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    Predefinito LEGGENDE NERE - Speciale beato Pio IX: contro la leggenda nera

    Elogio del Sillabo

    di don Luigi Negri

    Demonizzato da certa cultura dominante, il Sillabo di Papa Pio IX denuncia con coraggio profetico gli errori della modernità. Va rivalutato: seguendolo, avremmo evitato i totalitarismi e gli orrori della nostra epoca.



    Nel 1864, come appendice all'enciclica Quanta cura, Pio IX pubblica l'elenco delle proposizioni che aveva già esplicitamente condannato nei suoi precedenti interventi. È il Sillabo, raccolta delle proposizioni che descrivono il soggetto moderno e il suo procedere. In verità, ci sono condizioni obiettive in cui questo documento matura.

    Il cattolicesimo, in Europa, appariva diviso. Anzitutto, c'erano i Paesi cattolici aperti al dialogo con la modernità, democratici, progressisti, costituzionali, come il Belgio, preoccupati di salvare alcuni aspetti positivi della modernità, come l'evoluzione di tipo critico, scientifico, tecnologico, la maggiore partecipazione alla vita politica e alle le realtà presenti nella società. Ma in tale dialogo, questi cattolici costituzionalisti correvano il pericolo di far proprio il progetto della modernità.

    In secondo luogo, c'erano i tradizionalisti, gli ultra-montani, i papisti, che avevano chiara consapevolezza dell'alternativa tra cattolicesimo e modernità, ma che rischiavano di avere come ideale la difesa del passato, di un determinato momento della storia della cristianità occidentale, quando la religione cattolica era la forma della personalità, non in modo assoluto o perfetto, ma in modo sostanzialmente evoluto e intensamente amato, e quindi influente nella vita della società.

    Il Sillabo va oltre questi condizionamenti e circostanze; nasce dentro questi stessi condizionamenti, ma è uno sguardo acutissimo portato alla posizione sostanziale dell'avversario, uno sguardo proteso al futuro, per comprendere gli esiti di quella posizione, conscio che se si mette alla base della cultura di una società un'idea sbagliata di uomo, presto o tardi la storia ne dimostrerà l'errore.

    Con il Sillabo il Magistero prende coscienza dell'alternativa: certo, è presupposta un'altra concezione dell'uomo, della realtà, della vita sociale e politica, con cui non ci si può più identificare, da cui si deve prendere le distanze. Nella coscienza di questa differenza di concezioni, vi sono le condizioni per comprendere gli oltre cento anni che intercorrono tra il Sillabo e noi, durante i quali il Magistero sociale ha sempre cercato il dialogo con il suo tempo, dialogo doloroso e inquieto, ma che ha salvato certi valori non solo per i cristiani ma per tutti. Il Sillabò, dunque, rappresenta il punto di massima penetrazione, da parte della Chiesa, nella sostanza dell'avvenimento moderno (intendendo per avvenimento moderno il soggetto, il progetto moderno) e così stabilisce un'alternativa tra la Chiesa e la modernità, che nasce dalla coscienza della diversità.

    La società moderna va verso il totalitarismo: in questa vicenda, che è graduale, ma che nel periodo che va dalla fine del secolo XIX fino a pochi anni fa ha caratterizzato il processo culturale e sociale nel suo complesso, la Chiesa cattolica ha resistito, intervenendo su tutti i problemi della vita personale e sociale, indicando un altro modo di affrontare la concezione dell'uomo e della famiglia, di affrontare l'educazione, di concepire lo Stato, e così via.

    Si possono indicare tre grandi punti su cui la Chiesa ha fatto resistenza.

    1. Anzitutto, la priorità della persona sulla società. La società non fa nascere la persona, è la persona che crea società, perché vive una nativa, irriducibile libertà, che è la libertà del Figlio di Dio, dell'uomo creato. È l'uomo che crea società facendo una famiglia, generando dei figli, aggregando le famiglie secondo certi interessi, stanziandosi su un certo territorio comune, ecc. La societas è il risultato dell'esercizio di alcuni diritti che appartengono alla persona perché figlia di Dio. La Chiesa ha sempre sostenuto la priorità ontologica e strutturale della persona sulla società, che è il fermento dal basso di forme, di istituzioni, di valori, di tradizioni, di cultura, di arte. Questa società si forma per gli uomini liberi, e attraverso la loro responsabilità: non c'è la società e dentro, incastrato come un bullone in un organismo meccanico, l'individuo.

    2. Il secondo punto di resistenza è la priorità della società sullo Stato. La Chiesa ha sempre rifiutato la concezione per la quale io Stato è assoluto, e dunque si identifica con la società o è un soggetto etico, (come nel fascismo). Lo Stato non e etico, perché e uno strumento vivo fatto di uomini di persone, di col alcune esercitano il potere, non a vantaggio della loro ideologia o della loro concezione della vita e delle cose, ma a vantaggio del bene di tutti, dunque della libertà di toni, singoli e associati. Il concetto tomistico di bene comune, rilanciato da Leone XIII nella sua grandissima enciclica Rerum novarum (1891), significa che lo Stato è in funzione della coscienza personale, della libertà personale, non è assoluto, non è la fonte del diritto, ma è l'insieme delle condizioni che consentono l'esercizio dei diritti. I diritti sono tali in quanto completati da doveri. Il primo dovere è che il mio diritto non nega il diritto altrui.

    3. Il terzo punto è la distinzione netta tra la sfera religiosa e quella politica. La prima appartiene alla libertà di coscienza: la vita religiosa, soprattutto quando è associata, ovvero quando è espressione di una realtà popolare, quando ha contatti con altre forze sociali e quindi ha un rilievo nella vita dello Stato, deve entrare in rapporto con lo Stato e in questo rapporto si devono accettare certi condizionamenti reciproci. La Chiesa è libera dallo Stato, come lo Stato è libero dalla Chiesa; la Chiesa non rappresenta una longa manus politica dello Stato, e non è un'agenzia di sacralizzazione del potere, come nella concezione protestante, luterana o calvinista, della vita sociale.

    Il Sillabo, sebbene nato in un determinato momento della storia della Chiesa e all'interno di certi condizionamenti legati alla polemica che divideva i cattolici in certi paesi, ha un'incredibile ampiezza e profondità, penetra nella sostanza teorica della vicenda e individua le conseguenze pratiche della posizione moderna. Che si sarebbe arrivati all'annullamento della persona attraverso la limitazione del consenso, non l'hanno detto i sociologi di questo secolo, l'aveva già detto papa Pio VI. Che si abbia la possibilità di manipolazione della vita attraverso i mezzi del potere, che questi ultimi sarebbero stati mezzi della comunicazione sociale, è una consapevolezza che percorre tutto il Magistero sociale, ma che nel Sillabo diventa un punto di chiarezza. Senza chiarezza della differenza non c'è possibilità di dialogo; nella confusione, nell'approssimazione, nell'equivoco, è possibile la violenza, la violenza teorica che è più grave di quella pratica, perché questa ti viene fatta di fronte e ti puoi difendere, quella teorica ti circuisce e te ne trovi avviluppato, senza rendertene conto.

    Bisogna restituire al Sillabo la sua importanza storica. Senza questo documento, che delineava il volto dell'interlocutore prendendo coscienza dei suoi propositi, progetti e del 'suo dinamismo di fondo, senza questa coscienza lucida delle differenze, non ci sarebbero state le resistenze della Chiesa per la libertà. Quando la Chiesa fa resistenza per la libertà, non lo fa solo per la propria, ma per quella di tutti, per difendere anche la libertà di coloro che, contingentemente, la violano, essendo al potere. Questa è la sostanza del Sillabo: esso pone le condizioni di un dialogo durissimo che ha consentito alla Chiesa di resistere su certe posizioni di fondo che sono oggi patrimonio non soltanto dei credenti, ma di tutti coloro che, recintando il totalitarismo che ha distrutto l'uomo, cercano e pensano alla loro possibilità di vita, di cultura e quindi di società.



    Il Sillabo è diviso in nove settori



    Il primo è sui fondamenti teorici della modernità: panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto. lì Papa riconduce a queste radici una teoria della modernità.

    Il secondo contiene proposizioni più moderate, tipiche appunto del razionalismo moderato.

    Nella terza parte, si evidenziano le conseguenze morali delle posizioni moderne. Non esiste il bene, perché non esiste la libertà, se non quella fissata dalla ragione, e dunque il solo bene è quello fissato dalla ragione. Questo significa che tutte le posizioni hanno lo stesso diritto.

    Nella quarta parte, vi sono le conseguenze sul piano socio-politico della concezione moderna: infatti, se la ragione è tutto, la scienza e la tecnica possono fare tutto e la politica, pensata razionalmente, è tutto, lo Stato è tutto, la società è tutto. La società infatti si identifica con lo Stato e lo Stato è assoluto, cioè non deve rispondere a nessuno.

    La quinta parte elenca gli "errori che riguardano la società civile, considerata in sé e nelle sue relazioni con la Chiesa": è la definizione di Stato da tenere presente ogni volta che si sfoglia il giornale o si ascolta la televisione!

    Gli ultimi settori riguardano gli errori circa la morale naturale e cristiana, il matrimonio, il dominio temporale del Papa e il liberalismo.



    Sillabo, ovvero sommario dei principali errori dell'età nostra, Cantagalli, Siena 1977.

    Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994.

    Roberto de Mattei, Pio IX. Con testo integrale del Sillabo, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.

