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  1. #41
    Lefevriano in attesa
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    è bene questo.
    †Extra Ecclesia nulla salus†

  2. #42
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    REFERENDUM
    l «partito della astensione» è fatto pure di «indifferenti» Lo sostiene,a dieci giorni dal 13 giugno,il politologo Ernesto Galli della Loggia

    www.avvenire.it

    Un'altra faccia della vittoria

    «Il vero successo della Chiesa? Ricompattare il suo mondo
    C’è un forte nesso tra il risultato italiano e il voto di Francia e Olanda sulla Ue: le opinioni pubbliche europee han voglia di dire più no che sì»

    Di Roberto Beretta

    I suoi editoriali della domenica ci sono un po' mancati, negli ultimi mesi di campagna referendaria, tanto che qualcuno ha buttato là un'illazione pesantuccia: censura! D'altronde, non poteva essere plausibile che Ernesto Galli della Loggia, il raffinato politologo che ravviva di brillantezza i fondi un po' plumbei del Corriere della sera, fosse stato «silenziato» dal suo giornale, piuttosto nettamente schierato verso il «sì»? Niente di meglio che chiederlo direttamente all'interessato, insieme a un'analisi dei risultati alle urne.


    Allora, professore: come mai la sua firma è apparsa così di rado, e proprio sotto referendum? Censura?
    «Ma che, scherza? E magari s'aspetta che le risponda di sì... Ma no, nessuna censura; da parte di chi, poi? È che le cose che avevo da dire le ho dette e per il resto è stata una scelta molto personale, dettate da motivazioni che mi riservo di non rendere pubbliche».


    Passiamo dunque all'analisi del «non voto». Chi ha vinto, a parere del politologo della Loggia?
    «Ha vinto il partito dell'astensione, che però è composto da parecchie realtà... Voglio dire che il peso della Chiesa c'è stato, ma non credo sia risultato decisivo. Oltre al fisiologico 25-30% di non votanti, penso che l'astensione motivata dal pronunciamento della Chiesa abbia riguardato più o meno un terzo dei voti. Un altro terzo di astenuti deriva dalla complicazione dei quesiti e dall'incapacità di molti nell'esprimere un'opinione su temi del genere. L'ultimo terzo discende da ragioni d'ordine politico: perché una parte di elettorato si è astenuta solo per non far vincere le sinistre».


    Dunque la vittoria «cattolica» va ridimensionata.
    «La vera vittoria del cardinal Ruini è stata quella di unificare in modo molto forte il mondo cattolico, cosa che non accadeva da ormai parecchio tempo».


    Qualcuno ha parlato di nuova Dc.
    «No, non ci credo. Sono elucubrazioni che non hanno futuro. Oggi gli attori cattolici s ono parecchi, i credenti non sono più riuniti sotto una o due sole etichette politiche. Il referendum li ha compattati sulla questione della vita, ma non politicamente. Non credo del resto che rientrasse nelle intenzioni di chi ha lanciato la campagna per l'astensione».


    Unanimità ponderata, oppure paura di manifestare diverso parere?
    «No. Penso che - rispetto agli anni del dissenso - nel cattolicesimo italiano siano avvenute notevoli trasformazioni. Il clima d'antagonismo si è ricomposto, certi "ribellismi" si sono raffreddati ed è subentrata maggiore pacatezza. All'accordo ha poi giovato il fatto che la posizione ufficiale della Cei sia stata proposta in modo a mio giudizio quanto mai moderato, senza minacciare fulmini o scomuniche a chi non s'adeguava. A ciò si sono aggiunti gli errori della campagna referendaria per il sì: mostrarsi in compagnia di Sabrina Ferilli non credo sia servito, anzi è stato punito l'uso smaccato dello star system e dei testimonial».


