Il capitale che piace a Fassino
Chi è il più riformista del reame? Ossia, chi è più amico di Giovanni Consorte e dell’Unipol? D’Alema o Fassino?
Bella domanda. Piero Fassino, in ogni caso, ce la mette tutta. Ma proprio tutta. Fino a dare il suo avallo all’alleanza Consorte-Ricucci, discusso "raider" e bestia nera dell’attuale leadership confindustriale. La tribuna scelta chiarisce a chi è rivolto il messaggio. Dalle colonne del "Sole24ore" (7 luglio), infatti, il segretario dei Ds spiega al mondo economico italiano che “non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. Né sul piano morale, né su quello economico. Oggi dobbiamo superare le vecchie gerarchie dell’industrialismo… Quello che conta è che ognuno rispetti le leggi e le regole di mercato, sia trasparente e si impegni a tutelare i beni di interesse generale”.
Notoriamente, Stefano Ricucci, che dichiara al fisco guadagni di 47 mila euro per l’anno 2004, è un imprenditore di sana e robusta costituzione, sulle origini della ricchezza del quale non è lecito avere dubbi, che opera sul nostro mercato con la massima trasparenza, anche se predilige domiciliare le sue società a Guernsey, nelle isole della Manica, oppure nel Lussemburgo, noti paradisi fiscali. Un immobiliarista che peraltro non costruisce immobili, ma li compra e li vende. Così come compra (e forse venderà) azioni di banche e di quotidiani ("Il Corriere della Sera", in primis). Insomma, un "rentier". Sul quale, come scrive "l’Unità", rimane solo un dubbio: capire dove nasce la sua fortuna. Il che non è poca cosa.
Dopo la presa di posizione di Fassino, la figura del marxista retrò (vi ricordate il Patto tra produttori?) tocca al confindustriale Andrea Pininfarina. Il quale non nasconde il suo senso di frustrazione di fronte al leader della sinistra italiana che “non distingue tra chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider finanziario…". Ci viene tolta la speranza – dice ancora il vicepresidente di Confindustria – che dall’opposizione possano venire contributi per accrescere la ricchezza del paese”. Tanto più che, interrogato sulla tassazione delle rendite finanziarie, il segretario Ds si limita ad affermare: “Se il Governo farà proposte le esamineremo”.
Un po’ poco per chi dovrebbe rivendicare uno spostamento di risorse dalla rendita alla produzione, o almeno una maggiore equità fiscale. La nostra è infatti, come afferma l'economista Nicola Cacace, una Repubblica fondata più sul patrimonio che sul lavoro. La quota di reddito nazionale che va al lavoro si è ridotta negli ultimi vent'anni dal 50 al 40% e quella della rendita è aumentata dal 20 al 30 per cento, con i profitti intorno al 30 per cento. Non è solo una questione di giustizia sociale: questo trasferimento di ricchezza rappresenta una delle cause del declino del nostro sistema-paese.
Infine, visto che c’era, Fassino avanza la proposta (ma se n'è discusso in qualche organismo dirigente dei Ds?) di un Patto bipartisan per la crescita, la produttività e la redistribuzione, “un Patto che parta da questa fine legislatura per proiettarsi sulla prossima”. E perché, allora, non proporre un bel governo istituzionale di fine legislatura? Siniscalco e Fassino uniti nella lotta (e nel mercato) sarebbe un imprevedibile scenario.
Non mancano, ovviamente, gli applausi a Fassino del "Riformista" e del "Foglio". Quest'ultimo, addirittura, si compiace: “Sembra proprio di sentir parlare Silvio Berlusconi”. Di certo, si tratta di un'esagerazione ma sicuramente Pierferdinando Casini, il presidente della Camera, non disapproverebbe.