editoriale

Un Papa da Avignone ai Templari


Marco Roncalli

Oggi le campane di Avignone - dove visse - suoneranno nel suo ricordo e molti dei suoi palazzi saranno aperti ai visitatori. A Villandraut, suo paese natale, messe cantate e banchetti medievali. A Duras e in altri borghi da lui visitati altri tuffi nella storia.Tra parate in costume e dotte conferenze, le iniziative per ricordare i settecento anni dell'elezione di Clemente V (5 giugno 1305), sono destinate a proseguire per tutta l'estate nella Francia del sud. E non importa se il conclave dal quale uscì il successore di Benedetto XI, durato ben undici mesi, si svolse nel palazzo vescovile di Perugia, con più d'una violazione della norme vigenti. Lui, Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, neutrale nel conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, dopo l'elezione rinunciò persino a recarsi a Roma. Anzi si stabilì a Lione dove invitò i cardinali e i sovrani d'Europa con la scusa di farsi incoronare in patria, (si narra che durante la cerimonia crollò un muro, Clemente V cadde da cavallo e la tiara rotolò nella polvere: fatti interpretati come funesti presagi) , trasferendo poi le sede papale ad Avignone nel 1309. Un gesto che diede inizio alla "cattività avignonese" terminata solo nel 1377 (tranne che per un breve periodo nel 1375). Definito da Dante «pastor senza legge» e posto nell'«Inferno» tra i simoniaci (tale fu anche per diversi cronisti come il Villani), Clemente V non passò però alla storia solo come il papa sottomesso al re di Francia che cambiò il destino di Avignone (che divenne ben presto una città importante), ma soprattutto come colui che decise (al concilio di Vienne nel 1312) la soppressione dei Templari. Ordine prima messo sotto processo con l'accusa di eresia dal re di Francia interessato alle sue ricchezze (appoggiato dall'Inquisizione). Ordine sciolto del tutto. «Non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico» (con divieto di ricostituzione, pena la scomunica, contro chiunque utilizzasse persino il nome e i segni distintivi del Tempio). Questo almeno sino a pochi anni fa, ai recenti studi di Barbara Frale (editi dal Mulino) con la scoperta - nel 2001, nell'Archivio Segreto Vaticano - di una pergamena di un metro per 70 centimetri. Ignota per sette secoli, documenta che Clemente V voleva in realtà salvare l'Ordine. A sostegno della tesi glosse a margine dello stesso pontefice secondo le quali quelle denunciate dal Re come prove d'eresia - il rinnegamento di Cristo, lo sputo sulla croce - facevano invece parte di un rito iniziatico per l'ingresso nell'Ordine (che ricalcava le violenze subite dai monaci-guerrieri catturati dai Saraceni). Nessuna eresia dunque nel vero giudizio di Clemente arrivato a un passo dal salvare l'Ordine, sancendo la necessità di un perdono e di un rilancio. Ma la storia andò diversamente. Prevalsero ragion di Stato e il salvataggio dalla bancarotta per la corona di Francia che indicarono l'altra strada, avallata dal papa sotto fortissime pressioni. La strada: che portò alla fine degli ultimi "Milites Templi". Canovaccio drammatico
e ben noto. In tempi recenti, ripresentato anche con fantasie di troppo.

fonte: www.avvenire.it