    © Il Timone n.23 - Gennaio/Febbraio 2003
    Ultima modifica di emv; 02-04-20 alle 12:49

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    Pio IX (1792-1878)

    di Andrea Arnaldi

    1. Un pontificato in tempo di Rivoluzione

    Giovanni Maria Mastai Ferretti, nato a Senigallia, nelle Marche, il 13 maggio 1792, ordinato sacerdote nel 1819, consacrato vescovo nel 1827, creato cardinale nel 1840 e asceso alla cattedra di Pietro, con il nome di Pio IX, il 16 giugno 1846, vive in anni di enormi rivolgimenti politici, ma prima ancora filosofici e dottrinali: nasce mentre infuria la Rivoluzione francese, inizia la carriera ecclesiastica al tempo dell’illusoria Restaurazione ed è vescovo durante il tumultuoso periodo dei moti italiani, che preparano il terreno al Risorgimento, vero e proprio tentativo d’importazione delle idee e delle realizzazioni che hanno caratterizzato la Rivoluzione in Francia e, perciò, correttamente identificabile come Rivoluzione italiana.

    Il conclave dal quale Mastai Ferretti uscirà eletto si svolge in un clima di grandi disorientamento e attesa: la Chiesa, soprattutto con il pontificato di Papa Gregorio XVI (1831-1846), si è rafforzata nella convinzione che i sommovimenti politici e militari che vanno scuotendo l’Europa e l’Italia non costituiscono semplicemente la risposta a richieste d’indipendenza e di libertà, ma sottendono una precisa volontà di scristianizzare popolazioni abituate da sempre a vedere nella religione e nelle tradizioni locali i caratteri costitutivi della propria civiltà.

    Papa Pio IX, spirito profondamente religioso prima che politico, s’appresta a governare la Chiesa per trentadue anni. Sarà il più lungo e, forse, il più travagliato pontificato della storia della Chiesa, nel corso del quale si verificano eventi di portata epocale: la proclamazione dei dogmi dell’Immacolata Concezione di Maria, nel 1854, e dell’infallibilità pontificia, nel 1870; lo svolgimento, in un clima di enorme tensione, del Concilio Ecumenico Vaticano I (1869-1870); la fine traumatica del dominio temporale dei Pontefici romani e l’esplosione del conflitto fra la Chiesa e il nuovo Stato unitario italiano, noto come la Questione Romana, di una gravità tale da produrre nel corpo sociale una lacerazione che verrà risanata diplomaticamente e giuridicamente, ma non culturalmente, solo nel 1929 con la stipulazione del Concordato e dei Patti Lateranensi.

    2. La questione italiana

    L’elezione di Mastai Ferretti suscita inizialmente l’entusiasmo dei circoli liberali: erano noti infatti la genuina "italianità" dell’allora vescovo di Imola e il suo desiderio di trovare una soluzione equa al problema dell’unità politica della nazione italiana, al di là di ogni progetto illuministico di omogeneizzazione artificiale e forzata. Gli avvenimenti non consentono però al nuovo Pontefice, comunque non sospettabile di aver mai nutrito simpatie liberali, d’assecondare il disegno dei fautori dell’unità, ideologico prima che politico. Infatti, sfumato il tentativo d’edificare lo Stato nazionale su basi federali — soluzione che avrebbe consentito di preservare la ricchezza costituita dall’articolazione del paese in diversi Stati, tutori ed eredi delle diverse tradizioni locali, tutte legate dal comune patrimonio culturale e religioso — le élite politiche del Risorgimento accentuano la polemica anticattolica e imprimono agli eventi una forte accelerazione in senso centralista e "annessionista".

    Nel corso di un drammatico ventennio Papa Pio IX assiste così all’insurrezione rivoluzionaria del 1848 — con l’assassinio del ministro dell’interno Pellegrino Rossi (1787-1848) e l’instaurazione della Repubblica Romana —, che lo costringe all’esilio di Gaeta; all’inasprimento della legislazione repressiva emanata dal Governo sabaudo per colpire la Chiesa e le sue prerogative, gli ordini religiosi e i beni ecclesiastici; alla brutale repressione della resistenza che altri italiani, bollati con il marchio infame di briganti, opponevano nel Regno delle Due Sicilie al tentativo di eliminare con la forza le libertà e le tradizioni di mezza penisola; finalmente, all’occupazione di Roma, il 20 settembre 1870.

    Il Pontefice, strumentalmente osannato all’atto dell’elezione da quanti si mostreranno successivamente suoi irriducibili avversari, si rende conto molto presto che non potevano essere queste le modalità e le motivazioni di fondo sulle quali edificare il nuovo Stato e basare la convivenza delle popolazioni italiane: non contro l’unità d’Italia, ma contro quella unità diveniva perciò indifferibile intervenire con chiarezza, richiamare l’attenzione sui princìpi e sui valori, illuminare le coscienze dei fedeli.

    Lo scontro con il Regno d’Italia giunge all’apice con la sua inaudita decisione di procedere alla conquista di Roma e di por fine alla sovranità temporale dei Papi, passata indenne attraverso le alterne vicissitudini di mille anni di storia. La resistenza del Papa — che ordinerà agli zuavi un’opposizione formale allo scopo di evitare inutili spargimenti di sangue e di rendere comunque evidente la violenza subìta — non può essere ricondotta a un’inesistente volontà di potere, ma risponde alla duplice esigenza di garantire alla Chiesa gli spazi minimi necessari per esercitare il suo ministero in piena libertà e di difendere l’integrità del Patrimonio di San Pietro, appartenente a tutta la Cristianità; esigenze tanto più sentite quanto più il clima ideologico e politico diventava ostile alla Chiesa e al libero esercizio della sua missione.

    Le motivazioni di fondo del contrasto fra Papa Pio IX e le classi dirigenti che guidarono il processo di unificazione politica sono dunque essenzialmente di natura dottrinale e non implicano affatto un’opposizione preconcetta alla creazione di uno Stato unitario italiano, idea di per sé né buona né cattiva, dovendosene valutare la bontà sulla base dei princìpi posti quali punti di riferimento del nuovo Stato. "Tutto il mio operare in Dio, con Dio e per Dio": questo era il proposito espresso da Giovanni Maria Mastai Ferretti all’inizio della vita sacerdotale e su questo programma egli basa la sua azione pastorale e politica.

    3. Guida della Chiesa universale

    La lettera enciclica Quanta cura, dell’8 dicembre 1864, con annesso il Sillabo, e il Concilio Ecumenico Vaticano I, costituiscono le più rilevanti — e per certi aspetti a tutt’oggi "scandalose" — risposte della Chiesa alla degenerazione del quadro ideologico e politico. Nel Sillabo Papa Pio IX enumera una serie di proposizioni erronee, già condannate in precedenti documenti magisteriali, attraverso le quali è possibile comprendere la natura e gl’intenti dell’ideologia rivoluzionaria. Con il Concilio Ecumenico Vaticano I la Chiesa ribadisce e sviluppa la dottrina tradizionale sul primato del Pontefice romano e definisce il dogma dell’infallibilità del Papa quando si pronuncia solennemente, nella pienezza della propria autorità apostolica, su temi di fede e di morale, sottolineando così che, oltre e al di sopra di tutte le discussioni e di tutte le opinioni umane, vi è una Verità alla quale è dovuto ossequio e che la Chiesa ha il compito di trasmettere.

    Sedici anni prima il Pontefice aveva proclamato un’altra grande verità di fede, secondo la quale la Vergine Maria è stata preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Questo dogma, patrimonio secolare della comunità cristiana, oltre a rendere il dovuto culto a Colei che la Chiesa venera come Madre di Dio, ribadiva la realtà del peccato originale e la stoltezza dell’uomo che crede di bastare a sé stesso e di poter edificare impunemente una società senza Dio o contro Dio. Nel 1858, appena quattro anni dopo la solenne definizione dogmatica, una splendente figura di Donna, apparendo nella grotta di Massabielle, a Lourdes, nella Francia Meridionale, si qualificherà come l’Immacolata Concezione, confermando in modo del tutto soprannaturale l’operato del Sommo Pontefice.

    Il pontificato di Papa Pio IX non si esaurisce dunque nel lungo e drammatico scontro con la Rivoluzione italiana, ma si distingue per la feconda attività apostolica e pastorale, per l’acuta sensibilità religiosa e per l’ardente spirito di carità. Oltre a costituire il Patriarcato Latino di Gerusalemme, egli erige 29 sedi metropolitane e fonda 132 nuove sedi episcopali; dà slancio all’attività missionaria, con particolare riguardo all’America Latina, e crea il primo cardinale nordamericano; ricostituisce la gerarchia in Inghilterra e in Olanda e favorisce le tradizioni e i riti della Chiesa Orientale; fonda molti seminari e rinnova i più antichi istituti e ordini religiosi.

    Inoltre, interpretando la mentalità moderna soprattutto come un rifiuto dell’amore divino, dà notevole impulso non solo alla devozione mariana e a quella eucaristica ma anche al culto del Sacro Cuore di Gesù — estendendo a tutta la Chiesa la relativa festa liturgica e beatificando Margherita Maria Alacoque (1647-1690), la visitandina francese fervente apostola di tale devozione —, che ritiene i mezzi più idonei per riavvicinare gli uomini a Dio. Una risposta al laicismo e al naturalismo del secolo è costituita anche dalle numerose beatificazioni e canonizzazioni, rispettivamente 52 e 222, che confermano la fede nella redenzione e nell’efficacia della grazia. Infine, dichiara san Giuseppe Patrono della Chiesa universale e conferisce il titolo di Dottore della Chiesa a sant’Ilario di Poitiers (315 ca.-367), a san Francesco di Sales (1567-1602) e a sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). Alla domanda "Perché tanti santi?" rispondeva in maniera significativa: "Mai abbiamo noi avuto tanto bisogno d’intercessori in cielo e di modelli in terra".

