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  1. #1
    Silvioleo
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    Predefinito Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    di Giorgio Bianco - 17 giugno 2005
    Qualcuno ricorda chi ha scritto: «Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire agli utenti, con enorme crescita delle spese»? Ludwig von Mises? Milton Friedman? Qualche altro spietato fautore del «liberismo selvaggio» e dell'egoismo, insensibile alle deplorevoli condizioni di vita dei più poveri? Se qualcuno ha pensato questo, non potrebbe essere più lontano dal vero.

    L'artefice di queste considerazioni è nientemeno che Giovanni Paolo II, che le ha esposte nella Centesimus Annus. Nello stigmatizzare l'intervento diretto dello Stato e la deresponsabilizzazione della società, il defunto pontefice punta il dito sulla reale natura dell'assistenzialismo di Stato. Facendo leva sul sacrosanto senso di ingiustizia che la maggior parte di noi avverte constatando che vi sono cittadini ammalati che non ricevono assistenza medica adeguata, poveri che faticano a soddisfare finanche bisogni ritenuti elementari, giovani che arrancano alla ricerca di un lavoro, anziani cui fanno difetto i mezzi di sussistenza, l'ideologia welfarista è riuscita ad instillare nei più l'idea che lo Stato debba necessariamente fare ricorso alla coercizione per costringere chi produce reddito a darne una parte - che si suppone maggiore rispetto a quella che darebbe in assenza di costrizione - a scopi di assistenza.

    «Il nostro assistenzialismo - ha scritto Antonio Martino - è basato su una concezione paternalistica della povertà». Ignorando completamente il dato di fatto per cui i bisogni, le preferenze, le aspirazioni, variano da individuo a individuo, lo Stato si arroga il diritto di individuare alcuni bisogni arbitrariamente considerati «essenziali» e si assume il compito di fornire, spesso in maniera monopolistica, i relativi servizi all'intera collettività.

    A questo proposito, un altro grande economista, Sergio Ricossa, ha osservato che «a) è già difficile conoscere il proprio bene; b) è difficilissimo conoscere il bene altrui; c) è quasi impossibile realizzarlo, pur conoscendolo». Sembrano osservazioni banali. In realtà, come è suo stile, con l'aria di raccontarci ovvietà il professore torinese ci rivela una profonda verità, ovvero che la ridistribuzione in natura dei quattrini sborsati dai contribuenti per finanziare le strutture di welfare rappresenta innanzitutto una violazione della libertà di scelta: a parte il fatto che una ridistribuzione in moneta risulterebbe quasi certamente meno onerosa, anche a parità di costo si otterrebbe un risultato migliore dal punto di vista del benessere dei beneficiari, che sarebbero così liberi di scegliere la quota di spesa pubblica ricevuta secondo i propri soggettivi bisogni e desideri.

    Secondo la corrente legittimazione ideologica dell'assistenzialismo di Stato - che secondo una tesi largamente diffusa ma non universalmente accettata risalirebbe a Bismarck, che lo avrebbe introdotto nel 1881 per battere sul suo stesso terreno l'opposizione socialdemocratica - i destinatari del welfare sarebbero i poveri e i deboli, di cui si vorrebbero così alleviare le condizioni di indigenza e di insicurezza. In realtà, i risultati si sono dimostrati profondamente deludenti dal punto di vista dell'«efficienza ridistributiva», e accanto all'indiscutibile desiderabilità degli obiettivi si sono palesati tali risvolti di ingiustizia da far dubitare del fatto stesso che gli autentici beneficiari dello Stato sociale siano, come vuol farci credere il ceto burocratico, i bisognosi e i meno fortunati. Qui, e in successivi interventi, si inizierà ad analizzare alcuni di questi aspetti di inefficienza e di iniquità, per poi interrogarsi su due punti fondamentali: se il welfare sia riformabile, e se esistano valide alternative all'assistenzialismo statale.

