Introduzione

Col presente elaborato, mi prefiggo lo scopo di trattare della fede, così come teologicamente viene considerata, ovvero nei suoi due diversi momenti: come dono della Rivelazione, da parte di Dio, e come risposta dell'uomo alla Rivelazione.
Inoltre verranno prese in considerazione anche quelle fattispecie che costituiscono azioni contrarie alla fede stessa, specificando anche gli effetti che provocano: la pericolosità delle stesse prevede che di esse vi sia una conoscenza approfondita, per evitarle. Nell'esposizione, sarà frequente il ricorso alla S. Scrittura e alla Tradizione, per suffragare le tesi che verranno esposte. Infine mi soffermerò particolarmente sul particolare valore personalista che l'atto di fede riveste, in armonia col pensiero teologico ispirato dal Concilio Vaticano II.

La fede come dono di Dio
L'insegnamento scritturistico, magisteriale e tradizionale della Chiesa Cattolica, presenta la fede in senso soprannaturale ed umano. Essa, soprannaturalmente è delineata come un rapporto vivo con Dio, che impegna l'uomo completamente nel suo comportamento esteriore e nella sua vita interiore, mentre umanamente essa è una risposta di obbedienza dell'uomo alla rivelazione divina, consistente in una adesione a Dio, il quale si autocomunica.
Il concilio Vaticano I, da questa definizione sulla fede: " è una virtù soprannaturale mediante la quale, con la grazia di Dio che ispira ed aiuta, crediamo vere le cose da Lui rivelate, non perché la verità delle cose sia evidente alla ragione naturale, ma per l'autorità di Dio che le rivela, il quale non può ingannarsi ne ingannare" . Da ciò risulta che la fede è un puro dono di Dio, una grazia. Se Dio non si aprisse all'uomo, attirandolo a sé, credere, e quindi salvarsi, sarebbe impossibile .
Emergono dalla definizione del Concilio Vaticano I, i concetti di credibilità e di credentità, come caratteri distintivi della verità: La credibilità è infatti l'attitudine di una verità ad essere creduta, per l'autorevolezza della fonte (Dio) e dei segni certissimi che la dimostrano, mentre la credentità è il carattere per cui una verità non solo è credibile, ma deve essere creduta (credenda est) in quanto imposta al nostro assenso dall'autrorità di Dio, che non può ingannarci. Questi caratteri, mostrano l'effettiva dipendenza da Dio: se riducessimo la fede ad un'opera umana, otterremmo ancora quel "gloriarsi" che pone un diaframma tra l'uomo e Dio. "Siete salvi per grazia […] ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio" (Ef 2,8); "Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira" (Gv 6, 44). Una adesione solo umana, si conclude in un triste abbandono (Gv 17, 12). Riconoscendo invece la fede quale dono di Dio, l'uomo è in grado di affermare la propria radicale incapacità di salvarsi "da sé": san Tommaso affermava ad esempio, che i giudei non sono inescusabili per avere rifiutato di riconoscere le azioni visibili di Cristo, ma per avere contrastato l'istinto interiore, e l'attrazione della dottrina.
Il dono di Dio può essere infatti considerato sotto un duplice aspetto, come due momenti costitutivi: esso è una rivelazione esteriore, ossia una manifestazione fattaci da Dio di una verità, in modo pubblico, quando Dio si rivolge a tutti gli uomini, per il bene dell'intera umanità, o privato, quando si rivolge ai singoli (anche se da ciò scaturisce il bene di molti), come ad alcuni Santi, in modo immediato, quando Dio si rivolge direttamente agi uomini per mezzo di un Angelo o da Sé, oppure mediata, quando si rivolge a noi per mezzo di uomini, come i profeti, ed una rivelazione interiore, ossia una illuminazione della nostra mente in modo soprannaturale, per permetterci di essere capaci di tale verità. Questa attrazione, questa illuminazione soprannaturale che si verifica internamente è detta "abito della fede". In relazione alla rivelazione esteriore, l'abito è subordinato quanto al contenuto della fede, poiché esso è determinato dalla rivelazione esteriore: l'abito non arricchisce la fede, ma dispone a conoscere il contenuto della rivelazione esteriore. Dunque l'abito possiede un primato sulla rivelazione esteriore, in quel che concerne l'accettazione da parte dell'uomo dei contenuti della verità rivelata .


