Risultati da 1 a 2 di 2

Discussione: The Blueshirts

  1. #1
    Patavinitas
    Data Registrazione
    06 Feb 2004
    Località
    Patavium
    Messaggi
    671
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito The Blueshirts

    Maurice Manning
    The Blueshirts. Un fascismo irlandese?
    Pellicani, Roma 1998

    qualcuno di voi l'ha letto?

  2. #2
    Patavinitas
    Data Registrazione
    06 Feb 2004
    Località
    Patavium
    Messaggi
    671
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Recensione di Tarchi

    Gli studiosi del fascismo come fenomeno internazionale non hanno in genere prestato una particolare attenzione alle Blueshirts irlandesi. Nell'ormai abbondante letteratura pubblicata in argomento, spesso il movimento non è neppure citato e in altri casi viene liquidato in poche righe, come un episodio "abortito" della diffusione in Europa del modello inaugurato dal regime mussoliniano. Persino l'applicabilità al suo caso della pur inflazionata etichetta "fascismo" è messa in discussione: c'è chi lo derubrica a "braccio armato del partito conservatore", chi lo giudica "essenzialmente un gruppo di pressione che non andò mai al di là di un corporativismo moderatamente autoritario", chi riassume i propri dubbi nella formula "un fenomeno difficile da afferrare (elusive)". Fa eccezione alla regola - e il dato non può non essere considerato significativo - soltanto un contributo di parte nostalgica, che non solo include le Camicie Blu fra i movimenti fratelli e dedica alla loro storia varie pagine, ma si spinge al punto di affermare che soltanto la decisione di O'Duffy di revocare la "marcia su Dublino" del 13 agosto 1933 impedì all'Irlanda di diventare fascista. Può quindi sorprendere che una collana monograficamente dedicata all'analisi delle forze politiche che si sforzarono di promuovere, nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, una "terza via" alternativa ed ostile al liberalismo e al comunismo, come è quella intitolata Fascismo/fascismi, diretta da Alessandro Campi per le edizioni Pellicani, inauguri i suoi case studies con un contributo così eccentrico qual è The Blueshirts di Maurice Maning. Ma la contraddizione è più apparente che reale.

    Partire dal periferico dato irlandese significa infatti indicare, prima di tutto e una volta per tutte, che il fascismo rappresentò, nella sua epoca, un evento di portata continentale (e, tendenzialmente, universale), che ambiva ad incarnare una visione del mondo e un progetto di organizzazione della società in radicale antitesi a quelli proposti dalle culture politiche allora dominanti. Che quelle aspettative siano state non di rado frustrate, obbligando i seguaci di Mussolini o di Hitler a ripiegare sul più modesto traguardo della formazione di regimi di salute pubblica in funzione anticomunista, o che, laddove si concretizzarono, abbiano prodotto esiti ben diversi da quelli prefigurati da programmi e tesi dottrinali, non cambia nulla a questo dato di fatto. Se persino il capo della polizia dell'Eire, combattente della guerra anti-inglese e rigido tutore dell'ordine pubblico in un paese lacerato dalle sequele di un conflitto intestino, si sentì in obbligo, nella sua ricerca di una formula atta a riappacificare il proprio popolo e a garantirne la perduta prosperità, di guardare a quanto accadeva a Roma, è evidente che la formula fascista aveva ormai impregnato di sé lo spirito del tempo. Al punto che, anche in una terra orgogliosa della propria specificità e contraddistinta da quel senso di separatezza che è tipico delle realtà insulari, gli ambienti nazionalisti sentivano il bisogno di ispirarsene.

