Reati d'opinione, alla Camera An contro la Lega: resta il carcere
per la propaganda xenofoba. Solo multe per il vilipendio al tricolore
Legittimo sparare ai ladri in casa
Sì del Senato alle nuove norme
di LIANA MILELLA
Per scritte di questo genere nel prossimo futuro ci potranno essere solo multe
ROMA - Avrebbe potuto essere la grande giornata della Lega, due vittorie in un colpo solo, via il carcere per i reati d'opinione alla Camera, legittima difesa in versione "licenza d'uccidere" al Senato, sogni agognati dall'inizio della legislatura, ma An s'è messa di traverso e in parte ha oscurato la festa. Perché i due provvedimenti passano lo stesso, anche se entrambi in prima lettura, senza colpo ferire la legittima difesa (no secco dell'opposizione) ma con forti tensioni, modifiche e dimensionamenti la punibilità delle opinioni alla Camera.
Il testo approvato al Senato modifica l'articolo 53 del codice penale che già prevede legittima l'azione di difesa solo quando questa è proporzionata alla minaccia. La nuova norma, invece, stabilisce che la vittima di un furto, di una rapina e di una minaccia può e deve reagire "per tutelare la propria incolumità". Insomma, sarà più facile sparare ai ladri in casa.
Per tutto il pomeriggio a Montecitorio il suo vice Ignazio La Russa ha fatto il pazzo ("Non voglio trovarmi sui giornali i titoli sulla Lega che ci ha obbligato a essere razzisti, né voglio subire le strumentalizzazioni della sinistra") stracciando un delicato accordo raggiunto in commissione: chi propaganda idee razziste è punito con una multa da due a seimila euro, chi istiga o commette reati a sfondo razziale va in carcere per tre anni.
La soluzione salta, viene bocciata pure la correzione (carcere fino a un anno per la propaganda, in alternativa solo una multa). An vota con la sinistra, la Lega resta isolata, finisce 249 a 195. L'ultima mediazione è decisiva, multa e carcere (un anno e sei mesi) per chi propaganda idee razziste o istiga alla discriminazione. I tre anni previsti dalla legge Mancino del '75 finiscono in archivio. La Cdl si ritrova compatta, i sì sono 227, Ds e Margherita restano contrarie (166 no), Verdi e Rifondazione si astengono (saranno 23).
Nel pacchetto delle depenalizzazioni c'è anche il vilipendio della bandiera, dal carcere da uno a tre anni si passa a una multa da mille a cinquemila euro che diventano diecimila se il fatto avviene durante una cerimonia. Rimane la cella solo se dalle parole si passa ai fatti. Ma anche il vilipendio della Repubblica, l'oltraggio al corpo politico, le offese alla religione saranno punite con una multa.
Si può ben capire che la Lega abbia lottato duramente nonostante le accuse del centrosinistra che parla di "scambi di favori e di patti" (la diessina Anna Finocchiaro) e sente odore di "soluzioni personali" (Luciano Violante), questa volta per Umberto Bossi e tanti altri leghisti finiti in questi anni davanti ai pm. Del resto, da Verona, il procuratore Guido Papalia già commenta: "Le modifiche al codice penale andavano fatte, purtroppo sono state realizzate in modo negativo".
Accuse e processi salteranno. Era dal 2001 che il Guardasigilli Roberto Castelli aveva presentato il suo piano per depenalizzare i reati d'opinione. Depositato a palazzo Chigi, presentato alla stampa, il disegno di legge era rimasto lì, frenato dalle ire del Quirinale contrarissimo alla raffica di multe in luogo del carcere. Meno di un mese fa le carte della Lega sono rispuntate in commissione Giustizia, relatrice Carolina Lussana, che ha rimesso insieme anche le proposte di Giuliano Pisapia (Rifondazione).
Un lavoro rapidissimo, un solo ostacolo sulla strada, quei reati di xenofobia e razzismo che hanno visto Castelli strenuo lottatore in Europa dove l'Italia per sua mano è riuscita a bloccare per due anni una direttiva che il commissario per la sicurezza e giustizia Franco Frattini ora sta riscrivendo. Ieri Castelli, seduto da solo al banco del governo, ha citato e ricitato l'inchiesta su Oriana Fallaci, si è battuto per la "soluzione equilibrata" della commissione, alla fine ha perso lamentando che ripristinare la reclusione vuol dire "dare armi in mano a qualche magistrato illiberale per colpire le idee di qualcuno".
Ma per lui e per la Lega doveva essere la giornata vincente. Purtroppo è partita subito male perché An mirava a un doppio risultato: salvare la faccia del suo ministro degli Esteri in tema di razzismo e tentare un colpo di mano, una norma a misura di An, cancellare d'un colpo dal codice il reato di apologia del fascismo. L'aennino Aurelio Gironda ci prova subito durante la riunione del comitato ristretto della commissione Giustizia, ipotizza il colpo di spugna cancellando le regole stabilite dalla legge Scelba del '52, ma capisce che non è aria. Forza Italia, Lega, Udc pigliano le distanze, la sinistra insorge. L'idea è accantonata, anche se dopo la battaglia in aula La Russa la ripropone apertamente. Dice testualmente: "Sto valutando di presentare al Senato un emendamento che realizzi un pari trattamento tra il reato di propaganda e apologia sovversiva o antinazionale e quello di apologia del fascismo, entrambi a mio avviso oggi anacronistici".
(7 luglio 2005)