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    Giacobino 1799
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    Predefinito Scuola italiana: piccoli bulli crescono soggiogati dalla tv e dai videogiochi

    LA POLEMICA
    Piccoli bulli crescono
    con la tv e i videogiochi
    di MARIO PIRANI

    PER ANTICO vizio, risalente all'era pre-computer, ritaglio dai giornali articoli, pezzi di cronaca, notizie che mi sembra utile conservare, alla luce dei temi di cui mi sto occupando. Sul bullismo giovanile nell'ultimo mese ho solo l'imbarazzo della scelta: "I banditi sono un gruppetto di adolescenti (otto tra i 14 e i 16 anni) che si comportano come criminali incalliti nonostante siano di buona famiglia e abitino in quartieri residenziali come l'Olgiata, ai bordi dei campi da golf della Capitale. In pieno giorno aggrediscono coetanei all'uscita da scuola o da circoli sportivi, coltello alla gola e minacce di morte".

    I bottini sono ridicoli: qualche euro, una collanina da pochi soldi, un berretto, persino un pacchetto di caramelle. Evidentemente a loro interessa soprattutto provare il gusto della sopraffazione. Il 23 marzo dopo tre rapine, una Volante della Ps, allertata da un passante, blocca la piccola gang. Quattro gli arrestati che al momento del trasferimento nel carcere giovanile non hanno battuto ciglio. "È impressionante - ha commentato un vecchio poliziotto - sono giovanissimi e incensurati ma si sono comportati come chi entra ed esce abitualmente dal carcere".

    Notizie non dissimili da Milano: "Il 17 aprile un ragazzino di 11 anni, con la complicità di altri due piccoli amici a far da palo, è penetrato, dopo la fine delle elezioni, nella scuola media di Rozzano. Quindi si è impadronito nel laboratorio di fisica di un contenitore di alcool, lo ha sparso nei locali e vi ha dato fuoco riuscendo ad incendiare le aule di didattica". Nella scuola di Corbetta, sempre nel Milanese, tre alunni hanno dato fuoco ai registri nella sala dei professori, vuotato gli estintori, aperto tutti i rubinetti dei bagni, dopo aver otturato gli scarichi.

    Sulle cause di questo stato di cose si leggono molte analisi, ognuna col suo grano di verità. Quel che però mi lascia perplesso è una specie di rassegnazione di fronte a un fenomeno dipinto quasi come un evento di natura, una mutazione biologica dei giovani d'oggi che li renderebbe geneticamente diversi da quelli di ieri e, quindi, alieni da ogni forma di disciplina imposta, dotati di una aggressività senza freni inibitori, "incapaci di attenzione continuativa oltre i 18 minuti", refrattari alla lettura, ostili a ogni tipo di studio minimamente faticoso e difficile.

    Ebbene, non credo che tutto questo, nella misura in cui è avvenuto, sia il portato oggettivo e ineluttabile dei tempi ma il risultato catastrofico di scelte culturali ed educative, nella scuola e nella famiglia, prevalse a cavallo degli anni Settanta e coltivate pervicacemente fino ad oggi col concorso di tutte le culture politiche, in ispecie di sinistra e cattoliche, che hanno contribuito a destrutturare e a delegittimare ogni idea di autorità, disciplina, divieto, punizione, sforzo e fatica nelle generazioni che si sono succedute, con un aggravarsi precipitoso negli ultimi lustri, investendo persino l'infanzia e la prima adolescenza.

    Inoltre l'introduzione in cui si sono distinte, ma non solo, le destre economiche e politiche, del concetto di aziendalizzazione ha trasformato anche lo scolaro, a partire dalle elementari, in un "cliente che ha sempre ragione" e da non scontentare. Messa al bando l'accettazione e l'elaborazione della frustrazione, i giovani sono stati allevati dalle famiglie e dalla pedagogia imperante nell'ideologia che nulla è davvero vietato, che le proibizioni eventuali sono puramente simboliche, come simboliche, brevi e, soprattutto, remissibili suonano le punizioni. Cancellato è il senso del limite. Le conseguenze sono catastrofiche.