L'abito della fede

San Tommaso d'Aquino parla della fede, come di un istinto interiore, della mente. L'istinto, in sè è una tendenza naturale delle facoltà di essere attratte dai loro oggetti. Per così dire dunque, l'intelletto è naturalmente attratto dalla conoscenza. Tuttavia la fede, come istinto, è donato da Dio, e non appartiene all'uomo. Essa, come si è detto, è un dono soprannaturale. La necessità di questo dono è evidente: l'istinto naturale, proprio dell'uomo, può conoscere le verità di ordine naturale; le verità di ordine soprannaturale sono inaccessibili ad un intelletto mosso unicamente da un istinto naturale, vale a dire, che questo istinto solo umano non ha la capacità di attrarre la conoscenza del sovrumano. Ci troviamo infatti di fronte ad un divario di nature, quella umana e quella soprannaturale. Il dono di Dio opera pertanto in tal senso. L'abito della fede consiste in una connaturalizzazione dell'intelletto umano con l'ordine superiore delle verità soprannaturali, in modo che esse possano essere attratte. In ciò si attua ciò che ho descritto col terrmine credentità. L'abito attrae all'intelletto come da credersi il contenuto credibile fornito dalla rivelazione esterna.
L'abito della fede, come illuminazione, che permette di connaturalizzare la mente alle verità superiori, è indispensabile, come afferma il Concilio di Orange II "[non è possibile credere] senza l'illuminazione e l'ispirazione dello Spirito Santo" .
E' bene sottolineare, tuttavia che la connaturalizzazione, permette di conoscere la rivelazione esteriore, ossia il contenuto, ma non è esso stesso un arricchimento di contenuti. Due momenti di una stessa realtà, che tuttavia possono darsi anche separatamente: è possibile conoscere il contenuto della rivelazione, ma non prestarvi alcun assenso, così come è possibile avere l'abito della fede, senza conoscere il Vangelo.
Il Concilio di Trento infatti afferma che la virtù della fede è infusa nell'anima, insieme con la grazia abituale (e le altre virtù: speranza e carità), nel momento stesso della giustificazione. L'anima diventa giusta quando riceve la vita divina, quando cioè col Battesimo è cancellato il peccato originale, o colla Riconciliazione si ricompone la comunione con Dio, rotta dal peccato mortale. L'anima giusta riceve così oltre alla grazia abituale (la grazia propria dell'anima, che rende figli di Dio), la fede e le altre virtù teologali, e i doni dello Spirito Santo. La fede è pertanto fondamento e radice di tutta la giustificazione .

