BEATO PIO IX
BIOGRAFIA
Dalla nascita al sacerdozio
Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, nono figlio di Girolamo Benedetto Gaspare dei conti Mastai Ferretti e di Antonia Caterina Maddalena Solazzi, del patriarcato locale. Dei figli maschi era il quarto, dopo Gabriele, Gaetano e Giuseppe. Fu battezzato il giorno stesso della nascita col nome di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro da uno zio, il canonico Angelo Mastai, poi vescovo di Pesaro.
Era di delicata costituzione fisica, ma d’intelligenza sveglia e d’indole ottima. Appena poté, andò a messa ogni giorno con la pia mamma. Rivelò presto la sua devozione eucaristica e mariana. Fu dedito alla pratica dei "fioretti". Era stato cresimato il 6 giugno 1799 dall’Em.mo B. Honorati, vescovo di Senigallia, ed ammesso alla prima comunione nella cappella della Madonna della Speranza in cattedrale il 2 febbraio 1803.
[size=0.5]Ritratto giovanile di Giovanni Maria Mastai Ferretti nel periodo in cui era studente a Volterra.[/size]
I1 20 ottobre di quel medesimo anno entrò nel Collegio dei Nobili, tenuto in Volterra dai Padri delle Scuole Pie. V rimase fino al 26 settembre 1809, dando prova d’ingegno vivace e d’esemplare comportamento.
Lo zio Paolino Mastai, canonico vaticano, l’accolse presso di sé, quando, nel 1809, Giovanni Maria lasciò Volterra e venne a Roma per gli studi superiori presso il Collegio Romano. Il giovane conte, a quell’epoca, non aveva dato ancora la sterzata decisiva alla sua vita in direzione del sacerdozio. Era ancora "in stato secolare", come egli stesso s’esprime, quel 10 aprile 1810, quando, a conclusione d’un ritiro spirituale, gettò le basi di tutta la sua futura esistenza: lotta al peccato, fuga da ogni occasione moralmente pericolosa, studio "non per l’ambizione del sapere" ma per il bene altrui, abbandono di sé nelle mani di Dio. E non mancò di rivolgere a sé stesso un’esortazione finale, per impegnarsi con tutte le sue forze all’osservanza dei suoi buoni propositi: "Eseguisci il sistema divino che hai disegnato".
Quel programma (o "sistema divino") era sintomatico della limpidezza interiore del giovane studente, già soprannaturalmente orientato, purtroppo non eran floride le sue condizioni di salute. Soffriva d’improvvisi attacchi che qualcuno considerò epilettici, anche se non si han prove sicure al riguardo. La cosa certa è che fu per questo costretto ad interrompere gli studi. Nel 1812, la malattia gli ottenne 1’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore del Regno. Chiese, invece, ed ottenne nel 1815 di far parte della Guardia Nobile Pontificia; ma a causa del suo male, ne fu presto dimesso. Paradossalmente, proprio in quello scorcio di tempo, San Vincenzo Pallotti gli vaticinò il supremo pontificato e la Vergine di Loreto lo liberò, sia pure in modo graduale, dal male che l’affliggeva.
Sempre nel 1815 fu tra i volontari che prestavano la loro opera educativo-didattica ai ragazzi del Tata Giovanni, un istituto dove prenderà poi dimora e che gli resterà caro per tutta la vita. Nel 1816 ebbe una parentesi senigalliese come catechista in una memorabile missione popolare. Poco dopo, nella Chiesa dell’Orazione e Morte, dove aveva appena finito di servire una messa, si decise per il sacerdozio, ponendo fine ad un quinquennio d’ondeggiamenti. Vesti l’abito talare, riprese gli studi, ebbe gli ordini minori il 5 gennaio 1817, il suddiaconato il 20 dicembre 1818 ed il diaconato il 6 marzo 1819. Un mese dopo, il 10 aprile, per grazia personale di Pio VII, venne ordinato prete. Ed egli, con chiara consapevolezza del suo nuovo stato, s’impegnò formalmente con se stesso ad evitare la carriera prelatizia per rimanere sempre e soltanto al servizio della Santa Chiesa. Vi rimase di fatto, anche nella carriera e nonostante gli inarrestabilì scatti di essa.