    Spesso, alle critiche rivolte allo Stato sociale e alla sua iniquità e inefficienza viene contrapposta l'accusa di «egoismo» o la taccia di servirsi di argomenti pretestuosi per mascherare gli interessi dei più abbienti. Il tutto, in nome di concetti i cui nomi suonano profondamente nobili, come «solidarietà» e «uguaglianza». Bellissima cosa, la solidarietà, ma coloro che ritengono debba passare attraverso le strutture statali del welfare dimenticano alcune verità molto semplici: innanzitutto, affinché ci sia davvero solidarietà, bisogna essere almeno in due. Vale a dire, la vera solidarietà è un patto, e richiede che vi sia qualcuno che la offre e qualcuno che la desidera e la accetta. In secondo luogo, coloro che difendono l'assistenzialismo di Stato, facendo appello a categorie morali come egoismo e solidarietà, dimenticano che la moralità deve necessariamente andare di pari passo con la libertà. Un atto è morale se è libero; un gesto di solidarietà è tale se volontario e non coatto.

    Ora, il fatto che il welfare state consista, di fatto, in una «solidarietà» obbligatoria, imposta per legge da burocrati pubblici a contribuenti inermi, dovrebbe essere sufficiente a dimostrare l'estraneità del meccanismo alla vera moralità. Alcuni, consapevoli di questo, cercano di legittimare quello che di fatto è un prelievo forzoso dalle tasche dei contribuenti per beneficiare, altrettanto forzosamente, alcune categorie rispetto alle altre, ricorrendo a una sorta di «moralità alla Robin Hood»: è comunque giusto togliere ai ricchi, con la forza, per dare ai poveri. A parte il fatto che il bersaglio di Robin Hood non erano «i ricchi» ma lo sceriffo di Nottingham, che faceva anche da esattore delle tasse, e a cui il leggendario personaggio sottraeva il frutto dei suoi prelievi fiscali per restituirlo ai contribuenti, anche chi legittima il welfare sulla base della dubbia moralità per cui un furto ai danni di un ricco è «meno furto» di uno ai danni di un povero, si illude clamorosamente.

    Ci si scorda, infatti, che le attuali strutture di welfare hanno carattere «universalistico»: da un lato il costo grava su tutti, anche sui contribuenti più poveri, dall'altro si segue un criterio di elargizione universale, per cui i benefici sono spesso conferiti a tutti, anche a coloro che non sono poveri. «Il presupposto teorico - scrive Ricossa - è che i ricchi paghino per i poveri. La conseguenza pratica è che, più spesso di quanto non si creda, i poveri pagano per i ricchi. Il fisco, un bandito che non è mai stato il Robin Hood della foresta di Sherwood, è diventato oggi, in Italia e altrove, il Robbing Hood del regno di Id: mi riferisco a un classico, i fumetti di Parker e Hart». O, per usare un esempio maggiormente familiare ai più, il Superciuk nemico storico di Alan Ford e del gruppo T.N.T. Solo i benestanti e i ricchi, infatti, possono permettersi di pagare due volte gli stessi servizi, e sono liberi di optare per la fornitura privata o per quella pubblica (possono, per esempio, curarsi in clinica o mandare i figli alla scuola privata, ma possono anche usufruire di ospedali e scuole statali, in quanto tali finanziati anche con i soldi dei contribuenti più poveri).

    Risulta evidente, allora, che il passaggio dall'attuale criterio universalistico ad uno selettivo, che beneficiasse soltanto chi si trova in condizioni di reale e provata indigenza, riducendo considerevolmente il numero dei beneficiari, consentirebbe di massimizzare le dimensioni dell'aiuto offerto a chi ne ha realmente bisogno, oppure di ridimensionare la portata della spesa assistenziale e del relativo prelievo fiscale.