La fede come risposta dell'uomo: l'atto di fede

La risposta dell'uomo alla rivelazione, è il credere. Secondo Weiser "la fede è una reazione all'azione primaria di Dio" : tale gesto umano, di risposta, è chiamato "atto di fede". Credere infatti è un atto dell'intelletto che dà assenso alla verità divina sotto il comando della volontà, mossa da Dio per mezzo della grazia. Dunque per credere, o per compiere un atto di fede, sono necessari tre elementi: la grazia, l'intelligenza e la volontà.
L'aiuto soprannaturale della grazia, come si è visto non solo è necessario nell'atto di fede, ma gli è anche antecedente, come azione soprannaturale di connaturazione che permetta di dare un assenso positivo al giudizio di credentità attraverso i criteri di credibilità, suscitanto un "pio affetto di credere". A maggior ragione occorre una grazia, che è detta medicinale, per emettera l'atto di fede. Essa rimuove il buio e l'errore dall'intelligenza e le cattive inclinazioni dalla volontà, come attesta il già citato Concilio di Orange II: "Corregge la nostra volontà dalla infedeltà alla fede, dalla empietà alla pietà". E' una grazia elevante, che ci innalza ad un ordine superiore avviandoci a farci partecipi della vita divina, che sulla terra già si prefigura quando alla fede si unisce la carità. Tale grazia accompagna, poiché una volta emesso l'atto di fede è necessaria la grazia di Dio per conservarlo, illumina l'intelletto indirizzandolo alla verità, e ispira la volontà affinchè essa dia il suo assenso.
Alcuni protestanti giudicano la fede un atto della sola volontà, chiamandola "fiducia". Anche i modernisti la considerano di ambito della volontà, ritenendola una tendenza o un senso religioso inconscio. Invece la fede è un atto che propriamente scaturisce dall'intelligenza, essendo un assenso alle verità rivelate. Infatti la verità è oggetto dell'intelligenza, poiché è atto di conoscere: poiché oggetto della fede sono le verità rivelate, anch'esse sono oggetto dell'intelligenza. La Scrittura conferma l'intelligenza nell'atto di fede: san Pietro risponde a Cristo che la fede è conoscenza "Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio" (Gv 6, 70); inoltre san Giovanni dice "E' questa la vita eterna, che conoscano te, vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3); san Paolo infine afferma "assoggettiamo qui ogni intelletto all'obbedienza di Cristo" (2Cor 10, 5). La tradizione conferma: ad esempio s. Giovanni Crisostomo (In Haebreos) dice: "La fede è opera dell'intelligenza, perciò con la fede intendiamo" e san Tommaso, "Credere è in modo immediato un atto dell'intelligenza, perché oggetto di questo atto è la verità, ciò che propriamente appartiene all'intelligenza" . Anche il Concilio Vaticano I afferma che a "Dio rivelante dobbiamo porgere con la fede, l'ossequio dell'intelligenza e della volontà", citato con le medesime parole anche dal Concilio Vaticano II ; ma soprattutto san Pio X nel 1910 prescrive nella professione di fede: "Certissimamente tengo e sinceramente professo che la fede non è un cieco senso della religione, che erompe dalle latebre della subcoscienza, ma un vero assenso dell'intelligenza alla verità ricevuta esternamente dall'udito".
L'atto di fede comunque, sebbene emesso dall'intelletto, viene compiuto sotto il comando della volontà, libera e ben disposta. L'oggetto proprio della volontà è il bene. Se la volontà conoscesse come bene in modo intrinsecamente evidente una cosa, non potrebbe non volerla, e non sarebbe libera. Così ad esempio i Beati che vedono Dio, conoscendo intrinsecamente che è Bene, non possono non amarlo. Nella fede invece l'evidenza della credibilità è estrinseca. Ossia non abbiamo l'evidenza intrinseca di Dio, ma solo la certezza morale che fuga ogni dubbio ragionevole. Pertanto l'intelletto non è totalmente aqquietato e può essere assalito dai dubbi, in quanto misteri come la SS. Trinità, pur essendo credibili, rimangono oscuri, per fugare i quali è necessario il ricorso alla volontà, per accettare o porre resistenza alla rivelazione: essa rimane libera nella scelta, e non è costretta a credere. La buona disposizione della volontà, implica che essa si voglia porre in un atteggiamento di rettitudine, volendo escludere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento della verità, come la leggerezza nell'anteporre la ricerca di cose sensibili, caduche, terrene, alle cose eterne. In pratica deve essere umile: la superbia è una delle cause più frequenti per cui l'uomo non aderisce alla fede. La Scrittura sottolinea la libertà di opzione che è elemento caratteristico dell'atto di fede: "Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato" (Mc 16, 16). La tradizione conferma tale verità: il concilio di Trento dice che gli uomini "si dispongono alla stessa giustizia quando mossi e aiutati dalla divina grazia, concependo la fede dall'udito si muovono liberamente verso Dio" . Il Concilio Vaticano I dichiara che l'atto di fede è "un'opera pertinente alla salvezza con la quale l'uomo da a Dio stesso una libera obbedienza, acconsentendo e cooperando alla grazia di Lui, alla quale potrebbe por resistenza" ; "se alcuno avrà detto che l'assenso alla fede cristiana non è libero, ma si produce per necessità con argomenti umani, sia scomunicato" .

a) Proprietà dell'atto di fede

Da quanto finora affrontato si può riassumere che l'atto di fede è ragionevole, soprannaturale, libero, meritorio, oscuro, certo e doveroso.
Chi giunge all'atto di fede non agisce irrazionalmente, ma ne pone i fondamenti col più profondo raziocinio, affinchè l'ossequio della fede sia secondo ragione, credibile. Tra fede e ragione non può esservi dunque contraddizione, essendo Dio autore dell'una e dell'altra: quando vi sono contrasti, o una cosa non è di fede, oppure è una incerta illazione scientifica. La verità (di fede) non contraddice la verità (della ragione). Sulla proprietà soprannaturale dell'atto di fede, oltre a ciò che si è ampiamente detto, conviene aggiungere la risposta ad un'obiezione: si potrebbe dire che siccome l'autorità di Dio ed il suo rivelarsi non li vediamo direttamente, ma sotto argomenti razionali, allora la fede si risolve in argomenti umani. Il fatto è che il giudizio di credibilità dell'intelletto è una condizione antecedente alla fede, ma il motivo della credentità è l'autorità di Dio rivelante. Oltre ad essere libero, inoltre l'atto di fede è meritorio: potendo accettare o rifiutare la fede, la volontà acquista il merito della sua adesione libera. E' pure oscuro, perché come afferma s. Paolo "adesso vediamo in uno specchio e nel mistero" (1Cor 13, 12): non vediamo cioè le verità rivelate, ma le vediamo per la parola di Dio. La fede è oscura, ma non i suoi motivi. Appoggiandosi sull'autorità di Dio, benchè oscuro, l'atto di fede è però certo, perché si basa su una autorità sicura e superiore a ogni cognizione naturale. E' infine doveroso, perché, pur lasciandoci Dio liberi di credere, è dovere di ogni uomo ragionevole assoggettare la sua mente ed il suo essere a Dio, suo Creatore: Gesù ha fatto della fede la condizione essenziale per la salvezza.


