“Anche se non sempre condivido ciò che dice, mi felicito per il ritorno di Umberto Bossi sulla scena politica. Il leader della Lega è uno dei pochi uomini politici veri presenti oggi nel nostro paese. Oltre che dal punto di vista umano, il rientro di Bossi rappresenta anche una svolta importante per i due poli, sia quello di centrodestra che quello di centrosinistra. Entrambi gli schieramenti infatti dovranno tornare a fare nuovamente i conti con lui e con il suo fiuto politico”.
Massimo Fini continua a portare in scena il suo “Cyrano” teatrale e controcorrente (in questo periodo è a Verona), ma la sua natura di giornalista attento alle vicende interne ed internazionali lo porta a seguire sui giornali l’attualità della nostra politica.
Candidando Roberto Maroni a presidente della regione Lombardia, Bossi ha sparigliato le carte di chi puntava a far riemergere il vecchio consociativismo da Prima Repubblica che proprio la Lega contribuì agli inizi degli anni Novanta a sconfiggere. Si può veramente dire: bentornato Bossi?
“Direi proprio di sì. Nel 1992-93, all’epoca di Mani Pulite, fu la Lega a scuotere l’albero della politica italiana. Peccato però che poi i frutti li abbia raccolti soprattutto Silvio Berlusconi e il Carroccio abbia dovuto, a causa di un sistema elettorale orribile qual è il maggioritario, allearsi con altri partiti che delle idee-forza leghiste non hanno mai saputo che farsene”.
Non esageriamo, la Lega è diventata la forza aggiunta della Cdl e sta portando a casa importanti riforme, condivise da Berlusconi per primo, come la devoluzione.
“La vera rivoluzione federalista la Lega l’ebbe ben chiara nella mente proprio all’epoca di Mani Pulite: era il progetto delle tre macro-regioni, Padania, Centro e Meridione. Un progetto che rispecchia una realtà da sempre evidente: l’Italia è suddivisa in tre aree territoriali diverse fra loro per cultura, economia, mentalità. Costretta ad allearsi con il Polo (ma nulla sarebbe cambiato ovviamente se la Lega si fosse alleata con l’Ulivo), il Carroccio ha dovuto annacquare questo progetto e adesso è stata sfornata la devoluzione. Del resto, Bossi ha dovuto avere a che fare con partiti deomocristiani, statalisti come An, il cui capo è un Mastella meno onesto. A dimostrazione che il maggioritario è stato deleterio per un movimento localista e identitario come la Lega”.
Sono tempi duri, in tutta Europa, per i movimenti che non si allineano né con la destra né con la sinistra, ma guardano oltre e puntano essenzialmente a tutelare le identità e le culture locali. Guardi cosa è accaduto in Belgio al Vlaams Blok, ad esempio, accusato di razzismo e messo fuorilegge pur essendo il primo partito delle Fiandre. Come si fa a chiamarla democrazia?
“Nel mio ultimo libro ho accusato i regimi democratici di oggi di voler imporre a tutti un unico modo di pensare, altrimenti si innalzano nuovi roghi, partono nuove cacce alle streghe. Ho sempre apprezzato, nella Lega, la volontà di difendere le radici culturali dei popoli, rispettando le identità di tutti, senza scadere cioè nel becero razzismo che va condannato in maniera netta. In fin dei conti la Padania è di chi ci vive onestamente e di chi ci lavora. Le accuse di razzismo lanciate a Bossi e ai leghisti sono state sempre vergognose panzane e infatti nessuno può seriamente accusare la lega di razzismo. Però…”.
Però?
“Però bisognerebbe far capire agli imprenditori padani che si preoccupano giustamente dell’invasione dei prodotti cinesi che non possono voler impiantare le loro fabbrichette nei paesi meno sviluppati, sfruttando il costo basso della manodopera locale e poi stracciarsi le vesti se dalla Cina o da altri paesi arrivano prodotti sul nostro mercato. E’ il dramma della globalizzazione, che io da sempre combatto e che Bossi, ricordo bene, fu il primo ad evidenziare, anni fa, quando non ne parlava nessuno. Ma non si può essere globalizzatori a metà: contrari quando sono gli altri ad invaderci, favorevoli se siamo noi ad andare a casa altrui. Eh no, basta con questa ipocrisia”.
Un’altra battaglia lanciata dal Carroccio è quella contro l’ingresso della Turchia in Europa. Lei da che parte sta?
“Anche qui dalla parte della Lega. Anche se con motivazioni un po’ diverse. Concordo sul fatto che, qualora entrassero nell’Ue 80 milioni di turchi, l’identità storica e tradizionale del Vecchio Continente verrebbe duramente colpita, ma a mio avviso c’è un altro fatto che la Lega non dice, né può dire, visto che il governo attuale è il più filo-americano che esiste.
Con la Turchia divenuta “europea”, sarebbe la fine definitiva di qualsiasi speranza di un’Europa finalmente arbitra del proprio destino e scollatasi dall’alleanza-sudditanza con gli Stati Uniti. La Turchia è la grande portaerei americana in Medio Oriente, alleata di ferro di Washington.
Gianluca Savoini- Il federalismo, gennaio 2005