Il Gazzettino Giovedì, 16 Giugno 2005
IMMIGRAZIONE, I PERCHÉ DELLA VIOLENZA
di SERGIO FRIGO
A leggere i giornali di questi tempi sembra che gli immigrati abbiano egemonizzato la cronaca nera, e occupato stabilmente i luoghi del crimine e della punizione. La popolazione carceraria è per quasi il 40\% straniera, e il tasso di incarcerazione degli immigrati è pari a 17 volte quello degli italiani. Per i reati legati alla prostituzione le denunce di stranieri raggiungono addirittura il 65\% del totale. Ovvio che molti cittadini italiani trovino insopportabile tutto questo, e sviluppino sentimenti non proprio amichevoli nei confronti degli immigrati.
Ma se ci capitasse per le mani un giornale (anche il nostro) di un centinaio di anni fa, troveremmo quasi ogni giorno notizie relative ad italiani coinvolti in risse, pestaggi, reati contro il patrimonio e contro la morale, in ogni angolo di mondo. Gli studiosi dell'emigrazione hanno osservato che nelle statistiche dei linciaggi, in America, gli italiani furono a lungo il secondo gruppo etnico, subito dopo i neri; mentre contestualmente il tasso medio di suicidi fra i nostri connazionali era il triplo che in Italia.
Ma perchè ai fenomeni migratori sembra essere sempre connaturato un così alto tasso di violenza? Per rispondere adeguatamente servirebbe lo spazio di un libro, qui dunque proveremo a fornire solo alcune indicazioni sommarie, a partire dalla considerazione ovvia che a imporsi sui media, da sempre, sono ovviamente le cattive notizie, e non la normalità e la positività dell'integrazione. E che la convivenza fra gruppi umani diversi non è mai una passeggiata.
Dunque: a emigrare sono soprattutto i maschi giovani, che in ogni popolazione (non solo umana) costituiscono il gruppo più portato alla trasgressione e all'affermazione, anche violenta, di sè; e sono questi i protagonisti della cronaca nera.
In secondo luogo: appare assodata l'esistenza di una spirale che dall'irregolarità porta alla clandestinità, quindi all'illegalità e infine alla criminalità; e con l'attuale legislazione in Italia è molto più facile entrare da clandestini, o diventarlo una volta nel nostro Paese, che non vivere da regolari.
E tutto questo mentre è altrettanto assodato (lo afferma il maggiore studioso di queste questioni in Italia, Marzio Barbagli, alla luce delle statistiche) che l'immigrato regolare ha più o meno la stessa propensione al crimine dell'autoctono.
Quindi ha ragione il ministro Pisanu quando lancia l'allarme clandestinità, un po' meno quando non va alla radice del fenomeno, cioè non risale la spirale di cui sopra. Da un governo infatti è lecito aspettarsi, quando servono, misure severe per contrastare il crimine; ma garantire la sicurezza ai cittadini richiede iniziative più articolate, inserite in un quadro più ampio della semplice repressione. Iniziative che guardino ben oltre i confini nazionali, e che combattano - prima di tutto con le armi della politica estera - l'illegalità prima che si presenti alle nostre frontiere.
In Italia, poi, occorre che all'immigrato sia reso più percorribile il percorso verso la regolarizzazione: il che non significa una politica di "frontiere aperte", che - almeno in ambito parlamentare - non persegue nessuno.
Significa piuttosto proporre allo straniero un preciso patto col Paese ospite, in cui siano esplicitati diritti e doveri, sia chiaro che chi sgarra pagherà duramente, ma anche che chi rispetta la legge avrà diritto, in tempi ragionevoli, di diventare a tutti gli effetti cittadino italiano, se lo vorrà. L'illegalità è l'ultima spiaggia di chi non ha nulla da perdere.
Infine chi ha responsabilità politiche dovrebbe avvertire la necessità di chiarire al Paese che diventare una società multietnica ormai non è una scelta, ma un destino, a cui non possiamo sfuggire; di spiegare che i benefici di un'immigrazione regolata e integrata sono superiori ai costi, peraltro pesanti, che a volte siamo chiamati a pagare; e di ricordare infine, a chi dopo fatti come quello di Besano urla più forte, che le responsabilità di un reato devono ricadere solo su chi l'ha compiuto, non sui suoi connazionali che si comportano bene.
Sergio Frigo