funzionano le scuole e le università.
    Alla Banca d’Italia abbiamo un ragioniere, e lo paghiamo tre volte di più del banchiere centrale americano.
    Il nostro presidente della repubblica ci costa 10 volte più di quanto costi la regina agli inglesi.
    Non sono solo gli statali a fare ostacolo; noi abbiamo livelli burocratici pubblici stratificati in modo incredibile: comunali, provinciali, regionali, comunitari…cinque o sei strati di parassiti.
    Strapagati.
    E con il posto sicuro, garantito, inamovibile, mentre il nostro di privati diventa sempre più precario, temporaneo, a rischio.
    Loro vogliono gli aumenti, e li otterranno, per il loro potere di ricatto.
    Per contro, fra poco, decine di migliaia di lavoratori privati, tessili, manifatturieri, saranno disoccupati.
    Perché il processo di degrado, oltretutto, ha questo di maligno: che è rapidissimo, com’è rapida l’avanzata sui mercati – senza protezione di dazi – del superconcorrente cinese o indiano.
    Magari bastasse cacciare Berlusconi.
    Sarebbe forse meglio dare il suo posto a Prodi, portavoce e simbolo del parassitismo pubblico, espressione di un elettorato che vuol essere protetto e continuare a parassitare un sistema che non può più permettersi parassiti?
    Attenzione, il lettore non ci attribuisca un penchant per Berlusconi.
    Il punto è un altro: la fatua superficialità di Berlusconi è l’immagine stessa dell’Italia, fatua, poco istruita, poco intelligente.
    Che pretende di “andare avanti” senza esercitare mai il pensiero, senza scegliere classi dirigenti capaci di pensare.



    di Maurizio Blondet




    Note

    1)Bill Bonner, Financial Madness, Goldseek, 12 maggio 2005.
    2)Paul Craug Roberts, “More phony Jobs hype”, Counterpunch, 12 maggio 2005. Craig Roberts è stato vice ministro del Tesoro Usa.

  2. #2
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    L'ho postato sul principale, e questo è stato il primo commento arrivato:

    "berlusconi non c'entra mai niente,come se non fosse stato lui al governo in questo periodo.
    è vero che il suo governo ha brillato per il numero di leggi ad personam e salvaladri che ha fatto,ma la sua colpa è proprio quella:di essersene fottuto degli italiani ed agito pro domo sua"

    E pensare che l'Italia sta per cadere in mano a questa gente...
    Riaffiorano i ricordi degli anni di passione
    ritorna il vecchio sogno per la rivoluzione.
    Racconti senza fine di gente che ha pagato
    non puoi mollare adesso la lotta a questo stato.
    La rivoluzione è come il vento, la rivoluzione è come il vento.

  3. #3
    Iscrittoa***dal14/12/2004
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    Come al solito geniale Maurizio Blondet. Ottimo, tra gli altri, lo spunto sul dove investire i fondi per la ricerca in un sistema in crisi strutturale cronica.

  4. #4
    Paul Atreides
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    Non c'era bisogno di uno scafesso come Blondet per sapere queste cose.

    Da ANNI ci sono, in merito, analisi ben più articolate. E sono analisi, serie e documentate, che, come al solito, invece di essere riprese, studiate, allargate, vengono ignorate, per far posto a...Blondet.

    Dal testo di Antonio Venier, ''Il disastro di una nazione. Saccheggio dell'Italia e globalizzazione'', Edizioni di Ar, 1999.

    ''La competitività di un'impresa certo non va d'accordo con produzioni di alta e medio/alta tecnologia, che richiedono personale qualificato e costoso, oltre che spese di ricerca ed innovazione con ritorno sul lungo termine - tutti elementi che esigono costi immediati e perciò risultano anticompetitivi. Come purtroppo dimostra il successo, in termini di profitto ed esportazioni, della celebrata piccola industria italiana, che è competitiva sui prodotti poveri! Osserviamo in proposito che questa nostra competitività in settori già ora - o nel futuro prossimo - alla portata delle industrie est-europee, asiatiche ed africane, sarà difficile da conservare, di fronte ai bassi livelli di salario e protezione sociale esistenti in quei paesi" [pp. 100-101].

    Vedi pure la crisi irreparabile delle industrie italiane ''High Tech'', analizzata alle pagine 59-62 e l'intero paragrafo intitolato ''I fattori di debolezza della piccola industria'', pp. 71-76.

    Ad esempio, p. 75: ''esistono nel nostro paese numerosissime piccole/medie aziende industriali produttrici di prodotti finiti, sia per il mercato interno che per l'esportazione: sono infatti ben noti le attività ed i successi, in termini commerciali e di profitto, in settori quali abbigliamento di qualità, arredamento, occhialeria, rubinetteria, calzetteria, ecc. Tutte queste imprese sono inevitabilmente limitate a produzioni di bassa tecnologia, a prodotti tecnicamente poveri, e pertanto esse risultano vulnerabili da parte di numerosi potenziali concorrenti. Il fattore intrinseco di fragilità deve quindi identificarsi nel livello tecnologico, in un futuro prossimo alla portata di tanti paesi piccoli e grandi, non facenti parte di quelli più avanzati ma tutti aventi costi salariali molto inferiori a quelli accettabili in Europa''.

  5. #5
    Il Gran Camposanto
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    In origine postato da Paul Atreides
    Non c'era bisogno di uno scafesso come Blondet per sapere queste cose.

    Da ANNI ci sono, in merito, analisi ben più articolate. E sono analisi, serie e documentate, che, come al solito, invece di essere riprese, studiate, allargate, vengono ignorate, per far posto a...Blondet.

    Dal testo di Antonio Venier, ''Il disastro di una nazione. Saccheggio dell'Italia e globalizzazione'', Edizioni di Ar, 1999.