    Occorre inoltre tenere ben presente che lo Stato assistenziale, anche nel caso di una ridistribuzione più efficiente di quanto prelevato dalla borsa dei contribuenti, ha un costo suo proprio, che è indispensabile coprire per assicurarne il (buono o cattivo) funzionamento. Questo significa, come scrive Antonio Martino, che «lo Stato assistenziale costa enormemente più di quanto rende»: dal momento che distribuire benefici alla collettività sotto forma di «servizi sociali» comporta anche notevoli costi di trasferimento, è evidente che la collettività riceve sempre e comunque dallo Stato meno di quello che ha dovuto pagare. E dal momento che i costi di trasferimento aumentano con il crescere delle dimensioni dei programmi assistenziali, la differenza tra il costo dell'apparato di welfare e i benefici resi da questo alla collettività aumenta con il crescere dell'assistenzialismo.

  2. #2
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    Predefinito Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da Silvioleo
    di Giorgio Bianco - 17 giugno 2005
    Qualcuno ricorda chi ha scritto: «Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire agli utenti, con enorme crescita delle spese»? Ludwig von Mises? Milton Friedman? Qualche altro spietato fautore del «liberismo selvaggio» e dell'egoismo, insensibile alle deplorevoli condizioni di vita dei più poveri? Se qualcuno ha pensato questo, non potrebbe essere più lontano dal vero.

    L'artefice di queste considerazioni è nientemeno che Giovanni Paolo II, che le ha esposte nella Centesimus Annus. Nello stigmatizzare l'intervento diretto dello Stato e la deresponsabilizzazione della società, il defunto pontefice punta il dito sulla reale natura dell'assistenzialismo di Stato. Facendo leva sul sacrosanto senso di ingiustizia che la maggior parte di noi avverte constatando che vi sono cittadini ammalati che non ricevono assistenza medica adeguata, poveri che faticano a soddisfare finanche bisogni ritenuti elementari, giovani che arrancano alla ricerca di un lavoro, anziani cui fanno difetto i mezzi di sussistenza, l'ideologia welfarista è riuscita ad instillare nei più l'idea che lo Stato debba necessariamente fare ricorso alla coercizione per costringere chi produce reddito a darne una parte - che si suppone maggiore rispetto a quella che darebbe in assenza di costrizione - a scopi di assistenza.
    Chi "donerebbe" parte del proprio reddito "spontaneamente"?
    E se anche qualcuno lo facesse come sarebbe accettabile che la propria generosità venisse interpretata per "azione da fessi" da chi magari ha redditi tanto superiori?
    Non può che essere considerata come odiosa l'indifferenza del tanto ricco ed ingeneroso! Ovvia anche storicamente che i fessi ed i bisognosi più numerosi giunsero alla logica conclusione che dovesse essere obbligato anche l'ingeneroso e ricco che considera la solideratità "una sciocchezza"!!!

    «Il nostro assistenzialismo - ha scritto Antonio Martino - è basato su una concezione paternalistica della povertà». Ignorando completamente il dato di fatto per cui i bisogni, le preferenze, le aspirazioni, variano da individuo a individuo, lo Stato si arroga il diritto di individuare alcuni bisogni arbitrariamente considerati «essenziali» e si assume il compito di fornire, spesso in maniera monopolistica, i relativi servizi all'intera collettività.
    Questo può essere anche vero ma è anche vero che NIENTE E NESSUNO potrebbe offrire servizi di qualità e prezzi di livello di quelli che può offrire uno stato. Solo lo stato può GARANTIRE servizi di qualità in modo continuativo senza pretendere un ricavo!

