"Corpore et anima unus": la rilevanza etica dell’unità sostanziale dell’uomo all’inizio del terzo millennio

Roma, 24 settembre 2003


La riflessione seguente si snoderà in tre tempi. Nel primo cercherò di esporre in maniera sintetica la tesi tommasiana dell’unità sostanziale della persona umana. Nel secondo, ed in questo consisterà l’apporto precipuo della mia relazione, esporrò la rilevanza che questa tesi ha nella riflessione etica. Nel terzo cercherò, per così dire, di contestualizzare nella situazione spirituale contemporanea quanto detto prima, ponendomi così esplicitamente nella prospettiva del Congresso.

1. L’unità sostanziale della persona umana

Debbo dire subito che questo punto della mia riflessione non intende offrire alcun contributo nuovo alla ricerca sul pensiero tommasiano; alla ricerca sull’antropologia tommasiana. Non è questa la finalità della mia riflessione. Basterà riferire sinteticamente i risultati della ricerca storica e teoretica raggiunti in questi anni riguardo alla tesi dell’unità sostanziale della persona umana: tesi che ritengo essere la chiave di volta della definizione filosofica di persona umana elaborata da Tommaso.

Parto dalla domanda sul significato fenomenologico di questa definizione: che cosa intende significare Tommaso quando afferma che "principium quo primum intelligimus, sive dicatur intellectus sive anima intellectiva, est forma corporis" [1,q.76, a.1]? Significa che "l’io che si coglie come corporeo negli stati affettivi (in certi stati affettivi) è lo stesso io che, riflettendo, ha coscienza di conoscere, di contemplare la bellezza, di fare metafisica… L’uomo si coglie come uno" [S. Vanni-Rovighi in A. Ales Bello e F. Brezzo (a cura di), Il filo(sofare) di Arianna. Percorsi del pensiero femminile nel Novecento, ed. Mimesis, Milano 221, pag. 55]. Scrive Tommaso: "ipse idem homo est qui percepit se et intelligere et sentire" [ibid.]. Dunque, la tesi dell’unità sostanziale intende descrivere in primo luogo un’esperienza fondamentale dell’uomo: l’esperienza dell’unità del proprio io nella pluralità specifica delle sue operazioni.

Ma la tesi non ha solo un carattere descrittivo, ma anche e soprattutto fondativo-esplicativo: essa cioè è l’unica spiegazione vera – secondo Tommaso – del fatto che "ipse idem homo est …", in quanto è l’unità sostanziale della persona che causa quel fatto.

È necessario a questo punto che passiamo dal significato "fenomenologico" al significato "ontologico" della tesi, per capire che cosa essa dice dell’essere della persona umana. Il testo più rigoroso dal punto di vista concettuale mi sembra il seguente: "anima illud esse in quo ipsa subsistit, communicat materiae corporali, ex qua et anima intellectiva fit unum, ita quod illud esse quod est totius compositi, est etiam ipsuis animae" [ibid. ad 5um]. Tenendo presente il primo articolo della Quaestio disputata de Anima, possiamo dire quanto segue.

L’anima spirituale dell’uomo è sostanza; sussiste in se stessa. Non nel senso che sia completa nella sua natura specifica o che esista come singolo individuo. E neppure nel senso che esista come completa natura specifica [= quale quid, dice Tommaso] non in se stessa ma in singoli individui molteplici [come l’umanità esiste nei singoli uomini]. È sostanza, qualcosa di determinato [hoc aliquid], capace di sussistere in se stessa, "non quasi habens in se completam speciem, sed quasi perficiens speciem humanam ut forma corporis" [Q. disp. De Anima, a.1c; ed. Marietti, pag. 284].

L’essere della persona è dunque uno perché è lo stesso essere dell’anima partecipato anche al corpo a livello di causalità formale ovviamente, non efficiente [cfr. ibid. ad 1um]. "L’anima perciò esiste nella persona come parte autonoma dotata di un proprio essere ed operare, ma esiste anche come forma sostanziale (principio che dà unità formale e determinazione alla materia di una sostanza fisica) della sostanza personale "prima" del singolo individuo umano" [G. Basti, Filosofia dell’uomo, ESD, Bologna 1995, pag. 355].

Il principio intellettivo o anima possiede l’atto di essere in proprio rispetto al corpo ma non in assoluto, in quanto non l’intelletto è, ma la persona che sussiste nell’unità dell’anima e del corpo.