    Nella travagliata vicenda umana di Papa Pio IX non vi è mai traccia di quella scissione fra fede e cultura, fra fede e politica, che costituisce l’esito del processo di secolarizzazione caratteristico della modernità e ormai diffusissimo. Ogni sua azione politica — anche quelle meno comprensibili per la sensibilità contemporanea, come la difesa a oltranza della sovranità temporale dei Papi — è espressione dell’unica preoccupazione che conta, quella per il destino soprannaturale degli uomini: "Miei cari figli, ricordatevi che avete un’anima... un’anima creata all’immagine di Dio e che Dio giudicherà! Occupatevi di lei, ve ne scongiuro, più che di speculazioni, di industria, di vie ferrate e di tutte quelle miserie che costituiscono i beni di questo mondo. Non vi vieto già di interessarvi di questi beni che passano, purché con giusta misura; ma ricordatevi, ve ne scongiuro di nuovo, che avete un’anima!".

    4. La causa di beatificazione

    Papa Pio IX muore il 7 febbraio 1878 nei Palazzi Vaticani, dai quali non era più uscito dopo che l’esercito "liberatore" lo aveva costretto a lasciare il Quirinale, creando una frattura drammatica nel paese e nelle coscienze dei cattolici. Nel 1907 viene introdotta la causa di beatificazione, che, con ritmo molto lento, è giunta a una fase decisiva negli anni 1980. Con un decreto del 6 luglio 1985, infatti, la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto l’eroicità delle virtù del Servo di Dio Papa Pio IX, al quale è attribuito il titolo di Venerabile. È il primo, significativo passo sulla strada dell’elevazione di Giovanni Maria Mastai Ferretti all’onore degli altari, strada ancora ardua e controversa a causa delle reazioni contrastanti che la sua figura continua a suscitare.

    "Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice — si legge nel decreto — il Servo di Dio, senza interruzione e in modo continuo, apparve e fu veramente "Uomo di Dio"; uomo di preghiera assidua, senz’altro desiderio che la gloria di Dio, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l’anima, per quanto grandi fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola principale della sua vita e della sua attività pastorale. Mirando solo a questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare".

    Per approfondire: sulla figura e sul periodo storico, vedi monsignor Alberto Polverari, Vita di Pio IX, Libreria Editrice Vaticana, 3 voll., Città del Vaticano 1986-1988; Roger Aubert, Il Pontificato di Pio IX (1846-1878), ed. it. a cura di Giacomo Martina S.J., 2 voll, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990; G. Martina S.J., Pio IX, Pontificia Università Gregoriana, 3 voll., Roma 1974-1990; Manlio Brunetti, Pio IX: giudizio storico-teologico, Edizione dell’Opera Pia Mastai Ferretti, Senigallia (Ancona) 1992; vedi la produzione magisteriale, in Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emananti dal 1740, vol. IV, Pio IX (1846-1878), a cura di Ugo Bellocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995

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    Elogio di Pio IX


    di Franco Cardini

    Papa molto amato, ma anche odiato e calunniato. Giovanni Paolo II lo beatifica, il mondo laicista lo condanna. Ritratto di un Papa che fu santo e re. E profeta: vide prima di tutti i guasti che avrebbero prodotto il materialismo comunista e liberista.




    "Benedite, gran Dio, l’Italia": l’invocazione intensa e commossa di Pio IX, un secolo e mezzo dopo che fu proferita, si legge non senza un qualche imbarazzo. Il Mastai Ferretti era un italiano nato a Senigallia, nello Stato Pontificio, era un uomo del suo tempo, l’Ottocento, che per qualcuno è il secolo formidabile del Romanticismo che si apre con Napoleone e si chiude alla vigilia della prima Guerra mondiale, e per qualcun altro è soltanto il siècle imbécille. Non gli si può certo rimproverare di aver cullato qualche entusiasmo per gli ideali di patria, di unità e di libertà. Non ci si può meravigliare se il suo entusiasmo di patriota cattolico si scaldò per alcuni anni alla fiamma del federalismo neoguelfo. Non ci si può scandalizzare se dinanzi agli sviluppi centralistici, autoritari e giacobini dell’ala prevalente del movimento di unità nazionale, la coscienza del suo ruolo di capo della Chiesa e di principe di uno Stato italico che aveva diritto e bisogno di preservare la sua sovranità lo spinse a chiamarsi fuori da un coro unitario sempre più egemonizzato dal militarismo e dall’espansionismo annessionistico dei piemontesi e dal radicalismo giacobino dei garibaldini.

    Ho francamente qualche disagio a tornare su Pio IX dopo le polemiche nate nell’estate scorsa dalla sua beatificazione e dalla mostra che all’interno del Meeting di Rimini è stata dedicata a una rilettura della storia del Risorgimento. Quanto al primo tema, non riesco francamente a convincermi che in un paese nel quale la religione cattolica è ancora forte e diffusa — anche se non più maggioritaria — sia ancora tanto radicata l’ignoranza relativa al carattere e al meccanismo dei processi di beatificazione e di canonizzazione: processi tipici ed esclusivi dell’ambito ecclesiale, che la Chiesa conduce iuxta sua propria principia e all’unico fine di stabilire se il candidato alla canonizzazione ha vissuto o no in grado eroico le virtù cristiane.

    Per i cattolici, la proclamazione di un santo è uno dei pochissimi casi nei quali il pontefice romano è direttamente assistito dallo Spirito Santo e quindi infallibile. Ma nella canonizzazione non hanno alcun peso le opzioni politiche o culturali del candidato alla santità: elevare Luigi IX di Francia alla gloria degli altari non comporta affatto il santificare la prassi e gli obiettivi della "settima" e della "ottava" crociata; riconoscere la santità di Giovanna d’Arco non comporta per nulla una sanzione delle sue qualità tattiche o strategiche; beatificare Pio IX non comporta l’approvazione del suo comportamento politico in quanto sovrano dello Stato Pontificio. Un santo può anche essere stato uno sprovveduto, uno sciocco, un fallito: questo non conta, lo Spirito soffia dove vuole. Un santo è un eroe delle virtù cristiane: la Chiesa ne decreta l’eroicità, il pontefice la legittima, lo Spirito Santo assiste quale Supremo Garante. Questo è tutto. E non ci sono eccezioni o perplessità protestanti, o laiche, o musulmane, o ebree che tengano.

    Ma bastano le ragioni della santità a ben giudicare Pio IX? Credo che a correttamente valutarne l’opera sia necessario apprezzare anche le sue caratteristiche civili. Papa Mastai Ferretti sostenne con grande dignità l’urto dell’espansionismo piemontese e dell’aggressività massonica: difese con moderazione ma con fermezza la libertà del suo piccolo Stato investito dalla furia di forze che non esitarono ad abbandonarsi a un vero e proprio atto di brigantaggio internazionale culminato nell’aggressione e nell’invasione di uno Stato sovrano. Il Piemonte sabaudo, ampliatosi e legittimatosi in Regno d’Italia, si comportò con lo Stato Pontificio come Hitler e Stalin, settant’anni dopo, si sarebbero comportati con la Polonia. Non è ultracattolico il dirlo: è semplicemente esito d’un’occhiata senza pregiudizi al mondo della storia.

    Pio IX portò con dignità e con fermezza la sua croce: sovrano senza più regno, prigioniero nella sua stessa casa, adulato e calunniato al tempo stesso.

    Difese il potere temporale: quel potere che, grazie a un’ottima e provvidenziale scelta concorde di Santa Sede e Governo italiano, è tornato sia pur simbolicamente a riproporsi mezzo secolo dopo la sua brigantesca soppressione. Non v’è dubbio che il potere temporale ha appesantito e compromesso la vita della Chiesa cattolica; ma è stato il prezzo che essa ha pagato per non finir a fungere da cappellana di palazzo di potenti della terra, come e invece accaduto alle chiese riformate e ortodosse.

    Pio IX volle il Sillabo: ch’è "datato", ma che in più punti conserva intatto il suo valore profetico. Alludo ai commi 58 — 59, relativi al materialismo assoluto, che suonano profetica condanna del materialismo comunista non meno che dell’ipermaterialsrno iperliberista che presiede alla globalizzazione.



    Cronologia

    1792. A Senigallia nasce dalla contessa Caterina Solazzi e dal conte Girolamo Giovanni Maria Mastai Ferretti. Lo stesso giorno riceve il battesimo.

    1797. Il piccolo Giovanni Maria cade nelle acque di un torrente. Salvato da un domestico, manifesta i primi segni di epilessia.

    1803. Entra nel Collegio degli Scolopi a Volterra.

    1809. Si trasferisce a Roma, ospite dello zio Paolino Mastai, canonico della Basilica Vaticana, per proseguire gli studi di filosofia e teologia al Collegio Romano.

    1815. Inizia la sua opera di assistenza all’istituto per ragazzi abbandonati Tata Giovanni di Roma.

    1819. 10 aprile - È ordinato sacerdote e nominato direttore del Tata Giovanni.

