Egitto:tentativi di dialogo con gli islamisti Post #1 di 1

E SE LA FRATELLANZA NON FOSSE POI COSI' MALE? 7/6/05
Tentativi di dialogo con il più grande partito islamista sono in corso in tutto il mondo arabo. In forza del pragmatismo
Paola Caridi

Martedi' 7 Giugno 2005
Saad Eddin Ibrahim se n’è accorto da un bel po’ di tempo. L’esclusione dei Fratelli Musulmani dall’agone politico egiziano vanificherebbe qualsiasi tentativo di riforma democratica. È lui stesso, il campione del liberalismo sulle rive del Nilo, a ripeterlo nei commenti che sempre più spesso compaiono sulla stampa che conta negli USA. “Da sociologo – ha scritto recentemente -, ho studiato la materia per 30 anni. Da detenuto in una prigione egiziana, ne ho discusso con i miei compagni di carcere, molti dei quali imprigionati perché sostenitori del movimento islamista egiziano. La mia conclusione? I partiti islamisti stanno cambiando”.
Ibrahim, in galera, ci ha trascorso un anno e mezzo - tra 2000 e 2002 - prima di venire rimesso in libertà anche grazie alla campagna politica e mediatica organizzata per sostenerlo. Lo accusavano di aver ricevuto illecitamente fondi (dall’Unione Europea). Ma probabilmente i monitoraggi sulle passate elezioni politiche, compiuti attraverso il suo centro di ricerche Ibn Khaldoun del Cairo, non avevano fatto molto piacere.
La prigione, comunque, ha consentito a uno dei più importanti (e influenti) sociologi egiziani di affrontare la questione dei Fratelli Musulmani da un diverso punto di osservazione. Discutendone con un target decisamente diverso, ma allo stesso tempo molto influente. E cioè i detenuti islamisti, di cui le galere egiziane erano già piene quando ci si trovava anche Ibrahim. E ancor di più lo sono oggi, dopo le retate che tra aprile e maggio hanno portato almeno altri 800 militanti dietro le sbarre. Compreso uno dei leader più pragmatici, Essam el Arian, un dirigente che la Fratellanza avrebbe addirittura potuto indicare come proprio candidato nelle elezioni presidenziali.
La conclusione di Ibrahim è la stessa che hanno tirato altri intellettuali arabi. In Egitto, anzitutto. Ma anche in Siria, per esempio, dove l’opposizione sta cercando di spingere per una riforma politica che tolga la spada di Damocle della pena di morte su chiunque processi di far parte, per esempio, dell’Ikhwan, dei Fratelli musulmani. O in Palestina, dove i tentativi di coinvolgere un movimento irraggiato e profondamente inserito nella società com’è Hamas (diretta filiazione della Fratellanza egiziana) stanno aprendo breccie persino dentro l’amministrazione americana e dentro il coté israeliano: perché senza Hamas è difficile, se non impossibile, costruire una nuova società politica tra Ramallah e Gaza.
Cosa sta succedendo? Perché i movimenti islamisti “rischiano” di essere accettati nelle visioni strategiche degli intellettuali che contano, e di conseguenza di numerose cancellerie? Intanto, molto pragmaticamente, i movimenti islamisti non solo esistono, non solo non sono stati sconfitti. Ma guadagnano terreno. E in più qualcuno ha fatto sommessamente rilevare che il loro ingresso in politica, per esempio nel caso ormai classico della Giordania o in quello a latere della Turchia, non ha provocato un sovvertimento istituzionale. Anzi.
Nessuna deriva di tipo iraniano, per ora, si allunga all’orizzonte. Semmai, quello che si sta notando è che – come diceva Ibrahim – i partiti islamisti “stanno cambiando”. O meglio, una nuova generazione di islamisti si appalesa sulla scena politica. Più abituati a discutere con i propri avversari. Più pragmatici.
Gli islamisti moderati, come ora vengono definiti tutti i movimenti nazionali che in un modo o in un altro si richiamano alla tradizione dei Fratelli musulmani, hanno insomma sviluppato nel proprio seno un settore disposto a parlare di griglie democratiche. L’ammorbidimento delle posizioni, però, non tocca l’altro attore di questa diatriba. E cioè alcuni regimi arabi come Egitto e Siria, ancora una volta simili (come lo furono nella loro storia recente) nella delicata gestione delle riforme politiche. Né al Cairo né a Damasco si è disposti a cedere terreno sulla questione degli islamisti. In Egitto, a finire in galera è, caso esemplare, Essam el Arian, uno dei dirigenti più noti per il pragmatismo e per la sua capacità di parlare con i laici. In Siria, finiscono in prigione gli oppositori che, nelle ultime settimane, si erano fatti portavoce di un documento dell’Ikhwan siriana in esilio. Come dire, nessuno sconto agli islamisti, e soprattutto a quelli pragmatici. Come se fosse d’un tratto apparso evidente che proprio i più moderati, nella Fratellanza, potrebbero rappresentare il vero pericolo per la stabilità degli attuali regimi.


Leggi l'articolo a p.7 del Riformista

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