    ''La competitività di un'impresa certo non va d'accordo con produzioni di alta e medio/alta tecnologia, che richiedono personale qualificato e costoso, oltre che spese di ricerca ed innovazione con ritorno sul lungo termine - tutti elementi che esigono costi immediati e perciò risultano anticompetitivi. Come purtroppo dimostra il successo, in termini di profitto ed esportazioni, della celebrata piccola industria italiana, che è competitiva sui prodotti poveri! Osserviamo in proposito che questa nostra competitività in settori già ora - o nel futuro prossimo - alla portata delle industrie est-europee, asiatiche ed africane, sarà difficile da conservare, di fronte ai bassi livelli di salario e protezione sociale esistenti in quei paesi" [pp. 100-101].

    Vedi pure la crisi irreparabile delle industrie italiane ''High Tech'', analizzata alle pagine 59-62 e l'intero paragrafo intitolato ''I fattori di debolezza della piccola industria'', pp. 71-76.

    Ad esempio, p. 75: ''esistono nel nostro paese numerosissime piccole/medie aziende industriali produttrici di prodotti finiti, sia per il mercato interno che per l'esportazione: sono infatti ben noti le attività ed i successi, in termini commerciali e di profitto, in settori quali abbigliamento di qualità, arredamento, occhialeria, rubinetteria, calzetteria, ecc. Tutte queste imprese sono inevitabilmente limitate a produzioni di bassa tecnologia, a prodotti tecnicamente poveri, e pertanto esse risultano vulnerabili da parte di numerosi potenziali concorrenti. Il fattore intrinseco di fragilità deve quindi identificarsi nel livello tecnologico, in un futuro prossimo alla portata di tanti paesi piccoli e grandi, non facenti parte di quelli più avanzati ma tutti aventi costi salariali molto inferiori a quelli accettabili in Europa''.
    Caro Paul Atreides.
    Aggiungerei alle perfette intuizioni del testo postato anche la scarsa vena creativa dell'ultimo italiano medio: pochi coloro i quali, formatisi attraverso gli appropriati studi di base, scelgono le specializzazioni che li renderebbero al passo coi tempi odierni e con le esigenze che ne scaturiscono in termini economico-professionali.
    Le conseguenze ovvie si traducono in inevitabili cadute vertiginose del prodotto italiano, dalle merci comuni alle infrastrutture, passando per le innovazioni tecnologiche...

  6. #6
    Paul Atreides
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    Caro No-social,
    anche quello che dici tu è vero. Ma a me premeva sottolineare innanzitutto come nell'area si vada dietro a degli scafessi qualsiasi e s'ignorino sistematicamente contributi non solo d'area ma, soprattutto, di ben altro spessore.

    Saluti

  7. #7
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    è colpa di 60 anni di democrazia

  8. #8
    Paul Atreides
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    In origine postato da cameratamarco
    è colpa di 60 anni di democrazia
    E delle mezze stagioni che non ci sono più...

  9. #9
    Il Gran Camposanto
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    In origine postato da Paul Atreides
    Caro No-social,
    anche quello che dici tu è vero. Ma a me premeva sottolineare innanzitutto come nell'area si vada dietro a degli scafessi qualsiasi e s'ignorino sistematicamente contributi non solo d'area ma, soprattutto, di ben altro spessore.

    Saluti

    Certamente, Paul Atreides.
    La mia precisazione voleva un contributo esclusivamente integrativo all'oculata disamina mostrata nei temi da te postati, e non certo una smania di pignoleria!
    Quanto alla scarsa attenzione, in seno all'area, prestata ai contesti generati dall'avvicendarsi delle congiunture economiche, fossero solo questi i mali...
    Di questo passo, si rischia di giungere al proverbiale "sole che non può essere coperto con un dito"!

    Cordialissimi saluti!

  10. #10
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    In origine postato da Paul Atreides
    Non c'era bisogno di uno scafesso come Blondet per sapere queste cose.

    Da ANNI ci sono, in merito, analisi ben più articolate. E sono analisi, serie e documentate, che, come al solito, invece di essere riprese, studiate, allargate, vengono ignorate, per far posto a...Blondet.

    Dal testo di Antonio Venier, ''Il disastro di una nazione. Saccheggio dell'Italia e globalizzazione'', Edizioni di Ar, 1999.
    detto fra noi, io considero la recessione, anzi il tracollo economico del paese una BENEDIZIONE. Perché?! perché ormai agli albori del XXI secolo la storia ci insegna che i paesi che si arricchiscono troppo DECADONO. Si diffondono edonismo, nichilismo, individualismo, ecc.. ecc... la natalitá cala a picco, cominciano ad arrivare frotte di allogeni, ecc... ecc... sono cose che osserviamo facilmente ai nostri giorni.
    Mussolini ai "bei tempi" diceva chiaramente che un popolo sano é un popolo capace di vivere non da ricco, ma in modo FRUGALE, ossia in modo dignitoso ma sobrio. "Abbasso la vita comoda", era lo slogan. L'italiano sino agli anni '50 fu effettivamente un popolo frugale, il problema venne con il boom economico degli anni sessanta. Tempo una generazione, e ci trovammo negli anni ottanta svenati demograficamente e spiritualmente, e pronti a soffrire l'invasione allogena.

    A contrario l'Argentina riuscí a fermare in tempo la corsa all'opulenza distruttiva, entró in una spirale discendente con un atterraggio morbido finale su un livello discretamente frugale di vita: abbastanza alto da mantenere la dignitá, non tanto alto da ledere la vitalitá del paese, sufficiente per evitare una massiccia infiltrazione allogena.
    Magari l'Italia seguisse i passi dell'Argentina...

    saluti

 

 
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