    1823. Si reca in Cile, accompagnando il Nunzio Apostolico Giovanni Muzi. Vi rimane fino al 1825. 1827. 3 giugno — È consacrato vescovo, a soli 35 anni, dal cardinale Castiglioni, futuro papa Pio VIII. È arcivescovo di Spoleto, dove viene chiamato a fronteggiare alcuni moti rivoluzionari e il terremoto del 1832.

    1832. 22 dicembre. È trasferito alla sede vescovile di Imola.

    1840. 17 dicembre. Riceve il cappello cardinalizio.

    1846. 16 giugno. È eletto papa a soli 54 anni. Succede a Gregorio XVI. 16 luglio. Emana "L’Editto del perdono", con cui concede l’amnistia per i delitti politici. 8 novembre. Prima Enciclica, la Qui pluribus, in cui condanna le società segrete, la Massoneria e il Comunismo.

    1847. Concede un’ampia libertà di stampa. Istituisce la Guardia civica, il Muni cipio e il Consiglio comunale di Roma. L’anno successivo concede lo Statuto. 1848. 10 febbraio. Dalla loggia del Quirinale pronuncia il celebre discorso in cui esclama: "Gran Dio, benedite l’Italia". 29 aprile. Prodama la Chiesa neutrale nel conflitto tra Piemonte e Austria. 3 maggio. Invia all’Imperatore d’Austria una lettera in difesa dell’indipendenza italiana. 15 novembre. Viene ucciso Pellegrino Rossi, capo del Governo di Pio IX. 24 novembre. Si rifugia a Gaeta, mentre l’Urbe cade in mano ai repubblicani.

    1850. 12 aprile. Rientra a Roma. Concede una nuova, ampia amnistia. 1852. 2 febbraio. Chiede allo zar Nicola I che siano rispettati i cattolici e il popolo polacco.

    1854. 8 dicembre. Proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. 1857. Visita i territori dello Stato Pontificio. Il viaggio dura 4 mesi, 1860. La sconfitta nella battaglia di Castelfidardo segna per lo Stato Pontificio la perdita di Legazioni (Bologna, Perugia, Urbino, Velletri), Marche e Umbria. 1861. 1 luglio. Fonda "L’Osservatore Romano". 1864. 8 dicembre. Pubblica l’enciclica Quanta cura con annesso il Syllabum, elenco dei "principali errori dei nostri tempi".

    1869. 7 dicembre. Apre il Concilio Vaticano I, che verrà sospeso il 18 luglio 1870, a causa della guerra francoprussiana.

    1870. 18 luglio. Proclama il dogma dell’Infallibilità papale ex cathedra. 20 settembre. Con la presa di Roma da parte dei piemontesi, Pio IX si rinchiude in volontaria prigionia in Vaticano. 8 dicembre. Dichiara san Giuseppe patrono della Chiesa universale.

    1871. 3 febbraio. Roma èdichiarata capitale; Vittorio Emanuele TI vi farà il suo ingresso il 3 luglio. 13 maggio. Viene promulgata la Legge delle Guarentigie, che il Papa respinge come atto unilaterale di un governo aggressore.

    1874. Invita i cattolici a non partecipare alle elezioni politiche in Italia (Non expedit). Nasce a Venezia l’Opera dei Congressi, che riunisce i cattolici italiani "intransigenti", fedeli alle esortazioni del papa.

    1875. 16 giugno. Consacra la Chiesa al Sacro Cuore.

    1878. 7 febbraio. Muore dopo il più lungo pontificato della storia. È sepolto provvisoriamente in san Pietro.

    1881. 13 luglio. La salma viene traslato nella Basilica di san Lorenzo. Durante il tragitto, alcuni esagitati tentano di gettare la bara nel Tevere.

    1907. 11 febbraio. Pio X ordina l’introduzione dei processi dìocesani ordinari per la causa di beatificazione dì Pio IX. Il processo prosegue il suo iter sotto il pontificato di Pio XII.

    1985. 6 luglio. Giovanni Paolo Il riconosce le virtù eroiche del servo di Dio Pio IX.

    1986. 15 gennaio. La consulta medica dichiara all’unanimità che, per intercessione di Pio IX, suor Maria Teresa di san Paolo del Carmelo di Nantes ha ottenuto una guarigione miracolosa, l’li febbraio 1911.

    2000. 3 settembre. In piazza san Pietro sono proclamati beati Angelo Giuseppe Roncalli e Giovanni Maria Mastai Ferretti.



    "Tra le leggende costruite ad arte per legittimare la presa di Roma, screditando Pio IX, vi è quella relativa al "malgoverno" dello Stato Pontificio. Indubbiamente, quello dei papi era un regno di questo mondo, con tutti i difetti e i limiti delle cose umane. Ma un rapido confronto con le nazioni dell’epoca dimostra che le cose non andavano poi tanto male per i cittadini pontifici. I quali, innanzitutto, si erano visti garantiti più di mille anni di pace, grazie al prestigio internazionale e all’assoluta mancanza di mire espansionistiche del regno.

    [...] La pressione fiscale nello Stato Pontificio oscilla tra i 20 e i 22 franchi a persona, mentre in Piemonte è tra i 30 e 32 franchi, in Francia tocca i 40 e in Inghilterra addirittura gli 80. Pio IX cura il prosciugamento delle paludi di Ostia e di Ferrara, la bonifica dell’agro romano, amplia i principali porti sull’Adriatico, fornisce Roma dell’acqua potabile, promuove sin dal 1847 l’illuminazione a gas, dà nuovo impulso a scavi e restauri, fa poggiare oltre 400 chilometri di ferrovia. Roma possiede un ospedale ogni 9000 abitanti, mentre Londra uno ogni 40.000; e un istituto di beneficenza ogni 2700 abitanti, contro uno su 7000 della capitale inglese".

    (Alessandro Gnocchi — Mario Palmaro, Formidabili quei Papi. Pio IX e Giovanni XXIII: due rifratti in con froluce, Ancora, Milano 2000, pp. 30-32).

    Bibliografia

    - Alessandro Gnocchi Mario Palmaro, Formidabili quei Papi. Pio IX e Giovanni XXIII: due ritratti in controluce, Ancora, Milano 2000.
    - Roberto De Mattei, Pio IX, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.
    - Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994.
    - Angela Pellicciari Risorgimento da riscri vere, Ares, Milano 1998.
    - Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti, Il Cerchio, Rimini 1999.
    - Paolo Gulisano, O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento, Il Cerchio, Rimini 2000.

    Il Timone - n. 10 Novembre/Dicembre 2000

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    Pio IX, un profeta delle derive moderne

    Intervista di Giacomo Scanzi con Roberto De Mattei

    Avvertì per primo i rischi di una società anticristiana. Parla De Mattei.


    La storia appone un altro tassello alla conoscenza di Papa Pio IX a poche settimane dalla sua beatificazione. Non solo, ma la storia può addirittura cogliere meglio di un certo pensiero astratto, individuare i segni, la modernità di un'esperienza che sta nel cuore del nostro percorso nazionale e che si colloca alla radice dell'identità stessa del popolo italiano. Pio IX, Incompreso, talvolta denigrato, spesso conosciuto per luoghi comuni dagli stessi credenti, è invece coraggiosamente proposto dalla Chiesa come modello di virtù, di santità. La biografia pubblicata recentemente per i tipi di Piemme da Roberto De Mattei, docente di storia moderna all'Università di Camerino, va al cuore dei problemi, dei pregiudizi, che accompagnano l'uomo, il Papa e il suo pontificato, il più lungo nella storia della Chiesa, dopo Pietro.

    Dunque, professore, come nasce questa biografia?

    «Nasce da un duplice dovere: di conoscenza e di giustizia. Pio IX è un papa poco conosciuto e incompreso, qualche volta addirittura calunniato, anche dai cattolici. Complice anche una storiografia cattolica che ha in gran parte fatti propri schemi interpretativi dei grandi oppositori della causa cattolica e della Chiesa stessa. È la prospettiva storiografica di certo cattolicesimo cosiddetto democratico che ha sottovalutato o addirittura contestato il valore pubblico, civile, del pontificato di Mastai Ferretti. Una storiografia che nell'ultimo mezzo secolo ha perso la propria radice cattolica, una visione cattolica della storia e del mondo e perfino l'idea stessa di una teologia della storia, appiattendosi su schemi liberal-marxisti, quasi vittima di un complesso di inferiorità. La lettura e la comprensione del pontificato di Pio IX rientra in questi schemi. Perciò, ad esempio, ecco che dovendo parlare di Pio IX, al più ci si dà da fare per renderlo meglio presentabile, sottolineando il Pio IX filo-italiano, quello dei primi tre anni del pontificato, quello delle simpatie giobertiane. Bene, io credo invece che il Pio IX più autentico sia quello che guida la Chiesa negli anni dopo il 1849 e fino alla fine del suo pontificato, nel 1878».

    Veniamo al nodo della questione, al Papa che difende la Chiesa in un momento cruciale, nel cuore del Risorgimento...