Gli uomini e la fede

In questa vita molteplici possono essere le situazioni in cui versano gli uomini, rispetto all'habitus fidei. Vi sono gli infedeli, che non hanno la fede: se mai hanno creduto, non hanno l'abito della fede. Vi sono inoltre i fedeli, tra cui i giusti, che senza dubbio hanno la fede, ma anche i peccatori. E' possibile avere la fede insieme al peccato? Certamente sì, perché occorre distinguere tra fede formata (viva) e fede informe (morta). Il concilio di Trento dice: "Se alcuno avrà detto che perduta per il peccato la grazia, si perde anche la fede per sempre, o che la fede che rimane, non è vera fede, benchè non sia viva, sia scomunicato" . L'abito della fede può rimanere anche nei peccatori. "Se avessi tutta la fede così da smuovere i monti, ma non avessi la carità, sono un nulla" (1Cor 13, 2); "la fede senza le opere è morta" (Gc 2, 26). La Scrittura mostra chiaramente come il peccato renda la fede fine a se stessa, sterile, ma non la elimini. Solo quando è commesso un peccato formale contro la fede, infatti viene distrutto anche l'abito della fede. Ciò si verifica quando si nega volontartiamente, sapendolo, anche un solo articolo di fede, e si accetta volontariamente il dubbio. Tale è la condizione degli eretici, che negano in parte la verità rivelata, e degli apostati, che rinnegano tutta quanta la fede. Lo scisma, non compromettendo necessariamente l'unità della fede, rompe la carità e rende la Chiesa meno credibile davanti al mondo, provoca turbamenti all'armonia del Corpo Mistico, e poiché è segno di incomprensione della vera sapienza della Croce (1Cor 1,10.18), e contraddice l'insegnamento dell'Eucaristia, come sacramento di unità (1Cor 11,18), oltre che costituire una implicita negazione dell'indefettibilità della Chiesa, dell'infallibilità e del primato petrino, può ben considerarsi come peccato formale contro la fede. Il peccato materiale, invece è commesso per ignoranza invincibile e dunque scusabile, e pertanto non priva dell'abito della fede.
Nella vita eterna, si distinguono tre casi: in Cielo Angeli e Beati non emettono atti di fede, poiché hanno direttamente la visione completa e totale di ciò che l'atto di fede lascierebbe credibile ma oscuro; in Purgatorio le anime, non possedendo la visione di Dio,ma essendo in stato di grazia, hanno l'abito ed emettono atti di fede, ma essi non sono meritori, in quanto il tempo per meritare cessa con la vita terrena; demoni e dannati non posseggono alcuna grazia, pertanto non hanno un abito di fede, nè possono emettere atti di fede, che sono soprannaturali. Credono certamente, ma non per fede, solo perché posti di fronte all'evidenza dei motivi di credibilità, che appaiono inconfutabili e schiaccianti. Pertanto si dice che "credono e tremano"(Gc 2, 19).


Conclusione

La presente trattazione ha evidenziato in particolar modo questo aspetto: l'atto di fede coinvolge sia l'intelletto che la volontà. Questa caratteristica è molto importante. Infatti intelletto e volontà sono le facoltà dell'anima che rendono l'uomo una persona, che distinguono l'uomo dagli altri enti, e gli conferiscono quella dignità, propria di ogni creatura che sia creata ad immagine e somiglianza di Dio . Seguire il dono divino, che illumina l'intelletto ed attrae la volontà, aprendoci a Lui nell'atto di fede, significa appunto portare a compimento e realizzare pienamente e senza contraddizioni, la dignità di cui Dio ci ha investiti. La testimonianza della fede, è perciò indispensabile per ottenere la salvezza, ossia quella particolare comunione con Dio in cui siamo chiamati a divenire Cristo: in ciò, che è il fine dell'uomo, si avrà la pienezza della nostra dignità.



Bibliografia

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