    A questo proposito, un altro grande economista, Sergio Ricossa, ha osservato che «a) è già difficile conoscere il proprio bene; b) è difficilissimo conoscere il bene altrui; c) è quasi impossibile realizzarlo, pur conoscendolo». Sembrano osservazioni banali. In realtà, come è suo stile, con l'aria di raccontarci ovvietà il professore torinese ci rivela una profonda verità, ovvero che la ridistribuzione in natura dei quattrini sborsati dai contribuenti per finanziare le strutture di welfare rappresenta innanzitutto una violazione della libertà di scelta: a parte il fatto che una ridistribuzione in moneta risulterebbe quasi certamente meno onerosa, anche a parità di costo si otterrebbe un risultato migliore dal punto di vista del benessere dei beneficiari, che sarebbero così liberi di scegliere la quota di spesa pubblica ricevuta secondo i propri soggettivi bisogni e desideri.
    Torno a ricordare che in assenza di costrizioni la maggioranza dei "contribuenti", molti benestanti se non ricchissimi non avrebbero alcun interesse a contribuire nella redistribuzione del reddito. L'accentramento della ricchezza è un male GRAVISSIMO in una società davvero libera.
    Chi deteniene ricchezze in eccesso non è in generale motivato ad investimenti per accrescere una ricchezza ampiamente più che sufficiente per il rpoprio benessere.
    Dall'altro negare l'accesso al benessere da parte della maggioranza della popolazione non può che accrescere, rabbia, disperazione e contrasti che se portati alla espapserazione non possono che portare a reazioni violente.

    Come minimo la mancanza di politiche di ridistribuzione del reddito impediscono la crescita del mercato a quindi ad un impoverimento dell'intero paese.

    Insomma la politica di ridistribuzione del reddito garantendo beni e servizi di qualità GARANTITI per tutti è un bene inestimabile di una società che la rendono forte e potente!

    Secondo la corrente legittimazione ideologica dell'assistenzialismo di Stato - che secondo una tesi largamente diffusa ma non universalmente accettata risalirebbe a Bismarck, che lo avrebbe introdotto nel 1881 per battere sul suo stesso terreno l'opposizione socialdemocratica - i destinatari del welfare sarebbero i poveri e i deboli, di cui si vorrebbero così alleviare le condizioni di indigenza e di insicurezza. In realtà, i risultati si sono dimostrati profondamente deludenti dal punto di vista dell'«efficienza ridistributiva», e accanto all'indiscutibile desiderabilità degli obiettivi si sono palesati tali risvolti di ingiustizia da far dubitare del fatto stesso che gli autentici beneficiari dello Stato sociale siano, come vuol farci credere il ceto burocratico, i bisognosi e i meno fortunati. Qui, e in successivi interventi, si inizierà ad analizzare alcuni di questi aspetti di inefficienza e di iniquità, per poi interrogarsi su due punti fondamentali: se il welfare sia riformabile, e se esistano valide alternative all'assistenzialismo statale..
    La motivazione di molte inefficenze è da ricercare soprattutto nella incapacità "imprenditoriale" di molti amministratori pubblici. La qualifica di amministratore pubblico troppo spesso è dettata da ragioni di tipo politico più che imprenditoriale.
    Bisogna comunque osservare che in generale ove si è andato a privatizzare dei servizi (soprattutto in Italia) questi non sono migliorati di qualità e sono aumentati notevolmente di prezzo!
    La presenza dello stato con tutte le critiche del caso impone ai privati il mantenimento di prezzi concorrenziali ed una qualità migliore per poter attirare una clientela in cerca di qualità.
    Per cui il sistema migliore appare quello misto in cui stato e privati si fanno concorrenza con lo stato costretto a mantenere costi contenuti.

