Rompendo gli indugi
«La terra interamente illuminata dalla civiltà americana splende all’insegna della più trionfale sventura»
La netta vittoria elettorale di G.W. Bush, mentre smentisce la tesi che l’ascesa al potere dei Neocon fosse solo un evento accidentale e conferma che il nuovo corso politico americano ha solide radici e uno slancio di lungo periodo, simboleggia e sancisce che l’Umanità è entrata in una fase nuova, diversa da quelle precedenti e con caratteristiche sue proprie.
LA TERZA GUERRA MONDIALE
Nel mondo diviso in due blocchi contrapposti emerso dalla seconda guerra mondiale, gli USA avevano conquistato la piena egemonia di quello imperialistico. Dopo la triplice dissoluzione (dell’URSS, del movimento comunista e dei regimi sorti dalle lotte di liberazione nazionale), gli Stati Uniti, lungi dal contrattare coi loro alleati un equilibrio multipolare, hanno cercato di occupare unilateralmente e con l’uso spregiudicato della forza armata tutti gli spazi lasciati liberi da quel triplice crollo. Hanno insomma agito per trasformare l’egemonia di blocco in una vera e propria supremazia globale. Per essere più precisi: dalla tradizionale politica di espansionismo aggressivo, presa al balzo la palla dell’11 settembre, la Casa Bianca è passata ad una vera e propria politica di costituzione imperiale. Essa non ha esitato a sbandierare la sua nuova dottrina geostrategica, la “guerra preventiva e asimmetrica”, di cui gli USA si fanno portatori sbarazzandosi dell’ONU, servendosi di alleanze a geometria variabile, senza nascondere che la lotta “contro il terrorismo” è solo uno dei motivi per significare il sogno del “nuovo secolo americano”, ovvero l’obbiettivo strategico di fondare il proprio impero unico mondiale. L’aggressione all’Afghanistan prima e quella all’Iraq poi indicano che l’umanità ha già varcato la porta d’ingresso della terza guerra mondiale, una guerra di lunga durata, una vera e propria guerra imperialistica di civiltà.
Dichiarando solennemente: “O con noi o contro di noi”, Bush ha messo in chiaro che non ci sono né zone franche né vie di mezzo cosiddette multipolari: o gli USA riusciranno a mettersi il mondo sotto i piedi o il mondo metterà gli Stati Uniti sotto i suoi.
STORIA E CIVILTÁ
E’ falso il dogma principale degli americanisti, quello per cui gli Stati Uniti sarebbero il punto più alto della civiltà occidentale e l’unico erede di quella europea. In realtà gli USA hanno sviluppato e portato alle estreme conseguenze solo il suo lato peggiore, dato che non hanno mai digerito quello rivoluzionario e infatti mai generato un partito antagonista di massa. La titanica battaglia tra capitalismo e socialismo che ha segnato il secolo scorso è stata solo l’ultima tappa del conflitto incessante tra oppressi e oppressori che ha contraddistinto un intero millennio. Questa battaglia ha forgiato la civiltà europea, impregnando di sé ogni aspetto della vita sociale e politica. Mentre l’Europa, in nome della libertà fondata sui principi universalistici di fratellanza e uguaglianza entrava nel periodo delle grandi rivoluzioni, esiliò oltre l’Atlantico quelle comunità fondamentaliste protestanti per le quali l’uomo non ha alcun libero arbitrio, la giustizia apparterrebbe solo all’al di là, la libertà sarebbe dono di una Provvidenza mosaica che premia i forti e punisce i deboli, mentre la fratellanza è legame esclusivo dei credenti che in virtù della fede sono in diritto di sterminare o schiavizzare gli “infedeli senz’anima”, siano essi nativi indiani o neri africani. Il sistema americano, sulla base di uno spirito messianico per cui gli Stati Uniti erano la nuova Terra Promessa e avevano una salvifica missione mondiale, si consolidava dunque come ideocratico e oligarchico. Nella Costituzione del 1828 si scolpiva una democrazia assolutistica, aristocratico-censitaria o patrimoniale. Liberalismo yankee e fondamentalismo sudista erano le due maschere di questa medesima sostanza. Che quest’ultimo abbia preso il sopravvento e che il primo sia ferito a morte, significa che dopo secoli di incubazione il Moloch americano taglia il suo cordone ombelicale con la storia europea e tende a rappresentarsi come civiltà a se stante. Questo è il sostrato su cui poggia il fervore imperiale dei neocon, che consente a Bush di atteggiarsi a vicario di Dio, che alimenta la spinta bellicista che scandisce il ritmo degli eventi mondiali.
IMPERO E IMPERIALISMO
La furia imperialista con cui i Neocon stanno ingegnando il loro disegno ha prodotto due effetti immediati, uno primario e un altro collaterale. L’effetto principale è l’aver polarizzato l’umanità in due campi contrapposti: quello filoamericano e quello antiamericano, capeggiato quest’ultimo da quei popoli e quelle nazioni che la geopolitica USA ha scelto come agnelli sacrificali. Quello collaterale è l’aver diviso lo stesso capitalismo internazionale in due fronti, quello di chi ritiene necessaria e incontrovertibile la trasformazione della supremazia americana in impero, e quello di chi, pur non contestando questa supremazia respinge il passaggio imperiale illudendosi di convincere gli Stati Uniti ad un equilibristico regime di condominio imperialistico multipolare. Questi fattori sono collegati tra loro, ma se non sono della stessa importanza non possiedono nemmeno la stessa natura. Nella gerarchia dei fattori quello principale non è la renitenza degli imperialismi minori o subimperialismi, ma la Resistenza antimperialista dei popoli e delle nazioni oppressi che si trovano sulla linea di fuoco americana. L’Iraq è il banco di prova dell’impero in fieri, il campo minato dove gli USA debbono compiere il salto mortale, il passaggio oltre il quale avremmo un vero superimperialismo a stelle e strisce. A chi concentra tutta l’attenzione sulla scissione del fronte imperialista (che in linea teorica potrebbe causare, come già avvenuto per ben due volte nel secolo scorso, un nuovo immane conflitto tra potenze imperialistiche) diciamo che è inammissibile nascondersi all’ombra dello spettro del possibile conflitto tra grandi potenze e non vedere la guerra già in atto, quella che gli USA hanno dichiarato a tutti i popoli e le nazioni ostili. E’ questa Resistenza l’ostacolo antagonista realmente esistente alle ambizioni imperiali americane, ed è essa che va non solo sostenuta ma attivamente fomentata affinché si consolidi e si estenda, giungendo al di qua della nuova cortina di ferro che gli USA si stanno cingendo attorno, affinché essa diventi protagonista della stessa scena occidentale.
ANTIAMERICANISMO
Anche in Europa e nel nostro paese l’Opposizione alla globalizzazione, ovvero all’assimilazione integrale che viene dagli USA, tradizionalmente confinata a minoranze antimperialiste, si va lentamente estendendo, anzitutto nei sempre più numerosi strati esclusi dall’opulenza capitalistica. Non siamo in Palestina o in Iraq. In paesi ricchi, dove la coesione sociale è forte, questa Opposizione è a bassa intensità o passiva. Essa è però destinata a consolidarsi e a radicalizzarsi davanti all’inarrestabile tracotanza americana e alla complementare sudditanza delle classi dominanti europee, le quali mentre giurano fedeltà eterna all’atlantismo, lanciano contro il crescente disprezzo popolare verso la politica e la cultura americane l’anatema dell’antiamericanismo, un anatema che rimbomba da destra a sinistra, da Lisbona a Mosca, da Roma e Berlino. Non ci nascondiamo dietro ad un dito, non neghiamo l’accusa rivoltaci di essere antiamericanisti, concordiamo anzi coi nostri accusatori, solo che, appunto, puntiamo in direzione opposta. Il tempo gioca a nostro favore: più esso scorre più le speranze di contrastare la prepotenza americana con i pannucci caldi della diplomazia si riveleranno illusorie, mentre il Rifiuto della politica americana e di ciò che gli USA rappresentano si allargherà tendendo a diventare un vero e proprio movimento di popolo. Alcuni ambienti delle classi dominanti percepiscono questa tendenza e sono già all’opera per contrastarla e soffocarla. Come? Giocando la carta della paura: del terrorismo, dell’Islam, dell’immigrato, della guerra. In altre parole evocando i sentimenti più retrivi e torbidi che covano nelle masse, allo scopo sia di giustificare l’americanizzazione delle istituzioni (ovvero il finale passaggio dal sistema democratico a quello oligarchico) che di preparare il terreno per una mobilitazione reazionaria delle masse. E’ in questo contesto che si spiega la comparsa di forze populiste conservatrici e xenofobe, alle quali è stata data la facoltà di usare una demagogia antisistema per incatenare in realtà i popoli al sistema medesimo. Questi populismi sono stati autorizzati dalle classi dominanti a raccogliere la confusa protesta popolare, domani potrebbero essere utilizzati come salvagente e testa d’ariete per fermare un’opposizione popolare antiamericanista che considerano a ragione una nuova incipiente resistenza anticapitalista.
IL DECLINO EUROPEO
La crisi dei capitalismi europei non è passeggera ma strutturale, risultato di una “globalizzazione” che li ha indeboliti e resi ancor più subordinati a quello nordamericano e che è percepita dai popoli non come sinonimo di prosperità ma come crisi. Questa impone una competizione selvaggia a scala mondiale e richiede la sostanziale abolizione di quello “Stato sociale” che nell’immaginario collettivo equivale a benessere, equità, sicurezza e tolleranza. L’Unione Europea, nata come appendice della NATO in funzione antisovietica, non è affatto, per le classi dominanti, una barriera contro l’invasione americana (vedi la fitta rete di basi militari americane che sono la Spada di Damocle con cui l’Unione accetta la propria sovranità limitata), essa è piuttosto la leva per spingere gli USA ad accettare l’Europa come suo primo socio in affari. E’ infine la modalità con cui le classi dominanti vogliono americanizzare il continente, adottando non solo i suoi meccanismi istituzionali e giuridici ma pure la sua paccottiglia culturale. I gruppi strategici che tirano i fili della politica sanno che l’Europa ha già imboccato la via del tramonto, sanno che per tentare di invertire la rotta occorrerebbe una cura da cavallo, obbligando le masse lavoratrici ad un lungo periodo di sacrifici sociali. E sanno che incontreranno una tenace opposizione e per questo si preparano blindando il sistema, trasferendo la sovranità politica e quella giuridica dai parlamenti nazionali alla cosca tecnocratica di Bruxelles, sempre avendo nella manica l’asso del populismo reazionario, da tirar fuori come estrema ratio. Questi gruppi strategici sanno che nessuna terapia potrà essere imposta di punto in bianco, senza prima aver dissodato il terreno. Quando diciamo che essi per primi vogliono americanizzare l’Europa intendiamo che debbono portare a compimento l’opera intrapresa a suo tempo in Gran Bretagna: liberalizzare e privatizzare a tutto spiano, stroncare la forza contrattuale dei lavoratori, imporre la massima mobilità del mercato del lavoro, obbligare i popoli all’ineluttabilità del liberismo. Noi siamo certi che la resistenza delle classi lavoratrici, che avverrà nel contesto di una incessante guerra imperialista di civiltà, sfalderà l’attuale blocco sociale dominante per determinarne un altro, rimetterà all’ordine del giorno la questione delle sovranità nazionali perdute, tenderà a sposarsi con il vituperato antiamericanismo e quindi ad incontrarsi con i popoli. Non è solo questione di politica estera, è questione di concezioni del mondo, di modelli culturali e di vita, che chiamano in causa le radici democratico-rivoluzionarie europee, la nostra memoria, il nostro futuro. Come apprendisti stregoni gli USA hanno evocato gli spiriti della guerra di civiltà pensando di circoscrivere la spinta espansiva di quella islamica, ma questa sta già trascinando nel gorgo quella europea, che viene dunque obbligata a lottare per la propria esistenza.
CRISI MORALE
La furia fondamentalista americana mette a nudo la crisi delle classi dominanti europee, che è anche una crisi di egemonia e di prospettiva storica. Vincendo la minaccia del socialismo esse hanno si privato il proletariato della speranza, ma in tal modo hanno modificato il corredo genetico europeo. Rimuovendo l’universalismo egualitario hanno strappato via la parte più sana e vitale delle proprie radici. Nel tentativo di seppellire il novecento si è andato affermando in seno alle classi dominanti un brutale relativismo morale, un nichilismo valoriale, un minimalismo individualista che hanno consegnato inerme la società intera all’invasiva penetrazione della religione americana e dell’american way of life. Dopo avere importato questa roba come antidoto alle pulsioni rivoluzionarie degli anni ‘70, ora l’Europa si sente dire, proprio dal popolo d’oltre oceano, che si tratta di merce avariata, di una moneta fuori corso. Legate inestricabilmente agli USA le nostre classi dominanti, ostentano un ibrido euroamericanismo, un americanismo depotenziato: accolgono l’americanismo di prima generazione, il culto inferiore del razionalismo scientifico (refrattario a qualsiasi considerazione sui fini, ostile ad ogni posizione critica riguardo alla macchina sociale capitalistica); ma vorrebbero fare a meno del culto superiore, del suo messianismo religioso sciovinista. Questo spiega lo sbandamento dei dominanti e lo stato di fibrillazione europeo. I cervelli pensanti, sapendo che questo americanismo di seconda generazione in salsa fondamentalista sarà rigettato dai popoli europei, temono la sua penetrazione come destabilizzante. Sono in un cul de sac, perché non sanno come fermarlo, quale rimedio porvi. Navigano a vista e sentendosi mancare il terreno sotto i piedi si aggrappano alla sottana dei “liberatori”, insistono a comando con l’asfissiante propaganda tesa a presentare l’Islam come il nemico esterno comune dell’Occidente cristiano, il terrorismo come male assoluto, ma così facendo non solo lasciano il campo libero all’incessante iniziativa americana, si separano inesorabilmente dalla parte più viva della società reale, in seno alla quale invece avanza, dietro alle istanze antiamericane, un bisogno di senso, di riappropriazione della propria memoria storica, di ristabilimento della verità. Questo è il luogo dove verrà fecondato un nuovo blocco storico europeo. La tendenza di lungo periodo è infatti quella alla polarizzazione non più tra i due tradizionali fronti, quello socialdemocratico e quello conservatore, ma tra americanismo e antiamericanismo.
