1. Quali sono le opzioni di voto al referendum?
«Qui va fatta chiarezza: quando in una votazione referendaria il quorum di coloro che si recano alle urne è
elemento determinante per la valutazione dei risultati, le opzioni di voto, come affermano numerosi costituzionalisti, non sono tre - sì o no o scheda bianca ai quesiti -, ma quattro: sì, no, scheda bianca (che contribuisce come espressione di voto al quorum) o non recarsi alle urne per non far raggiungere il quorum del 50% + 1 dei votanti.
Infatti la normativa di cui si chiede l'abrogazione è stata approvata dalla maggioranza dei parlamentari, che esprimono i consensi della maggioranza del Paese. È compito di coloro che vogliono abrogare la normativa approvata dimostrare che la maggioranza dei parlamentari che ha approvato la Legge non interpretava in quel momento la volontà della maggioranza del Paese, tentando di portare alle urne un numero di votanti superiore alla metà degli elettori. Ecco
perché sono - spesso inconsapevolmente, ma certo non
sempre - strumentali gli inviti a recarsi alle urne per votare no o le accuse, rivolte a coloro che si schierano a
favore del non voto, di fuga, di scarsa democraticità, di rifiuto di partecipazione e così via»
(Michele Simone, La Civiltà Cattolica, 19 marzo)
2. La scelta del "non voto", anche se giuridicamente
legittima, non è un sintomo di scarso senso civico?
«Al riguardo torna utile un'osservazione di Max Weber, secondo cui "la votazione popolare, come mezzo [...] di legislazione ha limiti intrinseci che derivano dalle sue caratteristiche tecniche: essa risponde soltanto con un sì o con un no". Cioè, per natura sua l'istituto referendario non consente quelle possibilità di scelta tra una pluralità di soluzioni legislative possibili, che invece è possibile in sede parlamentare. Ed allora la drastica scelta tra sì e no, soprattutto in casi di materie di notevole complessità, può
essere evitata proprio per senso civico, con una manifestazione di volontà - qual è pure l'astensione - che in qualche modo rinvia la questione a sedi più appropriate e competenti».
(Giuseppe Dalla Torre, Avvenire, 19 gennaio)
3. Astenersi dal voto non manifesta una carente
sensibilità democratica?
«Non fare scattare il quorum è un meccanismo pienamente democratico, si usa in Parlamento e si può dunque usare anche in una consultazione popolare. Il raggiungimento o no
del quorum è comunque una questione di democrazia formale.
La democrazia sostanziale invece è, come dice il Papa, l'uguaglianza fra tutti gli esseri umani. La legge 40 tratta
appunto di questa questione di democrazia sostanziale, il che renderebbe, qualora già non lo fosse pienamente nell'ottica dei meccanismi della democrazia, comunque moralmente lecita l'astensione. Una finezza, anche questa, che non può sfuggire».
(Carlo Casini, Avvenire, 29 gennaio)
4. La scelta da parte della Chiesa di non andare alla urne non è un atteggiamento rinunciatario?
«È chiaro il senso dell'indicazione di non partecipare al voto: non si tratta in alcun modo di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più forte ed
efficace ai contenuti dei referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materie di tale complessità. In concreto è necessaria la più grande compattezza nell'aderire all'indicazione del Comitato, per non favorire, sia pure involontariamente, il disegno referendario.
Da parte nostra ci dedicheremo soprattutto alla formazione delle coscienze riguardo alla dignità della vita umana fin dal suo inizio, alla tutela della famiglia e al diritto dei figli di conoscere i propri genitori. Faremo ciò con quello stesso amore e sollecitudine per l'uomo che si esprime nella cura della Chiesa per i poveri e le altre persone in difficoltà, nell'educazione dei bambini e dei ragazzi, nella vicinanza ai malati e agli anziani. Questo amore per l'uomo è ugualmente amore e stima per la sua
intelligenza e per la sua libertà: è dunque decisamente a favore del progresso delle scienze e delle tecnologie, in particolare di quelle che curano e prevengono le malattie, e
proprio per questo si oppone a quelle forme di intervento che ledono e sopprimono la vita umana nascente».
(Card. Camillo Ruini, prolusione al Consiglio permanente della Cei, 7 marzo)
5. Non sarebbe stato comunque meglio affermare chiaramente un ideale, con una mobilitazione generale per il "no"?
«Tu dici, e insisti: bisogna andare alle urne e votare no. È una strada. Ma lascia che ti dica che per noi non è la più
logica né la più consequenziale. Perché mai collaborare per la riuscita di questi referendum, proprio noi che li abbiamo
politicamente e moralmente avversati fin dall'inizio? Perché dobbiamo accettare il ricatto in cui siamo trascinati a forza? E contribuire noi a far raggiungere il quorum previsto, quando spetta rigorosamente ad altri esibire
l'onere della prova, ossia dimostrare che il 50 per cento più uno del popolo elettore vuole avocare a sé, in materia
di fecondazione, il compito legislativo?
[...] Ovviamente li abbiamo sentiti anche noi, in queste settimane, i generosi quanto stravaganti richiami alla coscienza cattolica circa il dovere civile della partecipazione. O lo sono ingenui, o ci fanno. Possono degli uomini di Stato non sapere che il voto referendario è costituzionalmente diverso dal voto elettorale? No. E allora, per favore, niente prediche moralistiche, che di confusione ce n'è già tanta in giro».
