Introduzione
Ho intenzione di affrontare l’argomento del peccato, da un punto di vista moralistico, soffermandomi in particolar modo sulla classica e più importante distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. Nel trattare l’argomento, non mancherò anche di approfondire alcune problematiche relative al peccato, che sono affiorate grazie alla speculazione teologica più recente, e di come il magistero della Chiesa si sia occupato di esse. Nell’affrontare lo svolgimento, mi avvarrò sia dell’ausilio del Catechismo della Chiesa Cattolica e del Catechismo degli Adulti della C.E.I., che del sempre affidabile Catechismo della Dottrina Cristiana di s. Pio X, che offre una buona sintesi di contenuti.
Il peccato
Il peccato è un’offesa fatta a Dio, disobbedendo alla sua legge . Esso è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione nei confronti dell’amore vero, verso Dio ed il prossimo, causato da un attaccamento perverso a determinati beni. Ferisce la natura dell’uomo ed è un grave attentato alla solidarietà umana . La Chiesa, tradizionalmente nel definire il peccato, usa una famosa espressione di s. Agostino: “una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna” . Più precisamente, analizzando la definizione dell’Ipponate, notiamo che il peccato è anzitutto un atto umano, libero, volontario e di cui l’intelletto ha avvertenza. Queste tre caratteristiche dimostrano che il peccato non può che essere un atto personale, poiché libertà, volontà ed intelligenza sono le caratteristiche della persona. Questo atto personale, è poi contrario a Dio, è un’offesa arrecata a Lui, che distrugge il rapporto di comunione che abbiamo con Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto 1850, ci fornisce una spiegazione ottima di cosa sia, in definitiva, il peccato. Nonostante le varie distinzioni e le varie classificazioni, infatti, il peccato, in sé, è sempre un atto di superbia, una ribellione della creatura contro l’amore di Dio, un’orgogliosa esaltazione di se stessi, nella volontà di potere fare a meno di Dio, per ottenere la propria felicità , ed in pratica una sorta di “autodivinizzazione”. Dunque uno solo è il filo conduttore, che lega tutti i peccati, e che li riconduce al medesimo principio, da Satana, ad Eva, ad Adamo, a noi.
Dunque almeno da sant’Agostino, il peccato viene tradizionalmente considerato in due elementi fondamentali: l’aversio a Deo, elemento formale che implica un oggettivo allontanamento da Dio (non necessariamente un odio volontario di Dio), e la conversio ad creaturas, elemento quasi materiale, costituito dalla ricerca della felicità verso un bene limitato, imperfetto, che allontana da Dio.
Proprio questo allontanamento, che priva l’uomo del Bene infinito, assoluto, ha indotto il papa Giovanni Paolo II di f.m. ad affermare che il peccato è in un certo senso, l’unico male in senso assoluto, giacchè il male non ha natura ontologica (non esiste), ma è la mancanza di un bene.
Il peccato può essere classificato in molti modi. Secondo il loro oggetto, secondo le virtù cui si oppongono, secondo i comandamenti che violano, ecc. Tradizionalmente però, una prima grande distinzione si può fare in peccato originale, che commisero personalmente i progenitori e trasmisero come colpa anche a noi, e peccato attuale, che noi commettiamo coi nostri atti. Nella categoria del peccato attuale, si colloca un’ulteriore sottocategoria, cioè la bipartizione tra peccato mortale e veniale.
Il peccato mortale
Occorre precisare che nonostante le varie divisioni, con cui si è soliti classificare i peccati, tutti si collocano nel rifiuto di Dio. Tuttavia questo rifiuto avviene in modalità diverse ed anche con livelli diversi di gravità.
Il fatto che vi siano diversi livelli di gravità, è di fede divina-rivelata, contenuta nella Scrittura , nella tradizione, e più volte confermata dal Magistero .
Si dice mortale, con riferimento alla morte dell’anima che ne è conseguenza, quel peccato che, con una disobbedienza alla legge di Dio in qualche cosa di grave, fatta con avvertenza piena e deliberato consenso, distrugge la carità nel cuore dell’uomo, lo distoglie dal suo fine, che è la beatitudine, rompe la comunione con Dio. Esso infatti, priva l’anima della grazia divina, che è la sua vita, come la vita naturale è la vita del corpo: procura quindi una morte spirituale, che è infinitamente più grave di quella corporale. Inoltre, toglie all’anima i meriti, che sono le buone opere compiute in stato di grazia, i quali danno diritto alla felicità e alla beatitudine, vanificando gli sforzi compiuti, ed impedisce di accumularne di nuovi, giacchè le opere buone compiute in disgrazia di Dio non meritano soprannaturalmente (de condigno) . L’anima così macchiata dal peccato mortale, merita l’inferno .