Sulla base di che cosa Tommaso afferma che l’atto d’essere dell’anima è atto d’essere della persona più che e prima che atto di essere dell’anima? S. Tommaso rimanda sempre al seguente fatto: "experitur … unusquisque seipsum esse qui intelligit" [1, q.57, a.1]. So, cioè, che sono io che penso ed esisto. "Dunque il fondamento d’essere, lo è che precede e rende possibile il mio atto di pensare, in realtà precede e rende possibile il mio atto di esistere come persona. E io so che continuo ad esistere e a essere io, persona, anche quando non penso. Dunque l’atto d’essere, prima che fondamento del mio pensiero, è fondamento del mio esistere proprio come persona" [P.P. Ruffinengo, Outonoesis. Introduzione alla metafisica, ed. Marietti 1820, Genova 2002, pag. 229].

Poiché infine l’io è mediante la forma [cfr. 1, q.76, a.4] e alla "forma umana" [cioè all’anima umana] pertiene l’essere come la rotondità al cerchio, l’io o la persona umana è incorruttibile o eterna: eterna per partecipazione.

Ho cercato di spiegare il significato ontologico della tesi dell’unità sostanziale della persona umana.

Ora dobbiamo esplicitare alcune fondamentali implicazioni di quel significato.

La prima è l’affermazione dell’assoluta spiritualità della forma sostanziale, o anima, della persona umana. L’unica composizione presente in essa (forma sostanziale) è quella fra essenza ed atto di essere, non fra materia e forma [cfr. 1, q.75, a.3. ad 4; Q. disp. De anima, a.6]. La spiritualità della forma sostanziale umana non esclude la necessità del corpo per l’attuazione delle sue attività proprie, il pensare ed il deliberare. Ha però bisogno del corpo "non tamen sicut instrumento, sed sicut obiecto tantum" [in De Anima I, 2, 19-20; ed. Marietti, pag. 7].

La seconda è l’affermazione che per l’anima spirituale l’unione al corpo è naturale e benefica. Lo spirito umano si distingue nel mondo degli spiriti perché dice ordine ad un corpo, così come la persona umana nell’universo delle persone si distingue per essere propriamente una persona-corpo; e reciprocamente, nell’universo materiale il corpo umano si distingue da ogni corpo per essere un corpo-persona. Dato che questa è la persona umana, "anima corpori unita plus assimilatur Deo quam a corpore separata, quia perfectus habet suam naturam" [Qd de potentia, q.5, a.10, ad 5um]. E’ una unione benefica: "propter melius animae est ut corpori uniatur et intelligat per conversionem ad phantasmata" [1, q.89, a.1].

La terza e più importante implicazione è l’unicità della forma sostanziale. Questa tesi è decisiva in ordine all’affermazione dell’unicità della persona umana. [Cfr. 1, q.76, a.3: "si … homo ab alia forma haberet quod sit vivum, scilicet ab anima vegetabili ; et ab alia quod si animae, scilicet ab anima sensibili; et ab alia quod sit homo, scilicet ab anima rationali: sequeretur quod homo non esset unum simpliciter"]. Secondo la suggestiva tesi tommasiana, la forma sostanziale spirituale è virtualmente sensibile e vegetativa: "sicut … superficies quae habet figuram pentagonam … non per aliam figuram est tetragona et per aliam pentagona " [cfr. la più elaborata esposizione in Quodl. IX, q.5].

L’unità della persona umana fa sì che niente nell’uomo sia puramente animale o puramente spirituale: è semplicemente umano. E con ciò siamo già nel secondo punto della nostra riflessione: il più importante.

2. La rilevanza etica della tesi

Parlando di rilevanza etica della tesi dell’unità sostanziale della persona umana, intendo dire che alcuni "nodi centrali" del pensiero etico tommasiano diventano pienamente comprensibili solo alla luce di quella tesi. Mi fermo a considerarne , per brevità, solamente due.

Il primo che vorrei considerare è il tema della "naturalis inclinatio" come chiave di volta della definizione tommasiana di "lex naturalis".