    E' da questo dato di fatto che occorre partire se si vuol risolvere il quesito affacciato da Maurice Manning nel libro di cui qui ci occupiamo e in altra sede in merito alla "genuinità" del carattere fascista delle Blueshirts. Si può senz'altro essere d'accordo con l'autore quando afferma che il movimento capeggiato dal generale O'Duffy non fu un fenomeno di importazione continentale, giacché ad alimentarlo contribuirono soprattutto le ferite ancora aperte della guerra civile irlandese, che rendevano difficile agli avversari dell'IRA esercitare il diritto di parola, e l'angoscia per il collasso economico che la guerra commerciale antibritannica diffondeva nelle campagne. Questa constatazione non basta tuttavia, di per sé, a escludere le Camicie Blu dalla categoria dei fascismi. Contrariamente a quanto accadde sul versante comunista, la diffusione di questa specie politica non fu infatti legata ad un'azione organizzata e capillare gestita da una centrale sovranazionale, ma scaturì da reazioni che avevano alle spalle fattori legati ai contesti locali, anche se influenzati da eventi su grande scala, come le conseguenze della Grande Guerra o la depressione economica mondiale. In tutti i paesi in cui si manifestarono consistenti fermenti di quell'"ultranazionalismo populista animato da miti palingenetici" nel quale una recente teoria propone di identificare il nucleo comune dell'ideologia fascista il disagio sociale era palpabile, le istituzioni parlamentari erano screditate per l'inefficacia dei loro processi decisionali, ampi settori dei ceti medi urbani e rurali soffrivano il timore di un declassamento, amplificato dallo spettro di una rivoluzione comunista che avrebbe potuto sovvertire la piramide gerarchica della società. L'Irlanda non faceva eccezione alla regola, e malgrado la tradizione del liberalismo anglosassone fosse penetrata a fondo nella psicologia delle sue classi dirigenti, il potenziale per la creazione di un partito fascista era disponibile. La fondazione dell'Army Comrades Association e la sua progressiva reincarnazione in National Guard, Young Ireland Association e League of Youth non fece altro che raccoglierlo e riversarlo sulla scena politica.

    Il lettore del volume giudicherà della bontà degli argomenti che Manning espone a sostegno della sua tesi. A noi pare comunque che la negazione di un tendenziale carattere fascista di fondo delle Blueshirts possa discendere unicamente da un'esagerata accentuazione idealtipica delle catteristiche che i movimenti generalmente indicati come fascisti concretamente mostrarono. È vero che il punto di maggiore affinità tra gli "incamiciati" irlandesi e i loro omologhi italiani o tedeschi riguarda le rispettive liturgie, e che i saluti a braccio teso o l'esibizione di simboli nazionali e militari non bastano a garantire identità di programmi e aspirazioni ideali; ma dietro le apparenze vi erano anche convergenze di sostanza. Come è stato dimostrato da un'aggiornata rivisitazione della loro vicenda, le Camicie Blu, nate come quasi tutti i movimenti affini da un nucleo di ex combattenti desiderosi di far sentire la propria voce nella vita civile in una delicata fase di sviluppo della politica di massa, praticavano un fervido culto del capo, diffidavano del sistema dei partiti e ne predicavano la sostituzione con uno Stato a fondamento corporativo, non disdegnavano il ricorso alla violenza come strumento di lotta anche se erano spesso costretti ad usarla in forma difensiva, enfatizzavano la necessità di riunificare la nazione in senso comunitario, sradicandone "dall'alto" i focolai di conflitto. Certo, nella loro predicazione non figuravano aperte minacce di instaurazione di uno Stato a partito unico (che, se formulate, avrebbero fornito ulteriori argomenti al governo di De Valera per metterle fuorilegge), il corporativismo al quale guardavano ideologi come Tierney, Hogan, O'Sullivan e Blythe era più suggestionato dalle encicliche papali che dalle idee di Bottai o dalla Carta del Lavoro, e come ideologia il fascismo era "davvero troppo intellettualmente esigente" per la massa dei loro seguaci; ma ciò non basta a ridurle al rango di "semplici conservatori tradizionali, rivestiti con abiti continentali, alla moda ma inadatti a loro"; esse furono semmai costrette dagli eventi a cercare riparo sotto l'ala protettiva di partiti conservatori istituzionali, di cui cercarono con la fondazione del Fine Gael di radicalizzare la linea d'azione, sia pure senza successo.

