GRILLI DIRETTORE DEL TESORO, CRANZIO ALLA RAGIONERIA

(AGI) - 21 mag. - Cambio della guardia in due poltrone chiave dell' economia. Ieri il Consiglio dei ministri ha nominato Vittorio Grilli alla Direzione generale del Tesoro e Mario Canzio alla Ragioneria generale dello Stato. Fabrizio Galimberti sul Sole-24 Ore sottolinea che "il passaggio di Vittorio Grilli alla direzione del Dipartimento del Tesoro e' allo stesso tempo un atto dovuto e una scelta felice" perche' "la caratura intellettuale e l' abbraccio globale di Grilli sono una buona garanzia di riuscita". Per quanto riguarda la Ragioneria dello Stato, Galimberti sostiene che si e' scelta "una soluzione interna, che porta su questa poltrona cruciale Mario Canzio, un bravo dirigente della Ragioneria. Sarebbe auspicabile, nelle temperie attuali, una soluzione diversa? Si', e per almeno tre ragioni, una di principio, l' altra tecnica, e l 'altra di metodo": la prima e' che "i conti pubblici oggi sono sotto accusa" e "vi sarebbe stato bisogno di una figura di garanzia"; la seconda che per affrontare uno dei punti nodali dei conti, "la scarsa trasparenza delle riconciliazioni fra disavanzi e fabbisogni" sarebbe stato meglio scegliere "una figura al di sopra delle parti"; la terza dipende dalla "natura 'bipartisan' di una nomina cruciale", per cui - secondo Galimberti - "sarebbe stato auspicabile un accordo con l' opposizione".