Il peccatore in disgrazia di Dio, tuttavia, sebbene sia incapace di meritare “de condigno”, può e deve compiere opere buone. Anzitutto, perché omettendole si correrebbe il rischio di incancrenirsi nel peccato, e di aumentare la colpa, alimentando così un circolo vizioso, capace unicamente di peggiorare la condizione del peccatore. Inoltre il peccatore, con le sue opere buone, può meritare “de congruo”, ossia non soprannaturalmente, e soprattutto si dispone a ricevere la grazia della conversione, non diversamente dalla peccatrice che, alla mensa del fariseo, ottenne la grazia della conversione e del perdono, grazie alle opere di pietà nei confronti di Gesù .
La grazia perduta col peccato mortale, può essere recuperata con il sacramento della Riconciliazione, oppure con un dolore perfetto, o contrizione, dei peccati commessi (sebbene in questo caso, rimane l’obbligo di confessarli in un secondo momento). Con la riconciliazione, Dio, per sua misericordia, concede di riacquistare anche tutti i meriti, perduti col peccato mortale.
Le condizioni necessarie, affinché un peccato possa considerarsi grave, sono:
· Materia grave in sé stessa , che è determinata dalla Scrittura, dal giudizio della Chiesa e dalla opinione comune dei Teologi. Un giusto metodo per conoscere se la materia di un determinato peccato sia più o meno grave, è dato dal confronto della pena che Dio ha stabilito nei libri rivelati. Se la rivelazione, ad esempio, commina la pena di morte, per un determinato peccato, sicuramente la sua materia è grave, e certamente più grave di un peccato punito con una pena più lieve. Il decalogo, in particolare, precisa in modo sintetico, i vari tipi di materia grave .
· Materia grave per le circostanze, quando cioè è determinata da un accidens, che ribalta la situazione, facendo diventare grave ciò che in sé sarebbe lieve. Ad esempio, rubare una mela non è in sé gravissimo, ma rubarla ad un uomo che sta morendo di fame, rende l’atto molto grave.
· Materia erroneamente ritenuta grave. Chi pecca volontariamente e coscientemente, in materia oggettivamente non grave, ma ritenuta grave dallo stesso agente, pecca mortalmente, poiché la gravità della materia si misura anche in base all’estimazione di chi commette il peccato. Parimenti vale il discorso opposto, per cui chi pecca in materia grave, ritenendola lieve, in buona fede, pecca solo venialmente.
· Piena avvertenza. E’ necessario che chi pecca, avverta in modo pieno la malizia del gesto che sta per compiere o che sta compiendo. Tale aspetto del peccato mortale, è relativo alla ragione dell’uomo, dunque necessita una cognizione intellettuale. Pertanto chi difetta di ragione, sia per cause imputabili all’età, o a stati patologici, o anche a passioni irruente che offuscano il raziocinio, sebbene compia atti di materia grave, non pecca mortalmente.
· Deliberato consenso. Il peccato è un atto positivo della volontà. Si richiede cioè, che la volontà lo voglia in modo libero, senza ingerenze esterne (ad esempio violenza), nè invincibili propensioni interne (ad esempio timore esagerato). Per questo motivo, il consenso è detto deliberato, cioè libero.
Perché il peccato sia grave, occorre che queste tre condizioni si verifichino pienamente, e simultaneamente. Qualora anche uno solo mancasse, o fosse sensibilmente in difetto, non si può parlare di colpa grave, ma solo veniale.
Esiste inoltre una diversità ulteriore, fra peccati mortali. Alcuni di essi sono più gravi. Essi sono stati tradizionalmente chiamati dalla Chiesa, peccati contro lo Spirito Santo, e peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. I peccati contro lo Spirito Santo, implicano un rifiuto da parte dell’uomo ai doni spirituali della grazia e della verità, e pertanto sono gravissimi, giacchè l’uomo difficilmente riesce a convertirsi. Essi sono:
1. Disperazione della salvezza, quando si pensa che i propri peccati siano troppo grandi per essere perdonati. Caino disse: “La mia iniquità è troppo grande perché io possa meritare il perdono”(Gn 4, 8-16).