Prete e Vescovo
Celebrò la sua prima messa ai suoi cari ragazzi del Tata Giovanni, nella Chiesa di Sant’Anna. Nominato rettore di quell’istituto, vi si fermò fin al 1823.
Fu subito evidente con quale spirito fosse andato incontro al sacerdozio. Assiduo alla preghiera, al ministero della parola, alle sacre funzioni, al confessionale, il prete Mastai era ormai l’uomo per gli altri, specie per i più umili e bisognosi. Univa il raccoglimento alla disponibilità più generosa, I’unione con Dio all’attività del ministero vissuto sulla breccia, la vita contemplativa alla predicazione ed a qualunque altro servizio gli richiedessero le attese e le necessità delle anime. Foglietti provvidenzialmente sfuggiti alla distruzione costituiscono la più probante testimonianza della sua vita interiore di giovane prete, dei suoi spietati esami di coscienza, del suo rifugiarsi nel Cuore sacratissimo di Gesù ed in Maria.
Nel 1823 parve prender concretezza il suo sogno segreto: farsi missionario. I1 3 luglio lasciò Tata Giovanni per accompagnare in Cile il Nunzio Apostolico S. E. Mons. Giovanni Muzi e vi restò fin al 1825. Per tale missione, il Segretario di "Propaganda Fide" l’aveva così presentato: "E’ difficile ritrovare persone che riuniscano tutti i requisiti che s’incontrano in questo rispettabilissimo sacerdote. Pietà singolare e soda, dolcezza di carattere, prudenza ed avvedutezza non ordinarie, zelo grandissimo accompagnato dalla scienza che in lui bene si trova in abbondanza,...desiderio di servire Dio e di essere utile al prossimo per le missioni presso gli infedeli".
La madre ne fu profondamente addolorata, soprattutto per l’incognita della salute. Ma né la costernazione materna, né altre contrarietà fermarono l’ardente "missionario’`.
La missione si rivelò più difficile del previsto e richiese soprattutto saggezza, prudenza e spirito di Fede. Eran le doti precipue del giovane Mastai, le uniche armi ch’egli impugnò per il bene della società cilena e l’onore di Dio. Non era un diplomatico; non lo sarà mai in tutta la vita. Era un prete. E come tale si comportò anche in un contesto diplomatico come quello della missione cilena.
Sarebbe rimasto molto volentieri in quella terra ormai da lui amata. Ma Roma lo reclamò per altri e non meno delicati servizi. Obbedì serenamente.
Nel 1825 fu eletto preside dell’Ospizio Apostolico di San Michele: un’opera complessa e grandiosa, ma per non pochi motivi non più all’altezza dei suoi compiti e bisognosa perciò di seria riforma. E’ quel che fece il Mastai con oculatezza pari all’intraprendenza. Gli esiti furon lusinghieri.
Ma il campo nel quale egli prodigava i tesori di natura e di grazia di cui era straordinariamente dotato, restò sempre quello pastorale. Fu un vero apostolo.
Aveva appena 35 anni, quando Leone XII, il 3 giugno 1827, lo destinò all’arcidiocesi spoletina. Il novello Pastore vi fece solenne ingresso il 7 luglio. L’obbedienza al successore di Pietro ne vinse la non formale resistenza, non si sentiva meritevole di tanto e soprattutto era convinto d’essere impari a quanto la responsabilità episcopale gli avrebbe richiesto. Ma il Papa fu fermo nel suo disegno e fece di lui, in quell’occasione, il seguente elogio: "Uomo commendevole per gravità, prudenza, dottrina, rettitudine di costumi, esperienza delle cose".
