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Come ha chiarito una volta per tutte Paolo Cinanni, un esperto della questione silana e dei problemi dell´emigrazione - una persona che i vecchi sangiovannesi* credo ricordino con affetto - tutta la `questione meridionale´ si coagula in due concetti: la mancanza di lavoro e l´uso disinvolto, a prezzi stracciati - antinazionale e a pericolo di vita - dei disoccupati meridionali da parte del grande capitalismo americano ed europeo.

Il Sud d´Italia alleva i suoi figli e li prepara a produrre, ma poi non
ha la libertà `nazionale´ per godere dei risultati del loro lavoro.

La perdita è doppia. In primo luogo i figli costano. In secondo luogo la ricchezza prodotta altrove dagli emigrati non torna nei luoghi d´appartenenza, o vi torna in misura irrisoria. Nessun borgo meridionale, che abbia dato al mondo del capitale una quota rilevante della sua popolazione, come San Giovanni in Fiore, è arricchito.

Lo Stato italiano non ha mai inteso combattere il secolare problema dell´esodo migratorio. Anzi lo ha fomentato. Questo non solo al Sud, ma in tutte le regioni sottoposte alla sua sovranità. La prima grande fuga di popolazione italiana, quella verso le Americhe (1870 -1914), fu ben accolta in quanto portava valuta estera nelle casse delle banche nostrane. Unico dispiacere era la perdita di un fante per l´esercito in armi. L´incalcolabile ricchezza prodotta con le lacrime e il lavoro di chi era andato via, fu usata per creare le industrie di Genova, Milano e Torino, che altrimenti non ci sarebbero mai state.

Anche il secondo esodo di massa - e San Giovanni piange ancora i suoi figli caduti - fu entusiasticamente voluto dal governo nazionale. Infatti portava braccia, che costavano poco, al padronato industriale. Inoltre arricchiva, senza che dovessero muovere un dito, i padroni di casa milanesi e torinesi.

La terza emigrazione, quella odierna, si muove più lentamente. In genere sono i giovani laureati nelle università del centrosettentrione che non vogliono più tornare a casa. La nostalgia per il paese natale che c´è in "/Partono i bastimenti pè terre assai luntane/" o in "/Torna a Surriento/", ce la possiamo dimenticare. Non si parte più dalla nostra terra con rimpianto. Chi parte non sente nostalgia per il paese di origine. Una quota rilevante delle persone che vanno via, è fatta di fuggiaschi da una terra inospitale e a basso tenore di civismo, dove imperano la mafia e la corruzione politica.

E non sarebbe possibile una situazione diversa. Il commercio della droga fa comodo alle banche, che incettano la liquidità dei mafiosi e la drenano su Milano, su Zurigo, su Barcellona. La corruzione politica è il sistema con cui il Nord domina e asservisce il Sud. E´ un ricatto del sistema padano e dello Stato verso i meridionali. "Se volete che vi sistemi il figlio, le persone che possono aiutarvi sono Tizio, Caio e Sempronio. Votate per loro, e io Stato avallerò il favoritismo".

Il Sud è una nazione di 20 milioni di abitanti, un paese parecchie volte più grande del Belgio, dell´Olanda, della Svizzera e di molti altri Stati nazionali. Al momento dell´unità italiana era il più grande degli Stati italiani, il più ricco di moneta, il più avanti industrialmente (vendeva locomotive al Piemonte), il più istruito (aveva infatti i tre quinti di tutti gli studenti universitari italiani), possedeva una flotta militare e una flotta mercantile poderose. Certo aveva i suoi gravi e antichi problemi, ma come aveva risolto in meno di un secolo i problemi inerenti al commercio, così avrebbe sicuramente risolto il problema di far rendere di più la terra.