    E i giornali (compreso il suo), accusati di non rappresentare più i loro lettori o - peggio - di aver tentato di menarli per il naso verso il seggio?
    «Beh, c'è stata anche qualche autocritica da parte dei mass media in generale. Però, prima di sparare giudizi sull'inaffidabilità della stampa, credo sia meglio ricordare quanto poco in Italia sia letta e non sopravvalutare il suo influsso... Noto piuttosto uno scollamento fortissimo tra le classi dirigenti europee e il loro elettorato e credo che ci sia un forte nesso tra l'esito del referendum italiano e il voto contro la Costituzione europea in Francia e Olanda. I politici hanno difficoltà a capire cosa succede nelle masse europee, che sono ormai società in ripiegamento, perplesse, impaurite, e non danno più credito alle costellazioni ideologiche e politiche di un tempo».


    Prego? Intende sostenere che pure l'astensione ai referendum è espressione di tali timori?
    «Penso di sì. Chiusura anzitutto verso lo strume nto referendum, perché non esiste più alcun entusiasmo per la partecipazione "dal basso", così come si registra una delusione e una stanchezza per la scienza, che oggi non mobilita grandi speranze. Ma in generale le opinioni pubbliche europee hanno voglia di dire molti più "no" che "sì", a rinchiudersi insomma. Sono vecchie, paurose, non hanno dinamismo e non vogliono andare da nessuna parte. E le classi dirigenti non lo capiscono».


    Lei descrive una vittoria del pessimismo...
    «Una vittoria ambigua: non riesco a leggerla diversamente. Non credo ad esempio che l'elettorato della Calabria, dove si è registrato il minimo storico dell'affluenza, indichi i destini storici del Paese... Nell'astensionismo si cela anche una forte tradizionale indifferenza italiana alle questioni di principio. Dico ciò non per sminuire il ruolo significativo e nuovo dell'impegno anche culturale profuso dalla Chiesa; ma sarebbe un gravissimo errore politico fraintendere il senso del risultato referendario».


    Ha trovato i cattolici eccessivamente trionfalisti?
    «No, del resto era anche ovvio lanciare un grido di vittoria dopo una battaglia del genere. Rischio di trionfalismi lo vedo piuttosto in posizioni come quelle di Giuliano Ferrara».


    Gli «atei devoti», insomma: un'altra bella «novità» del referendum...
    «Ma che vuol dire "ateo devoto"? Sono definizioni idiote. Io sono un "ateo devoto"; o meglio: se si deve proprio cercare una divisione, io sto con gli "atei devoti" del mio amico Ferrara... Che tradotto significa: penso che la modernità debba mantenere un rapporto con i valori della tradizione cristiana e che bisogna stare molto attenti a lederli, a incrinarli o a considerarli indifferenti. Gli "atei devoti" sono quanti pensano che ci sono campi in cui non si può lasciare all'arbitrio individuale la decisione ultima».


    E dove Giuliano Ferrara ha sbagliato, invece?
    «A volte mi sembra che ci sia stato eccesso d'enfasi, ma si tratta di una quest ione di stile e ognuno ha il suo. Questo non vuol dire che io non paghi il tributo al coraggio intellettuale e alla bravura di Ferrara, il quale ricorda come oggi il liberalismo si debba porre su basi necessariamente diverse rispetto all'Ottocento. Prima, infatti, il concetto di limite morale era implicito nella coscienza dell'élite europea, che aveva una formazione classica e cristiana; ora quest'idea è venuta meno con l'educazione di massa, la laicizzazione e la rottura della sfera della naturalità operata dalla scienza. Per questo i liberali sono diventati coloro che vengono chiamati "atei devoti"».


    Crede che questi referendum abbiano rappresentato per il mondo cattolico una sorta di «rivincita», dopo le sconfitte dell'aborto e del divorzio?
    «Assolutamente no. Se si ripetessero oggi i due referendum, aborto e divorzio vincerebbero con l'80% dei voti; oso dire che il primo toccherebbe percentuali ancora più alte di quelle del 1981. L'aborto infatti è nell'esperienza personale di milioni di persone, la fecondazione artificiale ne interessa poche migliaia; anche massicce parti della destra voterebbero a favore».


    E le sinistre, come le vede dopo il 13 giugno?
    «La batosta è stata ragguardevole; sono certo che misureranno meglio i rischi prima di imbarcarsi di nuovo in un referendum. Ma soprattutto la sinistra deve ricalibrare il rapporto con le minoranze intellettuali che la dominano e rischiano di farle perdere il contatto con la realtà».
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 
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