L’elogio rivelava la grande fiducia del Pontefice nel suo collaboratore, il quale lo ripagò da par suo: a Spoleto fu un prodigio di zelo pastorale, che vinse diffidenze ed ostilità di prevenuti, questi a sé conciliando ed assimilando a quanti lo stimavano amavano e seguivano.
Il suo zelo, peraltro, fu fecondato anche da non poche sofferenze. La rivoluzione nel febbraio del 1831, imperversò in tutta 1’Umbria, dopo aver preso le mosse dai ducati di Parma e di Modena, lasciando il segno del suo passaggio a Bologna e perfino a Roma. A Spoleto trovò la strada spianata da frodi e tradimenti, che resero ancor più pesante la difficile situazione sul cuore dell’Arcivescovo. Questi segui la vicenda, rivivendone intimamente il dramma. Con dolore acconsentì alla difesa, ma non allo spargimento di sangue fraterno. E quando la calma fu ristabilita, elargì a tutti, anche a chi non lo meritava, il suo paterno perdono.
Dopo Spoleto l’attendeva un’altra non facile diocesi. Il vecchio card. Giacomo Giustiniani non aveva potuto far altro che dimettersi dalla guida della diocesi di Imola. E Gregorio XVI nulla di meglio intravide che trasferire ad essa lo zelante ed affermato vescovo di Spoleto: era il 22 dicembre 1832.
Il compito, difficile oltre ogni ragionevole sospetto, non sgomentò il Mastai, il quale, della sua nuova diocesi, fece il teatro della sua fede invitta, della sua carità senza limiti, del suo instancabile zelo. Ad Imola, infatti, si confermò uomo di profonda preghiera, predicatore facondo e suasivo, col cuore aperto a tutti, di ogni ordine e ceto; ricercatore indefesso del bene soprannaturale, ma anche materiale, dei suoi diocesani; difensore strenuo della giustizia contro ogni intemperanza e sopruso; promotore d’opportune forme d’educazione giovanile; spiritualmente e materialmente vicino ai monasteri di vita contemplativa, alla cui importanza ed alle cui esigenze sarà anche in seguito sensibilissimo; infiammato per la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna; tutto premure, se pur fermo sui principi, per i suoi preti ed il suo seminario.
[size=0.5]Ritratto del Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti (Pietro Gobbetti, sec. XIX)[/size]
Aveva appena 48 anni, quando, il 10 dicembre 1840, gli fu conferito 1’onore della sacra porpora.
Papa
Pur rifuggendo dagli onori per indole e per decisione, si trovò presto sotto il loro peso, tanto più grave quanto più alto fosse l’onore stesso.
Il 1 giugno 1846 morì Gregorio XVI; due settimane dopo, il 14, cinquantadue cardinali si riunirono in conclave per eleggerne il successore. Sulla sera del 16, il card. Giovanni Maria Mastai Ferretti era già papa con il nome di Pio IX. Rimarrà sul soglio di Pietro per 32 anni, dando vita al più lungo pontificato della storia.
[size=0.5]Ritratto di PIO IX (Alessandro Capalti 1817-1868)[/size]
Non è stato, e non è facile, per l’incrocio di circostanze varie e segnatamente per la presenza di passioni politiche, darne un giudizio univoco. Qualcuno definì Pio IX una "figura complessa", c’è perfino chi lo giudica mediocre e non adatto all’altissimo compito, gli uni e gli altri dando prova di non poca superficialità e di scarsa informazione. Come ieri, così anche oggi la passione e l’emotività sono spesso una griglia deformante nei riguardi della sua figura e del suo operato. Il pontificato di Pio IX fu indubbiamente difficile, tra i più difficili in tutto l’arco della storia ecclesiastica; il santo Pontefice lo visse tutto raccolto nella sua autocoscienza di Vicario di Cristo, che non gli consenti mai né transazioni né compromessi, pagando di persona la sua coerenza.
Sta qui, in gran parte, la spiegazione delle difficoltà da lui incontrate e delle obiezioni che gli vennero mosse. Al di sopra delle une e delle altre, giganteggia il suo animo di prete, di pastore e di padre.
I1 16 luglio 1846, dimostrando per 1’ennesima volta il sentire cristiano che l’animava, promulgò l’amnistia per tutt’i detenuti politici. Di qualche mese dopo è la sua prima enciclica: la Qui pluribus, del 9 novembre, un documento impressionante per la sua chiarezza, il suo realismo, la sua ampia visione degli incombenti pericoli e dei necessari rimedi. "In nuce" c’era già tutto Pio IX, almeno sul piano magisteriale. I punti essenziali del Vaticano I vi erano anticipati; gli errori di fondo eran nettamente percepiti e condannati; la delimitazione tra verità ed errore in materia di fede e della sua traduzione morale era decisamente segnata ed altrettanto quella tra Chiesa e società segrete.
Che non si trattasse di miopia culturale e di spirito reazionario è comprovato dal fatto che, poco dopo, il 13 marzo 1847, concesse per decreto ampia e sorprendente liberta di stampa.
1l 5 ottobre fu la volta della Guardia civica, nel quadro di altre aperture liberali Pio IX si rivelava in tal modo un sovrano saggio ed aperto, capace d’indiscussa fedeltà alla tradizione, ma non per questo meschinamente ottuso dinanzi alla cultura emergente. Il suo acuto discernimento, pur intuendone i pericoli, ne colse anche i pregi. Ed a tale discernimento restano legati i suoi primi atti di governo, i più difficili proprio perché i primi: I’istituzione del Municipio, del Consiglio comunale e della Consulta di Stato, rappresentativa di tutte le province, ed infine dello Statuto. Ben nota e fin da allora non ben capita fu l’allocuzione del 10 febbraio 1848, che conteneva l’implorazione: "Benedite, Gran Dio, I’Italia e conservatele sempre questo dono di tutti preziosissimo, la Fede".
Un’altra allocuzione, di portata storica, fu quella del 29 aprile. Confermando in essa il suo "paterno amore" per tutt’i popoli e non per quello italiano soltanto, Pio IX si alienò l’animo dei più accaniti liberali. A poco valse la sua convinta difesa dell’indipendenza italiana in un dispaccio all’imperatore d’Austria; per non pochi, più facinorosi e prevenuti che patrioti, egli fu semplicemente un traditore. Ed anche in seguito perfino nei libri di scuola, non gli han perdonato un tradimento che non c’era mai stato.
Il 15 novembre fu ucciso il capo del governo, Pellegrino Rossi, nove giorni dopo lo stesso Pio IX si vide costretto a lasciare la sua Roma, rifugiandosi a Gaeta.
Le cose in effetti si facevano ogni giorno più difficili. Il 9 febbraio 1949 venne proclamata la Repubblica Romana. L’augusto Esule prima si trasferì a Portici (4 settembre), quindi rientrò nell’Urbe e si stabili in Vaticano (12 aprile 1850), dando da allora in poi un’ancor più definita impronta pastorale al suo pontificato. Tutte le genti e tutti i non prevenuti sentivano d’aver in Lui un vero padre, così come, per i suoi sudditi, fu un sovrano amabilissimo.
Subito riordinò il Consiglio di Stato (12 settembre 1850), istituì la Consulta per le Finanze, elargì una nuova e più ampia amnistia. Il giorno 20 ristabilì la regolare gerarchia cattolica in Inghilterra; altrettanto fece, tre anni dopo, per l’Olanda.