    Un fatto capitatomi recentemente mi fornisce il destro per esemplificare concretamente quanto vado dicendo.
    Ero andato a trovare una mia amica, madre di uno sveglio e intelligente ragazzino di 9 anni, di nome Albert, che, quando arrivo, stava protestando perché non gli era stato comprato un recente disco per la PlayStation, Grand Theft Auto San Andreas, collegabile alla Tv, di cui "tutta la classe parla, anzi non parla d'altro". La mamma si rifiutava perché aveva subodorato il contenuto violento dell'agognato dischetto. Incuriosito chiesi se poteva farselo prestare per visionarlo.

    Nello spazio di 10 minuti, convocato d'imperio, arriva un bimbo, di nome Federico, all'apparenza più piccolo, ordinato e educatissimo. che si scusa gentilmente con me perché poteva rimanere solo mezz'ora. "Dopo debbo andare a catechismo" spiegò. Lì per lì restai deluso dall'informazione e pensai che lo spettacolo non poteva esser tale da terrorizzare spettatori tanto compiti. In effetti il solo terrorizzato dopo mezz'ora di visione sarò io.

    Sullo schermo televisivo, con effetti tridimensionali e potenzialità interattive, i due ragazzi, al ritmo di una musica rap, si misero a guidare, con un apposito telecomando, personaggi realistici, anche se disegnati al computer, con ceffi e linguaggio da galera, che si muovevano rapidamente con potenti auto, moto ed altri mezzi di locomozione, ed anche a piedi. Lo scenario era quello di una città con vie, case, negozi, luoghi di svago di cui tre gang si contendevano il controllo.

    Nella "gara" il punteggio che ogni giocatore raggiunge è determinato dalle "missioni" che compie e viene valutato secondo parametri in cui primeggia il "rispetto" acquisito nell'uso delle armi, nella resistenza ai colpi, nei muscoli (che aumentano o diminuiscono secondo gli esercizi), nel sex appeal, ecc. Le armi variano dal mitragliatore a tre tipi di mitra e di mitraglietta, a due tipi di pistole, a fucili a pompa e a canne mozze, al bazooka, alla motosega, per scendere alla mazza, al coltello, al tirapugni e al manganello dei poliziotti. Le scene, animate dai piccoli giocatori premendo vari pulsanti del telecomando, sono semplicemente orripilanti.

    Ecco qualche esempio: una prostituta viene afferrata, caricata sull'auto e sgozzata, il sangue rosso si sparge ovunque; un avversario è inseguito per strade e locali, tagliato in due con la motosega; ad un barista viene fatta saltare la testa con il fucile a pompa; un camion corazzato viene usato per una "missione" di scasso, i cadaveri dei guardiani trucidati finiscono schiacciati più volte sotto le ruote; un'auto parcheggiata appare scossa violentemente: effetto di uno stupro che si consuma al suo interno, previo rapimento della donna. Aggiungo a scopo di documentazione qualche frase del parlato: "Stendi quei coglioni, figli di puttana!", "Fottilo!", "Vuoi spassartela, tesoro?", "Cosa cazzo hai in mente?".

    Da quanto mi raccontano ragazzi e genitori la vendita e la diffusione di simili dischetti è diffusissima. Credo, però, sia inutile prendersela coi produttori quando in stato di accusa andrebbero messi i genitori che acquistano e permettono la visione e con chi non ne vieta tout court la diffusione, quale che sia l'età del cliente. In confronto il wrestling (incontri di lotta libera, senza regole, con testate, calci in faccia, colpi proibiti tra giganteschi stuntmen), seguito settimanalmente in Tv da alcuni milioni di ragazzini fra i 7 e i 14 anni, appare uno spettacolo da educande. Anche se l'associazione consumatori Codacons ha sollevato una protesta dopo alcuni casi di imitazione da parte di giovanissimi spettatori finiti all'ospedale (a differenza dei lottatori che riescono ad uscire incolumi dagli scontri).