Il tema della "inclinatio naturalis" lo troviamo in ogni passaggio decisivo nella costruzione tommasiana del concetto di legge morale naturale. Si veda 1.2, q.90, a.1, ad 1um; q.91, a.2 [testo assai importante: la "naturalis inclinatio ad debitum actum et finem" costituisce la specifica partecipazione della creatura ragionevole alla legge eterna; è cioè la legge naturale (talis partecipatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur)]; a.6 [è sottolineata la distinzione fra una "inclinatio" essenziale ed una "inclinatio" per partecipazione]; q.93, a.6, q.94, a.2 [è la pagina più importante per il nostro tema sulla quale soprattutto costruire questa riflessione]; a.3 ["ad legem naturae pertinet omne illud ad quod homo inclinatur secundum naturam…"].

Sulla base di questi testi e di altri paralleli che potevano essere citati, è possibile dimostrare come la definizione di legge naturale in rapporto al tema della "inclinatio naturalis" sia pienamente comprensibile sulla base della tesi dell’unita sostanziale della persona umana.

Iniziamo dal rapporto "legge naturale – inclinazione naturale". La legge naturale in senso proprio, come scrive Tommaso, "est aliquid per rationem constitutum, sicut etiam propositio est quoddam opus rationis" [1,2, q.94, a.1]. Più precisamente ancora: "aliquid per huiusmondi actum constitutum" [q.90, a,1, ad 2um]. Non è, la legge naturale, una capacità della ragione e neppure un suo atto: è ciò che viene per così dire "prodotto" dall’atto della ragione. S. Tommaso parla di "propositiones universales rationis practicae ordinatae ad actiones" [ibid]. La specificità di queste proposizioni universali prodotte della ragione pratica è che sono "per modum praecipiendi" [q.92, a.2]. Ma che senso può avere parlare di un "praeceptum/imperium rationis"? La risposta è data già in maniera sintetica in q.90,a.1, ad 2um e poi ampiamente nella q. 94,a.2. E’ a mio giudizio uno dei momenti più alti dell’antropologia tommasiana.

La persona umana è, come ogni creatura, orientata ed inclinata verso il suo proprio bene: la pienezza del suo essere, conformemente alla sua natura. Esiste nella persona umana una "naturalis inclinatio" verso il suo fine – bene proprio.

Ma la persona umana è anche spirito, e dunque esiste in essa una "inclinazione naturale spirituale": è la volontà intesa come facoltà naturale dell’uomo [voluntas ut natura]. Essa è come generata dall’intelletto-ragione, in quanto è il movimento [inclinatio naturalis] della persona verso il bene intelligibile, senza che il … generato [voluntas ut natura] possa mai separarsi dal genitore [intelletto-ragione]. L’inclinazione naturale spirituale implica sempre in se stessa l’atto della ragione che oggettiva, mostra (fa apparire) quel bene da cui l’inclinazione è mossa. Nella e mediante la luce della ragione il bene si mostra alla persona, determinando/causando in essa un’attrazione, un’inclinazione che muove la persona medesima verso il bene che si è mostrato. Non si tratta di un giudizio razionale né puramente descrittivo né puramente prescrittivo: la distinzione fra "essere" e "dover essere" qui non si pone. È una conoscenza-pratica. "La ratio boni non è dunque nient’altro che ciò che noi sperimentiamo come bene, la fattività dell’oggetto pratico sperimentato nel desiderio come suo fine, l’appetibile. La ragione pratica oggettiva questo oggetto come bonum in base ad un atto oggettivo, al quale poi fa seguito la risposta appetitiva della prosecutio – detto più precisamente: non fa seguito, ma piuttosto questa risposta si basa su questo, giacché la prosecutio è già in effetti espressa nel giudizio stesso" [M. Ronheiner, Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell’autonomia morale, Armando ed., Roma 2001, pag. 95].

Penso che ora risulti chiaro che senso ha parlare di un "praeceptum/imperium rationis". Tommaso affronta esplicitamente il tema in 1,2, q.17, dove egli definisce l’imperium come "actus rationis ordinantis, cum quadam motione, aliquid ad agendum" [a.5c]. si noti bene "cum quadam motione"; ed infatti, "quod ratio movet imperando, sit ei ex virtute voluntatis" [a.1c]. In sintesi. L’esperienza della tensione della persona verso il bonum intelligibile genera nella ragione il primo giudizio pratico, il quale consiste nell’ordinare verso l’agire la persona che vuole. È questo principio primo pratico che dà origine a tutta la legge naturale. In che senso ed in che modo? È spiegato all’art. 2 della q.94: nel senso che "omnia illa facienda vel vitanda pertineant ad praecepta legis naturae, quae ratio practica naturaliter apprehendit esse bona humana".

Il primo principio pratico cioè non compare mai, perché non potrebbe comparire, nella coscienza della persona allo stato puro: come principio puramente formale. Analogamente il primo principio speculativo è affermato solo nella apprehensio entis. Il primo principio pratico è sempre sperimentato nelle varie e concrete inclinazioni naturali in cui è strutturata la persona umana. È nel loro orientamento verso i rispettivi fini che la ragione apprende la bontà umana, propriamente umana, dei fini medesimi cui sono orientate le inclinazioni strutturali della persona. Il "bonum prosequendum et faciendum" oggettivato dal primo atto della ragione pratica è sempre concretizzato nei vari "bona prosequenda et facienda", mostrati dalle inclinazioni naturali.

È precisamente in questa fine dialettica fra il "bonum faciendum" ed i "bona humana facienda" che si mostra la fecondità teoretica dell’unità sostanziale della persona umana. Come ora cercherò di dimostrare, partendo da un caso particolare.

Nel citato art. 2 della q.94 S. Tommaso indica la "coniunctio maris et foeminae" come una delle fondamentali inclinazioni naturali. O meglio: come il fine proprio della inclinazione sessuale. Tuttavia non una qualsiasi "coniunctio maris et foeminae" è un "bene umano", ma solo quella che si configura come matrimonio. Pertanto, il bene umano [Tommaso lo chiama anche: finis debitus] in cui è orientata l’inclinazione sessuale è il matrimonio. L’oggettivazione del bene umano dell’inclinazione sessuale [che è il matrimonio] è opera della ragione, compiendo la quale essa genera quel moto della inclinazione naturale spirituale che è la volontà. Essenzialmente distinta dall’inclinazione sensibile verso il bene proprio della inclinazione sessuale, ma in unità con questa, essa costituisce l’inclinazione sessuale umana.

Nell’oggettivare il bene umano della inclinazione sessuale, la ragione pratica non lavora "nel vuoto", ma sulla base della naturale inclinazione sessuale. E neppure il suo ruolo o compito è puramente "strumentale": organizzare la "coniunctio maris et foeminae" in modo che i due non ne abbiano danno, ma piacere. Non siamo di fronte né ad una ragione creativa dei beni umani, né ad una ragione strumentale alle inclinazioni. "Esse non sono pertanto ancora in grado, come tali di regolare l’agire. Esso sono invece regola e unità di misura per la ratio naturalis la quale soltanto in virtù della sua "ordinatio nella inclinazioni naturali", è regola e unità di misura per l’agire" [M. Ronheimer, Legge naturale …cit. pag. 97 ] [cfr. 1,2, q.91, a3, ad 2].

Questa capacità delle inclinazioni naturali ad essere interpretate dalla ragione come indicative dei beni umani, si fonda ultimamente nel fatto che esse non sono dati biologici semplicemente, ma sono già umane in forza dell’unità sostanziale della persona; in forza del fatto che lo spirito è la forma sostanziale del corpo, che virtualmente esercita le funzioni dell’anima sensibile e vegetativa.

Se la persona umana non fosse questa unità sostanziale, inevitabilmente l’etica si ridurrebbe o all’etologia o all’affermazione di una ragione creativa della verità sui beni umani. Non siamo affatto condannati a infrangere la riflessione etica o contro la Scilla dell’errore biologistico o contro la Cariddi del sedicente personalismo autocreazionistico. Tertium datur: l’unità sostanziale della persona umana ne mostra la strada.

L’Enc. Veritatis splendor [6-9-1993] fonda il suo insegnamento circa la legge naturale precisamente sulla tesi tommasiana dell’unità sostanziale della persona umana. È alla luce di questa tesi che si coglie il "vero significato della legge naturale: essa di riferisce alla natura propria ed originale dell’uomo, alla "natura della persona umana", che è la persona stessa nell’unità di anima e corpo, nell’unità delle sue inclinazioni di ordine sia spirituale che biologico" [50,1; EE 8/1631].

Pertanto, la teoria morale secondo la quale i dinamismi della natura umana e del corpo "non potrebbero costituire punti di riferimento per la scelta morale [indices … ad moralem electionem], dal momento che le finalità di queste inclinazioni sarebbero solo beni fisici", è da ritenersi non conforme alla verità dell’uomo. "Essa contraddice agli insegnamenti della Chiesa sull’unità dell’essere umano, la cui anima razionale è per se stessa ed essenzialmente la forma del corpo" [48,1-2; EE 8/1628-1629].

