Continua inesorabilmente ad aumentare il numero dei divorzi, ecco ripescato quindi per voi un articolo di un anno fa di Guglielmo Piombini, che affonta mirabilmente l'argomento nel mentre presenta un testo sull'argomento. Buona lettura.
Nel 2010 compirà 40 anni la legge Fortuna-Baslini che legalizzò il divorzio, quella “conquista civile” che, secondo la cultura dominante, ha proiettato il nostro paese nella modernità. Tra i pochi guastafeste che si permettono di mettere in dubbio la retorica celebrativa ufficiale ha fatto sentire la propria voce un avvocato bolognese, Massimiliano Fiorin, che, forte della sua esperienza professionale, descrive in un libro appena pubblicato, La fabbrica dei divorzi. Il diritto contro la famiglia (San Paolo, p. 303, € 18,00), la tragica e largamente sottaciuta realtà delle separazioni coniugali e dell’affidamento dei figli in Italia.
Originariamente, ricorda Fiorin, il divorzio era stato presentato come un rimedio per i casi più estremi di disaccordo coniugale, ma col passar del tempo si è andata formando una vera e propria “fabbrica dei divorzi”, manovrata da magistrati, avvocati, consulenti e assistenti sociali, che spinge alla rottura della famiglia alla minima difficoltà, e dalla quale è quasi sempre il padre a uscirne con le ossa rotte, sia finanziariamente che riguardo il rapporto con i figli. Questa micidiale macchina distruggi-famiglia messa in piedi dallo Stato divorzista ha fatto letteralmente esplodere il numero delle separazioni e dei divorzi, che ultimamente hanno toccato il record storico, con un incremento rispettivamente del 57,3% e del 74 % rispetto a dieci anni fa. Il sistema giuridico, infatti, sembra fatto apposta per favorire il coniuge che decide di rompere l’impegno matrimoniale, anche quando mancano del tutto delle serie ragioni.
Tra i principali alleati del divorzismo di massa Fiorin indica lo Stato assistenziale, la cui espansione abnorme a partire dagli anni Sessanta ha finito per determinare un vero e proprio esproprio statale delle funzioni svolte un tempo dalla famiglia. Nelle aspettative delle nuove generazioni, infatti, il mito dello Stato sociale “dalla culla alla bara” si è sostituito alla tradizionale funzione di garanzia e protezione della famiglia, e per tale motivo le giovani coppie non percepiscono più la stabilità della famiglia e i figli come un investimento sul futuro, particolarmente sulla vecchiaia. Ne è seguito il calo del numero dei matrimoni, il crollo delle nascite e, in prospettiva, il collasso economico dello Stato assistenziale, irrimediabilmente minato dalla riduzione della popolazione attiva e dall’invecchiamento della società.
Lo sfascio delle famiglie e il crollo delle nascite non sono stati però gli unici frutti amari dell’ideologia divorzista. La fabbrica dei divorzi, che prometteva libertà e felicità per tutti, ha prodotto, nelle parole di Fiorin, dei veri e propri “oceani di disperazione”: innanzitutto nei figli, dato che gli operatori della fabbrica dei divorzi proprio non riescono a comprendere che l’unico vero interesse dei figli sarebbe che i genitori rinunciassero a separarsi, almeno fino a che essi non saranno adulti.
Ma non meno atroci sono le sofferenze patite da moltissimi uomini separati, che da un giorno all’altro, dopo aver ricevuto l’atto giudiziario della moglie che chiedeva la separazione, hanno perso tutto: moglie, figli, casa, beni, salute, dignità, in situazioni di palesi ingiustizie avallate dai tribunali imbevuti di ideologia femminista, che malgrado l’approvazione della legge sull’affido condiviso nel 2006 continuano a privilegiare in ogni modo la madre.
Non c’è da meravigliarsi, allora, dell’alto tributo di sangue richiesto dalla fabbrica dei divorzi. Secondo la stime riportate da Fiorin, nell’ultimo decennio i morti per la violenza connessa alle esigenze della logica divorzista sono stati più di un migliaio. I suicidi legati a separazioni o divorzi, dal 2000 al 2005, sono stati più di 250, e nel 75 % dei casi hanno riguardato persone di sesso maschile. A queste tragedie bisogna aggiungere le frequenti e gravi sindromi psicopatologiche che colpiscono sia i coniugi in crisi, sia i loro figli, e in molti casi coinvolgono terze persone, soprattutto tra i parenti e i conoscenti dei diretti interessati.
In tutto l’Occidente risulta sempre più chiaro che il matrimonio risolvibile unilateralmente sia stato un esperimento fallito, perché ha portato la società a una situazione non sostenibile nel lungo periodo. Le persone comuni non possono affrontare un simile modello, e la società nel suo insieme nemmeno.
Le legislazioni e le pronunce giudiziarie divorziste emanate a partire dagli anni Sessanta nei paesi occidentali non assicurano infatti a chi si sposa che il coniuge rimarrà fedele al suo impegno. Davanti a tanto sfascio le giovani generazioni di paesi dove questo processo è andato più avanti hanno cominciato a rivendicare il diritto di potersi sposare con norme che garantiscano la vita alla famiglia, e non la sua distruzione. In alcuni stati americani (Louisiana, Arkansas, Arizona) è già possibile contrarre un matrimonio indissolubile molto simile a quello cattolico, detto covenant marriage.
Tra i suoi promotori più convinti vi sono non solo i cristiani, ma anche i libertarians, da sempre favorevoli alla possibilità di organizzare la propria sfera di intimità secondo i propri desideri e convinzioni.
La società occidentale, conclude Fiorin, non troverà mai una via d’uscita rispetto ai guasti e alle sofferenze prodotte dal divorzismo se prima non sarà riuscita a restituire centralità e onore alla figura paterna, che oggi è la parte più debole di tutto il sistema divorzista, quella verso la quale ci si può accanire senza troppi complimenti.
Sulla necessità di rivalutare la figura paterna nella nostra società Fiorin si ispira espressamente alle idee del noto psicoterapeuta Claudio Risè, che è l’autore della prefazione. Dove il padre è ancora presente, infatti, non arriva la disgregazione portata dal divorzio. Laddove invece le famiglie si sbriciolano è perché il padre si assentato, oppure, assai più spesso, perché è stato contestato, spodestato, svilito e messo in condizione di non potersi opporre.