    Elenco qualche riflessione personale. Primo) L'intrattenimento telematico e televisivo, soprattutto quello interattivo, con contenuti e forme iperrealistiche di violenza estrema, può cancellare nei giovanissimi ogni differenza palpabile tra finzione e realtà. Secondo) La violenza nelle sue forme peggiori e più aggressive può essere immaginata come un gioco. Terzo) Nel gioco tutto è permesso. Quarto) Nessun gioco o spettacolo è proibito.

    Queste riflessioni, per essere ben valutate, non andrebbero limitate al tempo libero dei giovani e giovanissimi ma collegate alle modalità permissive di un sistema scolastico che ha praticamente abolito la durezza degli esami, i voti negativi, il rinvio a settembre (sostituiti da port-foli, crediti, debiti e 6 rossi), annullato la certezza e la generalità dei programmi (per una buona parte dell'orario lo studente "sceglie" corsi di personale propensione), le bocciature, le sospensioni (che possono in casi eccezionali venir comminate dopo contenziosi fra le parti e solo per decisione collegiale votata anche dai rappresentanti dei genitori e degli studenti, ecc.), ridotta a zero l'efficacia dissuasiva del voto di condotta.

    Una scuola che ha teorizzato la "gradevolezza" dello studio e i "percorsi individuali", le interrogazioni programmate e contrattate a data prefissata, le occupazioni consentite, le assenze a piacimento. Una scuola che invece di rappresentare un periodo di distacco formativo e progressivo dell'adolescente dalla protezione famigliare, ha dato ai genitori un peso preponderante all'interno della scuola, dove sovente si trasformano in avvocati dell'indisciplina e del basso profitto dei figli.

    Se, quindi, guardiamo in modo unitario l'universo che viene offerto alle generazioni più giovani, riusciamo a decifrare anche il crescere del bullismo e della delinquenza giovanile, a capire dove risieda il fallimento delle riforme scolastiche, sia di Berlinguer che della Moratti, a considerare l'esigenza di un "ritorno all'ordine" che aiuti i ragazzi di oggi e di domani ad affrontare con consapevolezza responsabile le difficoltà della vita adulta. Ritorno all'ordine non è in questo caso uno slogan reazionario ma un appello alla più elementare virtù civica. La libertà e la democrazia si affermano laddove sono chiari, condivisi, eticamente concepiti i limiti che ogni società e ogni individuo deve porsi e la cui trasgressione comporta una pena commisurata.

    Far credere a un bambino o a un adolescente che può far tutto a suo piacimento, che non ha di fronte a sé né divieti né inevitabili frustrazioni, che può "fingere" di uccidere selvaggiamente una donna o un avversario, insultare liberamente - e senza timore - il maestro o il compagno, incendiare l'aula, essere promosso senza studiare, tutto questo ed altro ancora sta devastando la formazione etica, civile e scolastica dei cittadini di domani. Si tratta di capire che quel che è grave non è che una violazione delle regole venga commessa, ma che non ci siano regole, non esista il divieto. Ben diverso è l'infrangerlo ma con la consapevolezza di compiere un'azione proibita.

    L'infrazione, in questo caso, è assai meno diseducativa.
    Si dirà che nella grande maggioranza dei casi le cose non sono tanto tragiche, che solo una minoranza è deviante da una condotta accettabile, che in molte classi si studia con profitto ed è probabilmente vero. Purtuttavia l'assenza quasi istituzionalizzata di vincoli e divieti facilita l'estendersi dei fenomeni negativi e genera una atmosfera in cui le minoranze più aggressive e turbolente finiscono per imporre i loro codici di comportamento. Infine il bambino, prima, e il ragazzo, poi, adusi a non aver coscienza di un punto limite, saranno spinti a richiedere, ad ottenere e a fare sempre qualcosa in più. Cresceranno con meno frustrazioni ma quando entreranno nella vita più adulta ne sconteranno il prezzo. Altissimo per loro e per la società.

    (14 maggio 2005)


    da www.repubblica.it

  2. #2
    Giacobino 1799
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    Per approfondire il tema, e per vedere dove può portare il bullismo di giovani frustrati e mentalmente condizionati da tv, videogiochi e internet, vi consiglio di vedere l'ottimo film di Gus Van Sant, "Elephant", o, anche, il film di Michael Moore, "Bowling a Columbine".

 

 

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