    Spesso, alle critiche rivolte allo Stato sociale e alla sua iniquità e inefficienza viene contrapposta l'accusa di «egoismo» o la taccia di servirsi di argomenti pretestuosi per mascherare gli interessi dei più abbienti. Il tutto, in nome di concetti i cui nomi suonano profondamente nobili, come «solidarietà» e «uguaglianza». Bellissima cosa, la solidarietà, ma coloro che ritengono debba passare attraverso le strutture statali del welfare dimenticano alcune verità molto semplici: innanzitutto, affinché ci sia davvero solidarietà, bisogna essere almeno in due. Vale a dire, la vera solidarietà è un patto, e richiede che vi sia qualcuno che la offre e qualcuno che la desidera e la accetta. In secondo luogo, coloro che difendono l'assistenzialismo di Stato, facendo appello a categorie morali come egoismo e solidarietà, dimenticano che la moralità deve necessariamente andare di pari passo con la libertà. Un atto è morale se è libero; un gesto di solidarietà è tale se volontario e non coatto.
    Dietro queste affermazioni è palese l'ipocrisia che vi è dietro ben consci che una solidarietà "volontaria" sarebbe insufficiente a tutti senza una forte "partecipazione" che in assenza di una profonda coscienza sociale nei ceti più benestanti non ci sarebbe!
    Ora, il fatto che il welfare state consista, di fatto, in una «solidarietà» obbligatoria, imposta per legge da burocrati pubblici a contribuenti inermi, dovrebbe essere sufficiente a dimostrare l'estraneità del meccanismo alla vera moralità. Alcuni, consapevoli di questo, cercano di legittimare quello che di fatto è un prelievo forzoso dalle tasche dei contribuenti per beneficiare, altrettanto forzosamente, alcune categorie rispetto alle altre, ricorrendo a una sorta di «moralità alla Robin Hood»: è comunque giusto togliere ai ricchi, con la forza, per dare ai poveri. A parte il fatto che il bersaglio di Robin Hood non erano «i ricchi» ma lo sceriffo di Nottingham, che faceva anche da esattore delle tasse, e a cui il leggendario personaggio sottraeva il frutto dei suoi prelievi fiscali per restituirlo ai contribuenti, anche chi legittima il welfare sulla base della dubbia moralità per cui un furto ai danni di un ricco è «meno furto» di uno ai danni di un povero, si illude clamorosamente.

    Ci si scorda, infatti, che le attuali strutture di welfare hanno carattere «universalistico»: da un lato il costo grava su tutti, anche sui contribuenti più poveri, dall'altro si segue un criterio di elargizione universale, per cui i benefici sono spesso conferiti a tutti, anche a coloro che non sono poveri. «Il presupposto teorico - scrive Ricossa - è che i ricchi paghino per i poveri. La conseguenza pratica è che, più spesso di quanto non si creda, i poveri pagano per i ricchi. Il fisco, un bandito che non è mai stato il Robin Hood della foresta di Sherwood, è diventato oggi, in Italia e altrove, il Robbing Hood del regno di Id: mi riferisco a un classico, i fumetti di Parker e Hart». O, per usare un esempio maggiormente familiare ai più, il Superciuk nemico storico di Alan Ford e del gruppo T.N.T. Solo i benestanti e i ricchi, infatti, possono permettersi di pagare due volte gli stessi servizi, e sono liberi di optare per la fornitura privata o per quella pubblica (possono, per esempio, curarsi in clinica o mandare i figli alla scuola privata, ma possono anche usufruire di ospedali e scuole statali, in quanto tali finanziati anche con i soldi dei contribuenti più poveri).
    Verissimo! L'obbiettivo è infatti quello di rendere "universali" certi servizi ESSENZIALI la cui presenza dello stato contribuisce a rendere accessibili a tutti!
    Scorretto infatti interpretare la tassazione come una sorta di punizione per alcune categorie di persone. Non è non deve ricoprire questo ruolo! Le tasse hanno solo il compito si mettere in comune delle risorse economiche cercando di danneggiare e pesare il meno possibile sul reddito dei cittadini.
    Da quì limportanza della progressività della tassazione perchè diverse percentuali hanno peso diverso su redditi diversi.

    Per cui la tassazione è giusto che abbia un peso minore per chi ha redditi minori. In apparenza questo potrebbe essere interpretato come un "contributo" del povero per servizi offerti anche al ricco in realtà si sta chiedendo un contributo al povero per un servizio che in ogni caso con il suo reddito e sicuramente con il suo contributo non potrebbe MAI permettersi!

    Beni INDISPENSABILI come istruzione e sanità!

