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A proposito del contorno al provvedimento disciplinare intrapreso dalla direzione del Partito Comunista d’Italia nei confronti di Bordiga scrive Paolo Spriano: “ Si dice che Bordiga sia contrario in toto alla *svolta*, all’idea del socialismo [!!?], al giudizio sulla radicalizzazione della lotta politica e sociale in Italia. Si dice anche che egli preveda un periodo transitorio democratico in Italia (e non sarà il solo…). Al Centro risulta che Bordiga , liberato dal confino, abbia chiesto di poter tornare nell’isola di Ponza per completare certi lavori in qualità di ingegnere che aveva già intrapreso da confinato [..] Grieco ricorda che Bordiga non ha cercato minimamente di riprendere contatto con l’organizzazione comunista appena liberato ”.
Per la verità Amadeo Bordiga non cercherà neppure di prendere contatto… con i “bordighisti”, tanto è ormai completo il suo volontario isolamento politico, che gli sarà rimproverato non solo dagli staliniani ma anche da taluni sui compagni di tendenza (Onorato Damen e seguaci), persino decenni dopo, in occasione di contrasti di impostazione politica e tattica fra varie correnti della “Sinistra Comunista” filo-bordighiana italiana.
Tornando ai “tre” e a Ignazio Silone, al di là della moderna polemica storiografica sull’identificazione, più o meno provata a seconda delle interpretazioni, di Silone quale, ormai da tempo, informatore della polizia fascista (tesi sostenuta dagli storici Biocca e Canali, ottimi collaboratori di “Nuova Storica Contemporanea”, e tuttavia contestata da altri), la questione “Silone e i tre” rappresenta un momento rilevante che rende evidente il momento storico complesso nella vita del Partito Comunista d’Italia. Momento che corrisponde alla prima fase dell’epoca della clandestinità in cui il Regime ha spinto i comunisti e tutte le altre forze antifasciste e che coincide strettamente con il cosiddetto “terzo periodo” (quello settario ed estremista) della Terza Internazionale Comunista di Stalin.
Eppure, dopo la definitiva espulsione della “nuova opposizione interna”, sarà proprio il Togliatti a cercare di recuperare Secondino Tranquilli – alias Silone e a tentare di metterlo contro “i tre”, scrivendogli: “ non solo ti differenzi a fondo dal gruppetto degli espulsi ma sii d’aiuto al Partito nella lotta contro di essi”.
Se qualcuno aveva pensato che i provvedimenti contro i dissidenti avrebbero indotto taluno di loro a capitolare, presto dovra’ patire una cocente delusione. Neppure Silone, infatti, risponderà alle speranze di Palmiro Togliatti.
Celebre è, poi, la fermissima reazione di Pietro Tresso: “ Sulle questioni organizzative affermo che oggi si lavora secondo il piano stabilito da me in gennaio, il che significa un fallimento della linea stabilita allora nel Comitato Centrale. Inoltre ritengo che le decisioni del CC di marzo sono state una caduta nell’opportunismo mascherata da frasi di sinistra. Sul compagno Ercoli ritengo che egli è sempre stato fermissimo nel tentennare. Ho detto che avrei lottato per le mie posizioni nel Comitato Centrale se il Partito me lo permetteva, fuori del CC se il Partito vuole così. Ora aggiungo che sono disposto a lottare per esse fuori del partito. ”
Liquidati dal PCI, i “tre” si avvicineranno progressivamente sempre di più, per tutta una tempestosa fase politica, all’Opposizione Internazionale di Sinistra allo stalinismo, guidata dall’esule sovietico Leone Trotzky.
Pierre Naville, come ci ricorda Giorgio Bocca nella sua biografia di Togliatti, “ [i] che allora lavorava alla *Veritè* [organo dei trotzkysti transalpini – nota di pfb]” rammenterà quanto segue circa “i tre” dissidenti italiani espulsi dal PCI: “ Il più attivo e intelligente era Pietro Tresso. Venne da noi, credo nell’aprile, e ci chiese se avremmo potuto pubblicare le notizie riguardanti il Partito italiano che la direzione stalinista si rifiutava di pubblicare sulla stampa del PCI. Ricordo che sia Tresso che Leonetti ci passarono parecchi scritti. La loro collaborazione divenne regolare dopo l’espulsione. L’odio del Partito italiano verso i tre crebbe nella misura in cui, servendosi de *La Veritè*, sottoponevano a critica severa l’operato del partito. ”.
E’ però anche vero che alcuni aspetti non secondari delle critiche formulate dai “tre dissidenti” (e da Silone) alla politica del Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano sono, di fatto, condivisi, in carcere, da uomini che conservano invece opinioni sostanzialmente “ortodosse” sul ruolo di Trotzky e del trotzkysmo, relativamente al dibattito nel partito bolscevico post-leniniano e nella Terza Internazionale.
Tra questi dirigenti comunisti spiccano le figure di Antonio Gramsci e di Umberto Terracini.
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