Giulio FERRARI
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Basta un ometto grassottello e barbuto, che con petulanza agita carta bollata e mette in moto giudici e avvocati ben lesti nel prestargli attenzione, per farsi beffe di duemila anni di civiltà, arte, cultura, genialità, coraggio. In un parola, della peculiare storia di un popolo. Tanto “vale”, perché tanto significa, quel piccolo simbolo che Adel Smith, sedicente capo dei maomettani italiani, chiede venga epurato dai seggi elettorale referendari del 12 e 13 giugno. Per lo più aule scolastiche, dove normativa e giurisprudenza stabiliscono che il crocefisso ha piena cittadinanza, perché da solo rappresenta una “lezione” che mai nessun libro potrebbe d’impartire. Nel nostro Paese, per secoli, tutto quel che di più grande ci onora è stato realizzato alla sua ombra. O meglio alla sua luce. E Smith non avrebbe alcuna possibilità in uno Stato che si vuole bene. Ma in suo soccorso oggi arriva la legge della “contronatura”, che non è solo quella di chi vagheggia matrimoni e figliolanza gay, ma anche di chi rinnega quanto di più sacro ci appartiene. Così, invocando la “laicità dello Stato”, la paradossale alleanza di islamici e giacobini continuerà a condurre la sua battaglia contro il crocefisso. Ieri Marcello Pera ha rotto coraggiosamente il tabù: «Separazione tra politica e religione non può significare estraneità. Interroghiamoci». E diamoci riposte serie, altrimenti ci penserà Adel Smith.


[Data pubblicazione: 08/06/2005]