    Come fascisti, del resto, dirigenti e militanti delle Blueshirts furono considerati non solo e non tanto dagli avversari, IRA e gruppi marxisti in primo luogo - dato che potrebbe agevolmente inquadrarsi nell'acceso clima polemico del tempo - quanto piuttosto dai detentori dell'ideale copyright sull'etichetta. Nel 1933 l'ambasciatore italiano a Dublino Nicola Pascazio e il responsabile della legazione diplomatica di Londra, Dino Grandi, erano convinti che O'Duffy e il suo movimento traessero ispirazione dalla dottrina del fascismo, e che in Irlanda la situazione potesse evolvere nel breve periodo in senso a loro favorevole. Il giudizio poteva discendere da un misto di wishful thinking e sopravvalutazione, ma non era campato in aria. Tanto che il generale O'Duffy, meno di un mese dopo che si era dimesso dalla presidenza del Fine Gael, si trovò a partecipare al congresso indetto a Montreux dai Comitati d'azione per la universalità di Roma; e già un paio di settimane prima la sua presenza era stata segnalata a un convegno tenuto a Zurigo dalla filonazista Internazionale dei nazionalismi.

    Come Manning lascia capire, buona parte dei dubbi sull'inclusione delle Blueshirts nella categoria del fascismo nascono da una ben precisa ipotesi: che le simpatie per il regime mussoliniano apertamente coltivate da Eoin O'Duffy fossero rimaste estranee al grosso dei suoi seguaci e, quel che più conta, a buona parte dei suoi collaboratori. Prova di ciò sarebbero i ripetuti contrasti fra il generale e altri dirigenti delle associazioni da lui dirette, a causa dell'incontinenza verbale che lo portava a surriscaldare i toni di molti comizi, e soprattutto lo scarso numero dei sostenitori che lo seguirono nel momento della rottura con il Fine Gael e del breve scontro accesosi per conservare il controllo della Lega della gioventù. La questione, ripresa di recente da Mike Cronin, è sicuramente importante ma, nei termini in cui Manning la riassume, è mal posta.

    Che O'Duffy fosse più convintamente fascista della stragrande maggioranza di coloro che lo sostenevano, è fuor di dubbio. Sta a testimoniarlo il cammino che egli intraprese dopo la scissione, fondando il Partito Nazional-Corporativo, facendo parte della Commissione permanente per il fascismo universale nominata a Montreux ed impegnandosi nella formazione della Bandera Irlandesa del Tercio impiegata nella guerra civile spagnola. Tutto sta nel capire se la distanza che lo separava dagli umori della base su questo terreno fosse davvero così ampia come le preoccupazioni "politicamente corrette" di numerosi storici irlandesi tendono a far credere. Su questo specifico punto, i contributi sia di Manning che di Cronin presentano valenze contraddittorie.