21/05/2005 - 09:43




IL CASO
Un Ragioniere troppo scomodo
MASSIMO GIANNINI


da Repubblica - 21 maggio 2005

LA POLITICA, come la vita, è fatta di priorità. Per un governo alle prese con una grave recessione dell´economia reale e una seria regressione della finanza pubblica, la sostituzione del Ragioniere generale dello Stato era davvero una «priorità»? Dopo tre anni esatti di stimatissimo "servizio", Vittorio Grilli lascia il suo incarico a Mario Canzio. Il severo custode della contabilità nazionale torna al ministero del Tesoro in qualità di direttore generale, poltrona vacante dal luglio 2004. Tutti si dichiarano o sembrano soddisfatti. Silvio Berlusconi plaude: «La squadra si è assestata con protagonisti di esperienza consolidata». Domenico Siniscalco esulta: «Sono orgoglioso, abbiamo fatto scelte di alto profilo».
Sorvoliamo sul fatto che, appena un mese fa, lo stesso ministro dell´Economia aveva smentito seccamente le voci su un possibile avvicendamento alla Ragioneria. E non discutiamo lo spessore delle persone coinvolte nell´ennesimo giro di valzer. Ma quello che sfuggono sono i tempi e i moventi di questa manovra. Il cambio avviene in piena corsa. Ed è una corsa avventurosa come non se ne ricordavano in questi ultimi anni. L´Italia è sotto la lente dell´Unione Europea e dei mercati internazionali. Proprio ieri, con buona pace del premier che si ostina a negare l´evidenza, il commissario Almunia ha confermato che il 7 giugno partirà la procedura d´infrazione nei confronti del nostro Paese. Proprio ieri, a dispetto dell´ottimismo del premier che continua a manipolare la realtà, si è chiusa una settimana nella quale, per la prima volta dopo mesi, è tornata ad allargarsi la "forbice" dei rendimenti tra il Btp italiano e il Bund tedesco, risalita al massimo storico di 19 punti base. Vuol dire che gli operatori, per investire sui nostri titoli, chiedono un «premio di rischio» più alto, perché non si fidano. «Il mercato - osservano gli analisti - sta punendo i Paesi che non hanno i conti pubblici sotto controllo». Le principali agenzie internazionali, da Standard & Poor´s alla Fitch, annunciano un imminente riesame del rating attribuito al debito italiano. Nel giro di un paio di settimane il governo dovrà presentare il Documento di programmazione economica. Poi, anticipata a prima dell´estate o meno, toccherà alla Legge Finanziaria. Il deficit viaggia al tasso tendenziale del 4,6% per Pil. Il debito, dopo molti anni di rallentamento, torna a crescere in rapporto al Prodotto lordo.
In questa congiuntura drammatica, si fatica a comprendere l´urgenza di sostituire l´unica persona che, tra un viavai continuo di ministri e sottosegretari, ha garantito per almeno un triennio la continuità di controllo della finanza pubblica. Grilli, come era toccato prima di lui ad Andrea Monorchio, si è conquistato sul campo autorevolezza e credibilità. In Italia e all´estero. Insieme a Mario Draghi, ha lavorato al Tesoro nell´esaltante gestione Ciampi, tra la rincorsa all´euro e le grandi privatizzazioni. Ha sempre goduto e tuttora gode della fiducia assoluta del Capo dello Stato. Da Bruxelles a Londra, tecnocrati e trader hanno imparato a conoscerlo, e ad apprezzarlo. Prima di spostare un uomo così, alla vigilia di decisioni delicate per il futuro del Paese, è bene pensarci dieci volte. La Ragioneria generale dello Stato è molto più che un semplice presidio contabile amministrativo. Basta leggere le prerogative e le decisioni attribuite a questa carica formalmente "tecnica", per valutarne le ricadute di natura sostanzialmente "politica". Il Ragioniere generale dello Stato «ha competenza nel settore delle politiche di bilancio e del coordinamento e verifica degli andamenti della spesa pubblica, sulle quali esercita i controlli e le verifiche previsti dall´ordinamento, provvedendo anche alla valutazione della fattibilità e della rilevanza economico-finanziaria dei provvedimenti e delle iniziative di innovazione legislativa, anche di rilevanza comunitaria, alla verifica della quantificazione degli oneri e della loro coerenza con gli obiettivi programmatici in materia di finanza pubblica». Il Ragioniere è un´istituzione di garanzia e, insieme, di autonomia. Il suo "bollino rosso", che può apporre alle leggi finanziarie e a tutti i provvedimenti privi di adeguata copertura, è uno strumento di controllo democratico.
Non avanziamo dubbi pregiudiziali sulle doti di rigore e di indipendenza di Mario Canzio. Ma sappiamo per certo che Grilli, quelle stesse doti, le ha concretamente praticate in questi anni. Si dice che anche lui fosse stanco, ed avesse manifestato l´intenzione di lasciare. Ma anche in questo caso, viene da chiedersi perché. Il suo rapporto con il governo, soprattutto in quest´ultimo anno, non è stato facile. Tensioni e incomprensioni non sono mancate. Nell´autunno scorso Berlusconi aveva appena annunciato il decreto per la famosa riduzione dell´Irpef, a partire dal gennaio 2005, e nella versione più hard che prevedeva due sole aliquote al 23 e al 33%. L´impegno, a carico del bilancio pubblico, era gravoso: 12 miliardi di euro. «Pressoché insostenibile», fu il primo verdetto della Ragioneria. Grilli, responsabilmente, tenne il punto. In un vertice a Palazzo Grazioli, il Cavaliere lo prese di petto: «Stia attento, io l´ho fatta generale, posso sempre degradarla a capitano... «. Quelle parole non sono mai state smentite. E oggi, con il Cavaliere che annuncia l´ennesimo strappo politico e l´ennesima forzatura contabile attraverso un´altra pioggia di sgravi fiscali e un abbattimento dell´Irap in un solo anno, quelle stesse parole non possono non tornare alla mente. A pensare male si fa peccato, ma non si sbaglia mai: in questo clima mesto e nostalgico da Prima Repubblica, purtroppo, le vecchie lezioni andreottiane non tramontano mai.