Parte dai numeri Marcello Pera. Dalle cifre di un dossier del servizio studi del Senato: nei primi sei mesi di quest’anno le sentenze della Corte costituzionale sui conflitti fra Stato e Regioni sono state il 55 per cento del totale contro il 49,2 per cento del 2003. «Un dato anomalo - dice il presidente del Senato - e un po’ allarmante. Segno che il federalismo varato nel 2001, che doveva essere solidale e non competitivo, è invece altamente conflittuale». Pera si riferisce alla riforma approvata dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura. Ma il suo ragionamento porta dritti al federalismo in discussione in Parlamento, quella devolution indicata più volte dalla Lega come condizione per restare nella maggioranza: «È questo un tema su cui riflettere. Dobbiamo meglio distinguere, dividere, eliminare i conflitti».
PERA - La sede non è scelta a caso. Sui banchi dell’aula di Montecitorio siedono 600 consiglieri regionali, la metà degli eletti, per l’apertura dell’ottava legislatura regionale: la rappresentazione fisica di quella conflittualità in aumento fra il centro e la periferia dello Stato. «Bisogna avere il coraggio - dice Pera - di esaminare la situazione con pacatezza e cercare una soluzione affinché i rapporti fra Stato e Regioni siano equilibrati e bilanciati. Bisogna avere il coraggio di modificare ciò che si dimostrerà necessario. Continuare per anni con questa conflittualità permanente rappresenta un costo eccessivo per il nostro Paese». Costi, secondo il presidente del Senato, «sia in termini di certezza del diritto sia in termini finanziari». Pera dà atto alla Corte costituzionale di aver evitato conseguenze peggiori e «salvato molte disposizioni dello Stato». «In tutti questi anni - spiega il presidente di Palazzo Madama - la Corte ha esercitato, non volendolo e certo con equilibrio, un ruolo di supplenza delle carenze e dei ritardi del legislatore».
REGIONI E COMUNI - Coglie la palla al balzo Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna con una giunta di centrosinistra e presidente della Conferenza delle Regioni: «Alla luce dell’esperienza di questi anni - spiega - sarebbe opportuna una pausa di riflessione sull’ulteriore processo di modifica costituzionale all’attenzione del Parlamento. Non perché non occorra intervenire, ma perché c’è il rischio di cronicizzare lo scontro». Sostanzialmente d’accordo Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, anche lui alla guida di una giunta di centrosinistra e presidente dell’Associazione dei Comuni: «È vero che la riforma del 2001 ha lasciato diversi problemi aperti, ma quella ora in discussione non li risolve» con il rischio di dar vita a un «meccanismo ancor più conflittuale e farraginoso».
LEGA - La Lega sceglie di replicare a Errani, anche se forse il destinatario finale è proprio Marcello Pera: «Le riforme - dice Francesco Moro, vice presidente del Senato - sono una necessità per il Paese e la sua modernizzazione legislativa. Quella di Errani è una proposta di sinistra che non ci possiamo permettere. Le riforme andranno avanti senza alcuna pausa di riflessione». Enrico La Loggia, ministro per gli Affari regionali, prova invece a ricucire: «Il quadro attuale è meno caotico di quanto appariva nella prima fase di attuazione della riforma federalista anche grazie alla politica del dialogo e dell’attenzione adottata dal governo».
CASINI - Non parla apertamente di devolution Pier Ferdinando Casini. Ma all’apertura della legislatura regionale anche il presidente della Camera tocca l’argomento dei rapporti difficili fra centro e periferia della Repubblica: «Si impone a tutti noi, nell’interesse dello Stato - afferma -, un patto che unisca i Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato, quale che sia la maggioranza che li governa. Un patto che impegni ad assumere le decisioni che servono a tutti e non solo quelle che piacciono o possono piacere ad alcuni. È questa la strada per far ripartire l’Italia e rimettere in moto l’economia». «Concordo con Casini sulla necessità di un nuovo patto» replica il presidente dell’Associazione dei Comuni, Domenici, che aggiunge: «Un patto con il governo lo avevamo fatto già nel 2002. Ma, al momento delle decisioni concrete, a partire dai fondi previsti nelle varie Finanziarie, i comportamenti non sono stati conseguenti».