    «Il punto, secondo me è questo; prendo le mosse da un articolo di Umberto Galimberti apparso su "Repubblica" il 23 luglio a commento e difesa del documento dei teologi di "Concilium" che accusava Giovanni Paolo II di non aver chiesto scusa per il Concilio Vaticano I e per la dichiarazione di infallibilità papale in materia di fede e di morale, ma anche per quel che riguarda - dice Galimberti - il governo della Chiesa. Ora, la questione così posta non è esatta. L'infallibilità non riguarda il governo ordinario della Chiesa, ma il suo ordinamento, la sua struttura, la sua natura. E proprio qui sta una delle grandezze di Pio IX: l'aver colto che allora, e più ancora oggi, era fortissimo il tentativo di snaturare la struttura della Chiesa, di decapitarla, strapparla dalla roccia su cui si fonda il primato di Pietro, di trasformare le strutture della Chiesa in senso egualitario e autogestionale. Trasformarla insomma in ciò che non è e non può essere per sua natura. Questo tentativo, laicista ma che ha affascinato anche tanti credenti, ha uno dei suoi ostacoli proprio nel Concilio Vaticano I che, profeticamente, non solo ha sancito l'infallibilità papale in termini di fede e morale, ma ha confermato e rinnovato quella che era la tradizionale dottrina della Chiesa sul primato di Pietro, sulla sua suprema giurisdizione. Insomma la Chiesa non può essere trasformata in un insieme di comunità di base come vorrebbe certa teologia che si autodefinisce progressista…»

    Par di capire che l'attacco non è più ai contenuti della fede e della morale, ma all'architettura stessa…

    «Se ci si pensa bene è proprio così. L'attacco non è più alla fede in sé, ma all'istituzione, al governo della Chiesa. Quali sono le accuse più frequenti al Papa? Di essere autoritario, accentratore, un centro di potere, di essere burocratico. Insomma, il tentativo è democratizzare la Chiesa. Il Vaticano I ha posto i limiti a quest'opera di democratizzazione, definendo una volta per tutte la natura della Chiesa contro cui nessuna opera riformatrice, pur possibile, può andare. Io credo che davvero dobbiamo essere grati a Pio IX per il Concilio Vaticano I. Senza quel Concilio, sarebbe stato molto difficile resistere all'opera di smantellamento messa in campo dalla varie forze interne ed esterne in nome del progressismo e della democrazia».

    Professore, c'entra in tutto questo la questione del potere temporale?

    «Direi di sì, il potere temporale è stato rivendicato da Pio IX per due ragioni: innanzitutto come mezzo per assicurare la libertà e l'indipendenza della Chiesa. Ma c'è di più: Pio IX coglie che esistono veri e propri nemici della Chiesa e il loro fine è arrivare a sopprimere la Chiesa stessa. La soppressione del potere temporale è il primo passo. Come noi oggi sosteniamo che il divorzio è il primo passo per arrivare all'aborto, all'eutanasia, alla manipolazione genetica e via dicendo. Pio IX - e in questo notiamo la sua modernità - coglie il carattere processuale del fenomeno rivoluzionario».

    Concludiamo con il "Sillabo", che nel suo libro è pubblicato integralmente, e che è un altro dei punti utilizzati polemicamente contro Pio IX.

    «Il "Sillabo" è un documento profetico perché ha denunciato i germi del totalitarismo del Ventesimo secolo, nazismo e comunismo innanzitutto, e tenendo presente che lo stesso Giovanni Paolo II ha parlato della possibile esistenza di una democrazia totalitaria. Il punto fondamentale del "Sillabo" è la denuncia del relativismo, di come esso avrebbe fatto sentire il suo peso distruttivo nel Ventesimo secolo. Una rilettura oggi di quel documento, aiuta a capire dov'è la radice dei mali del nostro tempo».

    © Avvenire - 13 Agosto 2000

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    La scelta «religiosa» di Papa Mastai

    di Roberto De Mattei

    Il Pio IX incompreso

    La beatificazione di Pio IX, il prossimo 3 settembre, non riguarda solo uno spicchio della personalità del pontefice, ma tutto l'uomo, nella vita, negli scritti, nelle opere, passate al vaglio di una minuziosa e severa inchiesta canonica, culminata nel decreto con cui, il 6 luglio del 1985, Giovanni Paolo II decretava l'eroicità delle virtù di Giovanni Maria Mastai Ferretti, riconoscendogli il titolo di «Venerabile». Appare fuorviante a questa luce voler separare in Pio IX la spiritualità dall'iniziativa pastorale e sociale distinguendo in lui fra virtù private e errori pubblici. Gli odierni detrattori di Pio IX, ma anche alcuni dei suoi difensori ripropongono, attraverso uno sdoppiamento di personalità, la vecchia tesi liberale che separava la dimensione individuale da quella pubblica, l'uomo dalla società, col rischio di dedurre da questa scissione l'esistenza di due morali autonome e fors'anche contrapposte. Pio IX viene presentato in questa prospettiva come personalmente santo ma politicamente sprovveduto e rimane, oggi come ieri, un grande incompreso.

    In realtà, per capire la santità di Pio IX occorre affrontare di petto il nodo centrale del suo pontificato, ovvero il problema del rapporto tra società e individuo, tra Chiesa e Stato o, in termini più pregnanti, tra politica e morale. Sciogliere questo nodo ci aiuta a comprendere il ruolo dei suo pontificato sul contrastato sfondo delle vicende risorgimentali.

    Si tratta di un problema che affonda le sue remote radici nell'Italia rinascimentale, quando con Machiavelli, in politica si emancipa dalla morale per farsi mera tecnica del potere e la ragion di Stato diviene il criterio supremo degli uomini di governo. Cavour che con abile spregiudicatezza utilizza ogni mezzo per perseguire il fine dell'unificazione nazionale personifica una certa concezione della politica, fondata su una radicale autonomia della politica dalla morale. Il conte piemontese è in questo senso, come ha osservato Gramsci, non solo l'erede più coerente di Machiavelli, ma il vero «giacobino d'Italia», legittimo precursore dei «rivoluzionari di professione» del XX secolo che risolveranno, secondo la nota formula di Lenin, la politica nella morale (Antonio Gramsci, Note sul Machiavelli, Editori Riuniti, Roma 1975).

    La cultura italiana post-risorgimentale, in nome dell'autonomia dalla morale, ribattezzata come «laicità», continuò a perseguire un progetto di secolarizzazione, descritto dallo stesso Gramsci come una «completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti dì costume» (Quaderni dal carcere, Einaudi 1975, p.1437), ovvero come «lo storicismo assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia» (ivi, p.1437).

    A questa visione culturale, egemone in tutta Italia dopo l'unità, Pio IX contrappose una "scelta religiosa" che costituisce la chiave di lettura del suo pontificato. Egli combattè il processo di secolarizzazione della società che negava ogni azione di Dio sull'uomo e sul mondo (allocuzione Maxirna Quidem del 9 giugno 1862, Sillabo n.2) e riconnettendosi a una filosofia politica che attraverso Vico giunge a Dante e a San Tommaso d'Aquino, considerò politica e morale, ordine temporale e ordine spirituale, come realtà distinte ma non separate, cercando tra queste due sfere un equilibrio che non ne intaccasse i principi. Più assai della perdita dello Stato della Chiesa, scrisse il 22 ottobre 1862 a Pedros V di Portogallo, "quello che affligge il mie cuore è questo rovescio di principi, questa studiata perdita del senso morale e del retto giudizio". Egli considerò, in tale prospettiva, il potere temporale come un mezzo ordinato al fine supremo, soprannaturale della Chiesa, maestra di fede e di morale anche nell'ordine civile e sociale.

    In questo senso non esiste in lui una dimensione «politica» scissa da quella. spirituale; ogni gesto pubblico di Pio IX, anche politico e sociale, scaturì la sua profonda vita interiore e può essere compreso solo all'interno di un'antropologia e di una teologia della storia cristiana. Pio IX vide nella volontà divina l'unica e suprema regola dell'agire umano, in tutte le sue espressioni. Egli era fermamente convinto che la volontà di Dio conducesse non solo la vita dei singoli, ma anche quella dei popoli, delle nazioni, dell'umanità, considerata come un unico insieme. «Non voglio scostarmi un apice - ripeteva - dalla divina Volontà» (Alberto Serafini, Pio IX, vol. I, Città del Vaticano 1958, p. 1682). il suo sforzo di conformare alla volontà di Dio ogni sua azione, pubblica e privata, è stato riconosciuto come eroico dalla Chiesa e confermato soprannaturalmente dal miracolo richiesto per la beatificazione.

    La solenne cerimonia del 3 settembre illumina di nuova luce non solo gli atti culminanti del suo pontificato, come la proclamazione del dogma dell'Immacolata e l'indizione del Concilio Vaticano I, ma tutti i suoi gesti privati e pubblici: le riforme politiche, sociali e amministrative e il Sillabo, lo straordinario impulso missionario che impresse alla Chiesa e la rinascita culturale e morale del cattolicesimo nell'ottocento. Sarà beatificato l'uomo, il sacerdote, il vescovo, il Papa, il sovrano, in una parola tutto Pio IX.

    © Avvenire - 1 Settembre 2000

  6. #6
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    Pio IX beato e incompreso

    di Rino Cammilleri

    Al Meeting riminese di Comunione e Liberazione non sono mancate le polemiche sulla beatificazione del Papa del Sillabo. E proprio il suo scritto, una sorta di "Manifesto della Chiesa", continua ad essere ricoperto di insulti. Il contrario di quanto avviene per il Manifesto comunista, rimpianto da molti dei cosiddetti liberali. Gli stessi che si scagliano contro il potere pontificio. Eppure persino un insospettabile come Proudhon riconosceva che...