LEGITTIMA DIFESA
In base a queste considerazioni, dopo due anni di discussioni accompagnate dall’ostracismo dichiaratoci dal PATPC (Partito Americanista Trasversale Politicamente Corretto), noi dichiariamo di voler invece procedere innanzi, aprendo ufficialmente un processo costituente il cui punto d’arrivo deve essere la fondazione di un nuovo movimento politico indipendente e antagonista rispetto all’attuale sistema bipolare o del PATPC. Scopo del movimento, vista la latenza dello scontro di civiltà tra America ed Europa, è quello di contribuire alla rinascita della civiltà europea, ovvero del suo universalismo democratico e popolare basato sugli imperituri principi di libertà, fratellanza ed uguaglianza. Questa rinascita sarà possibile a due condizioni: rompere ogni rapporto di sudditanza con gli Stati Uniti, innescare la radicale decostruzione dell’attuale Unione Europea. Una nuova, federativa e libera Unione dei popoli europei implica infatti la cacciata delle attuali oligarchie economiche e politiche dominanti, che sono il cavallo di Troia americano, e ciò sarà possibile solo facendo un passo indietro, riconsegnando la piena sovranità alle diverse comunità nazionali. Contrastare il processo di americanizzazione prima che sia troppo tardi, prima che l’americanismo divori gli ultimi anticorpi, è quindi il primo compito nostro. Siamo consapevoli che una battaglia puramente contrastiva, di opposizione, non è da sola sufficiente per vincere, ma è solo grazie ad essa che avvicineremo la vittoria, che sarà ottenuta anzitutto con il consenso e la mobilitazione popolare. Il Tallone d’Achille dell’americanismo è che esso, pur non essendo un messaggio universalistico, vorrebbe imporsi ai popoli come risposta globale totalizzante, come pensiero unico. Questo unicalismo americanista, come Giano, ha due facce. Esso è un mostro che sposa il diavolo con l’acqua santa: una concezione mondana fondata sul becero razionalismo individualista liberale (ostile ad ogni etica sociale egualitaria); ed un irrazionalismo extramondano escatologico e neo-oscurantista. La medesima sentinella di un capitalismo che priva di senso l’esistenza e fa dell’uomo un demone antisociale, presume poi di essere il demiurgo che riscatta e santifica la sua anima. Questo americanismo di seconda generazione, che in effetti chiude l’epoca della modernità borghese, non si presenta dunque come una mera politica, ma come una autentica concezione del mondo che pretende di penetrare in ogni poro della società. Tra la nostra gioventù anzitutto, che prima viene gettata nel vortice di un consumismo servile o intruppata come carne da macello nella guerra infinita contro “il male”, poi la si consola con la chimera di una Provvidenza che premierà chi abbia seguito la linea di condotta del consumatore-soldato. Il peggio del materialismo e il peggio dell’idealismo. La nostra opposizione, per quanto politica, sarà quindi anzitutto culturale, ideale, etica e morale. Il nostro universalismo è al tempo stesso rivoluzionario e conservatore. Rivoluzionario perché anela ad una società nuova fondata sulla fratellanza e la giustizia e in cui siano quindi debellati lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quello dissennato della natura. Conservatore perché rifiutiamo il feticcio del progresso ad ogni costo e il mito nichilista della tecnica, perché vogliamo salvare le nostre radici e la parte più nobile e umanistica delle nostre tradizioni. Il futuro spetta a chi, pur senza amarlo, saprà creare disordine, poiché è da esso che sorgerà un ordine nuovo.