Come si vede, l’insegnamento centrale dell’Enciclica è fondato sulla tesi dell’unità sostanziale della persona umana.

Il secondo tema su cui vorrei richiamare molto più brevemente l’attenzione, è il tema della virtù morale. Più brevemente, poiché è la ripresa delle stesse tematiche da un punto di vista complementare, dal momento che l’ordo virtutis coincide con l’ordo rationis [cfr. 1,2. Q.94, a. 3].

Nel de Virtutibus a.9, Tommaso definisce la virtù morale "quaedam dispositio sive forma, sigillata et impressa in vi appetitiva a ratione".

Le inclinazioni naturali ricevono la loro "forma" dalla ragione. Ciò significa che esse sono come un materiale grezzo ed informe che deve essere umanizzato e come spiritualizzato? Se si ignora e si nega la tesi dell’unità sostanziale della persona, inevitabilmente si cadrebbe in una tale posizione: la virtù morale è l’umanizzazione di ciò che nell’uomo non è umano, ma semplicemente naturale. Una umanizzazione che consiste nella creatività della ragione.

In realtà, sul piano dell’essere le indicazioni umane sono già umane: la ragione e quindi la virtù non ha il potere di costituirle nel loro senso umano quanto all’essere. Solo una visione dualistica dell’uomo potrebbe pensare la virtù morale in questo modo.

Da ciò si giunge ad affermare che la virtù morale coincide sostanzialmente colla virtù naturale delle inclinazioni? Ciò è pure falso perché contraria alla tesi che esiste una sola forma sostanziale nell’uomo e che questa è lo spirito. Pertanto le inclinazioni naturali invocano per così dire di essere informate, sul piano pratico-cognitivo, dall’ordine della ragione: di ricevere da essa, come dice Tommaso, la loro forma, il loro sigillo e la loro configurazione. In questo senso, Tommaso parla della "naturales inclinationes" come "virtutum inchoationes" [Qq. dd. De veritate q. 11, a. 1]. La forma razionale non si pone né contro né al di fuori né al servizio della inclinazione naturale: si pone nelle inclinazioni naturali come l’atto alla potenza. Nec contra, nec praeter, sed secundum; nec super, nec infra, sed intra [ut forma in materia].

Tommaso usa anche una metafora ancora più suggestiva: parla di "semina virtutum". È l’ordine della ragione che fa maturare in pienezza ciò che è già umanamente costituito.

3. Nel contesto attuale

In questo terzo punto della mia riflessione vorrei mostrare molto brevemente come la tesi tommasiana dell’unità sostanziale della persona umana debba essere oggi riaffermata se si vuole uscire da una cultura che non è più, per tanti aspetti, a misura della verità e del bene della persona umana. La mia convinzione è che il rifiuto di quella tesi porta ad esiti teoreticamente falsi e quindi praticamente antiumanistici. Ciò che mi propongo ora è di mostrare le ragioni della mia convinzione.

L’abbandono della tesi dell’unità sostanziale della persona, compiuto perfettamente da Cartesio [cfr. Meditazioni filosofiche seconda e sesta], ha insidiato in modo definitivo la nozione vera di persona umana. E da due punti di vista connessi.

La riduzione dell’ "io" della soggettività metafisica o ipostaticità della persona umana all’autocoscienza ha determinato logicamente la negazione della sostanzialità individuale che soggiace all’autocoscienza, avendo questa una funzione trascendentale. Negata la sostanzialità individuale della soggettività umana, la persona in senso metafisico è impensabile. Diventa solo un concetto giuridico.

Non solo. Ma se non si afferma l’unità sostanziale della persona in forza dello spirito incorruttibile, diviene teoreticamente impossibile dimostrare l’individualità dell’anima spirituale [cfr. 1, q.29, a.4], cadendo o in un solipsismo insuperabile oppure in una riduzione del singolo a parte di un tutto.

In breve: se la sostanzialità spirituale di ciascun uomo è messa in discussione, è la stessa nozione di persona umana a divenire impensabile.

Ma vorrei scendere più al particolare, prendendo in esame un ambito specifico della riflessione etica.

