"...Perchè l'occhio del dolore, lucido di lacrime accecanti,
divide una cosa intera in tanti oggetti,
come le prospettive che, guardate a modo giusto,
mostrano nient'altro che confusione e, guardate di sbieco,
distinguono la forma..."
...così, nel 1593, si esprime William Shakespeare nel 'Riccardo III' (atto II, scena 2) riguardo quelle curiose deformazioni prospettiche che vengono definite anamorfosi. Il grande drammaturgo faceva, all'epoca, parte della compagnia teatrale "Lord Strange's Men" che, a Withehall Palace, aveva rappresentato sei opere teatrali tra il 27 Dicembre 1591 e l'8 Febbraio 1592. E' quindi più che plausibile ipotizzare che egli, nell'opera citata, intendesse riferirsi ad un bizzarro dipinto anamorfico - eseguito nel 1546 - del re Edoardo VI, conservato proprio in quell'edificio e osservato appena un anno prima della pubblicazione del citato dramma storico. Il ritratto rivelava le esatte proporzioni del viso del sovrano soltanto se veniva osservato, di sbieco, attraverso una piccola apertura laterale praticata in un coperchio che ne celava a tutti la vista. L'opera, un elegante esempio di anamorfosi, riportava l'iscrizione Guilielmus pinxit e se ne attribuì la paternità a Williams Scrot.