Il Senatore Samurai
La voce non ferma e stentorea, ma incerta e tremante. Il gesto non largo e tribunizio, ma impedito e patetico. Soprattutto, l’uomo non più solo sul palco - forza maschia e maschilista, icona del «celodurismo» - ma uomo-marito con la sua donna accanto: una moglie-crocerossina, angelo del palco oltre che del focolare... Questo lo straordinario spettacolo che è andato in scena all'appuntamento di Pontida, dove il popolo leghista ha ritrovato il proprio capo carismatico. E tutto era come prima, il «Senatùr», le camicie verdi, le bandiere, gli slogan, gli applausi, il sudore, gli hot-dog, le canottiere. Salvo che niente era come prima.
Niente più poteva essere come prima, perché i quindici mesi intercorsi dall'11 marzo 2004 hanno rappresentato, nella prospettiva psicologica della Lega e del suo leader, un dantesco contrappasso. Gli interpreti della cultura politica più aggressiva - quella di chi è forte con i deboli, sprezzante con i fragili, ostile con i diversi - hanno dovuto fare i conti, attraverso il purgatorio fisico di Umberto Bossi, con la fragilità e la diversità.
Avevano un bel dire, certi «lumbard», che Bossi resta il loro Giulio Cesare. Ci ha pensato poi la televisione a portare nelle case degli italiani l'immagine di un uomo moralmente tanto coraggioso quanto fisicamente diminuito. Impossibile negare l'evidenza: incarnatosi per vent'anni nel corpo di Bossi, il celodurismo della Lega si è rovesciato nel suo sofferto contrario. Avevano un bel diffondere, gli attivisti in camicia verde, fac-simile di banconote da 500.000 lire con l'effigie di un Bossi giovane e quasi bello. Purtroppo, la condizione del loro leader era rispecchiata dai primi piani.
Niente più poteva essere come prima anche per un'altra ragione: perché nel frattempo se ne è andato papa Wojtyla, e perché ha scelto di morire nella maniera in cui è morto. Al di là delle differenze di contesto spaziale, di impatto mediatico, di rilievo storico, la rappresentazione stra-padana messa in scena domenica sarebbe stata impensabile senza la rappresentazione sacra della domenica di Pasqua. In un caso come nell'altro, la scelta non è stata quella di nascondere il corpo carismatico nel momento in cui questo - aggredito dalla malattia - si rivela irrimediabilmente fragile. La scelta è stata, al contrario, fare del limite una risorsa: esibendo urbi et orbi un corpo piagato, ma non piegato.
Ci troviamo di fronte a un modo nuovo di interpretare (e comunicare) il rapporto fra due dimensioni del personaggio carismatico: la fisicità e la spiritualità. Nel Novecento, le religioni politiche - totalitarie o democratiche - hanno riconosciuto un nesso obbligato tra il vigore di un corpo e la bontà di un'idea; oppure, viceversa, tra il disagio della malattia e la crisi di un'ideologia. Mens sana in corpore sano , si insegnava nell'Italia di Mussolini: e il Duce vietava ai giornalisti di fare menzione del suo compleanno. Ma ancora cinquant'anni dopo, nella Francia di François Mitterrand, il presidente della Quinta Repubblica poteva nascondere ai francesi la propria condizione di malato terminale di cancro.
Oggi le cose della politica sembrano presentarsi in maniera opposta. Mens sana in corpore valetudinario? Senza enfatizzare all'eccesso l'importanza della balbettante apoteosi di Bossi, vale la pena di notare questi segnali di rivincita della malattia sulla salute, della sofferenza sulla potenza, della pietà sull'irrisione. A
Pontida, palestrati fanatici del wrestling si scioglievano in lacrime davanti alla gracile figura di un uomo che ha visto l'erba dalla parte delle radici.
Sergio Luzzato
20 giugno 2005
Bravo Luzzato! Complimenti!