La separazione del corpo dalla persona si svela nella sua portata anti-umanistica soprattutto nell’ambito dell’etica della sessualità, e dunque della visione del matrimonio. E non per caso l’etica della sessualità è il test privilegiato per scoprire l’anti-umanesimo insito nella negazione dell’unità sostanziale della persona. La sessualità umana ed il suo esercizio è il punto nel quale la persona ed il suo corpo si incrociano con particolare intensità. E pertanto un diverso modo di concepire il rapporto persona-corpo genera sempre un modo diverso si comprendere la sessualità.

Negando l’unicità sostanziale della persona umana, gli esiti teoretici sono o una definizione dualistica della persona umana o una visione monistica materialistica.

In un contesto dualistico, la sessualità non è più pensabile come "linguaggio della persona". Essa appartiene alla natura, nel senso proprio della scienza moderna, di cui l’uomo può fare uso. In altri termini: la sessualità nella sua fisicità viene privata di ogni significato suo proprio. Né può essere altrimenti. Una corporeità separata dalla persona non è più espressiva e portatrice di un significato propriamente personale.

Il tentativo più singolare di salvaguardare la dignità propria della persona nell’esercizio della sessualità, all’interno di una concezione dualistica, è stato compiuto da I Kant nella Metaphysik der Sitten [Akademieausgabe 6, 277-278]. È una pagina, a mio giudizio di grande interesse. Kant, come è ben noto, accetta la visione meccanicistica della natura sviluppata da Cartesio e Newton. Le regioni del reale sono due: la pura ragione che ha in se stessa un ordine razionale aprioristico; la natura che è governata da leggi matematicamente esprimibili. L’aggancio è costituito dall’esperienza che è soggettiva, caotica ed irrazionale (come in D. Hum). La sessualità appartiene alla natura, e quindi segue le sue leggi al di fuori dell’ordine a priori della ragione. Il matrimonio monogamico indissolubile è la ragione pura che cerca di salvaguardare la perdita della dignità umana nell’atto sessuale.

In un contesto monistico-funzionalista, ogni …preoccupazione morale è semplicemente impensabile. L’esercizio della sessualità è un meccanismo spontaneo di stimoli reazioni, senza che sia possibile un "quid novi" perché non è più possibile/pensabile alcun atto di libertà. Eterosessualità, omosessualità, contraccezione, procreazione artificiale denotano solamente comportamenti funzionalmente diversi: nulla di più.

L’incapacità di comprendere la verità ed il significato della sessualità umana nel contesto di un’antropologia dualistica o monista risulta particolarmente evidente nell’etica (si fa per dire) contemporanea della procreazione. La capacità procreativa o fertilità umana è andata progressivamente considerata come una mera funzione naturale, estrinseca alla persona. Non desta dunque meraviglia se non si vede più l’ingiustizia nel principio che chiunque può sostituire chiunque nel procedimento procreativo. Ritroviamo puntualmente anche nell’ambito dell’etica della procreazione le due posizioni già indicate sopra. La "natura" ha i propri scopi; ma questi non hanno nulla a che fare con la persona, se non attraverso la pura mediazione del desiderio [adpetitus sensibilis]: è la posizione dualistica. La procreazione è solo desiderata o indesiderata [non razionalmente voluta o non voluta]: nel primo caso è di ricercarsi "ad ogni costo"; nel secondo caso deve essere evitato "ad ogni costo".

La ragione per cui ho voluto richiamare l’attenzione sul tema dell’etica della sessualità, è che il rapporto uomo-donna è il rapporto sociale primario ed originario; e la costituzione di questo rapporto passa attraverso la mediazione del corpo. La demolizione veritativa e pratica di questa mediazione porta alla demolizione di ogni rapporto sociale umano.

Conclusione

Mi sembra che la più perfetta espressione della tesi tommasiana sia un brano del Trittico Romano, l’ultima opera poetica di Giovanni Paolo II.

Il Presacramento -/solo essere visibile segno di perenne Amore./ E quando divengono "un corpo solo" / - o mirabile unione - / nell’orizzonte di questo connubio si schiude / la paternità e la maternità./ - Ed è allora che attingono alle fonti di vita che si trovano in loro. Risalgono ala Principio. [ed. LEV, 2002, pag. 27].

Il corpo è la trasparenza della persona umana, l’unica creatura in cui è visibile l’invisibile.