di Gian Marco Chiocci

Spatuzza ’u tignusu, e non solo.
Il troncone milanese delle inchieste sui mandanti delle stragi di mafia del ’93 si sta arricchendo delle rivelazioni di nuovi e usurati pentiti, e punta dritto a Silvio Berlusconi, passando per l’onnipresente Dell’Utri, ancora per Vittorio Mangano, per le due povere figlie del fattore di Arcore e il cognato di quest’ultimo, quindi per altri soggetti siciliani e calabresi, collegati al senatore del Pdl e potenzialmente collegabili alle indagini sulla bomba che il 27 luglio ’93 ammazzò cinque persone in via Palestro.

L’inchiesta di Ilda Boccassini va avanti in silenzio. Contrapposta a quella “gemella” dei pm della procura di Caltanissetta alla quale il magistrato milanese aveva chiesto di essere applicato - attraverso il procuratore Piero Grasso - ricevendo un secco “no” dalle stesse toghe nissene che le avevano inviato una convocazione per interrogarla, come testimone, in merito ai dubbi sul falso falso pentito Scarantino espressi quando indagava su via d’Amelio.
Ilda la rossa si è mossa con le dichiarazioni di Spatuzza relative a interessi economici che i boss Graviano, mandanti della bomba piazzata da Giovanni (coordinatore) e Tommaso (basista) Formoso, avrebbero avuto fra il ’92 e il ’95 con politici e imprenditori del Nord.
In special modo a Milano, dove entrambi i Graviano vennero arrestati con somma sorpresa di vari capimandamento - dice Spatuzza - che li ritenevano al sicuro nel quartiere palermitano di Brancaccio.
Il contesto politico-imprenditoriale-mafioso sul quale la procura di Milano si sta muovendo non riguarda solo la ricerca dei punti di contatto fra i Graviano, le loro imprese edilizie e il senatore.
Procede sulla base di una rivisitazione di vecchi atti, sovrapposti a spunti investigativi più recenti, tipo le discutibili informative della Dia (già allegate al processo Dell’Utri) nelle quali nel 1996 si dava spazio ad anonime fonti confidenziali su telefonate fra i Graviano e Dell’Utri per imprecisati business immobiliari nonché a un pranzo comune, fra il ’92 e il ’93, al ristorante «L’Assassino» (sic!) di Milano, oltre alla latitanza ad Arcore assicurata a Gaetano e Antonino Grado ad Arcore da parte di Mangano.
E proprio su questo celebre nome si muove una parte cospicua del filone milanese delle stragi del ’93 con riferimento a personaggi che la procura ritiene collegati a Dell’Utri.
Come il genero di Mangano, Enrico Di Grusa, già scomodato da alcuni pentiti come referente mafioso al nord, considerato dagli investigatori l’erede naturale dello «stalliere», l’uomo che a detta dell’ennesimo pentito (Andrea Bonaccorso) assicurò la latitanza milanese al boss corleonese Giovanni Nicchi.
Per gli inquirenti Di Grusa avrebbe fatto anche da trait d’union con il messinese Nicola Sartori (di cui vi è traccia al processo Dell’Utri) in rapporti con le figlie di Mangano e soprattutto con Pino Porto, alias Pino il cinese, vicinissimo a Mangano senior, adocchiato dal Ros in un’inchiesta sulla ’ndrangheta meneghina.
Dei rapporti fra Porto ed Enrico Di Grusa parla abbondantemente un picciotto di basso lignaggio del clan Lo Piccolo, trapiantato a Bareggio, dintorni di Milano: è Angelo Chianello.
Faceva estorsioni ai negozi ma per i magistrati è un grande conoscitore delle segrete cose di Cosa nostra e dei rapporti mafiosi fra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
In questa direzione si sarebbe data nuovamente un’occhiata alla perizia Genchi sui traffici telefonici e le carte di credito di Dell’Utri (consulenza allegata al processo di Palermo) da dove emergerebbero contatti, negli anni delle stragi e fino al ’96, fra i protagonisti delle nuove indagini, partendo sempre da Di Grusa ritenuto, chissà perché, il passepartout per arrivare ai mandanti eccellenti su Milano.

Attraverso di lui (così almeno sostengono i pm del processo al clan Lo Piccolo) Cosa nostra avrebbe costituito a Milano una filiale per dare ospitalità ai latitanti, approfittando dell’amicizia di Dell’Utri e dei buoni uffici del boss Sandro Mannino reo d’essersi incontrato con le figlie dell’ex stalliere di Arcore.
Roba giudiziaria già vista, sorpassata, scolorita dai processi e dalle sentenze.
Che torna ugualmente di moda grazie a Spatuzza l’imbianchino che si ricorda dei compari Silvio e Marcello con diciassette anni di ritardo.

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saluti