(Dino Boffo, Avvenire, 3 febbraio)
6. Esiste un valore aggiunto del "non voto"?
«In primo luogo, la vittoria del non-voto, a differenza della vittoria del "no" (o del "sì") giuridicamente equivale ad un annullamento del referendum. In altre parole, non recandosi alle urne la maggioranza dei cittadini e delle cittadine rifiuta che su questa specifica materia la questione venga chiusa nei termini semplificanti di un referendum. Si eviterebbe così non solo il ritorno al far
west del "tutto è possibile con l'embrione" ma si eviterebbe anche una sorta di sacralizzazione di questa legge non priva di limiti. [...]
In secondo luogo, attraverso la proposta del non-voto si introduce chiarezza e distinzione tra dinamiche ecclesiali e dinamiche politiche. La testimonianza cristiana, che non
mancherebbe comunque di accendersi, si troverebbe chiamata al realismo, secondo un orientamento che bene esprime il recente richiamo alla ricerca del "male minore" da parte della Congregazione per la dottrina delle fede. La testimonianza cristiana (in politica come altrove) non è spettacolo ma ricerca coraggiosa e saggia dell'affermazione di valori positivi e di maggiori possibilità».
(Luca Diotallevi, Avvenire, 4 febbraio)
7. Il "non voto" danneggia un prezioso strumento di consultazione democratica?
«Se una persona non va a votare dice ai promotori del referendum: "Io non sono disponibile a perdere tempo, e non condivido lo spreco di pubblico denaro, per problemi che non si prestano a essere affrontati in una consultazione referendaria". [...]
Se la maggioranza degli elettori ha
ritenuto non opportuna quella consultazione popolare, magari perché il quesito è equivoco o ingannevole, lo Stato ne trae le conclusioni. Quel comportamento è infatti l'espressione
di un dissenso».
(Loiodice, Avvenire, 10 marzo)
8. Il "non voto" è una scelta che contraddice lo spirito del cosiddetto "cattolicesimo democratico"?
«L'argomento avrebbe la sua forza se si fossero verificate, e si verificassero, tre precise condizioni.
La prima di queste condizioni è un reale appello alla coscienza dei cittadini contro ogni tentativo di manipolazione esterna. Ma già all'indomani della decisione della Corte uno dei più autorevoli quotidiani italiani ha "ufficialmente", e dichiaratamente, preso posizione per il "sì" ai quattro quesiti, senza interrogarsi minimamente
circa il reale sentire dei propri lettori. Analogamente hanno fatto pressoché tutti i partiti e i movimenti che contro quella legge si erano schierati, giungendo sino all'intimidazione degli eventuali (e reali, ma quasi sempre
silenziosi) dissenzienti.
La seconda di questa condizioni è un effettivo e schietto dibattito che punti ad un reale equilibrio fra le parti in
causa. Ma chi segua anche superficialmente i grandi mezzi di
comunicazione di massa sa benissimo che così non è e che vi è un'immensa sproporzione fra i fragorosi altoparlanti dei fautori di una procreazione assistita senza limiti e senza freni e le flebili voci che si levano in segno contrario.
[...] La terza di queste condizioni è che si sia di fronte ad una scelta comprensibile alle donne e agli uomini comuni, al di là di complesse valutazioni scientifiche che chiamano in causa la genetica, la medicina, la biologia: perché è su tematiche accessibili a tutti che ha senso l'"appello al popolo", un popolo che si presume possa essere chiaramente informato della posta in gioco. Ma ogni onesto osservatore
della realtà deve constatare che non è così e che, ancora una volta, si tratterà di un voto essenzialmente ideologico
(da una parte, occorre pur dirlo, ma talora anche dall'altra).
In questo contesto la dolorosa scelta dell'astensione è non solo legittima, ma democraticamente giustificata. E' una
scelta eccezionale di fronte ad una problematica eccezionalmente complessa. Quando l'istituto del referendum sarà stato ricondotto alla sua logica originaria, anche i cattolici democratici faranno sino in fondo, come sempre, il loro dovere».
(Giorgio Campanini, Avvenire, 26 marzo)
9. Scegliere il "non voto" non è forse appoggiare indirettamente una parte politica?
«Non ritengo che il referendum sia lo strumento giusto per dirimere una materia così complessa perché crea una logica revanscista rispetto alle soluzioni».
(Enrico Letta, centro-sinistra)
«Non andrò a votare. Ci ho pensato a lungo, ho votato questa legge in Parlamento e mi batto perché questo referendum non vinca».
(Marco Follini, centro-destra).
E si potrebbe continuare, ovviamente, tra centro, sinistra e destra.
10. Al fronte referendario, che definisce "machiavellica" la scelta di non andare a votare, cosa rispondere?
Semplicemente di andarsi a rileggere i giornali del passato, tipo L'Unità del 30 aprile 2003:
«Se il referendum è sbagliato non possiamo che augurarci il suo insuccesso. Non vogliamo che vincano i sì a un referendum sbagliato [.] È un
referendum dannoso e bisogna renderlo inutile, vanificarlo, sterilizzarlo, considerando al contempo il no inadeguato»
(Piero Fassino).
O sempre L'Unità, del 14 giugno 2003:
«L'astensione, quindi, non rappresenta la rinuncia all'esercizio di un diritto, né
"l'invito qualunquistico ad andare al mare". E "Bertinotti che critica la scelta di non votare, invitò al non voto in occasione del referendum che riguardava l'abolizione del proporzionale". Se astenersi era legittimo allora, chiede Fassino, "perché non dovrebbe esserlo oggi?". Non votare per l'estensione dell'articolo 18, tra l'altro, dovrà servire a "vanificare un referendum che divide la sinistra e lacera il Paese"».
(A cura di Andrea Galli - (C) Avvenire, 26/4/2005)