SAN ANTONIO (Texas, Usa), 22 giugno 2005 – Non sentono la pressione, non sanno cosa sia la paura, non hanno la minima percezione del pericolo, ma non sono incoscienti, solo una squadra come forse non ce ne sono mai state in passato. I Detroit Pistons non hanno il talento degli Spurs, non hanno Duncan o Ginobili, ma un cuore che non si può misurare se non rapportandolo alla grandezza delle loro vittorie. Avremo gara-7, la aspettavamo da 11 anni. E’ arrivata grazie alla straordinaria volontà dei ragazzi di Motown e di un Rasheed Wallace che non voleva andare in vacanza con il peso sulle spalle di un titolo buttato al vento per una sua fesseria, un “bonehead play” nelle parole del diretto interessato. Sheed ha preso per mano la squadra sin dalla palla a due, l’ha sospinta anche quando era in panchina per problemi di falli, urlando e tifando come il più scatenato dei tifosi. E poi ha respinto l’ultimo assalto di San Antonio con una tripla, un rimbalzo offensivo e un canestro nel finale che hanno cancellato, o quantomeno rimandato, la parata degli Spurs prevista per giovedì lungo il Riverwalk.
L’avevano scritto sulla lavagna nello spogliatoio, coach Brown lo aveva ricordato prima di prendere la strada del parquet: “Spurs parade, thursday afternoon”. Un messaggio chiaro e forte, un passo troppo lungo, come il sinistro presagio che ti accarezzava la pelle infilandoti nei labirinti dell’Sbc Center e imbattendoti in una montagna di t-shirt con la scritta “Spurs campioni Nba 2005”. Ti veniva subito in mente il Trap e il famoso gatto… In campo si lottava con giudizio da una parte, con fatica e idee spesso confuse dall’altra. Detroit trovava tanti tiri da tre a bersaglio (8) quanti ne aveva infilati nelle 5 precedenti sfide. Merito della pazienza in attacco di un grandissimo Billups e dei rimbalzi offensivi al momento giusto, soprattutto quelli di Prince nel quarto periodo. Punto a punto, battito di cuore accelerato sempre di più con il passare dei minuti, con i secondi che scorrono troppo in fretta o non passano mai, a seconda che indossi una o l’altra maglia. Una partita memorabile, con 23 cambi di leadership e 11 pareggi. Con Duncan stranamente molle in difesa e spesso indeciso anche in attacco, che si fa sfilare sulla linea di fondo Hunter per un facile lay up, non cose da lui. Con Horry che trova un paio di triple ma non la straordinaria efficacia di gara-5. Con Ginobili che va oltre le righe quando più conta, finendo con lo sbagliare le azioni che condannano San Antonio.
Dall’altra parte Hamilton (23) e Billups (21) tenevano in piedi la baracca quando Sheed si sedeva con 4 e poi 5 falli. McDyess era prezioso, così come Ben Wallace. Ma alla fine era proprio il dannato di gara-5 a regalarci gara-7. Gli Spurs chiudono fallendo gli ultimi 7 tiri dal campo. E adesso la pressione è tutta su di loro. Anche se nessuno nella storia delle finali Nba ha mai vinto le ultime due partite in trasferta. Ma nessuno aveva il cuore di questi Pistons.