    Cronin insiste notevolmente sul ruolo che le Camicie Blu svolsero nel contingente contesto politico irlandese e sottolinea il fatto che gli iscritti al movimento non erano di solito interessati a ciò che accadeva fuori dalle frontiere dell'Eire: la loro scelta era stata influenzata dal desiderio di difendere la libertà di espressione di quella parte dell'opinione pubblica che accettava il Trattato sottoscritto con il Regno Unito al termine della guerra di liberazione, dal rifiuto della penalizzante politica di guerra economica imposta al paese dal Fianna Fáil o dalla paura di una deriva filocomunista dell'azione dell'IRA. Il fascismo come dottrina, scrive riprendendo alcune considerazioni di Joe Lee, si collocava "al di là del raggio di comprensione della maggior parte delle Camicie blu di base", e pertanto da costoro veniva una tendenza a ridurre le tendenze fasciste delle gerarchie. L'argomento non è concludente. Si potrebbe scrivere lo stesso dei seguaci di Mussolini in Italia o delle SA della Nsdap: di certo, moltissimi di essi militavano esclusivamente perché coinvolti dalle vicende del proprio paese ed erano indifferenti a qualunque disputa ideologica; in genere, anzi, disprezzavano i teorici e gli intellettuali, ma nessuno si è sognato per questo di cessare di chiamarli fascisti o nazionalsocialisti, riservando la definizione a chi li comandava. Sottolineare che i segni della crisi irlandese "non erano i dolori dell'agonia di una Weimar gaelica ma piuttosto l'ultimo spasmo convulsivo della febbre che aveva devastato il paese sin dal 1922" non aggiunge né toglie alcunché al ragionamento: la penetrazione della mentalità e dello stile politico del fascismo ha sempre seguito, ovunque riuscì ad affermarsi, vie strettamente nazionali: le sue espressioni imitative hanno avuto ben scarso successo, perlomeno sino al tempo delle occupazioni militari del Terzo Reich. Poco conta anche stabilire che le idee politiche di O'Duffy non combaciavano neppure con quelle degli altri leaders dell'organizzazione: come gli studi sul caso italiano ci hanno insegnato, anche nel paese in cui si sviluppò il modello prototipico ogni gerarca coltivava in cuor suo un proprio fascismo ideale, ritenendolo migliore di quello realizzato. Molto più importante è invece quanto ha scritto a Cronin, in risposta al questionario che costui gli aveva inviato, uno dei militanti delle Camicie blu ancora in vita: "Vi era una somiglianza con i fascisti in Germania in quel tempo in cui essi erano un corpo disciplinato che indossava un'uniforme per le parate, i comizi, ecc. Quell'organizzazione allora tratteggiava una rinascita di una nazione che era stata messa in ginocchio meno di vent'anni prima, e in quanto tale era da ammirare". Quell'ammirazione venne meno solo quando furono note le atrocità hitleriane commesse durante la guerra.

    Il libro di Maurice Manning può dunque essere proficuamente letto su almeno tre diversi livelli. Da un lato, ci offre un capitolo, breve (il movimento consumò il suo slancio in tre intensi anni di vita effettiva) ma non insignificante, della storia del fascismo come fenomeno transnazionale, destinato ad attecchire nei più diversi contesti sociali in virtù delle congenite debolezze delle democrazie liberali e del timore che grazie ad esse lo spettro di una dittatura del proletariato potesse prender corpo anche al di fuori della Russia. Per un altro verso, ci mostra i limiti che questa corrente politica sintetica ed eclettica, giunta in ritardo in uno scenario in gran parte già occupato dalle famiglie di partito nate nell'Ottocento, incontrò laddove si trovò in concorrenza con organizzate compagini conservatrici: l'esito rovinoso della forzata alleanza con la Lega Gaelica (Cumann na nGaedheal) e il Partito di Centro ne è uno specchio esemplare. Infine, l'opera illumina il quadro - complesso e, agli occhi dell'osservatore straniero, alquanto confuso - della politica irlandese del periodo successivo all'indipendenza, della quale le Blueshirts cercarono di fornire un'interpretazione originale e di favorire la ricomposizione su linee almeno in parte diverse da quelle nate dalla guerra civile.

