EGITTO, L'EFFETTO-BOOMERANG DEL REFERENDUM 27/5/05
I pestaggi del 25 maggio arrivano alla Casa Bianca. E Bush è costretto alla reprimenda verso Mubarak
Paola Caridi

Venerdi' 27 Maggio 2005
Lo spoglio è stato veloce, e i risultati resi pubblici ufficialmente già ieri pomeriggio dal ministro degli Interni, Habib al Adly. Ha votato il 53,46% degli oltre 32 milioni di aventi diritto al voto. E il referendum è stato approvato dall’83% di quelli che, il 25 maggio, si sono recati alle urne in Egitto per confermare il referendum sulla riforma dell’articolo 76 della costituzione. Una modifica approvata velocemente dal parlamento, che dovrebbe consentire la presentazione di più candidati alle elezioni presidenziali. Fatte salve le griglie previste, però, dalla riforma, non tanto per queste elezioni, quanto per quelle che vi saranno fra cinque anni. Avere il sostegno di 250 funzionari eletti, ed essere designato da un partito che abbia più di cinque anni di vita e più del 5% di rappresentanza in un parlamento dove, adesso, il partito di maggioranza dello NPD ha 417 seggi su 444.
La forma è salva. Il referendum è stato approvato, secondo i dati ufficiali. E l’Egitto è pronto sulla strada della riforma democratica. Peccato, però, che già sui risultati si appuntino i dubbi non solo dell’opposizione interna al presidente Mubarak, ma anche delle fonti indipendenti. L’opposizione – dal movimento trasversale Kefaya passando per i liberal di Ayman Nour, sino ai Fratelli musulmani - aveva parlato di referendum-farsa già alla vigilia dell’appuntamento del 25 maggio. Una definizione che tutti hanno voluto confermare a urne chiuse, descrivendo una realtà diversa da quella resa nota dai funzionari. Secondo il maggiore movimento islamista egiziano, per esempio, la percentuale di chi è andato a votare non ha superato il 10%. Gli altri esponenti dell’opposizione non azzardano neanche cifre. Si limitano, come ha fatto per esempio il giornale del Wafd, il partito liberale più antico rappresentato in parlamento, a mostrare le foto dei brogli compiuti dagli stessi redattori, che si sono recati più volte a votare senza che nessuno glielo abbia impedito.
La descrizione “di parte” della giornata referendaria, comunque, non varia di molto se variano le fonti. Tutte le agenzie di stampa, le televisioni, i reporter presenti in Egitto descrivono una bassa affluenza alle urne, e il concomitante arrivo di elettori portati in autobus ai seggi.
La guerra dei numeri che si è scatenata ieri, comunque, non rappresenta una novità, per l’Egitto. Si inscriverebbe, anzi, a buon titolo nella “tradizione” elettorale degli ultimi decenni, dove alla consultazione è sempre seguito la bagarre delle cifre. A rendere, stavolta, la questione più seria e foriera di conseguenze preoccupanti è però quello che è successo mercoledì, a urne aperte. Non tanto vicino ai seggi, quando nel pieno centro del Cairo, dove due manifestazioni di Kefaya per il boicottaggio del referendum si sono concluse con violenti pestaggi da parte di agenti della sicurezza in borghese e da parte di sostenitori di Mubarak a danno degli oppositori. I poliziotti antisommossa schierati in massa, dicono i testimoni, sono stati a guardare – senza muoversi - pestaggi a dir poco pesanti. Resi subito noti nel giro di poche ore, in un tam tam informativo che non ha coinvolto solo i network giornalistici, ma ha anche riempito la rete dei blogger egiziani, ormai numerosissima e armata di macchine fotografiche digitali, laptop, conoscenze tecnologiche interessanti.
Testimonianze, descrizioni e foto sono eloquenti. La gente di Kefaya è stata pestata a sangue. E a subire un trattamento “speciale” sono state per la prima volta anche le donne (molte giornaliste) che partecipavano alla dimostrazione. Sono state picchiate con calci e bastonate, molestate sessualmente, ad alcune di loro sono stati strappati sia il velo islamico sia i vestiti.
Un episodio diventato talmente di dominio pubblico che persino l’amministrazione americana ha dovuto prendere posizione. Prima con il portavoce Scott McLellan. Poi addirittura con George W. Bush, peraltro all’indomani della visita che sua moglie Laura aveva compiuto in Egitto, suscitando le ire dell’opposizione per il suo aperto sostegno al referendum. Durante la conferenza stampa congiunta con il presidente palestinese Mahmoud Abbas, Bush ha usato di nuovo il tono duro verso il suo principale alleato nel mondo arabo. “L’idea che la gente che esprime la sua opposizione al governo debba poi essere pestata non è il modo in cui noi pensiamo che una democrazia debba funzionare”, ha detto Bush. Che non si è limitato, peraltro, a una reprimenda sui fatti del 25 maggio, ma è andato oltre, chiedendo “elezioni libere di cui tutti possano avere fiducia”.
Se il referendum doveva rappresentare il primo punto a favore di Mubarak verso le opposizioni, il suo risultato potrebbe invece essere un boomerang.



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