    Reduce dal meeting riminese di Comunione e Liberazione, di cui sono stato ospite, mi sto ancora togliendo di dosso le scorie delle polemiche furiose su Pio IX e la di lui beatificazione. Mentre scrivo, non so se siano finite. Non credo. Ho partecipato, nel suddetto meeting, a una tavola rotonda sul Beato e dato il mio dovero_so contributo a una mostra sul Risorgimento. La mostra, curata dal magistrato-storico Francesco Mario Agnoli e dall’editore Adolfo Morganti, ha provocato l’apriti cielo per la sua supposta rivalutazione dei Borboni e del "brigantaggio". Come volevasi dimostrare. Siamo nell’anno del Signore 2000, ma certi temi sono ancora intoccabili.

    Una volta passi.

    Meglio: appannaggio esclusivo di una fazione, e guai a chi glieli tocca. Eppure, riscrivendo la storia d’Italia, che male si fa? Forse che il lavoro dello storico non è un continuo revisionismo (parola di uno che se ne intende, Franco Cardini)? Del resto, si fa un piacere anche — perché no — ai comunisti, i quali non conoscono bene neanche la loro, di storia. Infatti, il quotidiano Liberazione, in un articolo del 25 agosto u.s. dedicato a Pio IX, per ben due volte datava la Comune di Parigi al 1848, e non, come si sa dalla scuola dell’obbligo, al 1871. Una volta, passi: può essere stato il solito diavoletto di redazione. Due, no.

    Il quotidiano in questione deve essersi confuso gironzolando attorno al Manifesto del partito comunista, quello di Marx-Engels, uscito a Londra, sì, nel 1848.

    Ma in sordina. E ancora clandestinamente cominciò a circolare durante la sanguinosa rivolta della Comune di Parigi, appunto nel 1871, ventitré anni dopo. Insomma, per buona parte dell’Ottocento nessuno seppe quasi niente di quel documento. Invece tutti sapevano tutto di un altro documento, il Sillabo di Pio IX, pubblicato nel 1864. Era, se così si può dire, il Manifesto della Chiesa, l’ultimo grido di avvertimento dell’ultimo papa-re al suo gregge. Anch’esso di dimensioni molto ridotte, avvisava i credenti che il "sol dell’avvenire" si sarebbe rivelato puro veleno. Infatti, il secolo successivo, appena conclusosi (ma solo sul calendario), è stato autorevolmente e insospettabilmente definito "il secolo breve", il "secolo del male", "il secolo dei martiri", "il secolo dei genocidi", "il secolo dei totalitarismi".

    Premonizione

    Il Sillabo fu veramente profetico; il Manifesto no. Eppure, ancora oggi, il primo continua a essere ricoperto di insulti; il secondo, rimpianto. Sì, rimpianto, perché non sono pochi i cosiddetti liberali che seguitano a pensarlo "generoso", "di alti ideali" ma "tradito". Il che significa che nessuno ha mai letto né l’uno né l’altro. Altrimenti ci si sarebbe accorti che il Sillabo metteva in guardia contro il comunismo fino dal 1864. Ripeto: 1864. Più profetico di così... Allora, ritengo opera altamente meritoria riprendere in mano il passato, rimeditarlo, proporlo al dibattito. Personalmente, ho scritto articoli, ho rilasciato interviste (anche a Repubblica, l’erede "colto" dell’Unità), ho partecipato a conferenze. Tuttavia, vi sarete accorti anche voi che i cultori della "tolleranza" perdono facilmente le staffe quando in discussione ci sono le loro idee e posizioni. Più cerchi di invitarli al dialogo, e più ti rispondono con invettive. Due grandi vecchi del nostro giornalismo, per esempio, hanno mandato lo stesso "avvertimento" al papa: Santità, badi bene di distinguere tra i due milioni di giovani di Tor Vergata e quelli (altrettanto numerosi, se non di più) di Comunione e Liberazione. I primi vanno bene, visto che pregano e basta. I secondi no, perché si permet_tono di discutere idee. Le quali idee vanno lasciate —cela va sans dire — solo ai politically correct, cioè a loro. I grandi vecchi in questione sono Scalfari e Montanelli, anche se non c’era quasi bisogno di dirlo. L’uno ha scritto un immediato editoriale su Repubblica. L’altro, senza — evidentemente — avere avuto il tempo di leggerlo, ne ha fatto uno suo, il giorno dopo, sul Corriere. Dicendo la stessa cosa. L’indomani, nella sua Stanza, Montanelli ha usato termini come "faziosi" e "pataccari" riferendosi a quanti osano avventurarsi nelle pieghe della storia patria senza il permesso degli Anziani.

    Tuttavia, la rubrica che curo ormai da anni su queste pagine ha come punto di riferimento costante l’amor patrio (termini desueti, lo so, ma vi prego di compatirmi), e cerca di far recuperare agli italiani un minimo di orgoglio nazionale. Ora, ci sono alcuni che hanno decretato l’eterno ostracismo per mezza Italia, quella che perdette la guerra civile del Risorgimento. Dopo aver perso quella napoleonica. E prima di aver perso anche quella resistenziale. Questa mezza Italia deve continuare a stare zitta, sennò giù legnate. Pio IX non era polacco, era italiano. Doveva dire ai piemontesi: prego, accomodatevi e pigliatevi lo Stato pontificio, Roma compresa. Così, sarebbe stato nel "senso della storia".

    Faccenda politica

    Come se Roma fosse stata sua. E come se la cosiddetta Questione Romana fosse una faccenda meramente politica. Invece era religiosa, e se ne accorse anche un insospettabile come Proudhon, il patriarca dei rivoluzionari, il teorico che gridava "la proprietà è un furto" e "Dio è il male". Ebbene, così scriveva: "Deponete i papi dal loro trono temporale, e il cattolicesimo degenera in protestantesimo, la religione di Cristo si discioglie in polvere. Coloro i quali dicono che il papa allora sarà meglio ascoltato, quando si occuperà esclusivamente degli affari del cielo, coloro o sono politici di mala fede che si studiano di mascherare con la devozione delle parole l’atrocità dell’azione, o cattolici imbecilli, non atti a comprendere che nelle cose della vita il temporale e lo spirituale sono solidali, come appunto l’anima e il corpo".

    Insomma, Proudhon aveva perfettamente compreso qual fosse la posta in gioco. E anche Pio IX. Infatti, oggi come oggi, uno Stato indipendente il papa ce l’ha.

    Piccolo, infinitesimo, ma tale da impedirgli di diventare il cappellano di chiunque, come già fu al tempo di Filippo il Bello e dei settant’anni della Cattività Avignonese. Che costò la pelle ai Templari.


    © Libero settimanale - Settembre 2000

  7. #7
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    Un Papa vituperato che rilancia le missioni

    di Rino Cammilleri

    Contributo dello scrittore Rino Cammilleri su Pio IX



    Roma (Fides) - La vulgata risorgimentale (molta mitologia e poca storia) che abbiamo assorbito sui banchi della scuola dell'obbligo ci ha abituati a vedere in Pio IX il Papa "miope" e "retrivo" che si ostinò per tutto il suo lunghissimo pontificato (trentadue anni: il più lungo della storia dopo quello di S. Pietro) a non capire che il "senso della storia" esigeva la gratuita cessione, della millenaria capitale della cristianità universale e dell'intero Stato della Chiesa al Piemonte sabaudo.
    Da qui lo stupore per la sua beatificazione in contemporanea con quella di Giovanni XXIII. Tanto popolare questo, quanto vituperato quello. Ma il credente sa che non è la Chiesa a fare i "Beati"; essa si limita a prendere atto della loro santità - certificata dai miracoli post-mortem - e non può esimersene.
    Comunque, una conoscenza meno superficiale delle cose mostrerebbe alcuni fatti che collidono con la vulgata di cui sopra.
    Innanzitutto, la profondissima devozione che Giovanni XXIII ebbe per Pio IX. Papa Roncalli, anzi, si pose come il continuatore dell'opera che papa Mastai aveva iniziato ma non aveva potuto concludere: il Concilio. Il Vaticano I aperto da Pio IX, fu bruscamente interrotto dalla presa di Roma da parte dei bersaglieri. Pochi ricordano che Giovanni XXIII, nel convocare il Vaticano II, intese innanzitutto portare a termine quel che era stato iniziato col Vaticano I. Naturalmente nel frattempo i tempi erano profondamente cambiati, e il secondo Concilio fu di necessità "pastorale", laddove il primo era stato essenzialmente "dogmatico".

    Un'altra cosa mostrerebbe, poi, un'indagine appena approfondita. Certa storiografia è usa plaudire al successore di Pio IX, Leone XIII, lodandone le "aperture" e, contrapponendole alle "chiusure" dell'altro, che fu _ orrore! - il Papa del demonizzatissimo Sillabo.
    Ebbene, l'idea del Sillabo fu proprio dell'arcivescovo di Perugia, Gioacchino Pecci, poi divenuto Leone XIII. Quest'ultimo Papa, infatti, non lesinò di citare, e più volte, quel documento nelle sue encicliche. Dunque, non c'è una Chiesa di Pio IX ("retriva!"), una di Leone XIII ("aperta"), una di Giovanni XXIII ("buona") e una di Wojtyla ("mediatica"). La Chiesa era ed è sempre una e sempre la stessa.
    Cambiano solo i modi di proporre il messaggio che le è stato commesso duemila anni fa dal suo fondatore.
    Ma, continuando nella nostra indagine non superficiale, poniamo la lente su Pio IX. Ancora oggi c'è chi lo accusa di "antisemitismo", quando fu proprio lui a ricevere gli elogi e la gratitudine della comunità ebraica romana, che aveva liberato dalle restrizioni del ghetto e dagli odiosi insulti di cui era fatta segno ad ogni inizio di carnevale. Gli si rinfaccia il caso Mortara, quel bambino nato ebreo ma battezzato dalla balia perché in pericolo di vita. Sudditi dello Stato Pontificio, i genitori avevano eluso il divieto (posto per evitare proprio casi dei genere) di assumere domestici cristiani. Il piccolo sopravvisse e fu adottato dal Papa; il quale, ricordandosi di essere anche un sacerdote, lo fece educare cristianamente. Giunto ai quattordici anni, il ragazzo espresse la sua ferma e libera volontà dì entrare in seminario. Si gridò e si grida al "lavaggio del cervello" (alla cui possibilità la moderna psichiatria non crede). Più di tutti si scandalizzarono i liberali inglesi, dimentichi di aver fatto rinchiudere coattivamente gli orfani irlandesi della guerra di Crimea in collegi protestanti. Lo stesso faceva lo zar con i bambini polacchi. Il Sillabo? Ma proprio noi, uomini del Duemila, siamo in grado di valutarne appieno la portata realmente profetica. Quel documento condannava in anticipo tutti gli ismi tra i quali, il comunismo.
    Occhio alle date: il Sillabo è del 1864, il Manifesto, del 1848, ma cominciò a circolare - clandestinamente - solo durante la sanguinosa Comune di Parigi del 1871. Basterebbe questo a dar conto della profeticità del Sillabo. Pio IX aveva davanti quel "sol dell'avvenire" che baluginava negli occhi dei suoi contemporanei gravido di radioso futuro. Ma il Pastore supremo dei cristiani, veramente ispirato, volle lanciare, col Sillabo, quell'ultimo avvertimento al suo gregge: le filosofie ottocentesche si sarebbero rivelate veleno. Infatti ne seguì "il secolo del male", come è stato definito, il secolo dei genocidi, dei totalitarismi e della guerre mondiali ideologiche.
    Pio IX è stato anche descritto come sant'uomo, sì, ma pessimo Papa. Invece, anche qui, i crudi fatti dicono il contrario: fu lui a ripristinare, dopo secoli, la gerarchia ecclesiastica in Inghilterra, regno in cui i cattolici erano passati dalla persecuzione cruenta a quella amministrativa (che cessò proprio nell'Ottocento). Fu lui a dare uno slancio incredibile alle missioni (e fin nella lontana Birmania), cominciando col fondare l'Istituto per le missioni estere. Furono quasi centocinquanta le nuove diocesi che videro la luce, in tutto il mondo grazie all'opera di Pio IX. Sotto il suo pontificato avvenne, prima ed unica volta, che una repubblica democratica inserisse la consacrazione dello Stato al Sacro Cuore di Cristo nella sua Costituzione: l'Ecuador del presidente Garcia Moreno (che infatti finì assassinato). Quel papa non "comprese" il Risorgimento? In realtà lo comprese, benissimo, specialmente quando dopo gli "evviva Pio IX!", si ritrovò esule a Gaeta. E lo compresero anche i suoi contemporanei, specialmente i più insospettabili.
    Come Proudhon, il "teologo" dei rivoluzionari ottocenteschi, il teorico di , "Dio è il male" e "la proprietà è un furto". Così scriveva, infatti: "Deponete i papi dal loro trono temporale, ed il cattolicesimo degenera in protestantesimo, la religione di Cristo si discioglie in polvere. Coloro i quali dicono che il Papa allora sarà meglio ascoltato, quando si occuperà esclusivamente degli affari del cielo, coloro o sono politici di mala fede che si studiano di mascherare con la devozione delle parole l'atrocità dell'azione, o cattolici imbecilli, non atti a comprendere che nelle cose della vita il temporale e lo spirituale sono solidali, come appunto l'anima e il corpo"

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    Il "caso Mortara"

    di Vittorio Messori

    Scorro una di quelle pubblicazioni presentate come di "incontro" tra cristianesimo ed ebraismo, mentre spesso si risolvono in un affannarsi di cristiani di oggi per attribuire ai cristiani di ieri tutte le infamie antisemite della storia. Già l'osservammo, qui: proprio quelli che più dicono di avere a cuore la giustizia si preoccupano solo dei loro contemporanei, dimenticando che c'è un dovere di giustizia anche verso coloro che ci hanno preceduti. Occorre essere giusti non solo verso i vivi, ma anche verso i morti: anzi, più che mai verso questi, perché non possono difendersi; e soprattutto se si tratta di fratelli in una fede della quale non solo noi (checché ne pensi la nostra risibile superbia di moderni) abbiamo capito da poco le esigenze. Nella pubblicazione cui mi riferisco, dei cattolici inveiscono tra l'altro contro la Chiesa ottocentesca che avrebbe compiuto scelleratezze come, testualmente, "il sequestro del figlio agli sventurati coniugi Mortara". Si dice che si tratta di una ignominia, per la quale si chiede perdono, promettendo che questo non potrà più avvenire. Ma allora, proprio per amore di verità e, dunque di giustizia, andiamo a vedere che cosa fu esattamente questo "caso Mortara" che riempì le gazzette ottocentesche di mezzo mondo e provocò addirittura passi diplomatici e interventi infiammati nei parlamenti d'Europa e delle Americhe. Ora l'episodio sembra dimenticato, ma di tanto in tanto càpita di ritrovarlo evocato. Non sarà dunque inutile informare i lettori dei dati corretti di un "caso" doloroso e drammatico, ma con un finale a sorpresa che - guarda caso - non è mai citato dagli accusatori.

    Girolamo Mortara Levi, ricco mercante ebreo di Bologna (allora negli Stati pontifici) ebbe nel 1851 dalla moglie, anch'essa ebrea, un figlio cui fu dato il nome di Edgardo. A undici mesi il bambino fu colpito da una gravissima malattia, per cui fu dato per ormai spacciato. Credendo che la morte fosse questione di ore, una domestica cattolica al servizio dei Mortara amministrò di nascosto (e di sua iniziativa, senza consultare alcuno) il battesimo al piccolo. Il quale ebbe però una sorprendente ripresa e tornò alla salute. Nel 1858 - quando Edgardo aveva 7 anni - una donna si presentò spontaneamente all'autorità ecclesiastica di Bologna per informare del caso. L'arcivescovo fece svolgere un'inchiesta minuziosa che constatò che il battesimo era sì illecito perché amministrato senza il consenso dei genitori, ma era valido, secondo la teologia e il diritto canonico. Dunque, con quel "segno oggettivo" che è il battesimo, il piccolo Edgardo era stato inserito - mistericamente ma realmente - nella comunità cristiana. Così, il bambino fu tolto ai genitori (cui fu data peraltro ogni facoltà di visitarlo quando volessero) e, a spese del papa stesso Pio IX, fu ospitato in un collegio romano. Gli ebrei piemontesi denunciarono il caso all'opinione pubblica prima interna e poi internazionale. La protesta, violentissima, partì dal Regno di Sardegna, perché il caso faceva molto comodo alla polemica contro il potere temporale dei papi: "Fino a quando i preti avranno responsabilità di governo saranno possibili barbarie del genere".

    Anche fuori d'Italia il caso, come accennammo, ebbe risonanze immense e gli ambasciatori facevano pressione su Pio IX, il quale, pur confessando la sua sofferenza, rispondeva di non poter agire diversamente, rimarcando tra l'altro che il caso increscioso aveva avuto origine da una illegalità dei Mortara. In effetti, le leggi dello Stato pontificio proibivano agli ebrei di assumere personale di servizio cattolico: e non certo (come sarà per nazisti e fascisti) per questioni "razziali", ma perché l'esperienza aveva dimostrato che in simili casi potevano nascere non solo pericoli per la fede dei domestici cristiani, ma anche situazioni drammatiche come quella verificatasi appunto a Bologna. Conformandosi al pensiero dei Padri, e poi dì san Tommaso, la Chiesa aveva sempre proibito che i figli minorenni di ebrei fossero battezzati senza il consenso dei genitori: l'autorità paterna (quale che sia la fede dei genitori) è un principio del diritto naturale che è tra i capisaldi del sistema cattolico. Ma il caso Mortara investiva il diritto soprannaturale: il battesimo validamente amministrato rende "cristiani" ex opere operato, imprime il carattere indelebile di "figlio della Chiesa". Non è la fede dei genitori, è la fede della Chiesa che - nel battesimo - è imputata al bambino. Dunque, poiché valida anche se illecita, l'azione di quella domestica (convinta che il piccolo stesse per morire) rendeva la Chiesa stessa come prigioniera del suo dovere di non respingere quel suo figlio inaspettato e di assicurargli un'educazione cristiana. Proprio per evitare questi casi, i papi avevano moltiplicato le condanne contro "battezzatori" irresponsabili e avevano preso cautele.