    La periodizzazione storica proposta da Manning non può ovviamente risolvere in modo definito l'aggrovigliato problema dell'identità delle Camicie Blu, ma fa piazza pulita di alcune interpretazioni fuorvianti. Se il movimento di O'Duffy, nato per riunificare psicologicamente la nazione irlandese e non per contribuire a lacerarla ulteriormente, non si richiamò mai ad un'aperta mistica rivoluzionaria, la sua distanza dagli obiettivi blandamente riformatori professati dagli alleati appare, nella prospettiva storica di lungo periodo, assai marcata. La confluenza nel Fine Gael, che pure stemperò notevolmente le ambizioni radicali della sua leadership, non sembra poter giustificare l'attributo di "clerico-fascismo" o "salazarismo" che altri studiosi hanno usato per descrivere la parabola del movimento. È evidente che la trasformazione dell'associazione combattentistica delle origini in forza politica ideologizzata e dai tratti paramilitari, portata con l'andar del tempo ad allargare il raggio dei suoi interventi in campo sociale - si pensi alla vivace campagna contro la riscossione delle imposte agricole descritta da Manning nel decimo capitolo del suo libro - rispondeva ad una logica di insofferenza sempre più marcata verso il sistema politico irlandese che si era formato negli anni Venti. Su quella insofferenza e sugli altri "elementi di fascismo [che] certamente pervadevano il clima politico in Irlanda durante gli anni Trenta" O'Duffy puntò la sua scommessa, perdendola. La delusione per l'esito infausto del tentativo si tradusse in una serie di scelte concatenate, solo in apparenza incongruenti: le precipitose dimissioni dal partito del quale era stato fondatore e di cui capiva di rappresentare un'anima ormai minoritaria ai vertici; il braccio di ferro per conservare le redini della League of Youth, che non lo seguì nella scissione ma entrò, una volta perduta la sua guida, in una spirale preagonica; la creazione di una propria organizzazione; l'attività di apostolato per il fascismo universale; l'avventura in terra di Spagna.

    Nell'insuccesso di tutti questi colpi di coda, e forse più ancora nelle ultime e più radicali dichiarazioni politiche del deluso O'Duffy, che vagheggiava un ritorno alle armi per completare la liberazione dell'isola dal dominio inglese - lui, che era stato un convinto sostenitore del Trattato e aveva servito la causa di chi lo aveva voluto e sottoscritto - emerge, in filigrana, il carattere strutturalmente incompiuto del fascismo delle Blueshirts. Paradossalmente, nel tramonto delle sue illusioni O'Duffy approdava a conclusioni simili a quelle dei suoi storici avversari repubblicani, abbracciandone gli scopi irredentisti. E se qualcosa era mancato alle Camicie Blu per accostarsi più dappresso al modello fascista continentale, era proprio quella radicalità di obiettivi nazionalisti e pseudosocialisti che faceva invece da sfondo alla propaganda dell'IRA. Le ferite della guerra civile avevano impedito ai seguaci dell'Esercito Repubblicano e a quelli di O'Duffy di trovare un'intesa comune e, contrapponendoli, avevano circoscritto le possibilità di successo di entrambi. Per questo motivo il destino delle Camicie Blu può essere oggi descritto, non senza qualche forzatura, come quello di semplici "potenziali para-fascisti"; se il compromesso anglo-irlandese nel 1921 non avesse scavato un solco di sangue fra le due ali del più estremo nazionalismo gaelico, forse le vicende politiche dublinesi avrebbero mostrato analogie molto più marcate con quelle degli scenari continentali.

    Sia come sia, la rilettura delle pagine di Manning a ventisette anni di distanza dal momento in cui vennero scritte rafforza le conclusioni alle quali è giunto, in tempi molto più vicini a noi, un altro esegeta degli avvenimenti irlandesi dell'epoca: "L'intera questione delle Camicie Blu e del fascismo deve essere rivisitata [...]; la semplice confutazione del punto di vista secondo cui le Camicie Blu furono fasciste deve essere ampliata in un più vasto dibattito che tenti davvero di comprendere il fascismo, le relazioni esistenti fra i potenziali para-fascisti e la destra conservatrice tradizionale e le differenze nell'impegno ideologico degli aderenti e del movimento". Se la traduzione pur tardiva di questo libro in Italia, nel paese cioè in cui più sviluppati sono stati gli studi sul movimento e sul regime mussoliniano ma nel contempo l'analisi della dimensione europea del fascismo è rimasta ad uno stadio arretrato, per non dire semi-primitivo, facesse progredire anche di un minimo questo dibattito, il servizio reso alla comunità scientifica da questa pubblicazione potrebbe rivelarsi prezioso.


    Marco Tarchi

 

 

Discussioni Simili

  1. In marcia con le Blueshirts
    Di Der Wehrwolf nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 14-06-06, 18:25

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito