Dal Corriere di oggi.

Entro il 14 luglio nuova squadra di governo

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI - Nessuno lo ammette, fra un appello al senso di responsabilità e un gran agitarsi di ideali europei, ma la rassegnazione si è insinuata nel fronte del «sì». E già si pensa al dopo, a come affrontare una sconfitta, annunciata dai sondaggi, che accomuna l'Eliseo, il governo, il partito di maggioranza e il maggior partito d'opposizione e che si profila come una riedizione del 21 aprile 2002: il «no» rabbioso e distruttivo della Francia profonda, la bocciatura in blocco della classe dirigente, l'eterogenea fusione di estrema destra ed estrema sinistra, sfiducia e paure degli strati popolari. Allora l'antidoto all'onda nera di Le Pen e alla débâcle della sinistra fu il sussulto plebiscitario per Chirac. Oggi, a destra e a sinistra, si prova ad immaginare come raccogliere i cocci e a chi affidarne la raccolta: c'è l'immagine di un Paese da difendere e i principali attori della campagna per il «sì» - il presidente Chirac, il primo ministro Raffarin, il segretario socialista Hollande - sono i meno attrezzati per farlo, bersagli dell'onda del «no».
Nella maggioranza, è già segnato il destino del premier, Jean-Pierre Raffarin. Nel partito socialista, si preannuncia un congresso straordinario di rifondazione, visto che oltre la metà del partito sembra decisa a far vincere il «no», delegittimando linea e gestione dell'attuale gruppo dirigente.
Il primo ministro, parafulmine della protesta sociale e dei fantasmi che agitano la maggioranza dei francesi (immigrazione, disoccupazione, smantellamento del modello statuale), pagherà anche in caso di rimonta del «sì». «Non è un referendum, ma un "raffarendum"», è la battuta impietosa e il verdetto è già pronunciato.
Questione di giorni o settimane, comunque entro il 14 luglio, giorno del tradizionale discorso di Chirac alla nazione. Il presidente punterà quasi certamente su una squadra di fedelissimi, affidandone la guida al suo delfino naturale, l'attuale ministro degli Interni, Dominique de Villepin, o a una gollista doc, Michele Alliot-Marie, attuale ministro della Difesa.
La sconfitta del «sì» riduce di molto il sogno di Chirac di una nuova candidatura all'Eliseo, ma le chance sono racchiuse nella gestione dell'ultimo scorcio di legislatura. In agguato, c'è Nicolas Sarkozy, il capo del partito, che sarà l'unico a trarre vantaggi dalla vittoria del «no» e il primo a chiedere di voltare pagina ponendosi come l'unico possibile leader della destra francese.
La paura, in casa gollista, è palpabile. Dice Patrick Ollier, leader dei deputati gollisti, fedelissimo di Chirac: «In democrazia è legittimo sanzionare il governo, ma i francesi stanno sbagliando bersaglio, punendo l'Europa e la Francia. Le conseguenze saranno catastrofiche: la Francia potrà difendere molto meno i propri interessi e potrebbe essere penalizzata dagli investitori. I fautori del no non si rendono conto che la loro vittoria avrà effetti contrari alle loro aspettative. Gli agricoltori a esempio sono in maggioranza per il no, ma non capiscono che proprio il peso della Francia in Europa ha assicurato vantaggi e contributi. Purtroppo si sono saldati messaggi e correnti culturali diverse e ambizioni personali nell'illusione che il trattato sia rinegoziabile».
«Il fronte del sì - ammette Ollier - non è riuscito a smascherare gli equivoci e le falsità: ci sono gollisti che pensano di difendere i valori nazionali e socialisti che temono che il trattato sia troppo liberale. La verità è che de Gaulle aveva già immaginato questa Europa confederale e che il modello sociale non dipende dalla costituzione, ma dalle scelte politiche degli elettori e di chi governa». Ollier ha raccolto le firme di 205 parlamentari e senatori di stretta osservanza gollista. Un appello per il «sì» che richiama la visione di de Gaulle per l'Europa e per la Francia, compreso quel modello sociale che - al di là delle correnti politiche - continua a essere amato dai francesi e strettamente connesso all'organizzazione dello Stato. Anche, e forse proprio per questo, il «no» è trasversale ai partiti ed esprime, anche nella sinistra, la paura del cambiamento.
E' troppo tardi? Ollier non crede ai sondaggi. «C'è ancora un 20% di indecisi. Abbiamo fiducia nel senso di responsabilità dei francesi. Fino all'ultimo minuto cercheremo di spiegare che i vantaggi della costituzione sono molto superiori ai difetti e che è in gioco l'avvenire della Francia». In ogni caso, è in gioco l'avvenire del governo. «E' normale che si cambi e che si tenga conto di questa campagna e delle preoccupazioni dei francesi. Le riforme di questi anni sono state ostacolate da una crescita inferiore al previsto, dalla disoccupazione, dalla congiuntura internazionale. Occorre rilanciare la politica del governo, comunque vada a finire il referendum».

Cordiali Saluti