    Risulta evidente, allora, che il passaggio dall'attuale criterio universalistico ad uno selettivo, che beneficiasse soltanto chi si trova in condizioni di reale e provata indigenza, riducendo considerevolmente il numero dei beneficiari, consentirebbe di massimizzare le dimensioni dell'aiuto offerto a chi ne ha realmente bisogno, oppure di ridimensionare la portata della spesa assistenziale e del relativo prelievo fiscale.
    Questo è quanto in effetti accade ad esempio per la sanità negli USA che viene assicurata solo ai redditi più bassi. Creando una disparità tra chi è povero, chi è ricco e chi non è nè ricco nè povero. Questi ultimi sono i veri deboli della catena che spesso non hanno assistenza sanitaria e che rischiano di morire per strada o di indebitarsi per una vita.
    Sono quelli che non sono poveri ma che non riescono ad assicurarsi le prestazioni private. L'assenza di una vera concorrenza tra stato e privato poi generano sperequazioni assurde con prezzi e limitazioni assurde per l'assicurato!
    Il voler poi ridurre ulteriormente il contributo alla solidarietà sociale ad esempio per sanità od istruzione significa peggiorare la qualità di servizi i cui costi sono già in molti casi ridotti all'osso.
    Qualcosa si può fare sul fronte dell'efficienza ma questo richiederebbe la eleiminazione della logica della lottizzazione degli incarichi pubblici che spesso vengono usati per "fare reddito" dai partiti politici. Una prassi che difficilmente si potrà cancellare di colpo!
    Occorre inoltre tenere ben presente che lo Stato assistenziale, anche nel caso di una ridistribuzione più efficiente di quanto prelevato dalla borsa dei contribuenti, ha un costo suo proprio, che è indispensabile coprire per assicurarne il (buono o cattivo) funzionamento. Questo significa, come scrive Antonio Martino, che «lo Stato assistenziale costa enormemente più di quanto rende»: dal momento che distribuire benefici alla collettività sotto forma di «servizi sociali» comporta anche notevoli costi di trasferimento, è evidente che la collettività riceve sempre e comunque dallo Stato meno di quello che ha dovuto pagare. E dal momento che i costi di trasferimento aumentano con il crescere delle dimensioni dei programmi assistenziali, la differenza tra il costo dell'apparato di welfare e i benefici resi da questo alla collettività aumenta con il crescere dell'assistenzialismo.
    In apparenza questo potrebbe sembrare vero però nella dinamica del mercato anche se i costi dello stato sono superiori occorre detrarre i margini di guadagno che lo stesso servizio se assicurato da enti privati dovrebbe garantire i quali compensano ampiamente i costi superiori di servizi che invece allo stato non devono necessariamente "rendere". Sarebbe già tanto se potessero pareggiare i conti offrendo qualche servizio aggiuntivo non indispensabile a pagamento come sta di recente avvenedo in alcuni ospedali!

    Saluti

  3. #3
    Silvioleo
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    Predefinito Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    inizi chiedendo chi donerebbe parte del proprio reddito spontaneamente...mi viene in mente il recente tsunami...coi messaggini le famiglie italiane hanno dato un contributo superiore a quello del magnifico,efficientissimo e generosissimo stato,dimostrando,come del resto accade molto spesso, che la solidarietà privata funziona eccome,a differenza di quella pubblica,i cui fallimenti sono davanti ai nostri occhi da decenni...ma a chi non vede questi fallimenti,a chi non vede le dimensioni del furto portato innanzi dallo stato nei nostri confronti per fornirceli,a chi non vede che di garantito c'è solo lo stipendio dei nostri politici,a chi non vede come questo sitema di welfare ci abbia tutti deresponsabilizzato,a chi parla di beni pubblici senza nemmeno sapere cosa sia un bene pubblico,ho davvero poco da dire...io mi arrendo,contento te...

  4. #4
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    Predefinito Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da Silvioleo
    inizi chiedendo chi donerebbe parte del proprio reddito spontaneamente...mi viene in mente il recente tsunami...coi messaggini le famiglie italiane hanno dato un contributo superiore a quello del magnifico,efficientissimo e generosissimo stato,dimostrando,come del resto accade molto spesso, che la solidarietà privata funziona eccome,a differenza di quella pubblica,i cui fallimenti sono davanti ai nostri occhi da decenni...ma a chi non vede questi fallimenti,a chi non vede le dimensioni del furto portato innanzi dallo stato nei nostri confronti per fornirceli,a chi non vede che di garantito c'è solo lo stipendio dei nostri politici,a chi non vede come questo sitema di welfare ci abbia tutti deresponsabilizzato,a chi parla di beni pubblici senza nemmeno sapere cosa sia un bene pubblico,ho davvero poco da dire...io mi arrendo,contento te...
    cioè fammi capire: lo Stato incamera i soldi dalle tasse ma non li eroga in servizi e provvidenza, che devono invece competere al buon cuore del privato, cioè di chi già paga lo Stato.
    Scommetto che invece il buono da 150 euro per il decoder non lo contesti

  5. #5
    Silvioleo
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    Predefinito Re: Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da DrugoLebowsky
    cioè fammi capire: lo Stato incamera i soldi dalle tasse ma non li eroga in servizi e provvidenza, che devono invece competere al buon cuore del privato, cioè di chi già paga lo Stato.
    Scommetto che invece il buono da 150 euro per il decoder non lo contesti
    non hai capito una mazza,lo stato finirebbe fuori dalle balle,fosse x me...e certo che contesto il buono per il decoder,ci ho aperto su anche dei 3d...ma si sa,voi leggete silvio e il banana esce fuori automaticamente...perchè voi siete quelli che non portano il cervello all'ammasso...

  6. #6
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    Predefinito Re: Re: Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da Silvioleo
    non hai capito una mazza,lo stato finirebbe fuori dalle balle,fosse x me...e certo che contesto il buono per il decoder,ci ho aperto su anche dei 3d...ma si sa,voi leggete silvio e il banana esce fuori automaticamente...perchè voi siete quelli che non portano il cervello all'ammasso...
    guarda che invece ho capito benissimo il tenore del 3d.
    Il decoder l'ho messo in mezzo perché sulle cazzate fate gli ultraliberisti darwiniani, ma se si tratta di certi interessi, allora una pesantissima protezione statale con tanto di foraggiamento erariale è giusta, secondo voi.
    Liberali yemeniti.

  7. #7
    Silvioleo
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    Predefinito Re: Re: Re: Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da DrugoLebowsky
    guarda che invece ho capito benissimo il tenore del 3d.
    Il decoder l'ho messo in mezzo perché sulle cazzate fate gli ultraliberisti darwiniani, ma se si tratta di certi interessi, allora una pesantissima protezione statale con tanto di foraggiamento erariale è giusta, secondo voi.
    Liberali yemeniti.
    non eri quello che non scriveva mai qui te???

  8. #8
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    Predefinito Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da Silvioleo
    non eri quello che non scriveva mai qui te???
    rispondi nel merito del decoder. Tu che sei ultraultralibberisssta, ritieni commendevole che l'acquisto di un decoder per vedere Mediaset in digitale terrestre debba ricadere come onere al 75% sulle casse dello Stato?

  9. #9
    Silvioleo
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    Predefinito Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Assistenzialismo di Stato: Robin Hood o Robber Hood?

    In origine postato da DrugoLebowsky
    rispondi nel merito del decoder. Tu che sei ultraultralibberisssta, ritieni commendevole che l'acquisto di un decoder per vedere Mediaset in digitale terrestre debba ricadere come onere al 75% sulle casse dello Stato?
    1 rispondo a cosa cazzo mi pare
    2 ti ho già detto che ho affrontato l'argomento in altri 3d da me aperti,cercateli.

  10. #10
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    vabbè, in effetti sbaglio io a postare qui e pretendere pure una risposta logica da te.

 

 
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