La nostra proposta è di tornare all´indipendenza politica, allo Stato delle Due Sicilie, per difendere il quale sono caduti in combattimento e nei campi piemontesi di sterminio più di centomila contadini meridionali. Il capitalismo americano e quello europeo potrebbero persino essere sulla soglia di un totale fallimento. Oggi vi domina il capitale che non produce. I capitalisti si arricchiscono con gli appalti, le privatizzazioni, gli intrallazzi. In Italia, parecchi acquedotti sono stati privatizzati, con gran rovina delle popolazioni.
Si privatizza tutto, dalla nettezza urbana all´elettricità, dal telefono ai certificati di nascita. Rendite, rendite, nient´altro che rendite. Un quintale di grano, sul mercato mondiale, costa 12 dollari (meno di 10 euro), ma un quintale di pane arriva ai consumatori per circa 120 euro, dodici volte il prezzo del grano. E fra non molto non sarà più il fornaio sotto casa a guadagnarsi la giornata, ma il Mulino Bianco a spedirvi da Parma un pane in confezione a vuoto d´aria.

Il mondo potrà tornare nei limiti della esistenza umana se la gente riuscirà a porre fine al carnevale capitalistico, che sta distruggendo la Terra e gli uomini. Per noi il cammino è più facile che altrove, più breve. E si chiama indipendenza. Siamo un grande popolo con una grande storia, che lo Stato italiano ha umiliato e umilia. Possediamo tutte le risorse che occorrono alla rinascita. L´Italia si è impossessata di tutto, a cominciare dal nome Italia. Basta veramente poco per veder tornare a sorridere i nostri figli e nipoti.

Nicola Zitara
www.eleaml.org

P.S.: questo articolo l'ho copiato dal mensile
"Il nuovo corriere della Sila"
AnnoXV (nuova serie) n°6 -5 Giugno dell'anno 2005

*(Approfitto dell´ospitalità che mi offrono il /Corriere della Sila /e il collega Basile per mandare un saluto ai compagni e ai patrioti
meridionali che mi hanno accolto con simpatia e ascoltato pazientemente in occasione** dell´incontro sul futuro delle nostre popolazioni e dei nostri lavoratori dopo 144 anni di olonizzazione toscopadana...)

