Fonte: AlterEuropa

Henri de Grossouvre, Parigi, Berlino, Mosca. Geopolitica dell’indipendenza europea, Fazi, Roma 2004, pagg. 27, euro 18.



L’accordo da poco raggiunto dai paesi membri in merito al varo del Trattato Costituzionale dell’Unione europea, le infinite discussioni tra intellettuali, analisti, diplomatici e uomini politici che lo hanno preceduto e seguito, i molti quesiti insoluti che il dibattito ha lasciato in sospeso, conferiscono una straordinaria attualità a questo saggio di Henri de Grossouvre - politologo francese di ispirazione gollista, ma sostenitore durante le ultime elezioni presidenziali tenutesi nel suo paese del candidato outsider Chevènement - pubblicato nel 2002 ed ora finalmente tradotto e dato alle stampe anche in Italia da un editore coraggioso ed originale come Fazi.

Già all’indomani della conclusione delle trattative che hanno portato il Consiglio Europeo ad approvare il Trattato Costituzionale, un osservatore accorto e sinceramente europeista come Sergio Romano, in un editoriale pubblicato dal «Corriere della Sera», sottolineava come, sebbene l’etichetta imponesse il plauso per l’accordo appena raggiunto, fosse tuttavia arrivato il momento di interrogarsi seriamente sulla principale questione lasciata insoluta dai leader dei governi europei, e cioè su cosa veramente sia o debba essere l’Unione che si sta cercando faticosamente di costruire e, di conseguenza, se non fosse il caso di individuare nuove strade da percorrere per raggiungere risultati dal valore politico assai più ambizioso del fumoso compromesso raggiunto col Trattato. Esso, in effetti, non scioglie i nodi che ne avevano impedito l’approvazione nel corso del semestre di presidenza italiano: istituisce la figura del Ministro degli Esteri unico, rafforza i poteri del Presidente della Commissione europea, ma continua a concedere ai paesi membri il diritto di veto in settori importanti come la difesa; sottolinea le comuni radici culturali e religiose dei popoli che fanno parte dell’Unione ma non menziona esplicitamente il cristianesimo; rivendica l’importanza di un percorso unitario da seguire valido per tutti i venticinque stati aderenti, ma lascia aperta la porta all’ipotesi di un’Europa a due velocità ed altro ancora.

Nella sostanza, il problema non risolto è lo stesso che de Grossouvre pone alla base del suo ragionamento: se cioè l’Europa debba essere soltanto una vasta area di libero scambio sotto protettorato strategico americano o viceversa possa divenire un soggetto politico autonomo dotato di una propria capacità di intervento militare e diplomatico univoca.

La risposta a tale dubbio è già scritta nel sottotitolo del pamphlet di Henri de Grossouvre. Armato di dati oggettivi e di una scorta consistente di realismo, egli cerca di tratteggiare una strategia geopolitica che conduca l’Europa verso la piena indipendenza e ne individua la struttura portante nella costruzione di un asse preferenziale che unisca in un intenso sforzo di cooperazione i tre maggiori stati dell’Europa continentale: la Francia, la Germania e la Russia. L’insegnamento schmittiano che è possibile trarre dal saggio Terra e Mare risulta quindi evidente: se gli imperialismi che incarnano la potenza marittima, quello inglese prima e quello americano oggi, hanno sempre avuto lo scopo primario di evitare l’unificazione della massa continentale euroasiatica, è ovvio che proprio tale unità potrebbe risultare decisiva. Il mondo odierno è molto diverso da quello sorto nell’immediato secondo dopoguerra. Francia e Germania si sono lasciate alle spalle molte delle recipro-che diffidenze; la stessa Germania riunificata sta recuperando la piena sovranità delle proprie scelte in politica estera e militare; l’impero sovietico è crollato, lasciando il campo ad una Russia senz’altro molto indebolita, ma che grazie al raffinato tatticismo di Putin sta recuperando il ruolo che le spetta nello scenario mondiale, dopo il disfacimento vissuto durante l’era Eltsin, e sembra sempre più orientata a rafforzare la componente europea della propria complessa e contraddittoria identità culturale. Il blocco franco-tedesco appare essere, non solo per il potenziale economico-politico che rappresenta, ma anche per le scelte e le posizioni espresse e sostenute pur tra mille difficoltà e compromessi dalle classi dirigenti di questi due paesi, il nocciolo duro di una possibile Nuova Europa. Al contempo la Russia putiniana può diventare l’interlocutore privilegiato, grazie alle sue risorse militari ed energetiche, nonché all’enorme potenziale economico inespresso che la contraddistingue, di un’Ue decisa a individuare soluzioni strategiche atte a liberarla dal pesante fardello dell’asfissiante egemonia statunitense.

Le schermaglie diplomatiche in sede Onu che hanno preceduto il conflitto iracheno sembrano dare ragione a de Grossouvre, che ha infatti aggiunto due capitoli nuovi all’edizione italiana del suo libro che fanno il punto della situazione, sottolineando come nel corso dell’estate 2002 l’asse da lui ipotizzato, che fino a quel momento poteva essere inteso solo come una brillante ma fantasiosa tesi geopolitologica, abbia iniziato a concretizzarsi, pur non riuscendo ad impedire agli Stati Uniti l’intervento in Mesopotamia.