2. Impugnazione della verità conosciuta, quando, avendo conosciuto la rivelazione e la vera religione, si rifiutano di accettarle e di sottomettervi, impedendo anche, per odio o invidia, che altri lo facciano .
3. Presunzione di salvarsi senza merito, quando si trascurano le opere buone e meritorie, perché non si crede nella loro efficacia, negando così la misericordia e la giustizia di Dio, e si crede che Dio possa salvare ugualmente all’ultimo momento. Gesù invece ammonisce: “Se vuoi salvarti, osserva i comandamenti” (Mt, 19, 17).
4. Invidia della grazia altrui, quando ci si dispiace delle grazie e dei successi degli altri, come se fossero un male personale, e ci si compiace delle disgrazie degli altri, come se fossero delle grazie personali. E’ il peccato del diavolo, che invidioso del destino di beatitudine dell’uomo, cerca di dannarlo, ed è anche il peccato di Caino, invidioso dei sacrifici bene accetti del fratello .
5. Impenitenza finale, quando ci si ostina nel peccato anche in punto di morte, rifiutando di convertirsi. Tra tutti, è il peccato più grave, perché certamente comporta la dannazione.
I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono anch’essi gravissimi, in quanto non solo sono contrari al bene dell’umanità, ma anche perché provocano particolari castighi da parte di Dio. Se i peccati contro lo Spirito Santo sono contrari soprattutto all’amore di Dio, questi, sono contrari soprattutto all’amore verso il prossimo, che danneggiano o privandolo del bene supremo (omicidio), o impedendo la propagazione del bene (atto impuro contro natura), o rendendo difficile la vita stessa (oppressione dei poveri e defraudare la mercé degli operai). Dio, che ha a cuore la giustizia e difende i propri figli più indifesi dai soprusi, si premura di compiere una “justa vindicatio”, nei confronti di simili peccatori. Nel dettaglio, essi sono:
1. Omicidio volontario, priva l’uomo del massimo bene naturale che Dio gli ha donato, arrecando il massimo danno. Il sangue dell’innocente invoca vendetta davanti a Dio contro l’omicida .
2. Peccato impuro contro natura: osservando le leggi naturali, che vogliono che l’uomo collabori con Dio nel propagare la vita sulla terra, l’atto procreativo si esplica solo nel matrimonio. Chi si sottrae alla collaborazione con Dio, rinnegando la propria natura, dimostra di volere cogliere solo i piaceri, infischiandosene dei doveri .
3. Oppressione dei poveri: peccato attualissimo, che priva il prossimo della gioia di vivere, rendendo la vita insopportabile.
4. Defraudare la mercé dell’operaio: è uno dei peccati più diffusi della società moderna, che analogamente al precedente, impedisce al lavoratore di ricevere il giusto, e di conseguenza, rende insopportabile la vita a se stesso e alla propria famiglia.
Il peccato veniale
Dalla precedente affermazione, e anche dalla definizione data di peccato mortale, si deduce che il peccato veniale, è quella disobbedienza alla legge di Dio in una materia leggera, oppure anche grave, qualora difettassero l’avvertenza ed in consenso . Quantunque il peccato veniale ferisca ed offenda la carità, esso la lascia sussistere, e non rompe l’amicizia e la comunione con Dio, così come Gesù non privò dell’amicizia san Giacomo e san Giovanni, quando peccando di vanità, volevano accaparrarsi i posti “migliori” nel Cielo , o quando i medesimi apostoli, chiesero a Gesù di incenerire i Samaritani, senza rendersi conto della malizia della richiesta .