**-Dibattito sul separatismo tra Zitara, Brunetti e il rettore Latorre- Il risultato delle ultime elezioni regionali, perfettamente coerente con la volontà degli elettori, è ben lontano dal dare una risposta ai problemi del lavoro e dell’occupazione, che la gente avverte personalmente. L’associazione “Due Sicilie” di San Giovanni in Fiore ha voluto chiedere una risposta al pressante interrogativo. Non si è rivolta ai rappresentanti delle istituzioni politiche nazionali o locali, ma a tre studiosi della “questione meridionale”:
Nicola Zitara, giornalista e autore di numerosi volumi, Mario Brunetti, ex parlamentare ed ex consigliere regionale della sinistra, attualmente Presidente del Centro Studi Mezzogiorno – Mediterraneo, Giovanni Latorre, Magnifico Rettore dell’università della Calabria.
La domanda posta è: “Quale avvenire per la Calabria dopo 140 anni di emigrazione?”.
Il dibattito è stato lungo, acceso, appassionato, sia fra i relatori sia dei relatori con il pubblico. Riassumiamo le posizioni dei tre oratori
Giovanni Latorre ha sostenuto che la marginalità della Calabria e la situazione di sottosviluppo sono legati storicamente all’emarginazione geografica del Sud rispetto a “un continente dalla modernità” situato nell’Oceano Atlantico settentrionale, avente come confini le sponde occidentali dell’Europa e quelle orientali degli Stati Uniti.
L’emarginazione geografica del Sud italiano ha portato con sé la permanenza fino ai tempi nostri di una condizione di basso tasso di civismo e il clientelismo, che sommandosi sviliscono la vita politica.
La recente crescita dei paesi del Sud-est asiatico lascia immaginare dei forti scambi tra questa area del mondo e l’Europa. Le merci asiatiche in entrata e le merci europee in uscita, dovendo seguire la rotta: Oceano Indiano – Canale di Suez – Mediterraneo orientale, privilegerà i porti meridionali. Bisogna prepararsi all’evento riorganizzando i sevizi e normalizzando la vita politica.
Mario Brunetti è partito dalla constatazione che la formulazione dello stato nazionale nel 1860/61 ha bloccato l’evoluzione sociale ed economica dell’area meridionale, innescando l’emigrazione transoceanica dei decenni precedenti alla Prima Guerra Mondiale.
Caduto il fascismo e fondata la Repubblica, tranne i pochi anni della lotta per la terra, il sistema nazionale e la stessa sinistra non hanno saputo assumersi la rappresentazione degli interessi delle popolazioni meridionali né formulare un serio progetto per l’occupazione e lo sviluppo.
Molte responsabilità in ordine alla caduta del welfare sono addebitabili ai governi di sinistra che hanno guidato l’ingresso dell’Italia nell’area dell’Euro.
Per Brunetti, l’avvenire del Sud è collegato alle politiche mediterranee dell’ Unione europea, che dovrebbero superare con uno scatto di buona volontà l’attuale fase di stanca.
Nicola Zitara ha stigmatizzato la secolare operazione di svalutazione e mortificazione dei meridionali. Ha ricordato a titolo d’esempio fatti e atti dei governi e dei poteri forti rivolti a sottrarre valore e identità al Sud. Non è una banalità, ha detto, che il Festival della canzone italiana si svolga a Sanremo, terra dei fiori ma non di musica, e non a Napoli, terra di musica a livello mondiale.
Perché – ha proseguito- Firenze, Siena, Verona, Padova, Venezia, et cetera sono “città d’arte”, mentre non lo sono Napoli e specialmente Palermo? C’è - ed è evidente – un’esclusione capziosa che è frutto di ingordigia. Il Sud è stato ed è una grande nazione, più grande di molti stati europei per popolazione e per il livello dei suoi lavoratori e imprenditori; qualità riconosciute e apprezzate dovunque, fuorché l’Italia. La disoccupazione e il sottosviluppo non stanno nei precordi della società meridionale, nei cosiddetti “mani antichi”, ma nello stato cavourrista, che ha cambiato il pelo costituzionale e istituzionale, ma non il vizio toscopadano, rinascimentale e risorgimentale dell’usura e del saccheggio. Nelle società moderne ogni singolo Stato amministra spesa pubblica per una cifra intorno al 50 per cento del PIL.
Perché il Sud dovrebbe continuare ad abdica a tale funzione? Per le piume dei bersaglieri? Per fare contenti gli inquilini dei palazzi romani? Quale titolo hanno i toscopadani per amministrare i nostri tributi?
L’ingordigia toscopadana favorisce, o meglio aiuta e alimenta, l’espansione della mafia.
La mafia è un tragico male per i meridionali e contemporaneamente una concreta entrata per la finanza toscopadana, la quale incassa dai traffici mafiosi non meno di 200 mila miliardi l’anno di vecchie lire. Una comodità per i poteri forti milanesi ed emiliani, che trovano al Sud un referente docile e partecipe. Il sistema toscopadano corrompe il Sud e mortifica i suoi gruppi politici dirigenti in una condizione di permanente degrado morale, favorendo lo spreco dei soldi pubblici e il clientelismo.
Separarci dall’Italia è la strada lineare per uscire dalla situazione assurda e penosa in cui ci siamo intrappolati come nazione meridionale. L’uscita abbasserebbe incredibilmente il prezzo degli alimenti più importanti, come il grano, la carne, il latte, che l’Unione europea mantiene dieci volte più alti che sul libero mercato mondiale. Per un paese che progetta lo sviluppo indipendente, pagare meno il pane e la carne è decisivo. Come è decisivo fabbricarsi i beni di uso comune (per es. le sedie o i computer ) all’interno della nazione.
Fatti del genere, se realizzati, portano alla piena occupazione, lo stesso che dire la fine dell’emigrazione.
L’immoralità non è un fenomeno attinente alla filosofia, ma alla politica: è la forma che la politica nazionale assume per sgovernare il Sud. In pratica, è una simulazione della classe che governa l’Italia attraverso lo stato nazionale, la quale, ad uso e consumo della pubblica opinione, rovescia le proprie responsabilità, facendo, della vittima, il colpevole del malaffare.
Giuseppe Gangemi

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