Islam e modernità Donne al volante, la svolta saudita Le difficoltà dell’economia spingono al riconoscimento del diritto a guidare l’auto


Non per Allah. Non per la tradizione. Ma per il denaro sì. La puritanissima e misoginissima Arabia Saudita è a un passo dall'infrangere un altro tabù: il 90 per cento dei membri, tutti uomini, del Consiglio consultivo, una sorta di parlamento non eletto, sono favorevoli a riconoscere il diritto della donna a guidare l'automobile. Quando negli scorsi giorni il deputato Mohammad Al Zalfa ha rivelato che le famiglie saudite sono costrette annualmente a spendere l'equivalente di 2,6 miliardi di euro per assumere circa un milione di autisti stranieri per scorrazzare le signore sole, allora come d'incanto si è scoperto che l'Islam non proibisce la guida delle donne e che, tutto sommato, la società saudita è ormai matura per assistere senza scandalizzarsi allo spettacolo della donna al volante.
La verità è che l'era delle vacche grasse è finita da tempo e difficilmente tornerà più. Il tenore di vita, nonostante il greggio sopra i 40 dollari a barile, si è ridotto a un terzo rispetto agli anni Settanta. La monarchia non solo non è più in grado di regalare i soldi ai propri sudditi in cambio della loro ossequiosa lealtà, ma è costretta a chiamare alla mobilitazione generale tutti gli autoctoni, uomini e donne, per affrontare insieme il dopo manna petrolifera per dar vita a un sistema economico moderno e diversificato.
«In un intervento al Consiglio consultivo, che ha ottenuto l'approvazione del 90 per cento dei suoi membri, ho affermato che non è più assolutamente accettabile mantenere il divieto alla guida delle donne», ha spiegato il deputato Al Zalfa al settimanale Sayidaty. «Oggi il governo e la società chiedono una maggiore partecipazione della donna nell'attività economica. Ebbene ciò richiede la possibilità che la donna sia autonoma nei propri spostamenti. In tal modo risparmieremmo anche l'ingente spesa devoluta come stipendi per gli autisti stranieri. Dobbiamo far prevalere l'interesse della collettività ».
Insomma ubi maior minor cessat. Perfino lo sheikh Abdul Mohsen al-Abikan, consigliere giuridico del ministero della Giustizia e membro del Consiglio consultivo, sostiene che «la guida della donna non è di per sé haram, proibita, dall'Islam. Tanto è vero che da tempo la donna saudita porta l'auto nelle zone desertiche e nei centri dell'entroterra senza scontrarsi con le consuetudini locali». Il giureconsulto islamico spiega che di fatto «il divieto vige nelle città perché i giovani molestano le donne anche se sono in auto in compagnia dell'autista. Che cosa accadrebbe se la donna si trovasse addirittura da sola?».
Gli risponde Mirvat Multani, una donna d'affari: «Io ho la patente e guido l'auto quando mi trovo all'estero. Se c'è qualcuno che obietta perché ritiene che la donna da sola in macchina potrebbe commettere chissà quali peccati, dico che se una donna vuole peccare lo farebbe anche stando seduta sul sedile posteriore. Vorrei aggiungere che non sono mai stata molestata guidando l'auto nei Paesi occidentali o arabi. Ebbene perché dovremmo presumere che quegli uomini sarebbero più civili dei sauditi?».
La professoressa Aisha al-Maneh, intervistata dal quotidiano Asharq al-Awsat, ha esclamato: «In passato ci hanno detto che l'istruzione della donna è haram, perché la donna istruita sarebbe stata peccaminosa. Poi ci hanno detto che il telefono è haram, che se fosse entrato nelle case avrebbe violato l'onore della donna. Poi ci hanno detto che la televisione è haram. Ebbene oggi la donna è istruita, parla al telefono e guarda la televisione. Tutto ciò è stato possibile con una decisione politica. E anche oggi serve una decisione politica per farci uscire da questo dramma riconoscendo il diritto della donna alla guida».
Il problema, sottolineano tutti, è creare un clima che favorisca il consenso da parte degli uomini. Madawi al-Kunawir, una donna d'affari, prevede che si procederà con gradualità, permettendo ad esempio la guida alle donne straniere, ciò che in realtà succedeva negli anni Settanta prima dell'avvento di una involuzione ideologica islamica. Emerge che perfino la società tribale saudita, con tutte le sue rigidità, era più tollerante nei confronti delle donne rispetto all'odierna infarcita di wahhabismo e di binladismo. Ed è così che la conquista del futuro passa anche tramite la riscoperta del proprio passato.