    Nel 1860, Bologna era annessa al Piemonte con un colpo di mano e il colonnello della gendarmeria pontificia che aveva materialmente tolto Edgardo ai genitori veniva arrestato e tratto in giudizio. Ma il piccolo era ormai a Roma e non sì poteva dunque liberarlo. L'occasione venne dieci anni dopo, con la breccia del venti settembre. Il giovane Mortara aveva ormai 19 anni, ma ai "piemontesi" precipitatisi nel convento dove pensavano fosse prigioniero, toccava la delusione dì sentirlo affermare che non solo non intendeva rinunciare alla sua vita cristiana, ma aveva deciso di farsi religioso nei Canonici Regolari Lateranensi. Risultò anche che due anni prima le autorità pontificie intendevano rimandarlo presso la sua famiglia, avendo ormai conosciuto bene il cristianesimo e potendo dunque scegliere liberamente. Ma era stato lui stesso a rifiutare. Anzi, proprio nella Roma dove i "liberali" che volevano prendere le sue difese sopprimevano le congregazioni religiose e i monasteri erano trasformati in stalle, caserme, prigioni, Edgardo Mortara (che aveva aggiunto al suo nome quello di Pio, in omaggio al papa che lo aveva fatto allevare nella Chiesa) sceglieva liberamente la via del sacerdozio. Ancor più: la sua insofferenza verso i "liberatori" fu tale che rifiutò ostinatamente di rispondere alla chiamata di leva nell'esercito italiano. I superiori dovettero farlo riparare all'estero, dove divenne apprezzato insegnante dì teologia e famoso predicatore. In grado di parlare in nove lingue moderne, fu instancabile annunciatore del vangelo in molti Paesi, tanto che alla sua morte qualcuno propose il processo di beatificazione. In particolare, dedicò i suoi sforzi alla conversione degli ebrei. In occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, nel 1933, indirizzò proprio al popolo nel quale era nato un appello perché riconoscesse la verità del vangelo, dove diceva di avere trovato ciò che la sua anima religiosa di ebreo andava cercando. Morì a quasi novant'anni, nel 1940, in un monastero del Belgio. Sin sul letto di morte ebbe espressioni di tenerezza per i fratelli in Abramo e di ansia perché tardava il loro ingresso nella Chiesa.

    Storia drammatica e singolare, dunque, ma con un lieto fine, malgrado tutto. Una di quelle vicende in cui sembra di vedere all'opera un Dio che "sa scrivere dritto anche su righe storte". Non sarà inutile, per finire, ricordare le parole di Giacomo Martina, storico attento e pacato: "Mentre alcuni cattolici e quasi tutti i protestanti si stracciavano le vesti per la ferma volontà di Pio IX di educare nella religione cattolica chi vi era stato battezzato, nessuno protestava per l'aperta e violenta coazione nei territori polacchi soggetti alla Russia (ma anche in Inghilterra e nei Paesi scandinavi) a danno della libertà religiosa dei cattolici".

    © Le cose della vita, San Paolo, Milano 1995, p. 322.

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    Predefinito Quel che non si è detto

    Quel che non si è detto attorno a Pio IX...
    di Giorgio Rumi


    Fu il Papa che comprese come fosse arduo difendere la libertà "della" Chiesa: un elemento oggi dimenticato dai sagaci fautori della libertà "nella" chiesa

    Ora che le polemiche si sono un po' placate forse si può, con maggiore speranza di essere ascoltati, ragionare con più serenità sulla figura di papa Mastai, e mettere in luce qualcosa finora rimasta in ombra. I vecchi lombardi dicevano, con gusto un po' plebeo, che Pio IX prima aveva benedetto l'Italia e poi l'aveva mandata a farsi benedire. Ma in effetti papa Mastai resta un personaggio da tragedia greca, dilacerato tra forze contrapposte che non riesce a dominare e che esulano completamente dalle categorie del politicamente e religiosamente corretto di centocinquant'anni dopo. Come tutti gli spiriti migliori del suo tempo, non poteva dimenticare il destino di Pio VI e Pio VII: arrestati, deportati, confinati da una potenza terrena assoluta, cui non c'era rimedio fuori dell'attesa e della speranza. Napoleone, quintessenza della forza, aveva fatto del papato un ostaggio nelle sue mani, diviso il collegio cardinalizio e l'episcopato, estorto un concordato, disperso la curia romana, ridotto l'Urbe a una città di provincia del suo Impero. Solo i russi (ortodossi) di Alessandro I e le giubbe rosse del duca di Wellington avevano sconfitto il mostro e ridato al papa di Roma la sua libertà e le sue funzioni. Il successore di Pietro non doveva più essere ridotto a strumento di un potente: a tal fine serviva un minimo di sovranità territoriale e un sapiente equilibrio, almeno tra le multinazionali dinastiche degli Asburgo e dei Borbone che si spartivano (quasi) tutta l'Italia. Il sentimento patriottico di Giovanni Maria Mastai Ferretti è fuori questione. Come uomo, appartiene all'unico stato interamente nazionale della Penisola; come sacerdote, sa bene quanto ardua sia la difesa della libertà della Chiesa: un elemento dimenticato, oggi, dalle legioni di sagaci fautori della libertà nella Chiesa. Il principato territoriale serve all'universalità dei credenti che non possono e non vogliono trovare un successore di Pietro cappellano di Casa Asburgo o Borbone, ma neppure del dottor Giuseppe Mazzini e di altri utopisti che abbiano eventualmente trovato delle baionette.
    C'era poi l'Austria. La faceva semplice, l'abate Gioberti, a prospettare una lega di sovrani «italiani» presieduta dal Papa: ma «italiano» era anche il Re del Regno Lombardo-Veneto, abitante in Vienna, che, fosse il minorato mentale Ferdinando I o il giovanissimo Francesco Giuseppe, aveva interessi di tipo planetario, in cui si inseriva anche il mantenimento della fortezza italiana estesa tra le Alpi, il Ticino e il Po, con le teste di ponte di Piacenza e Ferrara, e la rete di satelliti a Modena e a Firenze. Come poteva, il successore di Pietro, andare allo scontro con l'ultima grande potenza «cattolica»? Ben sappiamo quanto i sovrani della Restaurazione fossero eredi del giurisdizionalismo settecentesco, e quanto forte fosse il vagheggiamento di una «religione imperiale», cioè dinastica, a Vienna. Cosa avrebbe impedito, in caso di crociata antiaustriaca, la convocazione di un concilio dei vescovi a Vienna, e uno scisma che avrebbe separato da Roma l'Austria, l'Ungheria, la Boemia, la Slovacchia, la Slovenia, la Croazia, un terzo della Polonia, il Trentino, Trieste e quant'altro?
    L'Austria sapeva bene dei sentimenti nazionali dell'eminentissimo cardinal Mastai Ferretti e al conclave del 1846 si affrettò a mandare l'arcivescovo di Milano Gaysruck (di suo, figlio di Pietro Leopoldo) con il relativo «veto» all'elezione del conte marchigiano. Ma Gaysruck arrivò a cose fatte, e la storia andò come sappiamo. L'Austria, insomma, tentò nel conclave del 1846 quell'intervento che le riuscì nel 1903, quando impedì a Mariano Rampolla di succedere a Leone XIII perché ... troppo democratico e politicamente insicuro. E d'altra parte, non si diceva che «in casa Mastai tutti, anche il gatto, erano di sentimenti liberali»?
    Dimostratasi irrealizzabile una guida papale all'indipendenza italiana, non restò a Pio IX che difendere alla meglio quella pontificia. Di qui la scelta di ristabilirne l'autorità ricorrendo all'ambigua protezione delle cosiddette «potenze cattoliche», l'Austria, la Francia repubblicana, la Spagna, le Due Sicilie, ognuna delle quali aveva i suoi specifici interessi politici. Anche Ferdinando II, il cosiddetto «re Bomba», aveva una sua strategia: ospita Pio IX a Gaeta, interviene su Roma ma, nel 1850, induce ad andarsene da Napoli la neonata «Civiltà Cattolica», essendosi i gesuiti rivelati troppo «romani» e poco conformi alla volontà regia.
    Il cuore di Pio IX è dunque diviso. Resta, in qualche misura, il «cittadino Mastai», e partecipa all'insofferenza per il duro protettorato che le potenze (anche l'Inghilterra, padrona dei mari) esercitano sulla Penisola e - almeno nelle citazioni - sul suo centro morale, la Santa Sede. Ma anche gli Austriaci sono cattolici, e non può permettere un altro scisma che nel secolo XIX sarebbe ancora più rovinoso di quello luterano.
    Deve allora rinchiudersi nella cittadella del potere temporale, scontrandosi col movimento nazionale italiano e più ancora col liberalismo politico trionfante. Mal servito da collaboratori non all'altezza dei tempi, come Antonelli, amareggiato dalla rovinosa caduta di popolarità successiva all'enciclica del 29 aprile 1848, circondato da conservatori e da provinciali, il suo si fa un martirio civile. Personalmente disinteressato, il papa del Sillabo mostra la sua dignità assegnando alla difesa di Roma, quel 20 settembre 1870, un significato assolutamente simbolico, anche di fronte alla diplomazia europea. Lo spargimento di sangue è ridotto al minimo, non ci sarà una battaglia campale sotto le mura di Roma tra il piccolo esercito multinazionale pontificio e il regio esercito italiano, almeno quattro volte superiore. Giovanni Maria Mastai Ferretti, Pio IX, ha avversato tempi e modi concreti del Risorgimento, non la speranza dell'indipendenza della patria, per lui inseparabile da quella della religione.

    Giorgio Rumi è professore ordinario di storia contemporanea all'Università statale di Milano

    http://www.liberalfondazione.it/arch...2/Quel_che.htm
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