L’11 marzo l853 condannò le dottrine gallicane ed il 28 giugno fondò il Seminario Pio. Anche le Catacombe, nel maggio del 1854, furon oggetto della sua generosa sollecitudine; nello stesso tempo istituì la Commissione d’Archeologia Cristiana e ne nominò il presidente nella persona del grande Giovanni Battista de’ Rossi. E’ poi doveroso aggiungere che il 1854 sarebbe rimasto scolpito a caratteri d’oro nella storia personale di Pio IX ed in quella della Chiesa cattolica per la solenne proclamazione dogmatica dell’Immacolato Concepimento di Maria (8 dicembre); in questo dogma, oltre che in quello sull’infallibilità papale (18 luglio 1870), il magistero di papa Mastai raggiunse il suo vertice. E non basta, il 1854 è degno di nota anche per la ricostruita Basilica di San Paolo, distrutta dall’incendio del 15 luglio 1823.
Le iniziative magisteriali, contestualmente a quelle sociali e politiche, si succedevano con ritmo incalzante, confermando insieme la prudenza e l’apertura del grande Pio. I1 3 aprile 1856 egli approvò il piano della strada ferrata nello Stato pontificio la cui prima attuazione (tratta Roma-Civitavecchia) venne inaugurata il 24 aprile 1859. Il Papa visitò i suoi territori dal 4 maggio al 5 settembre 1857, ovunque accolto da popolazioni in tripudio. Tra il 1855 ed il 1866 inviò missionari tra gli Esquimesi ed i Lapponi del Polo nord, in India, in Birmania, in Cina ed in Giappone. Intensificò le relazioni diplomatiche in Europa e nel mondo. Continuò la sua carità, ora alla luce del sole, ora nascosta, quotidiana, minuta ma significativa. Giorno dopo giorno, era al suo posto, con il cuore e con le mani aperte per chiunque, persone ed opere, avesse avuto bisogno di Lui.
L’orizzonte però s’ottenebrava. I moti risorgimentali, le annessioni piemontesi che smantellavano lo Stato pontificio, l’usurpazione delle Legazioni con discutibili plebisciti e vessazioni anche più sottili perché giuridicamente camuffate da alta e responsabile considerazione per la Chiesa e per la Sede Apostolica, obbligarono Pio IX a porsi sulla difensiva a tutela della libertà e dei diritti inalienabili dell’una e dell’altra. Mantenne sempre, peraltro, il suo sguardo attento al bene delle anime come "suprema legge" del suo e d’ogni altro ministero ecclesiastico. Nel 1862 eresse un dicastero speciale per gli affari con i cristiani di rito orientale e 1’8 dicembre 1864 emanò una delle sue più famose encicliche, la Quanta cura seguita dal non meno famoso Syllabus, per condannare l'insieme degli errori moderni.
Le sempre crescenti difficoltà politiche avevan l’effetto d’impegnarlo ancora di più, se possibile, nella cura pastorale. I1 29 giugno 1867 celebrò con straordinaria solennità il XVIII centenario del martirio di Pietro e Paolo. I1 2 maggio 1868 approvò la "Società della Gioventù Cattolica Italiana", fondata il 29 giugno 1867 da M. Fani e G. Acquaderni. L'11 aprile 1869, ricorrendo il suo giubileo sacerdotale, ebbe dal mondo intero uno straordinario omaggio di gratitudine e d’attaccamento alla sua venerata persona.
C’è, tra i suoi fasti, un avvenimento d’eccezione: il Concilio Ecumenico Vaticano I, ch’Egli apri il 7 dicembre 1869 e chiuse il 18 luglio 1870.
Con la caduta di Roma (20 settembre 1870) e la perdita dello Stato, amareggiato ma non domo Pio IX si chiuse in volontaria prigionia in Vaticano. Resistette alla Legge per le Guarentigie, celebrò il giubileo del suo pontificato (23 agosto 1871), approvò 1’"Opera dei Congressi" (1874), consacrò la Chiesa al Sacro Cuore di Gesù (16 giugno 1875), disciplinò la partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica (29 gennaio 1877), restaurò la regolare gerarchia in Scozia (29 gennaio 1878).
Già minato nella sua salute, tenne il suo ultimo discorso ai parroci dell’Urbe il 2 febbraio 1878. Pochi giorni dopo, esattamente il 7, a 85 anni, spirò piamente.