Cuba, l’ultima battaglia del cardinale Ortega

di Mattia Bianchi/ 10/09/2005


L’arcivescovo dell’Avana rispedisce al mittente le dichiarazioni del nuovo ambasciatore cubano presso la Santa Sede che aveva accusato alcuni vescovi di prendere le parti della dissidenza.



“A Cuba i sacerdoti sono vicino al popolo, mentre alcuni vescovi sono vicini al popolo di Miami”. Le parole del neo ambasciatore cubano presso la Santa Sede, Raúl Roa Kourí, sono state respinte con forza al mittente dall’arcivescovo dell’Avana, card. Jaime Ortega. Sono dichiarazioni false e insultanti, ha detto il cardinale, avvertendo che "creano un clima sfavorevole nelle relazioni tra Chiesa e Stato". Una delle figure più influenti della chiesa locale, tra i protagonisti del viaggio di Giovanni Paolo II nell’isola nel 1998, torna così ad esprimere giudizi duri contro il regime di Fidel Castro. “Dio voglia che queste opinioni – si legge in una nota – siano il prodotto di errori o di pregiudizi personali e non il fondamento o l’annuncio di una posizione ufficiale”. L’ambasciatore Kourì aveva parlato in occasione del 70mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cuba, esprimendo giudizi netti sulla gerarchia, accusata di prendere le parti dei cubani emigrati. Una posizione inaccettabile per l’arcivescovo dell’Avana, che ha ribadito come sia offensivo dividere la chiesa tra figure patriottiche e altre con il cuore e la mente a Miami. “Siamo tutti vescovi cubani che amiamo la nostra nazione e sebbene il signor ambasciatore intenda negarlo, serviamo il nostro popolo e basta. Le sue affermazioni contrastano con le parole dei più alti dirigenti cubani che intendono creare un clima molto diverso”.

Il cardinale Ortega continua ad essere una voce schietta nella vita sociale dell’isola, tormentata da misure repressive che stanno cercando di mettere a tacere i timidi segnali di rinnovamento portati avanti dai movimenti per la democrazia. Una storia a servizio del popolo cubano, quella del porporato che ha alle spalle anche un’esperienza nei campi di lavoro del regime di Castro: fermo nell’annunciare il messaggio di speranza del Vangelo, ma pronto anche a denunciare la mancanza di libertà, come fece in un’intervista a Korazym.org nel 2003, in cui accusò il regime di aver ridotto al silenzio la Chiesa, impedendo l’accesso alle scuole, la diffusione dei documenti dei vescovi, i diritti civili essenziali. “Dopo il viaggio del papa – disse il cardinale - non è seguita nessuna risposta. A parte il riconoscimento del Natale come giorno festivo, tutto viene ignorato a partire dalle nostre posizioni e richieste. (…) Pubblichiamo i nostri documenti, ma non abbiamo nessun eco sui media. Abbiamo qualche risposta indiretta, manifestazioni di stupore ufficiali perché magari trovano duro il messaggio. È paradossale: una nostra lettera pastorale è più conosciuta all’estero che nel paese. Il governo così ci accusa di parlare per l’estero”.

L’arcivescovo dell’Avana è arrivato a sostenere posizioni molto dure nei confronti del sistema politico, disertando più volte le cerimonie ufficiali che potessero essere lette in qualche modo strumentalizzate. La vicenda più clamorosa risale al marzo del 2004, quando il card. Ortega non partecipò all’inaugurazione del nuovo convento delle Brigidine, a cui erano presenti Fidel Castro e il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, card. Crescenzio Sepe. All’evento seguirono dichiarazioni di fuoco del porporato cubano, che secondo alcune indiscrezioni di stampa, protestò anche a livello ufficiale con Giovanni Paolo II e la segreteria di Stato. Negli ultimi giorni, la risposta all’ambasciatore presso la Santa Sede, a sottolineare l’assoluta indipendenza della Chiesa nell’isola e soprattutto la ferma volontà di non farsi mettere i piedi in testa. Alla base di tutto, la consapevolezza che anche per Cuba è ormai imminente un futuro di cambiamento



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