Un peccato lieve, pertanto è detto veniale, cioè perdonabile, giacchè, non togliendo la grazia, si può cercarne facilmente il perdono anche senza ricorrere ad una confessione sacramentale, ma semplicemente attraverso il pentimento o mediante opere buone. Il peccato veniale semplicemente raffredda l’amicizia con Dio: non merita affatto la dannazione eterna ma una pena temporanea, proporzionata alla gravità, da scontarsi con la penitenza, in questa vita, oppure nel Purgatorio. Tuttavia il peccato veniale è dannoso per l’anima, poiché l’amore di Dio ha bisogno di essere continuamente nutrito ed alimentato, con opere buone ed atti di amore: se diminuiscono, il peccato veniale si fa più frequente, e siccome esso attenua l’orrore della colpa, ed indurisce sempre di più l’anima, dispone al peccato mortale, allo stesso modo in cui Giuda, che con piccoli e frequenti furti cominciò a familiarizzare col peccato, e ad abituarsi alla colpa, fu disposto al tradimento gravissimo . Pertanto il peccato veniale è piuttosto una brutta abitudine, e lo si assimila al peccato mortale, in senso analogico, tenendo conto delle somiglianze. Tuttavia la differenza è abissale, soprattutto considerando gli effetti: solo il mortale priva della comunione con Dio, ferisce mortalmente l’anima e merita l’inferno. La ragione di peccato, peciò è solo nel peccato mortale, ed in modo imperfetto, nel veniale .
Questioni recenti a proposito del peccato mortale
Negli ultimi anni, sono state sollevate numerose critiche alla dottrina cattolica sul peccato da parte di molti teologi. Il peccato, specialmente quello mortale, rimane una problematica di difficile approccio per tutti, non a caso è stato definito “mysterium iniquitatis”. Così si sono formulate varie affermazioni, per lo più riconducibili ad alcuni filoni. Ad esempio, si nega il valore della divisione teologica (mortale-veniale), interpretandola come un’esagerata interpretazione scritturistica degli scolastici, allo scopo di stabilire quali peccati erano da confessare e quali no. Altri affermano che esista una distinzione ulteriore tra peccato mortale (massima entità) e grave (entità minore), la quale è stata confusa da teologi più rigoristi, imponendo alla Chiesa questo loro pensiero. Altri, più categorici, negano la possibilità del peccato mortale, ritenendo impossibile poter passare dallo stato di grazia al peccato e viceversa. Infine c’è chi ritiene che nessun errore categoriale, nemmeno in materia grave, possa essere un peccato mortale (così, ad esempio, i peccati di fragilità degli adolescenti).
Tuttavia, il magistero ecclesiastico, riprova le tesi di questi autori, basandosi nel giudizio su solide ragioni , in particolare è negato che il peccato mortale sia solo il frutto di un atto che coinvolge la persona umana nella sua totalità, ovvero un atto di opzione fondamentale.
Soprattutto coloro che difendono queste ipotesi, sono particolarmente colpiti da un lato dalla secolarizzazione, che, affievolendo la conoscenza di Dio e del suo amore per l’uomo, comporta una diminuzione del senso del peccato, e da un altro lato, da un’erronea antropologia, che mortifica la dignità e la libertà dell’uomo, negando che tale libertà sia in grado di compiere scelte decisive del destino della persona.
Come già dimostrato, però, le distinzioni teologiche sono di fede divina-rivelata, contenuta nella scrittura e confermata dai concilii. Non sono invenzioni dei teologi rigoristi. Oltretutto l’idea di un’unica opzione fondamentale dell’uomo (bene-male), fatta una volta per tutte, è negata dalla stessa scrittura: l’Aquinate ad esempio, cita il peccato del rinnegamento di Pietro .
Concludendo, è possibile affermare che la Chiesa non inganna quando sostiene la distinzione teologica del peccato, e i suoi effetti. Giova ricordare quanto dice il Catechismo, a proposito del peccato mortale: “è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili” .
Conclusione
Dopo avere trattato del peccato in generale, e della distinzione teologica tra peccati mortali e veniali, fornendo anche una descrizione più accurata, fra i primi, di quelli di maggiore gravità, vorrei sottolineare come chiosa, quali sono i rimedii efficaci che la Chiesa ci propone per fuggire il peccato, ossia il pensiero di Dio (ed il ricorso ai mezzi di santificazione), e la considerazione dei novissimi, pratica che negli ultimi tempi si va affievolendo, ma che è utilissima, soprattutto perché consigliataci da Dio stesso: “Ricorda le ultime cose che ti attendono, e non peccherai in eterno”. (Qo 7, 40)
Bibliografia
E. COLOM – A.R. LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi, ed. EDUSC, 2003, Roma
Catechismo della Chiesa Cattolica, ed. LEV, 1992, Città del Vaticano
C.E.I., La Verità vi farà liberi – Catechismo degli adulti, ed. LEV, 1995, Città del Vaticano
S. Pio X, Catechismo della Dottrina Cristiana, ed. Paoline, 1950, Alba
Enciclica "Veritatis splendor"