La verità è che dopo l’11 settembre il mondo è veramente cambiato, ma non nel senso auspicato dai fautori del pensiero unico globalizzato e della supremazia americana e nemmeno nel senso di un insanabile scontro di civiltà tra Occidente ed Islam. Paradossalmente l’aggressività americana, che sembra essere la spia di una profonda crisi economica, morale e politica del leviatano d’oltreoceano, ha reso più fluidi i rapporti diplomatici e meno serrati e compatti gli schieramenti a dispetto della retorica dell’antiterrorismo condivisa da quasi tutti i capi di governo. Sotto la coltre grigia della propaganda il mondo vive un’affascinante fase di transizione che ha visto per la prima volta dopo sessant’anni una parte importante dell’Europa Occidentale contestare al fianco della Russia la volontà di Washington.

De Grossouvre indica con molta chiarezza il percorso da seguire: incentivare i programmi di cooperazione economica tra le tre nazioni che a suo avviso sono contraddistinte da sistemi finanziari, produttivi e sociali diversi, ma complementari; accelerare il processo di integrazione della Russia nell’area di libero scambio europea e in quelle istituzioni politiche e militari (come la stessa Nato) finora ad essa precluse; rinsaldare senza ripensamenti o tentennamenti l’asse franco-tedesco, soprattutto per quanto concerne la politica culturale e di difesa, anche a costo di dare vita ad un’Europa a due velocità. Come Sergio Romano, egli ritiene che, se in sede Ue c’è chi rema decisamente contro la nascita di una struttura federale europea, è giunto il momento di prenderne atto e intraprendere scelte audaci ed esclusive.

Non giova tuttavia in quest’ottica l’ipocrisia degli Chirac e degli Schroeder che hanno cercato di cavalcare la tigre pacifista in occasione della crisi irachena, incapaci, e forse anche poco desiderosi, di far comprendere all’opinione pubblica che era giunto il momento di tutelare gli interessi nazionali europei senza ricorrere a mistificanti proclami terzomondisti, che rendono difficoltoso spiegare la necessità di scelte apparentemente ciniche. Sarebbe invece necessario evidenziare la distanza culturale e geopolitica che divide il Vecchio Continente dagli Usa e la necessità di istituire un nuovo ordine planetario capace di regolamentare la guerra e il diritto internazionale -anche prescindendo dall’ormai obsoleta Onu -, ordine di cui un’Europa libera, unita e dotata di forza coattiva è la condicio sine qua non auspicabile da tutti gli uomini pacifici e responsabili.

In questa opera stimolante, lascia un po’ di amaro in bocca la quasi completa assenza dell’Italia dallo scenario. Certamente ciò dipende dall’ambigua politica estera del governo Berlusconi e dal fatto che il nostro paese ha difficoltà a perseguire una strategia internazionale coerente ed efficace a causa della sovranità limitata dalla sconfitta subita nella seconda guerra mondiale, non riequilibrata da un potenziale economico come quello tedesco. Eppure, il nocciolo duro di cui si parla nel libro è l’impero carolingio, di cui l’Italia era parte essenziale, e Roma rimane il punto di riferimento per milioni di cristiani. L’eredità religiosa e spirituale cristiana è ciò che, piaccia o meno, accomuna i cattolici del Sud, i protestanti del Nord e gli ortodossi dell’Est dell’Europa.

E non c’è solo questo da considerare. L’Italia è anche, per la sua posizione geografica, un ponte naturale lanciato dal Vecchio Continente verso le sponde dell’Africa e del Vicino Oriente e il rapporto corretto e privilegiato con gli Stati della sponda araba del Mediterraneo è, per ammissione dello stesso autore, di cruciale importanza per l’indipendenza europea. È inoltre un dato di fatto che il blocco franco-tedesco, con la sua malcelata prepotenza, suscita malumori nei piccoli paesi. Sotto questo profilo il Belpaese potrebbe svolgere un ruolo decisivo di cerniera diplomatica: esso è infatti sufficientemente forte da trattare da pari a pari con Parigi e Berlino ed abbastanza debole da non generare diffidenze negli altri partners meno potenti. Infine non bisogna dimenticare che Roma è stata il tramite privilegiato che ha permesso al Cremlino di fare quegli importanti passi di avvicinamento all’Occidente che hanno consentito di rafforzare il processo di integrazione della Russia in seno all’Alleanza Atlantica: un processo che, al di là delle intenzioni degli attori della vicenda, potrebbe assumere, con l’andar del tempo, un valore politico oggettivamente antiamericano. Non è saggio, dunque, per chi guarda alla possibile rinascita politica dell’Europa, dimenticare l’Italia. È però altrettanto vero che Montecitorio meriterebbe di ospitare una classe dirigente più coraggiosa, più capace, più libera. Forse così il prossimo libro di de Grossouvre potrebbe includere anche Roma fra le capitali dei paesi votati a restituire al nostro continente un ruolo significativo sulla scena mondiale.

Alessandro Sansoni