MA CATANIA NON È LA PADANIA...
gianluigi paragone
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Qualcuno ieri è rimasto sorpreso dal fatto che non ci fosse, in prima pagina, alcun riferimento alle elezioni di Catania. Lo avevamo detto: così come la sconfitta non poteva e non doveva cambiare le cose, così la vittoria di Scapagnini non può e non deve influire sui nove mesi del governo Berlusconi. L’economia, avevamo scritto, non aspetta il voto di Catania. Lo ribadisco.
Il centrodestra ha vinto le elezioni. Lo ha fatto con un colpo a sorpresa ribaltando i sondaggi e le voci della vigilia.
Non so quale divinità della Magna Grecia sia intervenuta a sovvertire l’ordine delle cose; né mi interessa sapere come e da dove siano arrivati questi voti. Non so quali siano state le manovre di Lombardo e di Cuffaro. Non credo neanche che queste pratiche possano essere replicate come metodo per vincere le elezioni. È noto che nel voto catanese ci sia stato anche un regolamento di conti tutto interno all’Udc. I due boss (nel senso politico del termine, per carità) siciliani hanno voluto dare un segnale a Casini e Follini e uno a Berlusconi. Due destinatari per un solo messaggio: noi controlliamo il voto dell’isola. E non scherzano; dall’oggi al domani sono infatti arrivati un bel po’ di voti in più a favore di Scapagnini.
È la loro vittoria, non c’è dubbio. È la vittoria del “loro” metodo che ha saputo catalizzare più voti di Forza Italia, An e Udc. È la vittoria di un autonomismo che, per quanto apprezzabile nell’enunciato, va tutto valutato nella sua declinazione.
Berlusconi si aggiudica la mano e può tirare un sospiro di sollievo: comprendiamo la sua euforia, visto che lo avevano dato per spacciato anzitempo. Ma non facciamoci illusioni: Catania resta Catania. Il voto della quale (per quanto positivo) non può distrarre dalle cose serie. Quali sono le cose serie? L’individuazione di una cura d’urto per dare subito una risposta agli imprenditori. Il completamento di quelle riforme in atto. La comunicazione di ciò che questo governo ha fatto di buono.
Sul difficile momento economico, ieri è intervenuto anche il ministro Siniscalco, anticipando alcune delle linee più importanti del Dpef e della Finanziaria 2006. Niente manovra bis. Niente condoni. Eliminazione progressiva dell’Irap, lotta all’evasione fiscale, interventi sul costo del lavoro. Interventi minimi, emergenziali, forse appena sufficienti a dare primissime risposte agli operatori economici. L’importante è dare un segnale deciso. La Lega resta fortemente convinta che, per arginare la concorrenza asiatica, le mezze misure non servono.
Ieri abbiamo aperto la Padania mettendo in primo piano la pericolosità di molti capi d’abbigliamento provenienti dalla Cina. Lo abbiamo fatto trascurando volutamente il voto catanese per le ragioni sopra esposte. Lo abbiamo fatto perché la pericolosità è duplice: l’import di questa merce non solo sta mettendo in ginocchio le nostre aziende ma mette in pericolo anche i consumatori. Lo affermiamo forti di risultati di laboratorio. Cos’altro vogliamo aspettare per prendere di petto la situazione? L’Europa ci propone pannicelli caldi e tempi troppo lunghi per far paura al Drago Rosso. Neanche le quote bastano più.
Fino a poco tempo fa, il Carroccio era solo nel denunciare quello che ora è sotto gli occhi di tutti. Era solo contro tutti gli altri che si facevano belli nel definire la Cina come una grande occasione. Ora che le aziende chiudono, sulla bocca di tanti escono parole come dazi e protezionismo del mercato. Quanto gli imprenditori del tessile, del calzaturiero, degli elettrodomestici e via elencando, devono aspettare per vedere che qualcuno si allinei a chi, come la Lega, è già pronto per passare dalle parole ai fatti?
[Data pubblicazione: 18/05/2005]